testata
 
numerocorrentehome../indice../risorse%20web

A proposito di spettacolo

Il contratto tra artista lirico e fondazione lirico-sinfonica: un caso peculiare di usi integrativi del contratto

di Geo Magri

Sommario: 1. Premessa. - 2. Gli effetti della riforma Biagi sul contratto. - 3. Gli obblighi dell'artista. - 4. Gli obblighi del teatro. - 5. La c.d. "protesta". - 6. Le modifiche auspicabili. - 7. Conclusioni.

The contract between Opera singers and Opera houses: a peculiar case of traditional incorporated unwritten terms integrating contract
The contract between Opera singers and Opera houses: a peculiar case of traditional incorporated unwritten terms integrating contract. This article analyses the constituent elements of the so called "scrittura artistica". The "scrittura artistica" is a contract between an Opera singer and an Opera house with a particular interesting distinctive feature: its terms are quite often determined by rules deriving from a centuries-old tradition which integrates the contract. After a first general analysis of the contract, the study is focused on these rules, in particular on the "protesta" clause and the right of the Opera house to terminate the contract following an unsatisfactory performance. The article ends with some modification proposals that could be useful to modernize the contract.

1. Premessa

Le Fondazioni lirico-sinfoniche sono state recentemente oggetto di attenzione da parte del legislatore, che, con il decreto legge 30 aprile 2010, n. 64 (Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attività culturali), convertito nella legge 29 giugno 2010, n. 100, ha dettato alcune disposizioni volte a ridurne i costi ottimizzandone le risorse economiche. La riforma è stata ampiamente commentata in dottrina [1] e sui suoi aspetti non intendiamo soffermarci in questa sede. Oggetto del presente studio, infatti, non sono le fondazioni, né i loro rapporti con le masse, bensì l'analisi del contratto che lega il cantante d'opera solista al teatro (c.d. scrittura artistica o teatrale). Ci proponiamo, in special modo, di evidenziare la peculiare importanza che rivestono gli usi teatrali, i quali, seppur non scritti, o contenuti in contratti collettivi assai risalenti nel tempo, integrano le disposizioni in materia di contratto in generale contenute nel codice civile, contribuendo a creare una disciplina dettagliata ed assai peculiare. Descritto il contenuto della scrittura, segnaleremo alcune possibili modifiche che la renderebbero più confacente all'attuale mercato del lavoro.

A dimostrazione di come il tema stia riscoprendo una certa attualità ci sembra opportuno segnalare, oltre alla Risoluzione del Parlamento europeo del 7 giugno 2007 sullo statuto sociale degli artisti, la recente costituzione di un'associazione di cantanti lirici solisti (Cantori professionisti d'Italia [2]), che, tra i suoi obbiettivi statutari, oltre alla promozione ed il rilancio dell'opera lirica quale peculiare espressione della cultura italiana, si è prefissa la redazione di un contratto tipo da sottoporre ai Teatri. La proposta è volta a riequilibrare le condizioni contrattuali in uso in modo che siano presi in considerazione anche gli interessi degli artisti, oltre che quelli dei teatri.

2. Gli effetti della riforma Biagi sul contratto

La natura del contratto è da sempre discussa in dottrina e giurisprudenza [3]. Talvolta la si riconduce al contratto d'opera (artt. 2222 ss. c.c.) [4], talaltra ad un rapporto di lavoro subordinato [5] o parasubordinato [6].

A nostro modo di vedere la prestazione lavorativa dell'artista lirico non può essere del tutto equiparata a quella del libero professionista. Quest'ultimo svolge il proprio lavoro in piena autonomia, senza doversi in alcun modo coordinare con altri nell'esecuzione della prestazione lavorativa. Il cantante, invece, presta la sua attività per un periodo continuato di tempo, durante il quale è vincolato al rispetto delle direttive del committente, che lo inserisce nella propria organizzazione, imponendogli modalità e tempistiche di lavoro. La sua attività presuppone, necessariamente, l'eterodeterminazione da parte del teatro, sul quale grava il compito di coordinare i soggetti coinvolti nella realizzazione dell'Opera. L'attività dell'artista lirico possiede quindi gli elementi propri della parasubordinazione [7] ed è, pertanto, soggetta alla c.d. riforma Biagi introdotta dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. In forza di tale decreto (art. 61 1° comma) i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui all'art. 409 n. 3 c.p.c., devono, pena la loro qualificazione come rapporti di lavoro subordinato, essere riconducibili ad uno o più progetti specifici, oppure a programmi di lavoro determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento e con l'organizzazione del committente. Pare ovvio che, nel nostro caso, il progetto da realizzare sia l'Opera che si intende rappresentare e che il lavoratore gestirà autonomamente parte della propria attività artistica, mentre svolgerà, sotto il coordinamento del committente e con la sua organizzazione, tutte quelle fasi che esigono la collaborazione tra i vari soggetti coinvolti nella realizzazione dello spettacolo.

Le conseguenze che derivano dalla riconduzione del rapporto nei vincoli della parasubordinazione sono piuttosto rilevanti. Dall'applicazione delle norme previste dalla riforma Biagi consegue la necessità della forma scritta ad probationem, oltre al considerevole aumento delle giornate lavorative utili al fine del calcolo dei contributi ENPALS, posto che tra di esse rientrerebbero anche le prove. Sarebbe inoltre garantita all'artista l'applicazione di quel nucleo di tutele minimali previste dall'art. 66 del d.lg. 276/2003. Non vanno infine dimenticati gli effetti processuali, che implicano l'attrazione della controversia nella competenza del giudice del lavoro con il conseguente ricorso al rito di cui agli artt. 409 ss. c.p.c.

