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A proposito di musei

Gli Open Air Museums come risorsa economica [*]

di Giuliano Lemme

Sommario: 1. Il paesaggio come forma di cultura e la "impresa paesaggistica". - 2. Gli open air museums: il paesaggio diviene museo. - 3. Evoluzione: il territorio come "marchio".

Open Air Museums: an economic resource
Landscape protection has long been an integral part of Italy's legislation on Heritage and Cultural Property. However, lack of funding means that we have to elaborate the feasibility of a "cultural enterprise". The article examines the concept of a "landscape enterprise", analyzing the specific case of open air museums, here seen as the mean to ideally join landscape and art in a unitary context. Finally, the article sees, as a future evolution of open air museums, the progressive attitude to consider certain territories and landscapes as a sort of trade mark, thus emphasizing their economical, as well as cultural value.

1. Il paesaggio come forma di cultura e la "impresa paesaggistica"

L'art. 131 del Codice dei beni culturali e del paesaggio definisce quest'ultimo come "il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni".

L'attuale formula è mutata rispetto a quella originaria, che parlava di "parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni". La sparizione nell'attuale testo (modificato dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 e poi dal decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63) del riferimento alla "omogeneità" non deve trarre a nostro avviso in inganno: un paesaggio, per poter essere definito tale, si caratterizza comunque per il fatto che l'Uomo lo percepisce unitariamente [1], anche se tale unitarietà percettiva non significa uniformità. In tal senso, ad esempio, il paesaggio di transizione dalla pianura padana ai rilievi appenninici, caratterizzato proprio dal rapido passaggio dalla valle ai monti, è unitario, anche se non uniforme.

Certamente, il dato caratterizzante del paesaggio è un'idea di "bello" che passa attraverso un concetto sostanzialmente individualistico, e dunque soggettivo, dell'estetica della natura [2].

Ciò che rileva nella concezione codicistica del paesaggio, tuttavia, non è tanto la dimensione individuale della percezione (che finirebbe per attribuire tutela ad ogni paesaggio, per il solo fatto che un individuo o una sparuta minoranza di individui lo apprezzino), ma il senso identitario che il paesaggio evoca. Ciò è chiarito meglio nel secondo comma dell'art. 131, ove si dice che "Il presente Codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali".

In altri termini, il paesaggio, in generale, deve avere una funzione identitaria, e tale funzione è finalizzata, dal punto di vista della tutela, alla rappresentazione "materiale e visibile dell'identità nazionale".

Questa concezione del paesaggio si distacca profondamente dal senso - originario - basato sul solo dato estetico, e derivante dalla filosofia idealistica [3]. E tale distacco è tanto più significativo e marcato, in quanto è lo stesso concetto di cultura (e, se vogliamo, anche di arte) che si è recentemente distaccato dall'idea di "bello", per enfatizzare invece il valore di espressione di identità.

Sotto questo profilo, tanto per rimanere nell'ambito del territorio prima citato, il paesaggio padano, magari avvolto nella nebbia, difficilmente può definirsi bello ricorrendo ai canoni estetici tradizionali, ma certamente ha una forte connotazione culturale in quanto espressione dell'identità di un popolo [4].

D'altro canto, la nozione di "paesaggio culturale" ha radici che precedono la redazione del Codice: il Centro per il patrimonio mondiale dell'UNESCO, infatti, lo ha definito come autonoma categoria, in quanto illustri "l'evoluzione della società e degli insediamenti umani nel corso dei secoli, sotto l'influsso di sollecitazioni e/o di vantaggi originati nel loro ambiente naturale e delle forze sociali, economiche e culturali successive, interne ed esterne" [5].

Nella concezione dell'UNESCO, possono identificarsi tre categorie di paesaggi culturali: quelli disegnati e creati intenzionalmente dall'Uomo, quelli evolutisi in modo organico, quelli associativi.

Alla prima categoria, che è quella di più agevole identificabilità, appartengono le ville ed i giardini; alla seconda appartengono i paesaggi le cui caratteristiche sono frutto di esigenze legate alla vita umana, come possono essere, ad esempio, i trulli di Alberobello; alla terza appartengono i paesaggi che nel comune sentire sono "associati" a fenomeni religiosi, artistici o culturali; un esempio di quest'ultima categoria potrebbe essere la "veduta di Turner" nel villaggio londinese di Richmond-upon-Thames.

