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Patrimonio culturale e Fondazioni

Ministero, regioni e Fondazioni bancarie: prove d'integrazione delle politiche in tema di valorizzazione [*]

di Girolamo Sciullo

Ministries, Regions and Banking Foundations: integrated actions to enhance the value of Cultural Heritage
This paper discusses the agreements signed in January 2010 by the Ministry for Cultural Heritage and Activities, the Emilia-Romagna and Tuscany Regions, the Association of the banking foundations of Emilia-Romagna and the Association of the banking foundations of Tuscany. The agreements lay down integrated actions aimed at enhancing the value of the Cultural Heritage located in these two Regions.

I protocolli d'intesa sottoscritti agli inizi di quest'anno (il 20 e il 21 gennaio) fra il Mibac, la regione Emilia-Romagna e l'Associazione delle Fondazioni bancarie dell'Emilia-Romagna, e fra il Mibac, la regione Toscana e l'Associazione delle Fondazioni bancarie della Toscana si segnalano all'attenzione per almeno due aspetti: le politiche di valorizzazione che esprimono in materia di beni culturali e i concreti contenuti.

Ambedue gli atti trovano fondamento nell'art. 112 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Si tratta, come è noto, di una disposizione cruciale in tema di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica, perché rivolta a tradurre in linee operative quei principi di coordinamento, armonizzazione e integrazione degli interventi che l'art. 7, comma 2, assegna agli attori pubblici come canoni guida fondamentali nell'elaborazione di politiche di valorizzazione dei loro beni.

La definizione di "strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione" e la elaborazione di "conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e [d]i programmi" (comma 4), rappresentano infatti, nell'ottica del Codice, le modalità per un approccio alla valorizzazione dei beni pubblici che risulti ad un tempo coordinato, quanto ai soggetti coinvolti (Stato, regioni e enti territoriali minori), integrato, quanto agli oggetti considerati (beni culturali pubblici che indipendentemente dall'appartenenza insistono su un medesimo territorio), e armonizzato quanto agli obiettivi perseguiti (di valorizzazione dei beni anzitutto, ma in auspicato collegamento con finalità di sviluppo sociale ed economico dei territori considerati).

In breve l'art. 112 dà corpo alle fasi di programmazione strategica e operativa, prodromiche rispetto agli interventi di valorizzazione 'puntuale' operati su singoli istituti o luoghi di cultura oppure su singoli beni.

Correttamente inquadrati, gli accordi ex art. 112 proseguono l'esperienza della c.d. programmazione negoziata, introdotta negli anni Novanta, che ha trovato nel settore della valorizzazione dei beni culturali un terreno di proficua applicazione [1].

In effetti ambedue i protocolli d'intesa vedono lo Stato e la regione interessata concordare e coordinare interventi di conservazione, recupero e valorizzazione di beni, interventi che essi individuano come "obiettivi comuni e di rilievo strategico prioritario per le rispettive politiche ... nel settore dei beni culturali" (art. 1).

Ancora, i beni culturali considerati presentano un'appartenenza mista: prevalentemente statale o comunale, in qualche caso regionale o di altro ente pubblico.

Ricorre altresì il collegamento fra politiche pubbliche di diversa natura. Oltre ad interventi di conservazione, recupero e valorizzazione (sicuramente prevalenti), i protocolli annoverano fra gli obiettivi perseguiti la promozione e realizzazione di "percorsi turistici e itinerari di visita che assicurino [ai beni considerati] un ruolo baricentrico nella costruzione di circuiti turistici culturali territoriali", nonché l'organizzazione di "attività formative" da attuarsi tramite "convenzioni con le Università e le scuole di ogni ordine e grado" (art. 4). Il protocollo relativo alla Toscana si spinge a prevedere fra gli obiettivi anche "l'adeguamento delle infrastrutture di collegamento" ai beni che considera (art. 4).

Se l'art. 112 assegna un ruolo centrale agli enti territoriali, prevedendo la presenza di privati solo in ambiti particolari (partecipazione a organismi appositamente costituiti per l'elaborazione di piani di sviluppo culturale, oppure ad accordi in tema di servizi strumentali, cfr. commi 8 e 9), l'art. 121 amplia la platea degli 'attori' della concertazione alla particolare categoria dei soggetti privati costituita dalle Fondazioni di origine bancaria. E ciò - presumibilmente - in ragione sia delle specifiche finalità che possono connotare tali organismi ("scopi di utilità sociale nel settore dell'arte e delle attività e beni culturali"), sia di una prevedibile disponibilità economica degli stessi organismi derivante dalla loro partecipazione al capitale sociale di imprese bancarie.

