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Il patrimonio culturale e le sue regole

Valorizzazione del patrimonio culturale pubblico: il prestito e l'esportazione di beni culturali

di Lorenzo Casini

Sommario: 1. L'esigenza di valorizzare i beni culturali mobili italiani. - 2. Il quadro normativo in Italia. - 2.1. La disciplina del Codice dei beni culturali e del paesaggio. - 2.2. I principi e le best practices transnazionali. - 3. L'esportazione temporanea di beni culturali come forma di valorizzazione.

The Enhancement of Italian Public Cultural Heritage: Lending and Exporting Cultural Property
The article examines the Italian legal regime in the field of lending and exporting movable cultural property. This sector is governed not only by EU and national legislation, but also by transnational norms, principles, and best practices. The analysis highlights that the current Italian system should be reformed in order to enhance cultural property through new mechanisms of lending. This may ensure more incomes to the cultural institutions and it may also contribute to cultural heritage protection.

1. L'esigenza di valorizzare i beni culturali mobili italiani

I dati annuali sui visitatori di mostre nel mondo evidenziano, da un lato, che le esposizioni organizzate in Italia a stento rientrano tra le primi quaranta più visitate [1]; dall'altro, che spesso le mostre che hanno più successo in altri Paesi hanno ad oggetto la nostra storia o la nostra cultura: ad esempio, la mostra su Leonardo da Vinci al Tokyo National Museum è stata la più visitata al mondo nell'anno 2007, con quasi un milione di affluenze [2].

Nell'ambito delle politiche dirette a valorizzare il patrimonio culturale pubblico italiano, assumono perciò grande rilievo le misure in materia di circolazione di beni mobili e, in particolare, il prestito di beni culturali a istituzioni estere a fronte di un corrispettivo in denaro o di una contropartita in opere. E la recente apertura di uno spazio espositivo italiano ("Spazio Italia") all'interno del Museo nazionale di Beijing costituisce senz'altro un passo in questa direzione [3]. Tutto ciò al fine non solo di diffondere i nostri valori culturali nel mondo, ma anche di consentire maggiori entrate all'erario: tramite il prestito oneroso oppure grazie all'organizzazione di mostre, in Italia, in cui esporre capolavori provenienti da altri Paesi [4].

Gli interventi finalizzati a garantire forme di prestito oneroso di opere d'arte, però, trovano alcuni limiti nell'attuale disciplina legislativa italiana in materia di circolazione di beni culturali, nonché in alcuni principi di diritto transnazionale. Sembra ormai necessario, tuttavia, consentire agli istituti e ai luoghi della cultura pubblici italiani di ricorrere con maggior facilità al prestito e/o allo scambio di opere d'arte: naturalmente con modalità che siano non solo economicamente vantaggiose, ma anche rispettose della integrità fisica delle cose e, possibilmente, capaci di portare fuori dai depositi molti beni e reperti attualmente non esposti [5]. Così come è evidente che il ricorso al prestito e/o allo scambio di beni culturali può essere concretamente realizzato solo a séguito di un'accurata catalogazione dei beni culturali appartenenti alle nostre istituzioni, nonché di una attenta valutazione economica delle singole operazioni di prestito, soprattutto in relazione ai costi assicurativi delle opere prestate. Inoltre, andrebbe valutata attentamente la possibilità di introdurre regimi differenziati di tutela, graduati in relazione al tipo di bene (secondo una logica non dissimile da quella attualmente usata con riferimento alla alienazione, dove si distingue tra beni inalienabili e altri che possono essere venduti tramite autorizzazione).

