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Corte di Cassazione, Sezione unite civili

Ordinanza 27 maggio 2009, n. 12252

 

(omissis)

1. Novamusa s.p.a., in proprio e quale mandataria dell'ATI aggiudicataria della concessione di servizi aggiuntivi, all'interno di beni di interesse culturale ed artistico in Sicilia a norma degli artt. 112 e 113 d.lg. n. 490/1999, presentava al Tar Sicilia, sede di Palermo tre ricorsi nei confronti della regione Sicilia, Assessorato dei beni culturali ed ambientali e Pubblica Istruzione, in riferimento alle analoghe concessioni in provincia di Messina, Trapani, Siracusa e Ragusa.

La ricorrente faceva presente che aveva diffidato le amministrazioni concedenti per la mancata consegna di spazi idonei all'interno dei siti culturali e per la mancata stipulazione delle convenzioni accessorie; che l'amministrazione l'aveva diffidata ad adempiere agli obblighi assunti ed al pagamento dei canoni, minacciando la decadenza dalle concessioni; che essa aveva eccepito l'inadempimento della p.a.; che aveva richiesto al Tar l'annullamento degli atti di diffida; che fosse dichiarata legittima la sua eccezione di inadempimento; che fosse accertata la decorrenza delle concessioni dalla consegna degli spazi all'interno dei siti culturali e l'obbligo della p.a. di pagare i lavori da essa stessa deliberati; che fosse determinato il corrispettivo per la vendita di biglietti, previa dichiarazione di nullità della clausola della normativa di gara e della concessione.

A fronte dell'eccezione di difetto di giurisdizione del GA, avanzata dall'amministrazione, la ricorrente proponeva tre regolamenti preventivi di giurisdizione.

Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Ritengono queste S.U. che vada rigettata la richiesta del P.G. di rinnovazione della notificazione del ricorso, a norma dell'art. 291 c.p.c. per essere stata la stessa effettuata presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato in Palermo e non presso l'Avvocatura Generale dello Stato in Roma.

L'art. 11 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, come modificato, statuisce che "Tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, o innanzi agli arbitri devono essere notificati alle amministrazioni dello Stato presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona che le rappresenta secondo le norme organiche.
Ogni altro atto giudiziale e le sentenze devono essere notificati presso l'ufficio dell'Avvocatura dello stato nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria presso cui pende la causa o che ha pronunciato la sentenza.
Le notificazioni di cui ai comma precedenti devono essere fatte presso la competente Avvocatura dello Stato a pena di nullità da pronunciarsi anche d'ufficio." La Corte cost. ha dichiarato costituzionalmente illegittimo tale articolo nella parte i cui esclude la sanatoria della nullità della notificazione (Corte cost. n. 97/1967).

Secondo l'orientamento costante di questa Corte il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione va necessariamente notificato all'Avvocatura Generale dello Stato in Roma e non presso l'Avvocatura distrettuale, svolgente la difesa nel giudizio di primo grado.

Ritengono queste S.U. che vada rivisitato tale orientamento, dovendo affermarsi, in relazione al solo ricorso per regolamento di giurisdizione, che lo stesso possa notificarsi sia presso la sede dell'Avvocatura distrettuale del giudizio di primo grado sia presso l'Avvocatura generale dello Stato.

2.2. Osserva questa Corte che l'istanza di regolamento di giurisdizione non costituisce un mezzo di impugnazione (così Cass. S.U. 5 marzo 2008, n. 5924; 22 ottobre 2007, n. 22059), ma uno strumento apprestato per consentire alle parti di ottenere, già nel corso del giudizio di primo grado, una pronuncia definitiva sulla giurisdizione, al fine di evitare un inutile dispendio di attività processuale: il suo carattere necessariamente preventivo, ribadito e accentuato dalla riforma del processo civile attuata con la legge 26 novembre 1990, n. 353, implica che la proponibilità del regolamento è subordinata alla condizione che la causa non sia stata ancora decisa, non soltanto nel merito, ma neppure su questioni puramente processuali, comprese quelle attinenti alla giurisdizione (cfr. Cass. S.U. 2 luglio 2007, n. 14952).