La bontà di una scelta interpretativa, che riconduca il contratto allo schema delineato dalla Riforma Biagi, incrementando le tutele dell'artista, sembra trovare conferma nella ricordata risoluzione del Parlamento europeo del 7 giugno 2007. Tale atto invita Unione Europa e Stati membri a prender coscienza del fatto che la professione artistica deve essere garantita con misure di protezione sociale adeguate, compreso l'accesso a forme assistenziali e previdenziali. Questi obiettivi, pur non essendo vincolanti data la natura dell'atto nel quale sono contenuti, ben possono guidare l'interprete nella qualificazione del contratto ed è di tutta evidenza che essi siano meglio raggiungibili attraverso la disciplina del lavoro a progetto, piuttosto che a quella del contratto d'opera.

3. Gli obblighi dell'artista

Concluso il contratto, l'artista dovrà essere a disposizione del committente nei tempi e nei modi concordati. Tra le attività richieste al cantante non rientra solo la partecipazione alle rappresentazioni dell'Opera, ma, ovviamente, anche alle prove, durante le quali dovrà improntare la sua condotta ai canoni della diligenza e della buona fede propri della categoria professionale. Nel caso in cui ciò non avvenga, il teatro potrà invocare la risoluzione per inadempimento [8] e l'eventuale risarcimento del danno [9].

Nelle fasi preparatorie dell'Opera possono verificarsi attriti tra cantanti, registi e direttori d'orchestra. Viene da chiedersi se, all'artista che in seguito a tali attriti abbandoni la scena, possa essere imputato un inadempimento derivante dalla violazione del principio di correttezza e buona fede o se il suo comportamento debba considerarsi legittimo e, quindi, il recesso avvenuto per giusta causa. In proposito si deve distinguere il caso in cui l'inconciliabilità tra i soggetti coinvolti nella realizzazione dell'Opera dipenda dalle convinzioni artistiche o da quelle morali e intellettuali. Nel primo caso, a nostro avviso, l'artista, accettando un ruolo in un'Opera, deve essere cosciente del fatto che la sua libertà artistica sarà limitata dalla collaborazione con altri professionisti, in specie, con il direttore d'orchestra [10]. Ne consegue che egli dovrà sottostare alle altrui scelte interpretative e che potrà rifiutarsi di soggiacere solo alle richieste tecnicamente scorrette, ma non a quelle derivanti da scelte interpretative differenti dalle sue [11]. Per quanto concerne, invece, il delicato tema delle convinzioni morali dell'artista o delle scelte di regia contrastanti con il buon costume, occorre valutare, caso per caso, se l'attrito derivi da convinzioni individuali, che, come tali, resteranno irrilevanti, o se esse siano in contrasto con il comune senso del pudore o del buon costume. In questo secondo caso, l'artista potrà evidentemente rifiutarsi di eseguire la prestazione richiestagli [12].

Poiché la retribuzione dell'artista è, ad oggi, subordinata al numero di rappresentazioni che vengono portate in scena e non alla durata complessiva del periodo lavorativo, ci si potrebbe domandare se, nel caso in cui alle prove generali partecipi del pubblico, soprattutto se pagante, esse debbano essere considerate come una recita e diano diritto ad una retribuzione. Al quesito non sembra potersi dare una risposta positiva, non solo perché il diritto alla retribuzione è escluso da quasi tutti i contratti, ma anche perché gli usi teatrali sono consolidati nell'escludere un tale compenso, considerando la generale, ancorché con pubblico pagante, una prova a tutti gli effetti.

Terminate le prove, l'artista dovrà partecipare alle recite concordate, sostituendo, eventualmente, i colleghi indisposti nel caso in cui ciò sia stato previsto nel contratto. Nella scrittura sarà fissato il corrispettivo per ogni rappresentazione, le modalità attraverso le quali lo stesso verrà versato, il numero delle rappresentazioni per le quali l'artista viene ingaggiato ed il luogo dove esse avranno luogo. Una volta determinate le date delle rappresentazioni, il cantante sarà tenuto a presentarsi nei tempi e nei luoghi comunicatigli, truccandosi e vestendosi come previsto [13] e svolgendo la propria attività lavorativa con diligenza, ai sensi degli artt. 1175, 1176 e 1218 del c.c.

Può accadere che l'artista denunci una propria indisposizione fisica, che gli impedisce di prendere parte alla recita. Di fronte al rifiuto di effettuare la propria prestazione, giustificato dai motivi di salute, difficilmente il teatro potrà riuscire a dimostrare che si tratta di una scusa per non recitare. Proprio per arginare il ricorso al rifiuto di eseguire la propria prestazione adducendo motivi di salute, il contratto corporativo del 1932 introdusse, all'art. 13, una previsione in forza della quale "l'impresa o l'ente ha sempre il diritto di far accertare la malattia dell'artista da un medico di sua fiducia": tale norma, pur essendo scaduto il contratto, è entrata nella prassi negoziale e, secondo la giurisprudenza, pone a carico dell'impresario che intenda contestare l'inadempimento, l'onere di procedere alla visita medica [14].

Non va dimenticato che, in caso di mancata esecuzione della rappresentazione per indisposizione, l'artista non riceve alcun compenso. Pare assai improbabile, quindi, che egli si rifiuti di effettuare la prestazione se non è spinto da più che valide motivazioni. Difficilmente il cantante sarà così incauto da affermare di essere malato per poi prestare la propria attività per altro committente; in questo caso, infatti, la prova della pretestuosità del malanno sarebbe di tutta evidenza [15].

