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Sponsorizzazioni e imprese: opportunità ed esperienze

La sponsorizzazione dei beni culturali: opportunità fiscali [*]

di Lucia Starola

Sommario: 1. Premessa. - 2. La sponsorizzazione. - 3. Aspetti fiscali della sponsorizzazione. - 3.1. Imposte sul reddito. - 3.2. Imposta sul valore aggiunto. - 4. Spese di rappresentanza. - 5. Conclusioni.

Cultural heritage sponsorship: fiscal policies
The paper drafts a brief digression about the origin of the word "sponsorship", outlining both its economic and its legal meaning, with specific reference to the differences compared to donations and entertainment allowances. The tax implications are taken into account both under the income tax point of view - on the sponsor's and on the beneficiary's side - and with reference to VAT profiles, concluding with the classification of sponsorship fees among advertising expenses, therefore fully deductible.

1. Premessa

L'esigenza di salvaguardare il patrimonio storico, artistico e culturale ha indotto da sempre lo Stato a stimolare interventi da parte sia dei privati sia, soprattutto, delle imprese, mediante agevolazioni di carattere tributario a chi destina risorse alla tutela e valorizzazione di tale patrimonio.

Per i privati la forma di intervento è esclusivamente il "mecenatismo", mentre le imprese possono anche optare per la "sponsorizzazione".

Il mecenatismo si realizza attraverso erogazioni liberali, normalmente in denaro, a favore, di solito, di un ente non commerciale che le destina alle finalità previste dalle specifiche norme agevolative.

Sul mecenatismo ci siamo intrattenuti, anche per l'aspetto fiscale, nel workshop dello scorso anno.

2. La sponsorizzazione

L'evoluzione del mercato e la crisi economica inducono le imprese a perseguire sempre più la promozione della loro immagine, del marchio, del prodotto, mediante il ricorso a strumenti anche sofisticati; la sponsorizzazione è uno di questi.

Che cos'é la sponsorizzazione?

Un breve excursus sull'origine del termine può aiutare a inquadrare meglio tale istituto ed il suo trattamento fiscale.

Oggi usiamo i termini sponsor e sponsee considerandoli termini di derivazione anglosassone. In realtà sponsor è parola latina che significa garante, padrino, in collegamento con la radice del verbo latino spondere che significa promettere, garantire, obbligarsi.

La sponsio era una promessa verbale solenne e formale, costitutiva di una obbligazione. Nel formalismo tipico dell'antico diritto romano l'obbligazione scaturiva dalla pronuncia della parola stabilita: sponsio.

Più tardi, nella lingua anglosassone, i padrini nel battesimo vennero chiamati sponsor, perché promettono di seguire la crescita del fanciullo in caso di perdita dei genitori.

Nel linguaggio contemporaneo lo sponsor è un soggetto (normalmente un'im-presa) che, tramite erogazioni, protegge, patrocina un'attività culturale, una squadra di calcio etc.; ma non si tratta di un'erogazione a fini liberali, come nel caso del mecenate, bensì di un'erogazione che scaturisce da un sinallagma, dove il soggetto ricevente consente lo sfruttamento a fini pubblicitari di un proprio bene, sfruttamento pubblicitario che l'erogante indirizza alla propria immagine ovvero ad un prodotto.

Per indicare la direzione in cui ci si sta muovendo, un esempio viene dai programmi per il restauro del Colosseo: i giapponesi sembrano interessati a sborsare migliaia di dollari per il lavoro di restauro a fronte del diritto allo sfruttamento delle immagini di tale monumento.

Sul piano economico-aziendalistico, la sponsorizzazione è uno strumento pubblicitario. Comporta infatti la diffusione di messaggi promozionali, relativi ad un prodotto o ad un marchio, collegati ad un personaggio o ad un evento, il cui rilievo, di prestigio o di popolarità, determina l'efficacia della promozione commerciale.

Sul piano giuridico, la sponsorizzazione è un contratto atipico, a titolo oneroso, per mezzo del quale un soggetto (lo sponsor) si impegna ad assicurare un beneficio, in denaro o in natura, alla controparte (lo sponsee), la quale si impegna, nei confronti del primo, a promuoverne l'immagine, un marchio, un prodotto, attraverso una iniziativa, un evento o una manifestazione.