In tempi di restrizioni di bilancio e non solo, i beni culturali in Italia hanno sempre rappresentato una straordinaria risorsa, purtroppo mai sufficientemente valorizzata. Furono anche le esigenze legate al rispetto dei parametri di Maastricht, ad esempio, che nei primi anni Novanta portarono a sviluppare ricette innovative nel settore: avvenne con la legge n. 4 del 1993 (c.d. legge Ronchey), che introdusse la disciplina dei servizi aggiuntivi presso le istituzioni museali. La crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008-2009 impone oggi, ancora una volta, di cercare soluzioni innovative, nell'ambito delle quali i beni culturali, in Italia, possono e debbono svolgere un ruolo strategico.

E' però essenziale che le cose di interesse storico e artistico non siano viste solo come oggetto di possibili alienazioni ad alto tasso di rimuneratività. E proprio una politica più innovativa in materia di circolazione in ambito internazionale e di prestiti di opere - anche a lungo termine - potrebbe essere una valida alternativa a precipitose dismissioni di beni dal valore immenso, difficilmente monetizzabile e comunque destinato a crescere negli anni: di qui la maggior convenienza di politiche di gestione e di valorizzazione dirette a mettere a reddito i beni, senza far perderne allo Stato la disponibilità.

2. Il quadro normativo in Italia

La disciplina italiana in materia di prestiti di beni culturali è dettata da due principali fonti: in primo luogo, vi è il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (che recepisce anche le norme comunitarie); in secondo luogo, vi sono i Principi generali per la gestione dei prestiti e lo scambio di opere d'arte tra istituzioni culturali [6], approvati nel 1995 - e rivisti nel 2001 - da una trentina di musei e istituzioni culturali di tutto il mondo (i principi sono stati "recepiti" in Italia con la Guida per l'organizzazione delle mostre d'arte, redatta da un gruppo di lavoro del ministero per i Beni e le Attività culturali nel 2000/2001 [7]).

In prospettiva storica, le norme sulla circolazione sono sempre state intese come una misura di protezione, di ritenzione delle opere d'arte nelle mani dello Stato o comunque all'interno del territorio nazionale [8]: non a caso, la circolazione di beni culturali è regolata dal Codice italiano nello stesso titolo dedicato alla Tutela.

Due sono, quindi, le principali finalità delle norme in materia di circolazione: assicurare che i beni culturali rimangano di proprietà pubblica o siano acquisiti dallo Stato; garantire che i beni non siano portati al di fuori del territorio nazionale. Un esempio della prima finalità è quello dell'istituto della prelazione storico-artistica, che consente allo Stato (e agli enti territoriali e locali) di acquistare beni alienati tra privati, oppure l'espropriazione. Un esempio della seconda è dato dai limiti posti sia all'alienabilità del demanio culturale, sia all'uscita dei beni dal territorio nazionale.

Eventuali proposte di riforma della disciplina, allora, dovrebbero mutare punto di vista: il prestito di opere d'arte a istituzioni estere non andrebbe visto come una "eccezione" al regime protezionistico di tutela, bensì come uno dei possibili interventi di valorizzazione volti a promuovere e diffondere la conoscenza dei valori culturali al di fuori del territorio nazionale. Si tratterebbe, è bene precisarlo, di una sorta di "rivoluzione" nel settore dei beni culturali: le norme sulla circolazione sono ormai da secoli intese come misura di tutela e conservazione nel contesto delle cose di interesse storico e artistico.

2.1. La disciplina del Codice dei beni culturali e del paesaggio

Per quanto riguarda la disciplina dettata dal Codice, rilevano innanzitutto gli articoli 53 e 54, i quali individuano i beni del demanio culturale e i beni inalienabili, come ad esempio le raccolte di musei, pinacoteche e biblioteche di appartenenza pubblica [9].

In materia di scambio, si segnala l'articolo 58, dedicato all'autorizzazione alla permuta. Ai sensi di tale norma il ministero per i Beni e le Attività culturali può autorizzare la permuta di beni culturali e di singoli beni appartenenti alle pubbliche raccolte "con altri [beni] appartenenti ad enti, istituti e privati, anche stranieri, qualora dalla permuta stessa derivi un incremento del patrimonio culturale nazionale ovvero l'arricchimento delle pubbliche raccolte".