Se è legittimo rifiutarsi di eseguire una rappresentazione a causa dei problemi di salute, ci si potrebbe chiedere se sia altrettanto legittimo l'abbandono della scena in seguito ad un'aperta contestazione del pubblico. A nostro avviso, ma si tratta di parere confortato anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte [16], l'abbandono che consegua ad un'aperta ed aspra contestazione da parte del pubblico è giustificabile. La stroncatura degli spettatori, infatti, può comportare uno shock emotivo per l'artista, specie nel caso in cui si tratti di cantante di fama contestato in un importante teatro [17]. Non vanno poi sottovalutati i profili fisiologici conseguenti al giudizio negativo da parte del pubblico; è evidente che l'aumento della tensione avrà ripercussioni, oltre che sulla psiche, anche sul fisico dell'artista, rendendogli, se non impossibile, certamente assai difficoltosa l'esecuzione di una prestazione soddisfacente. Secondo la Suprema Corte, imporre al cantante di eseguire comunque la propria prestazione significa non comprenderne le peculiarità, l'attività dell'artista, infatti, è largamente influenzata dall'atmosfera che si respira nel teatro, la quale contribuisce, in maniera determinante, alla buona riuscita della prestazione [18]. In questo caso sembrerebbe delinearsi un'ipotesi di inesigibilità della prestazione [19] legittimante l'inadempimento del cantante.

Non sarà invece giustificabile l'eventuale scelta dell'artista di non partecipare più alle rappresentazioni successive a quella in cui è avvenuta la contestazione per timore di venir nuovamente fischiato, a meno che il rifiuto non sia motivato dal concreto rischio di contestazioni organizzate ad arte, che rischierebbero di ripetersi, o da una palese e persistente ostilità del pubblico nei suoi confronti. Di regola, infatti, le rappresentazioni successive sono del tutto autonome ed indipendenti rispetto a quella in cui è avvenuta la contestazione e, pertanto, devono essere portate in scena, pena l'obbligo di risarcire il danno che al teatro possa derivare dall'inadempimento [20].

Va infine dato conto del caso in cui l'artista, pur essendosi inizialmente dichiarato disponibile ad effettuare la propria prestazione a favore di un teatro, cancelli l'impegno dal calendario a causa di offerte sopravvenute alle quali non intende rinunciare. In questa ipotesi o le parti raggiungono un accordo sull'eventuale "recupero" della prestazione non effettuata, oppure l'artista dovrà risarcire il danno, compreso, sempre che sia giudizialmente provabile, il danno da lucro cessante derivante dai mancati introiti conseguenti all'assenza dell'artista.

4. Gli obblighi del teatro

Analizzati gli obblighi dell'artista, passiamo ad elencare quelli del teatro. Innanzitutto esso deve consentire al cantante la possibilità di prepararsi in modo adeguato, garantendogli un sufficiente numero di prove. Il teatro ha altresì l'obbligo di fornire i costumi necessari alla rappresentazione e di concedere un locale per vestirsi e truccarsi. In difetto di una specifica pattuizione, l'artista non può pretendere l'uso esclusivo di un camerino, che quindi può essere concesso in comune a più professionisti, purché del medesimo sesso [21].

Terminate le prove, il teatro deve permettere al cantante di partecipare alle recite. Con riguardo a tale obbligo assumono rilievo due particolari clausole. La clausola di protesta, sulla quale, data la peculiarità ed importanza, torneremo funditus in seguito e la clausola che consente al teatro di sostituire Opera e ruolo dell'artista o di risolvere il contratto, nel caso in cui l'esecuzione dell'Opera, originariamente prevista, venga cancellata a causa della mancata approvazione del bilancio da parte del Consiglio di Amministrazione della Fondazione [22]. Tale clausola, oltre a prevedere l'obbligo dell'artista di accettare, alle medesime condizioni economiche, un ruolo che egli abbia in repertorio nell'Opera che sostituirà quella inizialmente prevista, esclude eventuali indennizzi o risarcimenti nel caso in cui la sua attività non sia più necessaria. Si tratta, evidentemente, di clausola vessatoria stabilendo una limitazione della responsabilità a favore del teatro e, come tale, richiederà un'apposita sottoscrizione.

Si è discusso sulla natura della condizione contenuta in tale clausola; ci pare corretto ritenerla una condizione sospensiva potestativa, poiché subordina l'efficacia del contratto all'approvazione del bilancio da parte del C.d.A. Essa, non può essere considerata una condizione meramente potestativa, poiché è legata ad una volontà del committente "presidiata da interessi obiettivamente apprezzabili", quali le disponibilità finanziarie del teatro, che escludono il mero arbitrio e, pertanto, l'invalidità della condizione [23]. In assenza di un'espressa previsione contrattuale il cantante ben potrebbe richiedere il risarcimento del danno derivatogli dalla mancata esecuzione dell'Opera tutte le volte in cui la cancellazione della stessa fosse dovuta ad una causa imputabile ad una decisione della direzione del teatro o ad una sua azione od omissione. La responsabilità del teatro, in questo caso, ha natura contrattuale e deriva, evidentemente, dal mancato adempimento dell'obbligo di portare in scena l'Opera originariamente prevista.