L'intento promozionale è la "causa" del contratto di sponsorizzazione, così come caratterizza qualsiasi spesa di pubblicità.

Ricondurre la sponsorizzazione nell'ambito della pubblicità discende dalla nozione giuridica di questa, desumibile in via indiretta anche dalle disposizioni di cui all'art. 2598 c.c.

Anche secondo la giurisprudenza civile le spese di sponsorizzazione costituiscono una specie del genere spese di pubblicità [1] con la quale si lancia un messaggio ad un uditorio indeterminato.

Il rapporto di sponsorizzazione presuppone dunque un contratto, anche verbale, la cui esistenza può essere provata anche per fatto concludente. E' tuttavia opportuna la forma scritta, al fine di definire con compiutezza il contenuto di prestazioni e controprestazioni, ovvero i diritti e gli obblighi delle parti, in assenza dei quali viene meno il sinallagma.

La differenza rispetto alle erogazioni liberali è netta. Lo sponsorizzato (sponsee) è obbligato, in base ad un contratto, a indicare e, quindi, a pubblicizzare l'impresa sponsor, mentre, invece, il soggetto destinatario dell'erogazione liberale non assume obblighi di sorta. Anzi, di regola, la normativa fiscale vieta che l'impresa mecenate possa sfruttare a livello di comunicazione le proprie erogazioni, pena la perdita del beneficio fiscale.

La sponsorizzazione dei beni culturali ha trovato esplicito riconoscimento legislativo nel Codice dei beni culturali e del paesaggio [2] che definisce la sponsorizzazione all'art. 120:

"E' sponsorizzazione di beni culturali ogni contributo, anche [3] in beni o servizi, erogato per la progettazione o l'attuazione di iniziative in ordine alla tutela ovvero alla valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l'immagine, l'attività o il prodotto dell'attività del soggetto erogante. Possono essere oggetto di sponsorizzazione iniziative del ministero, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonché di altri soggetti pubblici o di persone giuridiche private senza fine di lucro, ovvero iniziative di soggetti privati su beni culturali di loro proprietà. La verifica della compatibilità di dette iniziative con le esigenze della tutela è effettuata dal ministero in conformità alle disposizioni del presente Codice.
La promozione di cui al comma 1 avviene attraverso l'associazione del nome, del marchio, dell'immagine, dell'attività o del prodotto all'iniziativa oggetto del contributo, in forme compatibili con il carattere artistico o storico, l'aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare, da stabilire con il contratto di sponsorizzazione".

L'istituto della sponsorizzazione, nel quale la promozione del prodotto e la promozione dell'immagine sono accomunate in un'unica definizione, è dunque ormai recepito dal nostro ordinamento giuridico. La definizione vale, quantomeno con riferimento ai beni culturali, ad ogni effetto e quindi anche sul piano del diritto tributario [4].

3. Aspetti fiscali della sponsorizzazione

Sotto il profilo tributario un contratto di sponsorizzazione rileva sia per lo sponsor, sia per lo sponsee e, per entrambi, con riferimento sia alle imposte sul reddito, sia all'imposta sul valore aggiunto.

3.1. Imposte sul reddito

Ai fini delle imposte sul reddito:

- lo sponsor sostiene un costo di esercizio [5] che, se soddisfa i requisiti di inerenza e competenza, è deducibile nella determinazione del reddito d'impresa (a scelta del contribuente, nell'esercizio in cui è stato sostenuto o in quote costanti nell'esercizio stesso e nei quattro successivi [6]);

- lo sponsee riceve il corrispettivo (in denaro e in natura) del servizio prestato e tale corrispettivo costituisce un componente positivo del suo reddito imponibile.