Alla luce di questa essenziale natura dell'istituto va letto il rinvio contenuto nell'art. 41 c.p.c., il quale dispone che "l'istanza si propone con ricorso a norma degli artt. 364 c.p.c. e segg.": rinvio da ritenere operante, pertanto, nei limiti della compatibilità.

In effetti, la giurisprudenza di questa Corte è univocamente orientata nel senso che non tutte le norme e i principi che disciplinano il giudizio di cassazione siano estensibili al regolamento di giurisdizione.

Da un lato, si è optato per la loro applicabilità, relativamente ai requisiti della procura alla lite (Cass. S.U. 11 aprile 2006, n. 8371), alle conseguenze della mancata richiesta di trasmissione del fascicolo di ufficio (Cass. S.U. 21 settembre 2006, n. 20504), alla necessità che il ricorso contenga sia l'indicazione delle parti (Cass. S.U. 14 dicembre 1983, n. 7373) sia l'esposizione sommaria dei fatti di causa (Cass. S.U. 20 ottobre 2000, n. 112 9), alle forme e ai termini del controricorso (Cass. S.U. 11 febbraio 2002, n. 1945) e del ricorso incidentale (Cass. S.U. 22 dicembre 2003, n. 19667), al litisconsorzio necessario (Cass. S.U. 9 dicembre 2004, n. 22990), agli effetti "panprocessuali" della decisione (Cass. S.U. 11 aprile 2006, n. 8371).

D'altro canto, si è però ritenuto che il ricorso per regolamento preventivo può essere proposto anche da chi sia parte nel giudizio di merito come semplice interventore adesivo (Cass. S.U. 18 novembre 1989, n. 4946), che l'istanza può essere ripetuta, anche quando già sia stata dichiarata inammissibile (Cass. S.U. 4 novembre 1996, n. 9533) o improcedibile (Cass. S.U. 17 ottobre 2002, n. 14767); che non sono necessari i quesiti di diritto (Cass. S.U. 5 marzo 2008, n. 5924; 22 ottobre 2007, n. 22059); che nel procedimento è consentita la produzione di documenti "nuovi" (Cass. S.U. 19 maggio 2004, n. 9532), che la questione di giurisdizione può essere decisa, se è stata comunque sollevata dal controricorrente, sia pure senza proposizione di ricorso incidentale, anche nel caso di rinuncia all'istanza (Cass. S.U. 9 marzo 1990, n. 1923) o di sua inammissibilità (Cass. S.U. 24 ottobre 2006, n. 22828), che possono essere dedotti ed esaminati anche profili diversi da quelli originariamente delineati nel ricorso (Cass. S.U. 20 luglio 1983, n. 4992)

Si è inoltre deciso che il ricorrente (il quale può essere anche l'attore, interessato a dirimere con immediatezza ogni eventuale dubbio in ordine all'esattezza della propria scelta circa l'autorità giudiziaria cui compete la cognizione della controversia: Cass. S.U. 21 settembre 2006, n. 20504), può limitarsi a chiedere che la Corte di cassazione statuisca sulla giurisdizione, sicché "non ha l'onere di indicare quale sia, a suo avviso, il giudice nella cui sfera giurisdizionale rientri la controversia e neppure di enunciare i motivi che sorreggono la sua richiesta" (Cass. S.U. 20 aprile 2005, n. 8212; 9 dicembre 2004, n. 22990, 20 ottobre 2000, n. 1129)

2.3. Esaminando il primo comma dell'art. 11 del r.d. n. 1611/1933, emerge che le citazioni, i ricorsi e qualsiasi atto di opposizione ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizio devono essere notificati all'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa. Ciò vale sia per l'atto introduttivo del giudizio in primo grado che del giudizio di impugnazione, in quanto la disposizione attiene agli atti che introducono o il giudizio o, quanto meno, una fase dello stesso.