Con riferimento alla circolazione internazionale, vanno considerati l'articolo 65, che indica i beni per i quali è vietata l'uscita definitiva, l'articolo 66, che consente l'uscita temporanea di beni per manifestazioni, mostre o esposizioni d'arte di alto interesse culturale, sempre che ne siano garantite l'integrità e la sicurezza, nonché l'articolo 67. Quest'ultimo include, tra gli altri casi di autorizzazione all'uscita temporanea, anche l'uscita dei beni "richiesta in attuazione di accordi culturali con istituzioni museali straniere, in regime di reciprocità e per la durata stabilita negli accordi medesimi, che non può essere superiore a quattro anni, rinnovabili una sola volta" (lettera d), modificata dal d.l. n. 70 del 2011).

Tale ultima previsione è molto importante, perché, senza di essa, dovrebbe applicarsi il regime generale previsto dall'art. 71 per l'attestato di libera circolazione temporanea, in base al quale l'uscita di un bene culturale dal territorio nazionale può essere autorizzato per un periodo non superiore a 18 mesi. Sul punto, però, occorre rilevare che questo termine non è dettato dal regolamento CE (n. 3911/1992) che ha previsto la licenza d'esportazione (definitiva e temporanea), ma è stato introdotto dal legislatore italiano. In Francia, ad esempio, la durata dell'autorizzazione temporanea all'esportazione di beni culturali è stabilita in proporzione all'oggetto della domanda (Art. L111-7 del Code du Patrimoine).

In sintesi, la disciplina legislativa italiana in materia di prestiti di beni culturali a istituzioni straniere prevede che:

- può durare al massimo 18 mesi;

- può avere durata superiore, ma solo nei casi previsti dall'art. 67, in particolare quando la loro uscita è "richiesta in attuazione di accordi culturali con istituzioni museali straniere, in regime di reciprocità e per la durata stabilita negli accordi medesimi, che non può essere superiore a quattro anni, rinnovabili una sola volta" (lettera d).

E' ammessa la permuta, qualora dalla "stessa derivi un incremento del patrimonio culturale nazionale ovvero l'arricchimento delle pubbliche raccolte" (art. 58 del Codice dei beni culturali e del paesaggio).

2.2. I principi e le best practices transnazionali

Per quanto attiene al diritto transnazionale, si deve far riferimento, come anticipato, ai "Principi generali per la gestione dei prestiti e lo scambio di opere d'arte tra istituzioni culturali", "recepiti" in Italia con la Guida per l'organizzazione delle mostre d'arte.

Tali principi contemplano la possibilità di prestiti onerosi, anche se vengono previste diverse limitazioni: per es. i musei dovrebbero astenersi dal "dare in affitto" le opere che conservano e di farle viaggiare spesso per trarne profitto (principio 10.1); andrebbero evitati accordi troppo lunghi (principio 10.9), così come è sconsigliato il prestito a istituti che non siano musei o strutture pubbliche (principio 1.2); il prestatore non deve trarre profitto dal fatto che un'opera prestata sia un'opera fondamentale e che, dalla sua presenza, dipenda in parte il successo della mostra, ad esempio imponendo al richiedente costi supplementari o una contropartita irragionevole (principio 9.2).

La disciplina transnazionale, dunque, non preclude la possibilità di stipulare accordi per il prestito oneroso di opere d'arte, anche se auspica uno scambio alla pari tra le istituzioni.

Se si guarda poi alle iniziative promosse nell'ambito dell'Unione europea, si rintracciano posizioni ancor meno favorevoli al prestito oneroso. Ad esempio, è aspramente criticata la pratica di chiedere una loan-fee per i prestiti, ritenuta contraria allo spirito proprio dei musei (si v. il documento Lending to Europe [10]). Ciò in quanto il prestito e lo scambio delle opere di beni culturali sono visti come uno strumento di promozione della cultura in Europa: il Programma Cultura 2007-2013 prevede tra i propri obiettivi specifici anche quello di "incoraggiare la circolazione transnazionale delle opere dei prodotti artistici e culturali" [11].