3.1.1. Imposte sul reddito dello sponsor

Se il contratto di sponsorizzazione é redatto con chiara indicazione delle obbligazioni reciproche si evita che l'erogazione possa essere riportata al concetto di gratuità, insito nelle spese di rappresentanza, per le quali è previsto un limite percentuale di deducibilità; si evita altresì che il costo di sponsorizzazione possa essere riportato ad una erogazione liberale, della quale non avrebbe i requisiti formali per essere deducibile dal reddito d'impresa: trattasi di cautele importanti.

La deducibilità delle spese di sponsorizzazione è stata oggetto di differenti e contrastanti posizioni; di conseguenza è utile un breve riepilogo delle varie interpretazioni succedutesi nel tempo.

L'Amministrazione finanziaria aveva affermato, fin dal 1974, che gli oneri derivanti dalla sponsorizzazione dovevano ritenersi, "in linea di massima", spese pubblicitarie a condizione che avessero "come scopo unico, quello di reclamizzare il prodotto commerciale per incrementarne i ricavi" e sempreché vi facesse riscontro "una somma di obblighi contrattuali, anche in fatto osservati, a carico delle società percipienti"; aggiungeva inoltre che, in caso contrario, tali spese "non avrebbero potuto essere considerate diversamente da mere elargizioni a titolo di liberalità" [7].

Con l'introduzione della disciplina specifica delle spese di rappresentanza [8] (deducibilità limitata con criteri forfetari) si sviluppò un orientamento (cfr. Se.C.I.T. [9] e Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive [10]) secondo il quale, quando la "sponsorizzazione ha come finalità la valorizzazione dell'immagine dell'impresa, e non del prodotto, le relative spese non dovrebbero essere considerate di pubblicità", mancando una connessione diretta tra la spesa ed il conseguimento del ricavo [11].

La tesi del Se.C.I.T. portava ad una conclusione assurda: per le imprese che, per loro natura, possono pubblicizzare esclusivamente la propria immagine i costi pubblicitari sarebbero sempre stati riconducibili a spese di rappresentanza [12]!

E' quindi importante mettere in rilievo la diversa natura del rapporto giuridico alla base dell'erogazione; infatti:

le spese di rappresentanza presuppongono un contratto a favore di terzi, dove il terzo è beneficiario dell'accordo stipulato dall'impresa con il soggetto incaricato di effettuare la prestazione, soggetto che può essere di volta in volta un albergatore, un ristoratore, un'agenzia di viaggi [13];

la sponsorizzazione è regolata da un contratto nell'ambito del quale i rapporti si esauriscono tra le parti contraenti.

Tali concetti sono da sempre richiamati dall'Amministrazione Finanziaria nelle proprie risoluzioni [14].

Con riferimento alle spese di sponsorizzazione l'Amministrazione Finanziaria [15], già nel 2000, allontanandosi dalla tesi del Se.C.I.T., affermava che la classificazione di tali spese fra quelle di pubblicità o fra quelle di rappresentanza (a seconda che vengano sostenute per l'offerta di un prodotto o per dare al pubblico un'immagine positiva dell'impresa), conservava "una propria validità solo tendenziale, in quanto sempre più la pubblicità stessa si incentra sull'impresa più che sul prodotto in quanto tale. E, in ogni caso, il fine è incrementare, direttamente o indirettamente, i ricavi e l'attività propria.

In effetti, nella moderna economia assistiamo quotidianamente ad un continuo mutamento nelle tecniche di volta in volta utilizzate dalle apposite organizzazioni di marketing, per cui le campagne pubblicitarie sono sempre più rivolte non tanto a reclamizzare il prodotto come tale, quanto a far sì che l'impresa venga percepita come un elemento indispensabile allo sviluppo della comunità socio politica in cui è inserita.

La pubblicità legata unicamente al prodotto ha perso i connotati tipici che l'avevano da sempre caratterizzata, nel senso cioè di dover essere razionale e convincere che un prodotto è buono e conveniente.

Nuovo modo di concepire una pubblicità del "sociale" piuttosto che una pubblicità del "prodotto" può essere ravvisato in quello che nella terminologia anglosassone viene definito cause related marketing (crm).