Il regolamento preventivo è, invece, un procedimento incidentale ed eventuale che sorge all'interno del giudizio di primo grado in corso e non attiene ad una domanda ma ad una questione (quella di giurisdizione).

Il regolamento è introdotto con istanza, sia pure secondo le forme e le modalità del ricorso.

Sulla base di queste considerazioni sulla natura e funzioni del regolamento di giurisdizione, consegue che la notifica dell'istanza di regolamento va fatta con le modalità di cui al secondo comma dell'art. 11 r.d. n. 1611/1933 c.c., e quindi presso l'Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria presso cui pende la causa, trattandosi non di un atto introduttivo di un giudizio o di una fase di esso, ma di un "atto giudiziale" relativo alla questione di giurisdizione nel giudizio pendente in primo grado ed oggetto dell'attività difensiva di una individuata Avvocatura distrettuale.

Sarà - poi - quell'ufficio periferico dell'Avvocatura dello Stato a rimettere il ricorso all'Avvocatura generale dello Stato, abilitata al patrocinio in cassazione sulla base delle norme che regolano i rapporti tra uffici dello stesso organismo.

2.4. Ciò non esclude che, valorizzando il momento formale della modalità di presentazione dell'istanza di regolamento, costituito dal ricorso proposto a norma dell'art. 41, la notifica dello stesso possa anche validamente effettuarsi a norma del comma 1 dell'art. 11 del r.d. n. 1611/1933, presso l'Avvocatura generale dello Stato.

La possibilità suddetta di notificare alternativamente l'istanza di regolamento preventivo, contenuta nel ricorso, in uno dei due luoghi previsti dal citato art. 11 del r.d. n. 1611/1933, costituisce applicazione del principio della ragionevole durata del processo, in base al quale vanno ridotte all'essenziale le ipotesi di nullità per vizi formali ed ampliata la doverosa collaborazione tra giudicante e procuratore costituito, in funzione di una sollecita definizione della controversia, secondo i principi già affermati da queste S.U. (15 dicembre 2008, n. 29290; cfr. anche Cass. S.U. n. 3118/2006)

3.1. Passando al merito della questione di giurisdizione va osservato che il problema che si pone è se, con riferimento alle concessioni da parte dell'amministrazione ad imprese private, di "servizi aggiuntivi" da svolgersi presso luoghi di interesse culturale ed artistico, integrati dalla prestazione del servizio di biglietteria, ex artt. 112 e 113 d.lg. n. 490/1999, la domanda avanzata dall'ATI, volta all'accertamento di inadempimenti dell'Amministrazione, annullamento di atti di diffide e condanna all'adempimento ed al risarcimento del danno, si appartenga alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, trattandosi di concessione di pubblici servizi, ai sensi dell'art. 33 del d.lg. n. 80/1998, come modificato da Corte cost. n. 204/2004, o alla giurisdizione ordinaria, trattandosi di controversia relativa alla fase esecutiva di un contratto di appalto di pubblici servizi.

3.2. I servizi aggiuntivi nell'ambito delle norme disciplinatrici dei beni culturali si devono alla scelta innovativa del d.l. n. 433 del 1992 (convertito in legge n. 4 del 1993, c.d. legge Ronchey). Questi servizi aggiuntivi sono stati individuati (art. 4) in un ventaglio di apposite attività di assistenza agli utenti dei siti culturali o museali e consistenti in servizi editoriali, vendita di riproduzioni di beni culturali, realizzazione di materiale informativo, beni librari archivistici, servizi di caffetteria, ristorazione e di guardaroba.

Sia la legge che il regolamento a tale legge del 1994 parlavano di "concessione di servizio" relativamente all'affidamento a terzi di tali servizi aggiuntivi e, dopo aver chiarito l'ammissibilità alla procedura di tutti i soggetti, pubblici o privati che esercitano attività di impresa e l'ammissibilità della licitazione privata, ha operato un espresso richiamo alla disciplina attuativa delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici di servizi.