Nel caso in cui l'impossibilità di eseguire la rappresentazione dipenda da cause di forza maggiore, quali gli ordini delle competenti autorità che impongono la chiusura del teatro o la sospensione delle rappresentazioni, scioperi, calamità e, più in generale, qualsiasi evento imprevedibile che determini l'indisponibilità del teatro o l'impossibilità di eseguire le rappresentazioni in programma, il contratto si dovrà considerare risolto in base al combinato disposto dagli artt. 1256, comma 1, e 1463 c.c. Se, invece, la prestazione dell'artista può ancora essere effettuata in altre rappresentazioni, il contratto non potrà considerarsi risolto ed andrà adempiuto con riferimento alle recite ancora possibili (artt. 1256, comma 2, 1258 e 1464 c.c.). Qualora il contratto si risolva per impossibilità derivante da cause di forza maggiore, all'artista spetterà la retribuzione per le rappresentazioni già effettuate, mentre nulla potrà pretendere per quelle che avrebbero dovuto tenersi e che non si sono tenute [24].

Il cantante ha evidentemente diritto ad essere retribuito per il lavoro prestato. Sul punto bisogna evidenziare come, soprattutto in tempi recenti, gli artisti lamentino, al pari di molti altri creditori della P.A., ritardi notevoli da parte di alcuni teatri. A tale proposito ci si deve interrogare sull'applicabilità al credito dell'artista del tasso di interessi particolarmente vantaggioso di cui al d.lg. 231/2002 che attua, nel nostro ordinamento, la direttiva 2000/35/CE [25] in materia di ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali. A norma dell'art. 2 del decreto sono "transazioni commerciali" i contratti, comunque denominati, "tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente ... la prestazione di servizi". Evidente che l'attività dell'artista debba essere considerata come prestazione di servizi. Per quanto concerne la nozione di impresa va precisato che, ai fini del decreto, essa è piuttosto ampia, arrivando a ricomprendere anche il libero professionista (art. 2 lett. c). La stessa Commissione Europea, del resto, ha avuto modo di chiarire che l'espressione "impresa", ai fini del diritto comunitario, può arrivare ad includere anche i cantanti lirici [26]. Concludendo, non ci pare sussistano ostacoli alla possibilità di applicare il d.lg. 231/2002 agli artisti lirici, specialmente nel caso in cui si continui a considerare la scrittura artistica come contratto d'opera ex art. 2222 c.c.

Nel pattuire la retribuzione per l'attività artistica le parti non sono completamente libere. Il loro compenso, infatti, deve essere contenuto nei limiti del c.d. cachettario Buttiglione [27] adottato allo scopo di uniformare le retribuzioni, dettando alcuni parametri oggettivi ai quali parametrarle [28].

Sul teatro grava anche l'obbligo di prendere tutte le precauzioni necessarie affinché sia salvaguardata la sicurezza personale dell'artista, evitando che le scenografie, i movimenti registici e le varie attività che gli sono richieste possano rappresentare un pericolo per la sua incolumità [29]. Secondo la giurisprudenza [30], sull'impresario grava l'obbligo di tutelare la personalità morale dell'artista intervenendo per contenere le manifestazioni di dissenso del pubblico. La sussistenza di un simile obbligo deve essere meglio chiarita. Non sembra che si possa pretendere che il teatro vieti le contestazioni da parte degli spettatori, che hanno tutto il diritto di esprimere il loro assenso o dissenso rispetto allo spettacolo; quello che si può esigere è, semmai, che il teatro intervenga nel caso in cui le manifestazioni di dissenso assumano toni troppo veementi, o nel caso in cui le contestazioni siano organizzate ad arte con l'intento di danneggiare l'artista che ne è vittima.

5. La c.d. "protesta"

Può accadere che il committente durante le prove o, addirittura, durante lo svolgimento delle rappresentazioni, ritenga il cantante non all'altezza dell'incarico che gli è stato conferito. In tal caso si pone il problema della sua sostituzione e dell'eventuale interruzione del rapporto contrattuale.

La scrittura artistica è fondata sull'intuitus personae e sull'affidamento che l'Ente riveste nelle doti artistiche dell'esecutore. Al venir meno di tale affidamento appare legittima la possibilità di revocare l'incarico conferito. La revoca, però, può nuocere all'artista in quanto, oltre a comportare una riduzione dei suoi introiti, lede la sua reputazione. Occorrerà, pertanto, chiarire se e a quali condizioni egli possa invocare pretese risarcitorie.

Il cantante non potrà richiedere alcun risarcimento, nel caso in cui il teatro invochi la risoluzione fondandola su un'oggettiva scarsa professionalità o incapacità tecnica di ricoprire il ruolo per il quale l'artista è stato ingaggiato. In questo caso, infatti, siamo di fronte ad un'ipotesi di inadempimento che legittima la risoluzione del contratto.

Se è pur vero che non sono frequenti i casi di cantanti professionisti, i quali non sono completamente in grado di sostenere una parte per la quale hanno sottoscritto un contratto, quello che potrebbe accadere, con maggiore frequenza, è che sia il teatro a considerare la prestazione inadeguata al livello artistico degli altri cantanti o alla performance che si intende offrire al pubblico. Proprio al fine di consentire al teatro la facoltà di liberarsi dal contratto, senza dover far ricorso alla sempre opinabile risoluzione per giusta causa, è nata la c.d. clausola di protesta o semplicemente protesta. Tale clausola, dato il suo uso inveterato, può esser considerata una clausola d'uso del contratto [31]. In forza di essa il teatro potrà, a discrezione della direzione artistica, rifiutare la prestazione dell'artista risolvendo il contratto.