Termine con il quale si intende una nuova tecnica pubblicitaria (rivolta ai consumatori-cittadini più che ai consumatori-clienti) che consiste nel valorizzare un marchio o nel lanciare un prodotto destinando risorse predeterminate o percentuali di ricavi, al restauro di un'opera d'arte o al finanziamento di una struttura pubblica o ancora nell'abbinare il proprio marchio a un'iniziativa di solidarietà sociale o ad un progetto di interesse collettivo [16].

La giurisprudenza ha, nel tempo, espresso opinioni altalenanti [17].

Come abbiamo visto, l'assimilazione delle spese di sponsorizzazione alle spese di rappresentanza renderebbe molto più oneroso il ricorso alla sponsorizzazione come strumento di comunicazione pubblicitaria.

La classificazione delle spese di sponsorizzazione tra le spese di pubblicità discende, in effetti, da due ordini di ragioni. In primo luogo perché il costo attiene ad un contratto che prevede prestazioni reciproche; in secondo luogo perché destinataria dell'"utilità" (del quadro restaurato, dell'affresco conservato o tutelato, dell'evento culturale) è una generalità di soggetti, non individuabile preventivamente (non è infatti possibile determinare i soggetti che ammireranno l'opera d'arte restaurata o parteciperanno alla manifestazione culturale).

Infine, dopo l'emanazione del Codice dei beni culturali, alla luce del citato art. 120, si può affermare con certezza che la sponsorizzazione di un intervento di restauro, di conservazione o di valorizzazione di un bene artistico o comunque di un evento culturale, comporta sempre un onere che rientra nella categoria delle spese di pubblicità, indipendentemente dal fatto che l'obiettivo dell'im-presa sia quello di promuovere il prodotto ovvero il marchio o l'immagine. Non esistendo, infatti, una norma fiscale speciale che regolamenti le spese di sponsorizzazione, non vi è motivo per disattendere la definizione onnicomprensiva dell'articolo 120 del Codice dei beni culturali.

Viceversa, quando manchi il contratto di sponsorizzazione ed i terzi beneficiari di una manifestazione siano previamente individuati, occorre verificare in concreto se si possa parlare di sponsorizzazione o se si rientri nella categoria delle spese di rappresentanza. Infatti, in tal caso l'evento presenta una connotazione di gratuità (non c'è l'assunzione di obblighi di fare o di dare da parte di chi riceve l'erogazione). Ad analoga conclusione si può pervenire qualora sussista notevole squilibrio tra le prestazioni dello sponsee e dello sponsor, tale da escludere la configurabilità di un rapporto sinallagmatico. Si giustifica pertanto, in tali casi, il regime di deducibilità limitata, proprio delle spese di rappresentanza.

3.1.2. Imposte sul reddito dello sponsee

Il trattamento fiscale del soggetto sponsorizzato dipende dalla sua qualificazione tributaria.

Se lo sponsee è un'impresa o un ente commerciale, il corrispettivo conseguito costituisce un componente positivo del reddito d'impresa, ai fini dell'Ires e dell'Irap.

Se lo sponsee è un "ente non commerciale", occorre distinguere:

- se la sponsorizzazione è abituale, la stessa configura esercizio di "attività commerciale" ed i relativi proventi costituiscono componenti positivi del reddito d'impresa; correlativamente i costi sostenuti per eseguire la prestazione sono deducibili [18];

- se la sponsorizzazione è occasionale (ovvero si concretizza in un'operazione commerciale isolata), i relativi proventi, al netto dei costi, costituiscono "redditi diversi" (Titolo I, Capo VII TUIR), imponibili in capo all'ente.

Con riferimento agli "enti non commerciali", si tenga presente che la qualifica di "ente non commerciale" viene meno qualora l'attività commerciale sia prevalente (ricavi maggiori del 50%) per un intero periodo d'imposta, risultando così attratti all'attività commerciale anche i ricavi da attività istituzionale; pertanto, stante la natura commerciale dei ricavi da sponsorizzazione, gli stessi concorrono a tale verifica di prevalenza.

E' utile altresì ricordare che quando il soggetto sponsorizzato sia lo Stato o un ente pubblico [19] non si ricade nelle suddette previsioni, essendo prevista un'e-sclusione di carattere soggettivo che prescinde dalle attività concretamente esercitate.