Tale richiamo alla disciplina sugli appalti pubblici, ai fini della scelta del tipo di procedimento di evidenza pubblica è stato effettuato anche nei vari provvedimenti successivi, (ad eccezione del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lg. n. 42 del 2004).

L'art. 113 del T.U. n. 490/1999 statuiva che "1. I servizi indicati all'articolo 112 (servizi aggiuntivi, definiti di assistenza culturale e di ospitalità) possono essere affidati in concessione a privati, qualora risulti finanziariamente conveniente e i servizi medesimi non possano essere assicurati mediante le risorse umane e finanziarie dell'amministrazione.
2. Le concessioni per i servizi previste al comma 1 possono essere integrate, ai fini di una gestione comune, con l'affidamento dei servizi di pulizia e di vigilanza e biglietteria.".

L'art. 115 del d.lg. n. 42 del 22 gennaio 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) indica all'art. 117 i suddetti servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico e, quindi rinvia al precedente articolo per la gestione.

Tale articolo 115 del codice statuisce che questi servizi possono essere gestiti dalla amministrazione in forma diretta o indiretta. Ove sia stata scelta la gestione indiretta, il comma 3 statuisce: "3. La gestione indiretta è attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, da parte delle amministrazioni cui i beni appartengono o dei soggetti giuridici costituiti ai sensi dell'articolo 112, comma 5, qualora siano conferitari dei beni ai sensi del comma 7, mediante procedure di evidenza pubblica, sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti.
6. Nel caso in cui la concessione a terzi delle attività di valorizzazione sia attuata dai soggetti giuridici di cui all'articolo 112, comma 5, in quanto conferitari dei beni oggetto della valorizzazione, la vigilanza sul rapporto concessorio è esercitata anche dalle amministrazioni cui i beni appartengono. L'inadempimento, da parte del concessionario, degli obblighi derivanti dalla concessione e dal contratto di servizio, oltre alle conseguenze convenzionalmente stabilite, determina anche, a richiesta delle amministrazioni cui i beni appartengono, la risoluzione del rapporto concessorio e la cessazione, senza indennizzo, degli effetti del conferimento in uso dei beni.".

3.3. Il problema che si pone nella fattispecie ai fini del riparto della giurisdizione è accertare la natura dell'affidamento a terzi dei servizi aggiuntivi negli istituti e luoghi di cultura di appartenenza pubblica.

Esaminando nella loro essenzialità i servizi aggiuntivi, si rileva che essi costituiscono una modalità, un completamento della fruizione del bene culturale. L'amministrazione, cui il bene culturale appartiene, ammettendo il pubblico alla sua fruizione eroga agli utenti un servizio, non diverso da quello dell'istruzione. Trasferendo al privato la messa a disposizione (degli utenti) di servizi, integrativi di quello della fruizione del bene culturale e che potrebbe rendere la stessa p.a., concede il pubblico servizio al privato terzo. Sulla base di tale considerazioni si deve ritenere che trattasi di concessione di pubblici servizi, senza confondere le regole disciplinatrici del procedimento di scelta del contraente, con quelle di qualificazione dell'oggetto e della natura del contratto.

Sennonchè in dottrina sono state prospettate tre ipotesi: quella dell'appalto pubblico di servizi, quella della concessione di beni pubblici e quella della concessione di servizi pubblici.