Sulla natura giuridica della protesta dottrina e giurisprudenza hanno a lungo dibattuto [32]. Secondo alcuni si tratterebbe di un periodo di prova [33], altri, invece, la ritengono un negozio giuridico unilaterale, a destinatario determinato, con il quale l'impresario comunica all'artista che, essendo inidoneo a sostenere la parte assegnatagli, il contratto deve considerarsi immediatamente sciolto [34], altri ancora la riconducono tra le giuste cause di recesso [35]; non manca chi la considera una condizione, sospensiva o risolutiva [36], e chi parla di istituto sui generis proprio del rapporto di lavoro artistico [37]. La questione non ha natura puramente accademica. Nel caso in cui la clausola fosse ritenuta corrispondere ad una condizione risolutiva o ad una facoltà di recesso a favore del committente, essa avrebbe natura palesemente vessatoria (ex art. 1341, comma 2, c.c.) consentendo, al solo proponente (il teatro), il diritto di risolvere il rapporto. Ne consegue che la clausola dovrebbe, a pena di nullità, essere specificamente approvata per iscritto dall'artista al momento della stipulazione del contratto. Qualora, invece, si ritenesse che la clausola corrisponda a un'assunzione in prova, o a un'ipotesi di recesso per giusta causa, essa non potrà essere considerata vessatoria [38].

La tesi che si tratti di patto di prova non sembra però tener conto del disposto dell'art. 2096 comma 3 c.c. che consente, ad entrambe le parti, di recedere durante il c.d. periodo di prova, mentre, nel caso di protesta, è solo il committente a poter recedere. Anche la giusta causa di recesso sembra da escludere; essa presuppone, infatti, un inadempimento colpevole in capo al contraente che non necessariamente sussiste nel caso di protesta. Non ci sembra neppure corretto parlare di una condizione sospensiva, poiché l'efficacia del contratto non è condizionatamente sospesa sino al superamento di un certo numero di recite come avveniva con il debutto. Qualora la protesta avvenga dopo la prima rappresentazione all'artista è riconosciuto il diritto a ricevere il compenso per le rappresentazioni già effettuate. Tale diritto, evidentemente, trova il suo fondamento nel contratto ed è incompatibile con l'inefficacia dello stesso conseguente alla presenza di una condizione sospensiva.

A nostro parere si deve condividere l'opinione che vede, nella clausola de qua, un'ipotesi di clausola risolutiva [39], il cui esercizio è subordinato al giudizio artistico dei soggetti da essa individuati. Volendo ricondurre la sua natura ad una categoria dogmatica, ci sembra che essa possa essere considerata come una condizione risolutiva.

Per essere efficace la protesta deve essere esercitata immediatamente dopo l'esecuzione dello spettacolo e, comunque, prima delle successive rappresentazioni. In caso contrario, infatti, si deve ritenere che il contratto non possa essere risolto, avendo il committente rinunciato al diritto di protesta per facta concludentia [40].

Si discute se il cantante possa essere protestato anche dopo le prove o se il loro positivo superamento escluda la possibilità di ricorrere alla clausola [41]. In proposito si deve osservare come il contratto collettivo del 1932, all'art. 10, stabilisse che il cantante poteva essere protestato liberamente durante le prove, mentre, durante le rappresentazioni, la clausola poteva venire invocata soltanto in casi "gravi ed eccezionali" qualora vi fosse una "manifesta disapprovazione del pubblico" e, in ogni caso, non oltre le prime tre rappresentazioni [42]. Oggi la prassi contrattuale ha esteso l'operatività della clausola a tutto il periodo contrattuale, ma invero pare assai improbabile che l'artista venga protestato successivamente alle prove o alle prime rappresentazioni.

L'eventuale decisione del teatro di protestare un cantante, corrispondendo all'esercizio di un diritto, non genera obblighi risarcitori a favore dell'artista, a meno che la protesta non integri gli estremi del licenziamento ingiurioso a causa delle modalità con le quali è stata comunicata, degli addebiti mossi all'artista e dell'eventuale eccessiva pubblicità data all'evento [43]. Va comunque tenuto presente che la protesta costituisce l'extrema ratio e che ad essa si ricorre raramente, essendo nell'interesse di entrambe le parti trovare un accordo che sciolga il rapporto senza imporre il ricorso alla protesta.

6. Le modifiche auspicabili

Dopo aver analizzato contenuto e funzionamento della scrittura artistica, ci pare di qualche interesse, posto che proprio in questi mesi gli artisti lirici stanno elaborando una proposta di scrittura tipo da sottoporre ai teatri, esaminare le possibili modifiche che consentirebbero un miglior contemperamento degli interessi delle parti, evitando gli squilibri che, in questo momento, connotano il contratto. Come si vedrà, le modifiche che renderebbero più equa e moderna la scrittura teatrale non sono moltissime, non stravolgano la natura del contratto, non comportano un eccessivo incremento degli oneri finanziari in capo alle amministrazioni delle fondazioni lirico-sinfoniche. Esse esplicherebbero, però, effetti positivi sul mercato del lavoro, soprattutto con riferimento ai giovani ed avvicinerebbero la prassi italiana a quella degli altri paesi europei, agevolando la creazione di un mercato unico anche nel settore degli artisti lirici.