3.2. Imposta sul valore aggiunto

Quanto all'imposta sul valore aggiunto, il corrispettivo è sempre imponibile Iva con obbligo di emissione della fattura:

- sia quando il soggetto sponsorizzato riveste la qualifica di impresa o di ente commerciale;

- sia quando il soggetto sponsorizzato è un ente non commerciale, per il quale sono imponibili Iva esclusivamente i ricavi da cessioni di beni e da prestazioni di servizi svolte nell'esercizio di attività commerciali o agricole; ciò in quanto, per presunzione assoluta, hanno natura commerciale i ricavi da prestazioni pubblicitarie [20]; le prestazioni pubblicitarie sono quindi da assoggettare ad Iva [21] con detraibilità di quella relativa ai costi sostenuti per l'attività di sponsorizzazione.

4. Le spese di rappresentanza

Per sgombrare il campo da ogni dubbio sulla integrale deducibilità delle spese di sponsorizzazione quali spese di pubblicità, giova richiamare la Legge Finanziaria per il 2008 [22] che ha modificato, con decorrenza dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, le disposizioni in merito alla deducibilità delle spese di rappresentanza.

Il secondo comma dell'art. 108 del TUIR recita ora:

"Le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo d'imposta di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della destinazione delle stesse, del volume dei ricavi dell'attività caratteristica dell'impresa e dell'attività internazionale dell'impresa. Sono comunque deducibili le spese relative a beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a euro 50".

Il d.m. 19 novembre 2008 ha delineato i requisiti di inerenza e di congruità ed ha fissato limiti di deducibilità delle spese di rappresentanza, parametrandole ad una percentuale dell'ammontare dei ricavi e dei proventi della gestione caratteristica [23].

Rileva, in particolare, ai fini che qui interessano, l'essere stato previsto che, agli effetti dell'applicazione dell'art. 108 TUIR si considerano inerenti, sempreché effettivamente sostenute e documentate, le spese per erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell'obiettivo di generare anche potenzialmente benefìci economici per l'impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di settore.

Ne consegue che l'inerenza è collegata alle finalità promozionali o di pubbliche relazioni, e che la caratteristica primaria delle spese di rappresentanza è la gratuità della spesa.

La nuova normativa in tema di spese di rappresentanza definisce, quindi, un perimetro all'interno del quale esistono limiti alla deducibilità. Tutto quanto è spesa promozionale, con caratteristiche che la pongono fuori da quel perimetro, ovvero non è gratuita, è sicuramente da considerarsi spesa di pubblicità e come tale deducibile integralmente.

Anche alla luce della nuova normativa fiscale in tema di spese di rappresentanza, non ha quindi più alcuna ragion d'essere l'impostazione del Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusione: le spese di sponsorizzazione, non essendo gratuite, in quanto derivano da un rapporto sinallagmatico, non possono essere considerate spese di rappresentanza, anche se promuovono l'immagine, bensì devono essere considerate spese di pubblicità e sono pertanto integralmente deducibili tra i costi dell'impresa che le sostiene, indipendentemente da qualsiasi parametro limitativo.

5. Conclusioni

Ho esordito richiamando l'origine latina del termine sponsor; in realtà lo sponsor dell'epoca romana non aveva il ruolo che attualmente gli attribuiamo: era infatti lo Stato a farsi carico dei giochi e delle feste.

Figura speculare al moderno sponsor la troviamo invece in Atene; nella Grecia antica il corego era colui che finanziava l'allestimento degli spettacoli teatrali in occasione delle feste liturgiche.

Solitamente si trattava di un cittadino facoltoso, designato dal magistrato, a cui competeva l'organizzazione della celebrazione; il corego garantiva un versamento alla polis, versamento che ne accresceva la popolarità.

Nel 335 a.c., per commemorare la vittoria della squadra teatrale finanziata dal corego Lisicrate, fu eretto ad Atene un piccolo monumento a struttura circolare ornato da colonne corinzie che si innalzava su un podio quadrato.