3.4. Stante la parziale illegittimità costituzionale del d.lg. n. 80 del 1998, art. 33, come modificato dalla legge n. 205 del 2000, art. 7, dichiarata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204 del 2004 (rilevante, nella specie, per la naturale retroattività delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale), le controversie relative a concessioni di pubblici servizi sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva, eccezion fatta però per quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, secondo un criterio di riparto della giurisdizione già presente nella legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, prima delle modifiche apportate con il suddetto art. 33 (in tal senso, tra le altre, Cass. S.U. 6 luglio 2005, n. 14198; 20 novembre 2007, n. 24012; 19 maggio 2008, n. 12640)

Nell'ipotesi di appalto di pubblico servizio, con orientamento formatosi anteriormente alla sentenza n. 204/2004 della Corte costituzionale e confermato successivamente, queste Sezioni Unite hanno affermato che in materia di appalti pubblici sono devolute 'alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie concernenti la procedura di affidamento dell'opera in quanto attinenti alla fase pubblicistica dell'appalto, mentre spettano alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative alla fase esecutiva in quanto investono i diritti e gli obblighi derivanti dal contratto (ex plurimis Cass. S.U. 4 febbraio 2005, n. 2002; 7 marzo 2008, n. 6171)

3.5. Quindi nella fattispecie, se si trattasse di appalto pubblico di servizi, sussisterebbe la giurisdizione del giudice ordinario, non investendo la questione la scelta del contraente e la procedura di affidamento, mentre nell'ipotesi di concessione, essendo stati richiesti l'annullamento di atti della p.a. concedente, l'accertamento di suoi inadempimenti ed il risarcimento dei danni, la giurisdizione si apparterrebbe, in via esclusiva, al giudice amministrativo.

4.1. Una parte minoritaria della dottrina ha ritenuto che la fattispecie dei servizi aggiuntivi potesse inquadrarsi nell'ambito della concessione di beni pubblici, attesa la natura giuridica dei luoghi dove tali servizi vengono espletati, e cioè locali appartenenti a musei, monumenti, aree archeologiche. Si tratterebbe della concessione di un bene pubblico, strumentale alla prestazione di servizi.

La tesi non è condivisibile, poiché l'affidamento a terzi dei servizi aggiuntivi attiene ad attività che la p.a. concedente assume ex ante nella propria titolarità e responsabilità. Ciò comporta che il vero oggetto della prestazione è appunto l'erogazione all'utenza dei servizi. In tale prospettiva il conferimento in uso al concessionario di locali o spazi di beni pubblici è solo strumentale al facere che gli è richiesto, in un rapporto tra risorse (beni) ed obiettivi (servizi). La p.a. non si disinteressa dell'uso del bene da parte del concessionario, in quanto questi viene obbligato a perseguire uno scopo che la legge ha già posto a carico dell'amministrazione.

5.1. La dottrina maggioritaria e la prevalente giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. V, 8 novembre 1995, n. 1532), che si sono formate fino all'entrata in vigore del codice (d.lg. n. 42/2004), hanno sostenuto la natura dell'affidamento a terzi dei servizi aggiuntivi, come contratto di appalto di servizi.

E' stato sostenuto ciò, nonostante che la contraria lettera della legge (art. 4 legge n. 433/1992; d.m. n. 171/1994; art. 47-quater d.l. 41/1995; d.m. n. 139/1997; art. 112 e 113 d.lg. n. 490/1999) facesse riferimento al rapporto di "concessione" e qualificava l'affidatario come "concessionario", sul rilievo che la norma stessa (da ultimo art. 113 del d.lg. n. 490 del 1999) stabiliva che fosse effettuato "l'affidamento in concessione a norma delle vigenti disposizioni in materia di appalti di servizi".

Solo con il successivo art. 115 del codice di cui al d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 è stato espunto ogni riferimento alle norme sull'appalto, richiedendosi solo l'adozione di procedure di evidenza pubblica.

4.1. Sennonchè anzitutto va osservato che il legislatore costantemente ha sempre affermato nei vari provvedimenti legislativi che si sono susseguiti che tale affidamento della gestione a terzi dei servizi aggiuntivi (poi detti di assistenza culturale e di ospitalità) avveniva tramite "concessione a terzi".

Tali terzi sono stati espressamente qualificati come concessionari.