Non ci intratteniamo oltre su queste definizioni, anche perché ciò esulerebbe dagli scopi di questo intervento; qui preme solo sottolineare come l'affermazione forte di una valenza culturale - e non solo estetica - del paesaggio ponga il problema, che già avevamo anticipato, del suo possibile sfruttamento economico (rectius, della utilizzazione economica della fruizione altrui).

Ora, se certamente vi sono delle attività imprenditoriali che si avvalgono della collocazione in un determinato contesto paesaggistico (tali sono, ad esempio, gli alberghi, ma anche gli stabilimenti balneari) l'oggetto del nostro studio è un fenomeno diverso: quello dell'impresa il cui oggetto sia la sola attività culturale legata al paesaggio, e non un'altra attività che si avvalga occasionalmente del contesto culturale. E' in questo senso che intendiamo la locuzione "impresa paesaggistica".

Tale impresa presenta alcune problematiche specifiche: quella della gestione economica, e quella del cosiddetto "impatto".

Riguardo proprio a quest'ultimo, il problema, ci sembra, è tutt'altro che banale. Come molti beni del patrimonio culturale, infatti, il paesaggio presenta apparentemente delle peculiari caratteristiche, prima fra tutte quelle della sua inconsumabilità [6]. In altri termini, se correttamente sfruttato ai soli fini culturali, il paesaggio non sarebbe soggetto a "consumo", se non nei limiti della sua evoluzione naturale.

Questa, ovviamente, è un'approssimazione, se vogliamo anche piuttosto rozza, rappresentando una situazione ideale di ben difficile realizzazione pratica. Infatti, l'intervento dell'Uomo inevitabilmente finisce per avere un impatto sul paesaggio, modificandone, spesso in senso deteriore, le caratteristiche, specie nel caso di paesaggi naturali. Ma anche per i paesaggi evolutisi in modo organico, il passaggio dalla utilizzazione spontanea da parte delle popolazioni alla fruizione ai fini culturali altera inevitabilmente non solo e non tanto le caratteristiche oggettive del paesaggio, come l'aspetto, quanto la stessa chiave di valenza culturale: il paesaggio perde dunque il significato originario e dinamico, per divenire oggetto statico di osservazione, in maniera non dissimile dall'insetto infilzato con uno spillone da un entomologo.

Lo Stato, e quella che abbiamo definito l'impresa paesaggistica, deve confrontarsi con due distinti problemi: da un lato, quello di tutelare, con gli strumenti più appropriati, la conservazione dei valori estetici e culturali del paesaggio dagli interventi "esterni" [7]; dall'altro di evitare che la stessa attività di impresa, volta a sfruttare la valenza culturale del paesaggio, ne alteri in modo irreversibile l'essenza.

2. Gli open air museums: il paesaggio diviene museo

Nell'accezione ristretta che sopra abbiamo indicato, l'esempio forse più "puro" di impresa paesaggistica è il cosiddetto open air museum (museo all'aria aperta).

Il concetto di museo all'aria aperta nasce tradizionalmente in Scandinavia alla fine del XIX secolo, venendo concepito come contestualizzazione museale delle antiche e tradizionali abitazioni in legno, la cui tecnica costruttiva veniva progressivamente abbandonata in favore di tecnologie moderne [8].

In questa accezione, l'open air museum ha essenzialmente una funzione pedagogico-illustrativa: preservare per le generazioni future testimonianze delle condizioni di vita di epoche trascorse. Ed è in questa accezione, ad esempio che si è affermato in Francia l'analogo concetto di Ecomusée [9].

In epoca più moderna, il museo all'aria aperta ha assunto significati diversi, nei quali all'elemento pedagogico è andato gradualmente sostituendosi l'elemento artistico e naturalistico.

Questo nuovo concetto di open air museum può essere sostanzialmente inteso in due modi:

a) come museo tradizionale, nel quale le opere vengano però esposte all'aperto;

b) come museo nel quale il paesaggio (inteso nella plurima accezione di paesaggio culturale) diviene esso stesso opera esposta.