In quei tempi, si creava ricchezza con la cultura e viceversa.

Il nostro paese deve riuscire a fare altrettanto; si tratta di un percorso virtuoso: lo sponsor finanzia il restauro, pubblicizza l'azienda o i suoi prodotti utilizzando l'immagine del bene culturale, che viene in tal modo esso stesso pubblicizzato, fatto conoscere ad una massa di possibili fruitori, accrescendo in tal modo possibilità di lavoro e di creazione di ricchezza, anche con il turismo.

Sembra l'uovo di Colombo, si deve riuscire ad innescare il meccanismo.

Se ne parla da vent'anni almeno, ma forse per lungo tempo ostacoli di carattere culturale e fiscale ne hanno limitato la diffusione.

Ora spetta agli esperti in pubblicità, comunicazione e marketing il compito di verificare la possibilità di sfruttare in modo efficace un bene o una manifestazione culturale.

 

Note

[*] Intervento all'Workshop del 17 novembre 2009, Torino, La sponsorizzazione dei beni culturali nuovo media per le imprese? Opportunità ed esperienze.

[1] Corte di Cassazione sentenze n. 5086 del 21 maggio 1998 e n. 9880 dell'11 ottobre 1997.

[2] Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, così come modificato da ultimo con il decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 62.

[3] Nella stesura anteriore al d.lg. 62/2008, la mancanza della parola "anche" aveva fatto ritenere ad alcuni commentatori che l'art. 120 si riferisse esclusivamente a sponsorizzazioni tecniche o in natura. L'attuale stesura comprende sicuramente anche i contributi in denaro.

[4] Così R. Lunelli, Fisco e beni culturali, in Il Fisco n. 27/2006, p. 4017 ss.

[5] Vedasi A. Giovanardi, I contratti di sponsorizzazione, in Diritto e Pratica Tributaria - I - 1994: "Il trattamento tributario dei costi gravanti sull'impresa sponsor non è espressamente disciplinato. Questo fatto non dovrebbe creare alcun problema perché, dato che la sponsorizzazione è una forma alternativa di pubblicità, i costi sostenuti per essa non potrebbero che ricondursi alle spese di pubblicità e propaganda, di cui al secondo comma dell'art. 74 (ora art. 108 TUIR), approvato con d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917".

[6] Art. 108 TUIR: Il termine "sostenuto" non fa riferimento ad un criterio di cassa, bensì ad un concetto di competenza, ovvero di correlazione costi/ricavi.

[7] All'epoca, non esisteva ancora una disciplina specifica per le spese di rappresentanza.

[8] In proposito, R. Lupi, I diversi motivi di diffidenza del fisco per la sponsorizzazione e la rappresentanza, in Rassegna Tributaria 5/2002, p. 1569 "La limitazione alla deducibilità, prevista dall'art. 74, non presuppone una "inerenza parziale" della singola spesa, ma le difficoltà del Fisco ad accertare la destinazione della singola spesa, che potrebbe essere in concreto inerente al cento per cento, ovvero sostenuta per soli fini privati: si conferma così la ragione del forfait di un terzo, sul complesso delle spese. Ed è per questa logica forfetaria che l'applicazione della deducibilità limitata è sostenibile anche quando è dimostrato che la singola spesa di rappresentanza è una di quelle di cui nessuna impresa potrebbe fare a meno".

[9] Delibera Se.C.I.T. del 22 gennaio 1993, n. 7.

[10] Parere del Comitato Consultivo del 24 febbraio 2004, n. 1. Da ultimo vedi anche Cassazione, sentenza n. 9567 del 23 aprile 2007 (relativa ad una rettifica del reddito imponibile dell'anno 1990).

[11] Ancora, R. Lupi, op. citata: "Dietro le nebulose distinzioni operate a suo tempo dai Superispettori si intravede peraltro una diversa preoccupazione, consistente nella idoneità di sponsorizzazioni "di comodo" a coprire fenomeni di evasione fiscale. Mentre infatti la pubblicità viene canalizzata su grandi imprese editoriali o comunque su soggetti sicuramente commerciali, come le agenzie pubblicitarie, le sponsorizzazioni avvenivano spesso direttamente nei confronti di associazioni non titolari di reddito d'impresa, o di comitati occasionali, in relazione ai quali era legittimo il sospetto dell'emissione di ricevute per somme eccedenti quelle realmente percepite".