A parte il rilievo che appare ben strano che il legislatore in presenza di un contrasto dottrinale in merito alla natura dell'affidamento in questione continui a qualificarlo come concessione, se egli non avesse voluto tale natura, va osservato che il riferimento relativo all'appalto attiene esclusivamente alla sola scelta del tipo di procedimento di evidenza pubblica da esperire per l'affidamento.

In ogni caso l'orientamento suddetto non può essere accolto sulla base di un'interpretazione dell'ordinamento interno adeguatrice alla legislazione comunitaria.

Non appare, infatti, revocabile in dubbio la primazia della formazione di livello comunitario in materia di pubblici servizi rispetto alle corrispondenti previsioni degli ordinamenti dei singoli Stati membri.

4.2. Prima la direttiva 95/50/CE e poi la nuova direttiva unificata 2004/18/CE hanno fornito una precisa definizione di appalto pubblico di servizi e di concessione di servizi.

L'art. 1 della direttiva n. 2004/18/CE, stabilisce che "Gli appalti pubblici sono contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici ed una o più amministrazioni aggiudicatrici, aventi ad oggetto l'esecuzione dei lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva".
"La concessione di servizi è invece un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo".

4.3. Come è stato chiarito dalla Commissione Europea (in "Comunicazioni interpretative sulle concessioni nel diritto comunitario" del 12 aprile 2000, in GUCE del 29 aprile 2000), dalla giurisprudenza della CGCE (sentenza 13 ottobre 2005, Parking Brixen GmbH, C-458-03), da una parte della giurisprudenza amministrativa italiana (Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2002, n. 2294; sez. VI, 15 maggio 2002, n. 2634), e da una parte della dottrina, ai fini dell'ordinamento comunitario la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi (per il resto accomunati sia dall'identica qualificazione in termini di "contratti" che dall'omologia dell'oggetto materiale dell'affidamento) è netta, poiché l'appalto pubblico di servizi, a differenza della concessione di servizi riguarda di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comporta il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione, ed infine non determina, in ragione delle modalità di remunerazione, l'assunzione del rischio di gestione da parte dell'affidatario. In relazione a quest'ultimo punto va osservato che se l'amministrazione non paga alcun prezzo, deve escludersi che possa configurarsi un appalto di servizi ai sensi del diritto comunitario.

4.4. Nella fattispecie l'amministrazione concedente dei "servizi aggiuntivi" non corrisponde alcun prezzo all'affidatario per l'erogazione ed anzi accade l'opposto. Come nella fattispecie, è l'affidatario che deve pagare all'amministrazione per il solo fatto di aver ottenuto la gestione dell'erogazione dei servizi in favore dei visitatori/utenti dell'istituto o del luogo di cultura, a dover pagare "un canone di concessione" (così definito anche dall'art. 117, comma 5, d.lg. n. 42/2004).

Inoltre il concessionario generalmente eroga a pagamento i servizi nei confronti dei visitatori. I costi, quindi, sono accollati dal concessionario e riversati sugli utenti. L'unica controprestazione dell'amministrazione è il trasferimento al privato del diritto di gestire il servizio.

4.5. La configurazione della fattispecie, in chiave comunitaria, come "concessione di servizio", non comporta automaticamente che sia risolto il diverso problema che trattasi di concessione di pubblico servizio, per quanto vi sia una certa tendenza ad assimilare i due concetti.

Seguendo i criteri fissati dalla più recente dottrina in tema di requisiti del "servizio pubblico" deve ritenersi che gli stessi sussistano nella fattispecie dei "servizi aggiuntivi".

Infatti sussiste: a) l'imputabilità e la titolarità del servizio in capo alla p.a., imposta all'Ente pubblico ex lege; b) la destinazione del servizio alla soddisfazione di esigenze della collettività; c) la predisposizione da parte della p.a. di un programma di gestione, vincolante anche per il privato incaricato di erogare il servizio, con obblighi di condotta e livelli di qualità, d) il mantenimento in capo alla p.a. di poteri di indirizzo, vigilanza ed intervento, perché il servizio venga assicurato dal gestore all'utenza nel rispetto del programma. Inoltre l'istituzione da parte della p.a. dei servizi aggiuntivi negli istituti e nei luoghi di cultura sono espressione dell'attività di "valorizzazione" dei beni culturali, ex artt. 111 e 112, d.lg. n. 42/2004.