E' evidente come nel secondo caso la funzione del paesaggio sia quella di divenire il protagonista del museo; ma anche nel primo, a ben vedere, il valore museale si giustifica proprio per l'inserimento in un contesto paesaggistico di opere normalmente destinate ad essere ospitate in spazi chiusi. In tal modo, si sviluppa una interrelazione tra opera umana e "opera" naturale, nel senso che entrambe mutano e si arricchiscono di significati. Ma in verità, se si ricorda la nozione contenuta nel Codice, è proprio questa una delle caratteristiche della definizione di paesaggio.

Un esempio della prima accezione di museo all'aria aperta può essere quello del Kirishima open air museum in Giappone. In un contesto paesaggistico di colline che gradualmente salgono verso la montagna, sono collocate installazioni che si inseriscono e si giustificano con la natura circostante. In questo caso, le opere sono concepite dall'artista per collocarsi nel paesaggio, che viene dunque studiato e "calcolato" per l'impatto visivo sull'opera.

Un esempio del secondo tipo può essere invece quello dell'area di Göreme in Cappadocia, nell'Anatolia centrale, dove le chiese rupestri e le formazioni geologiche naturali convivono e si sovrappongono per creare un mirabile e stupefacente connubio. In questo caso, la funzione del paesaggio è quella di "contenitore" occasionale di un intervento antropico che nasce per scopi diversi da quelli dell'esposizione artistica.

Ci si può porre, al riguardo, un problema di fondo: nel museo all'aria aperta è il paesaggio a musealizzarsi o il museo a collocarsi nel paesaggio? O in altri termini: il paesaggio è l'oggetto, o il soggetto del museo?

Entrambi gli assunti, a nostro avviso, sono veri. Il museo all'aria aperta si giustifica infatti per la compenetrazione tra elemento naturale ed elemento umano, che divengono perciò un unicum inscindibile. Dunque, il paesaggio, contestualizzato, diviene parte dell'opera artistica, la cui collocazione in diverso contesto ne muterebbe irrimediabilmente il significato [10].

Sotto questo profilo, l'open air museum rappresenta l'ideale evoluzione del concetto di patrimonio culturale, inteso, ai sensi dell'art. 2 del Codice, come unione dei due distinti concetti di bene culturale e bene paesaggistico; concetti, che d'altra parte, sono stati giustamente ricondotti ad una superiore unità stante l'indubbia contiguità delle ragioni della tutela accordata dalla legge [11].

Non è inutile ricordare, a questo proposito, che paesaggio e patrimonio storico-artistico sono posti sullo stesso piano nell'art. 9 della Costituzione, il quale accorda ad essi una funzione sostanzialmente unitaria [12].

Di più: come è noto, una delle caratteristiche che distinguono, già nel disegno costituzionale, la cultura ed il paesaggio, è quella della differente funzione di promozione nel caso della prima, di tutela nel caso del secondo. Apparentemente, dunque, la cultura riceve una tutela di tipo dinamico, il paesaggio -così come il patrimonio storico ed artistico esistente - di tipo statico.

Parliamo peraltro di apparenza, perché, a ben vedere, la Costituzione - ed ancor più il Codice - non intendono aspirare ad una pura e cieca difesa dell'esistente, come era nella disciplina precedente, ma introducono piuttosto il concetto di "pianificazione del mutamento" [13]. Si prende infatti atto della circostanza che l'intervento umano, se correttamente indirizzato dalla autorità pubbliche, può arricchire il paesaggio e contribuire ad aumentarne il grado di fruibilità.

Dunque, anche sotto questo aspetto, l'open air museum costituisce una mirabile occasione di compenetrazione tra tutela e valorizzazione del bene paesaggistico, del quale enfatizza la valenza culturale nell'ottica della massimizzazione del grado di fruibilità da parte dei cittadini.

3. Evoluzione: il territorio come "marchio"

Dal punto di vista economico, l'impresa che gestisca un open air museum presenta gli stessi profili di criticità dell'impresa museale tradizionale.

Questa, infatti, presenta rilevanti distinte peculiarità rispetto all'impresa tradizionale, dovendo scontare una scarsa o nulla redditività, unita a costi di gestione elevatissimi: un problema la cui soluzione ha appassionato ed appassiona tutti coloro che si occupano di diritto ed economia della cultura [14].

Tuttavia, nel chiudere questo intervento, vogliamo fare almeno un cenno ad un altro aspetto, che potrebbe costituire una delle nuove "frontiere "del rapporto tra cultura, paesaggio ed impresa: l'affermarsi di un concetto di territorio come marchio.