A tal fine pare in primo luogo opportuno qualificare in maniera precisa il tipo contrattuale. Gli indici sembrano spingere, come abbiamo segnalato, verso il lavoro a progetto disciplinato dal d.lg. 276/2003. Una tale qualificazione presenta, tra gli altri, il rilevante vantaggio di aumentare le giornate contributive ai fini del calcolo dei contributi Enpals, che attualmente vengono, invece, versati solo con riferimento alle recite. Il fatto non è irrilevante, posto che le giornate contributive Enpals sono120 per anno, numero irraggiungibile con le sole recite, dato che bisognerebbe eseguirne una ogni tre giorni. Un'estensione del periodo lavorativo anche alle prove sarebbe, peraltro, conforme a quanto auspicato dal Parlamento europeo nella ricordata risoluzione del 7 giugno 2007, la quale, all'articolo 28, ricorda "... che i periodi di ripetizione costituiscono a pieno titolo ore di lavoro effettivo e che è necessario tener conto di tutti questi periodi d'attività nella carriera degli artisti, sia durante i periodi di disoccupazione che a fini pensionistici".

Altra modifica, direttamente conseguente alla qualificazione del contratto come contratto a progetto, è la previsione di una diaria per le prove. Tale compenso consentirebbe all'artista di affrontare le spese necessarie per trasferta ed alloggio, senza doverle anticipare in attesa di essere retribuito alla fine di tutte le rappresentazioni. La diaria non comporterebbe necessariamente un aumento dei costi per il teatro, posto che essa potrebbe essere controbilanciata da una corrispondente riduzione dei compensi per le singole recite. L'opportunità di una simile retribuzione emerge anche da una considerazione di tipo pratico. Qualora l'artista partecipi regolarmente alle prove, ma poi sia protestato, oppure si ammali e non possa prender parte ad alcuna rappresentazione, non riceverà compenso alcuno e dovrà affrontare, di tasca propria, tutte le spese per il soggiorno e la trasferta rilevatasi infruttifera.

Altra clausola contrattuale che parrebbe opportuno inserire nei contratti è l'obbligo, in capo al teatro, di provvedere, per il periodo delle prove e delle recite, ad assicurare l'artista per i danni alla persona che egli possa subire durante lo svolgimento dell'attività nei locali del teatro. Una tale clausola non soddisferebbe soltanto gli interessi dell'artista, ma consentirebbe al teatro di esonerarsi, almeno economicamente, dalla responsabilità di garante dell'incolumità del cantante [44].

Per quanto concerne la protesta parrebbe auspicabile, al fine di garantire maggiore tutela all'artista protestato, che essa fosse riformata nel senso di prevedere anche il parere di un cantante, ad esempio quello con maggiore anzianità nella compagnia, in modo che la categoria alla quale il protestato appartiene possa esprimere un giudizio, rendendo la protesta quanto più oggettiva ed imparziale possibile.

Gli artisti auspicano anche una riforma nel senso di escludere l'attuale liberatoria che i teatri impongono per lo sfruttamento delle registrazioni audio e video delle rappresentazioni. Le scritture teatrali, attualmente, prevedono che i cantanti prestino il loro consenso a qualunque utilizzo della registrazione audio/video dell'Opera e della loro immagine durante lo svolgimento delle rappresentazioni. A fronte di tale consenso, il teatro si impegna al pagamento di un compenso forfetario (generalmente una percentuale del caché) per ogni tipo di sfruttamento.

Gli artisti auspicano l'abbandono di una simile prassi in favore di una contrattazione o, quantomeno di un'autorizzazione per ogni tipologia di utilizzazione. Una simile richiesta, per quanto astrattamente condivisibile, difficilmente potrà trovare riscontro, posto che finirebbe per complicare notevolmente l'attività del teatro, che si vedrebbe costretto a chiedere, a tutti i cantanti, singole autorizzazioni per utilizzi determinati, magari a distanza di tempo, rischiando di non poter sfruttare le registrazioni a causa del veto o del rifiuto di un solo artista.

7. Conclusioni

Dalla veloce analisi del contratto di scrittura teatrale è emerso come esso, allo stato, veda l'artista nella posizione di contraente debole e, in quanto tale, costretto ad accettare clausole contrattuali significativamente squilibrate a favore del teatro. Tale situazione di fatto potrebbe essere agevolmente superata con un intervento del legislatore [45], che potrebbe legiferare sul tema con specifiche norme di tutela. Questa strada, peraltro, è già stata percorsa in altri casi in cui si è ritenuto di dover tutelare il professionista debole (si pensi al caso del franchising o della subfornitura) [46]. Un simile intervento è sollecitato anche dal Parlamento europeo, che ha invitato, con la risoluzione del 2007, istituzioni nazionali e comunitarie a vigilare sulla situazione di particolare debolezza degli artisti, intervenendo con provvedimenti che garantiscano alla categoria adeguate forme di tutela.

In attesa di un intervento legislativo che tarda ad arrivare, bisogna guardare con attenzione alla creazione di associazioni di categoria che raggruppano i cantanti lirici e che si sono prefisse lo scopo di rappresentarli. Simili iniziative hanno, ai fini della rinegoziazione della scrittura teatrale, l'importante effetto di individuare una controparte rispetto alle fondazioni lirico-sinfoniche.

E' ancora presto per dire se la prospettata riforma della scrittura teatrale avverrà. Il risultato finale dipende da quanto la categoria dei cantanti saprà essere compatta ed unitaria, senza che le varie associazioni disperdano le loro energie in liti tra prime donne, ma nel superiore scopo di far sentire la voce degli artisti lirici ai teatri. Quello che, comunque, pare un dato certo, è che, a distanza di più di trent'anni dall'ultimo contratto collettivo della categoria [47], qualcosa si sta cominciando a muovere.