4.6. Quindi la scelta del legislatore di qualificare sempre (nei vari provvedimenti normativi susseguitisi dal 1994) l'affidamento in questione come concessione di servizi aggiunti, non costituiva, come pure era stato ritenuto, un "errore" del legislatore, ma una specifica volontà coerente con la struttura di tali servizi. Non può condividersi l'assunto, pure sostenuto, secondo cui sussisterebbe la natura di concessione solo nell'ipotesi che tali servizi vengano concessi con un unico affidamento integrale, e non con affidamenti segmentati: infatti la qualità giuridica di un'attività non può cambiare sulla base della sua quantità.

4.7. Neppure è rilevante il fatto che il legislatore, prima del d.lg. n. 42/2004 nel disciplinare il procedimento di evidenza pubblica da esperire per l'affidamento dei servizi aggiuntivi, abbia rinviato alle norme in materia di appalti pubblici di servizi.

A parte il rilievo che tale rinvio alla disciplina di affidamento agli appalti è venuto meno dal 2004, va osservato che il procedimento di evidenza pubblica da esperire per l'affidamento di concessioni di servizi, infatti, non è oggetto (a differenza di quello che accade per gli appalti pubblici) di un'espressa formazione comunitaria tradotta in specifiche disposizioni a livello nazionale.

L'affidamento a terzi delle concessioni di servizi è assoggettato esclusivamente al rispetto dei principi base di pubblicità, trasparenza, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e non discriminazione.

Tuttavia proprio in considerazione della lacuna normativa a livello comunitario nel settore della concessione di servizi, nulla vietava al legislatore nazionale di intervenire "estendendo anche alle concessioni", le regole procedimentali di affidamento dettate per altri istituti.

Proprio questo era accaduto fino all'adozione del codice di cui al d.lg. n. 42/2004, che ha espunto il riferimento alla procedura degli appalti e si è limitata a richiedere l'affidamento con procedura di evidenza pubblica. Pur modificata la procedura di affidamento, nei termini detti, l'istituto della concessione dei servizi aggiuntivi è rimasto identico nella sostanza.

4.8. Neppure può condividersi l'obiezione secondo cui per i servizi aggiuntivi mancherebbe il requisito della doverosità, coessenziale alla natura dei servizi pubblici, in quanto si tratterebbe di servizi aggiunti, rappresentanti un elemento accessorio e facoltativo.

Come è stato rilevato da attenta dottrina, la doverosità, come attributo dei servizi pubblici non si identifica necessariamente con l'obbligatorietà dell'istituzione dei medesimi. E' a pieno titolo pubblico un servizio, anche se la legge consente ad un ente di decidere se e quando istituirlo, considerando la natura e l'intensità dei bisogni degli utenti.

4.9. Nella logica dell'appalto di servizi la p.a. assume la veste dell'acquirente di determinate utilitates dal venditore. Il rapporto è strutturalmente a due anche allorchè l'amministrazione si serve del proprio fornitore per espletare una prestazione in favore di terzi; ma la prestazione è stata pattuita esclusivamente con la p.a. che paga il corrispettivo all'appaltatore, anche se queste esegue la prestazione a terzi indicati dalla p.a. (ad es. raccolta dei rifiuti porta a porta da parte di un appaltatore del servizio di raccolta di r.s.u.). In questo istituto è la p.a. che paga il fornitore del servizio.

Nella concessione di pubblici servizi un imprenditore è chiamato dalla p.a. a fare ciò che la stessa amministrazione, in sua assenza farebbe in prima persona contrattando direttamente con l'utente e facendosi dallo stesso pagare un prezzo.

In questo istituto è generalmente l'imprenditore concessionario che paga "un canone di concessione" alla p.a.