Detto in altre parole, l'art. 121 tiene conto della funzione di 'polmoni finanziari' a favore delle comunità territoriali di riferimento storicamente assolta dagli enti (Casse di risparmio, Casse del monte ecc.) da cui sono derivate le Fondazioni bancarie e la 'curva' alle esigenze dell'arte e della cultura, assegnando alle stesse Fondazioni un ruolo di sostanziale codeterminazione delle politiche di valorizzazione o quanto meno di importante concorso all'attuazione delle stesse, ruolo che la crisi della finanza pubblica, specie di questi ultimi anni, tende inequivocabilmente ad accentuare.

In effetti, in ambedue i protocolli di intesa (non a caso la loro denominazione è mutuata dal testo dell'art. 121) le Fondazioni, per il tramite della singola "Associazione delle Fondazioni bancarie" regionale, assumono la veste di interlocutori 'a pieno titolo' del ministero e delle regioni.

In particolare si prevede che la realizzazione degli interventi individuati dai due atti venga disciplinata da "specifiche intese operative ... fra i soggetti istituzionali direttamente coinvolti" (art. 17, comma 1, protocollo per l'Emilia-Romagna) ovvero da "un accordo di programma in cui il ministero, la regione e la Fondazione bancaria che abbia manifestato interesse a partecipare definiscono il contenuto del progetto, le modalità di intervento e gli oneri finanziari posti a carico di ciascuno" (art. 5, comma 2, protocollo per la Toscana).

Quanto ai contenuti, i protocolli presentano una struttura analoga, richiamando entrambi l'accordo di collaborazione sottoscritto il 4 dicembre 2008 dal ministro per i Beni e le Attività culturali e dal Presidente dell'Associazione delle Fondazioni bancarie.

Ambedue individuano interventi di conservazione e/o valorizzazione (restauro, riqualificazione, recupero/adeguamento funzionale) di beni culturali (edifici, aree archeologiche, musei). Entrambi indicano, in apposite schede tecniche, le azioni previste, i costi, i tempi di realizzazione, i soggetti attuatori, le fonti di finanziamento, e per la relativa attuazione rinviano ad "accordi di programma" o "intese operative" fra i soggetti di volta in volta coinvolti. Di notevole significato è, poi, la comune affermazione di principio che le parti contraenti - e come tali sono indicati esplicitamente il ministero, la regione e l'Associazione regionale delle Fondazioni bancarie (Preambolo) - concorrono all'attuazione dei protocolli "secondo un criterio di tendenziale parità" in ordine al riparto della spesa (art. 7, comma 2, protocollo per la Toscana e artt. 1 e 8, comma 2, protocollo per l'Emilia-Romagna).

Ambedue i documenti, infine, pur avendo una durata limitata nel tempo (31 dicembre 2014), presentano margini di flessibilità, potendo essere oggetto di revisione (art. 9) o di aggiornamento, in particolare al fine di ricomprendere interventi ulteriori rispetto a quelli originariamente contemplati (art. 8, comma 1, protocollo per l'Emilia-Romagna, e art. 7, comma 1, protocollo per la Toscana).

Per concludere, può dirsi che i due atti rappresentano significativi (e meritori) esempi del 'fare squadra' in tema di conservazione e valorizzazione dei beni culturali. E ciò sia nella definizione delle azioni ritenute prioritarie all'interno dei contesti regionali, sia nella mobilitazione delle indispensabili risorse finanziarie.

In particolare è da evidenziare che la logica 'delle necessità' è anteposta a quella 'dell'appartenenza' (i beni oggetto degli interventi è da pensare che siano stati selezionati in ragione della loro situazione oggettiva e non in quella della loro titolarità). Soprattutto va segnalato l'impegno tendenzialmente paritario delle istituzioni territoriali e delle Fondazioni nel riparto degli oneri finanziari.

Da non trascurare, infine, è il fatto che il concorso dei diversi soggetti presiede altresì all'attuazione degli interventi concordati, con un utile effetto di stimolo e controllo reciproco a tutto beneficio della accountability (o rendicontabilità) della loro azione rispetto agli stakeholder istituzionali e sociali, ovvero, in parole più semplici (e pregnanti) rispetto ai cittadini (in prospettiva è da sperare non più minoranza) attenti alle sorti del patrimonio culturale italiano.

 

Note

[*] Il presente contributo è destinato a comparire anche sul Bollettino del ministero per i Beni e le Attività culturali.

[1] Sulla programmazione negoziata cfr. per tutti P. Petraroia, Il governo, in Il diritto dei beni culturali, a cura di C.  Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, il Mulino, 2006, 165 ss.

 



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