Vi sono infatti numerosi casi nei quali un determinato territorio viene ad assumere una valenza culturale distintiva ed autonoma in virtù dell'associazione tra caratteristiche fisiche del paesaggio, insediamenti umani, enogastronomia [15].

In questi casi, il nome del territorio viene ad indicare non solo i suoi confini, ma l'insieme di queste caratteristiche, che nell'immaginario collettivo finiscono per assumere la valenza di un vero e proprio "prodotto".

Da questo punto di vista, il territorio finisce per essere quasi dotato di un "marchio", che lo contraddistingue verso l'esterno.

Se una tale configurazione può essere vera su un piano descrittivo, certamente pone dei problemi dal punto di vista giuridico, atteso che il marchio, che come è noto è il segno distintivo del prodotto o del servizio dell'impresa, presuppone l'esistenza di quest'ultima, e dunque dell'imprenditore; mentre evidentemente, se è un intero territorio ad essere identificato con un marchio, dietro ad esso non vi sarà un singolo imprenditore.

Si badi bene: non bisogna confondere la problematica qui posta con quella dell'indicazione geografica, la quale, come previsto dall'art. 29 del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà intellettuale) identifica "un paese, una regione o una località". In quel caso, infatti, la denominazione identifica uno specifico prodotto di quel territorio (un vino, un formaggio ecc.) e non l'intero territorio come "prodotto" unico.

In altri termini, per fare un esempio pratico: se parlo di "Chianti" posso parlare di un vino, ed in questo caso uso una denominazione d'origine; ma posso anche parlare del territorio collinare esteso tra le province di Siena e Firenze, caratterizzato dalla presenza di borghi medievali, filari di viti, piante di cipresso, cultura enologica avanzata, nel qual caso mi riferisco a qualcosa di diverso.

Ebbene, se questo qualcosa viene percepito non come un luogo, ma come l'insieme delle caratteristiche e dei prodotti di quel luogo, abbiamo un qualcosa di molto simile, per l'appunto, ad un prodotto ed al relativo marchio. Un prodotto ed un marchio, però, senza una impresa tradizionale cui possa riferirsi.

In questo caso, dunque, le caratteristiche del paesaggio (e più precisamente, del paesaggio culturale) ne rendono più immediata e concreta la possibilità di gestione economica. Un territorio come quello del Chianti, così caratterizzato nelle caratteristiche fisiche ed in quelle derivanti dall'apporto umano, è un concreto esempio di un possibile, futuro sviluppo del concetto di open air museum: non semplicemente una struttura creata come impresa museale, ma un paesaggio vivente, a priori non delimitato fisicamente, fatto per essere oggetto di visita turistica e di vita quotidiana. Ed allo sfruttamento di tale paesaggio, sia pure in senso metaforico, può sovrintendere una sorta di impresa, formata da tutti i soggetti che operino economicamente nell'ambito di quel territorio, e si avvantaggino del suo "marchio": cittadini, imprese, enti locali, pubbliche amministrazioni.

Ecco dunque che il legame con il territorio, cui accennavamo parlando dei modi di finanziamento delle imprese culturali (specie di quelle museali) diviene qualcosa di ulteriore e di diverso, contribuendo ad uno sviluppo economico legato alle caratteristiche dello stesso territorio e del relativo paesaggio, che faccia leva sulle sinergie tra i suoi vari aspetti.

Colta in questa prospettiva - solo parzialmente provocatoria - quella culturale diviene un'impresa che non solo abbandona la schematicità tradizionale del suo oggetto, ma diviene, finalmente, economicamente redditizia.

Ovviamente, la tutela organica del territorio (e, dunque, non solo del paesaggio, ma dell'insieme delle caratteristiche ulteriori cui lo stesso viene associato) diverrà una esigenza ancora più pressante, proprio per preservare le caratteristiche del "prodotto". Ma sulle forme e gli sviluppi futuri che questa tutela dovrà assumere lasciamo che si pronuncino, con ben altra competenza, gli Studiosi del diritto amministrativo.

 

 

Note

[*] Estratto dalla relazione per il Seminario annuale della Summer School Diritto e Paesaggio, Castelnuovo Berardenga, 2 aprile 2008.