3. L'esportazione temporanea di beni culturali come forma di valorizzazione

In conclusione, il principale ostacolo all'adozione di misure volte a realizzare prestiti onerosi - specialmente a lungo termine - di beni culturali italiani a istituzioni estere deriva non tanto dai principi di matrice transnazionale (trattandosi di norme non cogenti e comunque superabili in ragione della eccezionalità del nostro immenso patrimonio culturale), quanto dalle disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Le norme italiane, come visto, sono ancora improntate alle esigenze di tutela e non a quelle di valorizzazione. Tale impostazione, frutto di una disciplina ormai secolare e rintracciabile sin dallo Stato pontificio e dagli altri Stati preunitari, non sembra rispondere più ai nostri tempi. La globalizzazione dei beni culturali ha infatti prodotto forme di fruizione universale che mal si conciliano con un'idea di accesso alle opere che debba essere consentita unicamente nel territorio in cui esse si trovano: la circolazione internazionale dei beni, compatibilmente con le esigenze delle loro conservazione e integrità fisica, è divenuta uno strumento essenziale per la promozione della cultura.

E' opportuno, quindi, individuare fattispecie di prestito o uscita temporanea di beni culturali che possano essere considerate quali attività di valorizzazione e fruizione, mirate a incrementare la conoscenza dei valori del patrimonio culturale nazionale al di fuori del territorio della Repubblica. A tal fine, i prestiti dovrebbero riguardare innanzitutto opere che, per ragioni diverse, non sono esposte al pubblico: in tal modo, il prestito rappresenterebbe lo strumento per garantire a determinati beni la possibilità di essere accessibili e, dunque, fruiti dalla collettività. Inoltre, i prestiti dovrebbero avere lo scopo di far conoscere beni meno noti, producendo l'effetto di diffondere i valori del patrimonio culturale italiano nel mondo (e incrementare l'affluenza di turisti). Le entrate derivanti dai prestiti - o anche le opere ottenute in contropartita - consentirebbero ulteriori interventi di tutela e valorizzazione. Infine, i prestiti potrebbero essere condizionati anche a interventi di restauro sui beni, in modo che, terminato il periodo all'estero, lo Stato italiano tornerebbe in possesso di opere pronte per essere esposte al pubblico.

Lo sviluppo di una politica di prestiti ben regolamentata, inoltre, potrebbe essere un giusto compromesso per far fronte a esigenze di cassa senza giungere a modificare il regime di alienabilità dei beni e correre così il rischio di svendita di beni culturali.

In questa prospettiva, diretta a incrementare e migliorare le condizioni di fruizione del patrimonio culturale italiano, il Codice dei beni culturali e del paesaggio potrebbe essere oggetto di due ordini di modifiche.

In primo luogo, dall'attuale disciplina della circolazione in ambito internazionale andrebbero eliminate le limitazioni in materia di prestiti onerosi: abolendo il termine di 18 mesi; non contemplando solo la possibilità di accordi con istituzioni culturali di durata quadriennale rinnovabili una sola volta; allargando le maglie delle ipotesi per eventuali permute di beni mobili; prevedendo espressamente la possibilità di prestiti onerosi.