 

 

Note

[1] Cfr., da ultimo, S. Mainardi e D. Casale, Lo spettacolo dal vivo. Il personale delle Fondazioni lirico-sinfoniche dopo la conversione del decreto legge n. 64/2010, e A. Cognata e M. Trimarchi, Lo spettacolo dal vivo. Le opere e i giorni, entrambi in Aedon, 3/2010.

[2] La quale si affianca alla già esistente A.L.I. (Associazione artisti lirici italiani).

[3] Sotto la codificazione del 1865 si dibatteva se essa fosse riconducibile alla figura della locatio operis o della locatio operarum ed anche la giurisprudenza non offriva una qualificazione unitaria. Favorevole alla locatio operarum era la Cassazione di Torino, mentre per la locatio operis si pronunciava la Corte d'Appello di Milano. Sul tema si rimanda a G. Magri, voce Scritture teatrali, in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, Torino, 2010, 891 e ad A. C. La Rosa, Il rapporto di lavoro nello spettacolo, Milano, 1998, 106.

[4] Cassazione civile sez. un. 5 giugno 1989, n. 2696, in Foro it. 1989, I, 2449. e in Nuova giur. civ. comm., 1989, I, 605.

[5] Cassazione civile sez. un. 23 maggio 1991, n. 5835 in DVD Juris Data.

[6] Cassazione civile sez. lav. 28 novembre 1990, n. 11436.

[7] Cfr. D. Corvi, Causa e tipo del contratto di lavoro artistico, Padova, 2009, 82 ss.

[8] Le scritture artistiche contengono generalmente clausole risolutive espresse nelle quali sono dettagliatamente elencati gli obblighi dell'artista durante le prove e la cui violazione comporta l'automatica risoluzione del rapporto contrattuale.

[9] In proposito è assai frequente che i contratti prevedano, ex ante, la quantificazione dei danni derivanti dall'inadempimento con un'apposita clausola penale.

[10] In proposito U. Goldoni, Gli artisti lirici: un rapporto di lavoro atipico, in Dir. lav., 1975, 436 ss., in specie 440.

[11] Argomenti in questo senso in Corte Cass. 12 settembre 1991, n. 9535 in Foro It., 1991, I, 763.

[12] G. Magri, op. cit., 898.

[13] Per quanto attiene i costumi, secondo un'antica prassi, gli stessi devono essere forniti dall'impresario restando a carico dell'artista di canto soltanto il c.d. basso vestiario, cfr. N. Tabanelli, Il codice del Teatro, Milano, 1901, 123.

[14] Cfr. Corte Cass., 18 novembre 1971, n. 3316, in Dir. Lav., 1972, 403 ss.; C. App. Roma, 13 gennaio 1968, in Rass. dir. civ., 1968, 90 e in dottrina Goldoni, op. cit., 438 ss. Merita ricordare la colorita fattispecie che diede origine alla vicenda giudiziale. La Callas adducendo motivi di salute, ma in realtà contrariata per non essere stata sufficientemente applaudita, lasciò il teatro dell'Opera di Roma nel bel mezzo del primo atto della Norma. I giudici sentenziarono che il comportamento della cantante non era censurabile in quanto il teatro non aveva fatto ricorso alla commissione medica prevista dal contratto corporativo del 1932 e che doveva ritenersi l'unico soggetto legittimato a valutare la fondatezza dell'impedimento.

[15] Cfr. App. Milano, 14 maggio 1968, in Rass. dir. civ., 1968, 115.

[16] Corte Cass., 9 dicembre 1971, n. 3559, in Foro Pad., 1972, I, 463.

[17] Corte Cass., 9 dicembre 1971, n. 3559, cit., ritenne che il comportamento del cantante fosse qualificabile come un'ipotesi di recesso per giusta causa.

[18] Cass. Civ., 9 dicembre 1971, n. 3559, cit. sottolinea come al cantante venga richiesto l'uso della voce in un maniera che si discosta notevolmente da quella normale, in quanto egli deve eseguire arie che prevedono l'emissione di note molto acute o molto basse o la pronuncia di molte frasi per cui necessitano "fiati" che sono preclusi a persone non particolarmente dotate e non specificamente preparate sotto il profilo tecnico, Secondo la Corte deve essere sottolineato come l'uso della voce, a certi livelli, sia molto aleatorio e comunque legato assai strettamente ad uno stato fisico e psichico atti a sostenere lo sforzo. In considerazione della specificità della prestazione e del peculiare stato psicologico in cui il cantante era venuto a trovarsi dopo la contestazione i giudici hanno ritenuto legittimo il recesso del cantante. In dottrina, U. Goldoni, op. cit., 438.

[19] Sull'inesigibilità della prestazione si rimanda a L. Cabella Pisu, in Aa.Vv., Trattato della responsabilità contrattuale (dir. da G. Visintini), vol. I, Inadempimento e rimedi, Padova, 2009, 204 ss.

[20] In senso contrario, però, Goldoni, op. loc. cit.

[21] Cfr. N. Tabanelli, op. loc. cit.

[22] L'approvazione del bilancio ad opera del C.d.A. è stato introdotto dall'art. 14 della legge 800/67 con riferimento agli enti lirico-sinfonici e successivamente è stato esteso anche alle Fondazioni lirico-sinfoniche, ai teatri di Tradizione, alle Associazioni concertistiche e musicali (cfr. S. Orlandini - M. Lai, I professionisti del melodramma, Milano, 2001, 99).

[23] Così V. Roppo, Il contratto, in Trattato G. Iudica e P. Zatti, Milano, 617 e G. Magri, op. cit., 904.