[1] Nella relazione illustrativa al d.lg. 63/2008 si specifica che la nozione di paesaggio risulta sia dalla commistione di una accezione geografica e di una percettivo-soggettiva.

[2] Si veda in proposito S. Civitarese Matteucci, Commento all'art. 131, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, Bologna, 2004.

[3] V. anche D. Antonucci, Codice commentato dei beni culturali e del paesaggio, Napoli, 2009, pag. 570.

[4] Nello stesso senso si può citare la tutela delle abitazioni rurali, ai sensi della legge 24 dicembre 2003, n. 378.

[5] Dal Regolamento per l'attuazione della Convenzione sul Patrimonio mondiale.

Sui paesaggi culturali v. A. Anselmo, I siti UNESCO: tutela e gestione dei paesaggi culturali, in Gazz. ambiente, n. 5/2007, pp. 143 ss.; della stessa A. v. anche Il paesaggio dal regime sanzionatorio alla partecipazione democratica, in Gazz. ambiente, 5/2004, pp. 87 ss.

[6] O almeno, della non consumabilità direttamente dovuta alla contemplazione.

[7] Tra gli strumenti di tutela più importanti vi sono i piani paesaggistici, sui quali rimandiamo a S. Amorosino, Commento all'art. 143, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit.

[8] Nel 1881, il Re Oscar II di Norvegia inaugurò ad Oslo un museo formato di abitazioni tradizionali in legno ricostruite nella capitale.

Analoga operazione è stata compiuta, ma su scala ben più imponente, con il museo dei Cloisters a New York, nel quale chiostri medievali europei sono stati smontati e ricostruiti a Fort Tyron Park, Manhattan, creando un contesto vagamente surreale, dovuto non solo alla differenza del paesaggio rispetto alle collocazioni originarie, ma anche al fatto che le costruzioni, anziché essere adiacenti ad una chiesa o ad un'abbazia, sono poste a stretto contatto l'una con l'altra.

E' significativo il fatto che la collocazione è deliberatamente volta a creare uno spazio artistico-paesaggistico totalmente difforme da quello originario: nelle parole della presentazione presente sul sito del museo, "The result is not a copy of any particular medieval structure but an ensemble of spaces, rooms, and gardens that provide a harmonious and evocative setting in which visitors can experience the rich tradition of medieval artistic production. Just as cloisters provided sheltered access from one building to another within a monastery, here they act as passageways from gallery to gallery. They provide as inviting a place for rest, contemplation, and conversation as they did for their original monastic population".

[9] Si veda, ad esempio, il sito dell'Ecomusée d'Alsace, probabilmente il più importante della Francia.

[10] Un esempio potrebbero essere le opere scultoree di Henry Moore, concepite dall'Artista in funzione del contesto ove dovevano essere collocate.

[11] Sul punto, si veda, ad es., Cons. Stato, 3 luglio 2002, n. 3633, che ha stabilito come l'interesse archeologico di un territorio debba comportare il suo assoggettamento alla tutela paesistica, indipendentemente dal carattere estetico dell'area.

[12] M. Cecchetti, Commento all'art.9, in Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Torino, 2007, pp. 200 ss.; v. anche M. Fiorillo, Le attività culturali, in Ainis e Fiorillo, L'ordinamento della cultura, Milano, 2003, pag. 171.

[13] A. Predieri, voce Paesaggio, in Enc. dir., XXXI, Milano, 1981, pag. 511. Sul problema della dinamicità della valorizzazione e tutela del paesaggio v. anche G. Severini, La valorizzazione del paesaggio, in AA.VV, Urbanistica e paesaggio, a cura di Cugurra, Ferrari e Pagliari, Milano, 2006; S. Amorosino, I poteri legislativi ed amministrativi di Stato e regioni in tema di tutela e valorizzazione del paesaggio, in Riv. giur. edilizia, 7, II, pp. 135 ss.

[14] All'impresa culturale la rivista Analisi Giuridica dell'Economia ha dedicato il fascicolo 2 del 2007, curato da Giorgio Meo ed Antonio Nuzzo. Ci permettiamo anche di rinviare al nostro Appunti di diritto ed economia della cultura, Roma, 2009.

[15] Gli esempi più immediati, in questo senso, sono l'area del Chianti ed i "fiumi del vino" francesi (Loira, Rodano, Garonna).

 



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