In secondo luogo, occorrerebbe prevedere una specifica ipotesi di prestito di beni culturali a istituzioni estere, da inserire nel titolo II della parte II, del Codice, ossia quello su fruizione e valorizzazione. In altri termini, andrebbe introdotta espressamente questa forma di intervento, regolandone principi e modalità. Per esempio, il prestito potrebbe essere concesso solo a istituzioni pubbliche o comunque aperte al pubblico; la durata del prestito non dovrebbe durare più di cinque anni, rinnovabili una sola volta; eventuali raccolte andrebbero prestate solo a sèguito di procedure di gara (si pensi a reperti archeologici ora nei depositi); ecc. Di conseguenza, un tale articolo sulla "Fruizione e valorizzazione di beni culturali italiani nel mondo" andrebbe coordinato con le altre disposizioni sulla circolazione in ambito internazionale (ad esempio l'art. 71 del Codice dovrebbe includere questa nuova ipotesi di esportazione temporanea tra le ipotesi in cui non dovrebbe valere il limite temporale di 18 mesi).

In conclusione, anche la disciplina in materia di esportazione dei beni culturali mostra la necessità di modulare le politiche di intervento in questo settore in base alla pluralità e alla natura degli interessi coinvolti, secondo un sistema di "cerchi concentrici" che possa essere adattato alle diverse esigenze. A tal fine, occorrerebbe muovere innanzitutto dalla stessa definizione di bene culturale, in modo da poter meglio distinguere le differenti categorie di cose e il rispettivo regime di tutela e valorizzazione [12].

 

Note

[1] Si v. http://www.ilgiornaledellarte.com/articoli//2012/4/112893.html. Tale dato non considera l'ipotesi di biglietto integrato, comprendente sia l'ingresso a un museo, sia quello alla mostra.

[2] Per questi dati, C. Carmosino, Le modalità e i luoghi della fruizione, in La globalizzazione dei beni culturali, a cura di L. Casini, Bologna, 2010, p. 197 ss., qui 217.

[3] Si v. il comunicato del ministero.

[4] In argomento, si legga I. Chiavarelli, Il prestito e lo "scambio", in La globalizzazione dei beni culturali, cit., p. 113 ss.

[5] Le ragioni della mancata esposizione di nostri beni, in larga parte dovuta all'enorme consistenza del patrimonio culturale italiano, sono diverse: ritardi nella catalogazione; indisponibilità o insufficienza di risorse economiche; cattive condizioni dei beni; assenza o carenza degli spazi espositivi; ecc. Su questi aspetti, può leggersi ora lo studio di M. Carmignani, F. Cavazzoni e N. Però, Un patrimonio invisibile e inaccessibile. Idee per dare valore ai depositi dei musei statali, IBL Briefing Paper, 111, 30 marzo 2012, Istituto Bruno Leoni.

[6] Si v. http://risorsebeniculturali.fitzcarraldo.it/risorsebeniculturali/standard-museali/ambito-6-gestione-e-cura-delle-collezioni/mobilità-delle-collezioni-linee-guida-e-s.

[7] Il testo della Guida è disponibile al seguente indirizzo: http://www.pabaac.beniculturali.it/opencms/multimedia/BASAE/documents/2011/07/18/2592e2307e62238f387a027efde2625c_guidaperlorganizzazionedellemostredarte.pdf.

[8] Per un'analisi della legislazione pre-unitaria sui beni culturali, L. Speroni, La tutela dei beni culturali negli stati italiani pre-unitari, Milano, 1988, A. Emiliani, Leggi, bandi e provvedimenti per la tutela dei Beni Artistici e Culturali negli antichi stati italiani 1571-1860, Bologna, 1996, e L. Parpagliolo, Codice delle antichità e degli oggetti d'arte, II ed., Roma, 1932, 2 vol.

[9] Tra commenti più recenti, si veda la seconda edizione del Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2012.

[10] Si v. http://www.lending-for-europe.eu/index.php?id=215.

[11] Si v. art. 3, comma 2, lettera b), della Decisione n. 1855/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che istituisce il programma Cultura (2007-2013).

[12] Su questi aspetti, si leggano gli scritti di M. Cammelli e di L. Covatta, in questo numero, e D. Vaiano, La valorizzazione dei beni culturali, Torino, Giappichelli, 2011.

 



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