[24] Il contratto della Scala prevede che, nel caso di risoluzione per cause di forza maggiore, l'artista non possa invocare l'art. 2228 c.c. e pretendere un compenso per il lavoro prestato in relazione alla utilità della parte dell'opera compiuta.

[25] Per un commento della quale si rimanda a Margh. Salvadori, Il ritardo di pagamento nelle transazioni commerciali, in: I Nuovi contratti, (a cura di P. Cendon), vol. XI, Figure della contrattazione internazionale, Torino, 2004, 103 ss. La direttiva è stata recentemente sostituita dalla 23/7/UE in GUUE del 23 febbraio 2011, L 48/1.

[26] Cfr. la Decisione della Commissione n. 78/516/CEE (RAI vs. Unitel), del 26 maggio 1978, relativa ad una procedura a norma dell'art. 85 Trattato CEE, in G.U.C.E. 15 giugno 1978, n. L 157, 39 ss. Con riferimento alla riconducibilità degli artisti lirici alla nozione comunitaria di impresa si veda G. Guizzi, Il mercato concorrenziale. Problemi e conflitti. Saggi di diritto antitrust, Milano, 2010, 30.

[27] Decreto del Ministero per i beni e le attività culturali del 28 febbraio 2006 recante "Disposizioni in materia di coordinamento delle fondazioni lirico-sinfoniche" in Gazz. Uff., n. 73 del 28 marzo 2006.

[28] Sul cachettario si vedano G. Magri, op. cit., 896 e D. Corvi, op. cit., 81.

[29] N. Tabanelli, op. cit., 122.

[30] Cassazione, 9 dicembre 1971, n. 3559, cit.

[31] Maggiori ragguagli sul punto in G. Magri, op. cit., 900.

[32] Cfr. A.C. La Rosa, op. cit., 118.

[33] P. Greco, Il contratto di lavoro, Torino, 1939, 383 s.

[34] S. Spano, L'attore nel rapporto di lavoro, Milano, 1963, 131.

[35] V. Comito, Sindacabilità della protesta del lavoratore artistico e natura giuridica della clausola di protesta, in Dir. lav., 1955, 101. In giurisprudenza, Trib. Milano, 6 maggio 1954, in Dir. lav. 1956, II, 101.

[36] Tale ultima opinione è sostenuta, tra gli altri, da G. Mazzoni, Manuale di diritto del lavoro, Milano, 1969, 750 e s. e App. Napoli, 8 febbraio 1957, in Rass. dir. civ., 1957, 85.

[37] G. Alibrandi, Considerazioni sulla protesta quale forma di risoluzione del contratto dei lavoratori dello spettacolo, in Arch. civ., 1979, 1218.

[38] Secondo la giurisprudenza "non costituisce clausola vessatoria da approvare espressamente per iscritto, quella che, apposta dalle parti al contratto di lavoro, prevede il patto di prova, atteso che questo costituisce una clausola che mira a tutelare un interesse di entrambe le parti, essendo diretta ad attuare un esperimento attraverso il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono saggiare la reciproca convenienza del contratto: accertando il primo le capacità e le qualità del lavoratore e quest'ultimo a sua volta verificando l'entità della prestazione che gli viene richiesta e le condizioni in cui il rapporto si svolge" (così Cass. civ., sez. lav. 16 luglio 1988, n. 4678, analogamente, Cass. Civ., sez. lav., 19 maggio 1987, n. 4593, entrambe in Juris Data). Tuttavia, nel caso in cui si ritenesse che la clausola integri un'ipotesi di patto in prova, il contratto dovrà rivestire la forma scritta ad substantiam, cfr. M. Roccella, Manuale di diritto del lavoro, Torino, 2010, 123 s.

[39] Cfr. G. Magri, op. cit., 901.

[40] Vd. N. De Pirro, voce Teatro, in Nuovo Dig. It., Torino, 1940, 14.

[41] In questo senso E. Piola Caselli - M. Arienzo, voce Artisti e interpreti esecutori, in Novissimo Digesto Italiano, 1958, 1015.

[42] Chiaro il riferimento alla consuetudine dei tre debutti, successivamente ai quali non era più possibile rifiutare l'artista e che viene comunemente considerata l'antecedente storico della protesta (cfr. G. Magri, op. cit., 901). Sulla consuetudine dei tre debutti si veda A. Musatti, La consuetudine dei tre debutti, RDCo, 1909, II, 338.

In passato la protesta poteva avvenire solo durante le prove, mentre il debutto atteneva la fase della rappresentazione davanti al pubblico, cfr. N. Tabanelli, Le scritture teatrali, Padova, 1938, 178 e Id., Il codice, cit., 99 e s.

[43] Così G. Alibrandi, op. cit., 1219.

[44] E' appena il caso di rilevare che l'obbligo assicurativo INAIL sorgerebbe automaticamente nel caso di lavoro a progetto.

[45] In Parlamento, ad oggi, risultano depositate almeno tre proposte di legge in materia: la n. 1550/2008, la n. 762/2008 e la n. 2112/2009.

[46] Gli interventi legislativi a favore del professionista che si trovi in una posizione di asimmetria rispetto alla sua controparte professionale non sono isolati. Non è un caso se, a fianco dei contratti del consumatore, si è segnalata la nascita del c.d. terzo contratto nel quale il contraente debole è un professionista. Sul tema si veda G. Gitti - G. Villa, Il terzo contratto. L'abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, Bologna, 2008.

[47] L'ultimo contratto collettivo nazionale di categoria degli artisti lirici risale al 24 marzo 1972.

 



copyright 2011 by Società editrice il Mulino
Licenza d'uso


inizio pagina