[12] In tal senso F. Dezzani, Le sponsorizzazioni nel mirino del SE.C.I.T., in Il fisco, n. 33, 1993, 8512: "La tesi del SE.C.I.T. non è applicabile alla realtà di marketing delle imprese, le quali adottano come segno distintivo del prodotto sia la ragione sociale della società che un marchio di fantasia. Ad esempio Fiat, Alfa Romeo e Lancia sono stati simultaneamente marchio di prodotto e denominazione sociale dell'impresa, come pure San Pellegrino che è marca di acqua minerale e ragione sociale dell'impresa che imbottiglia la stessa acqua minerale. Se questa è la situazione del mercato, non ha significato pratico sostenere che le spese di pubblicità hanno come oggetto il prodotto (bene o servizio), mentre le spese di rappresentanza riguardano la ditta (l'immagine o i segni distintivi dell'imprenditore: nome, ragione sociale, sigla o altro). Sovente la ditta e il marchio del prodotto coincidono, Ma anche quando la ditta e il marchio del prodotto hanno un diverso segno distintivo, la diffusione del segno distintivo della ditta agevola consistentemente la vendita del prodotto o dei servizi. Ad esempio la pubblicità "Rinascente" o "Standa" non riguarda un prodotto, ma il segno distintivo della società, la cui funzione è quella di richiamare i clienti ad effettuare gli acquisti nei punti vendita gestiti da dette catene distributive. Nel caso in oggetto, sarebbe privo di significato commerciale fare pubblicità al prodotti, che sono fabbricati da terzi, mentre ha una funzione economica fare pubblicità alla denominazione della catena distributiva, che coincide con la ragione sociale dell'impresa".

[13] Vedasi A. Giovanardi, op. cit.

[14] Risoluzione Dir. Gen. Imp. Dir. 05.11.1974, n. 2/1016 e Min. Fin. 17.06.1992, n. 9/2004.

[15] Risoluzione n. 137 dell'8 settembre 2000.

[16] Si veda anche Risoluzione n. 356/E del 14 novembre 2002.

Anche nella Circ. n. 21/E del 22 aprile 2003, a proposito delle erogazioni a favore di società sportive dilettantistiche, non superiori all'importo di 200.000 euro, considerate spese di pubblicità per il soggetto erogante si precisa che "i corrispettivi erogati devono essere destinati alla promozione dell'immagine o dei prodotti del soggetto erogante".

[17] Si veda da ultimo, in senso negativo, Cassazione, sezione V Civile, sentenza n. 22790 del 28 ottobre 2009.

[18] Il tutto viene gestito con una "contabilità separata" (art. 144, comma 2 TUIR) rispetto a quella "complessiva" dell'ente non commerciale, in modo da distinguere il settore "istituzionale" e quello "commerciale".

[19] Vedasi l'art. 74, comma 1, TUIR il quale recita "Gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, i comuni, i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demanio collettivo, le comunità montane, le province e le regioni non sono soggetti all'imposta."

[20] Art. 4, comma 5 d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, ove si precisa "ancorché esercitate da enti pubblici".

Sulla assoggettabilità ad Iva delle attività di sponsorizzazione effettuate da un ente pubblico vedasi la Risoluzione ministeriale n. 88/E dell'11 luglio 2005.

[21] Vedasi in proposito la risoluzione dell'Agenzia delle Entrate 11 luglio 2005, n. 88/E.

[22] Legge 24 dicembre 2007, n. 244.

[23] Le spese deducibili nel periodo d'imposta di sostenimento sono commisurate all'ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell'impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo in misura pari:

a) all'1,3% dei ricavi e altri proventi fino a euro 10 milioni;

b) allo 0,5% dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a 50 milioni;

c) allo 0,1% dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 50 milioni.



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