5.1. Per quanto riguarda il lato del rapporto attinente alle relazioni giuridiche tra la pa. ed il concessionario, nelle concessioni di pubblici servizi, come negli accordi di diritto pubblico in generale, permangono in capo all'amministrazione potestà pubblicistiche, mentre nulla di simile ricorre nei contratti di diritto privato, anche se stipulati a seguito di procedura ad evidenza pubblica. Trattasi di esercizio di potestà amministrative, estrinsecantesi, in quanto atti unilaterali in provvedimenti, ma si tratta anche di poteri che sussistono indipendentemente da ogni previsione pattizia, in particolare nella fase di esecuzione, modificazione ed estinzione del rapporto.

5.2. Nella fattispecie, quindi, il rapporto che lega la ricorrente alla pubblica amministrazione, avente ad oggetto detti servizi aggiuntivi, di cui agli artt. 112 e 113 d.lg. n. 490/1999) integra una concessione di pubblici servizi.

6.1. Si pone il problema se la natura di questo rapporto risulti modificata per il fatto che, oltre ai tipici servizi aggiuntivi, vi è incluso anche il servizio di biglietteria.

Il servizio di biglietteria, non può ritenersi a rigore ascrivibile ai "servizi aggiuntivi".

E' vero che tale servizio, a differenza dei servizi di pulizia e sorveglianza, sembra gravare sotto il profilo della remunerazione del gestore direttamente sui visitatori utenti, che accedono all'istituto o al luogo di cultura.

Infatti il d.m. 11 dicembre 1997, n. 507 stabilisce che il gestore del servizio di biglietteria trattenga per sé una parte, non superiore al 30% dell'incasso.

Tuttavia anche se apparentemente finanziato direttamente dagli utenti, il costo di tale servizio è a carico delle risorse della p.a., poiché il prezzo del biglietto, che dovrebbe essere riversato direttamente e per intero alla p.a., viene in parte trattenuto dal gestore del servizio. Inoltre il gestore rende il servizio di biglietteria non in favore dell'utente privato, ma in favore della p.a., per la quale riscuote tale prezzo. Ne consegue che il servizio di biglietteria affidato ad un privato non può costituire, per le ragioni sopra esposte, una concessione di servizio pubblico, ma un appalto di servizio pubblico.

6.2. Il d.lg. n. 490/1999 ed il d.lg. n. 42/2004, differenziandosi dalle precedenti norme che avevano assimilato i servizi aggiuntivi tipici ai servizi di pulizia, vigilanza e biglietteria, hanno espunto tali servizi dal catalogo dei servizi aggiuntivi (cfr. artt. 112 t.u. del 1999 e art. 117 del 2004) ed hanno previsto che i servizi aggiuntivi tipici (detti servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico), possono essere gestititi "in forma integrata" con i servizi di pulizia, vigilanza e biglietteria (art. 113, comma 3, t.u. del 1999 ed art. 117, comma 3, del Codice del 2004).

6.3. Poichè la gestione dei servizi aggiuntivi integra una concessione di servizi pubblici, nella fattispecie la giurisdizione si appartiene in via esclusiva al giudice amministrativo, a norma dell'art. 33 d.lg. n. 80 del 1998, nel testo emendato dalla sentenza della Corte cost. n. 204/2004, non concernendo la controversia in questione indennità, canoni ed altri corrispettivi. Per la gestione del servizio di biglietteria, considerata nella sua autonomia, poiché trattasi di appalto di servizio pubblico e la controversia non concerne la procedura di affidamento, ma la fase esecutiva, la giurisdizione dovrebbe appartenere al giudice ordinario.

Sennonchè sia i servizi aggiuntivi che il servizio di biglietteria sono stati affidati a seguito della stessa procedura di affidamento con il medesimo atto concessorio e gli atti emessi dalla p.a., del quale si è chiesto l'annullamento al Tar, investono il rapporto tra le parti nel suo complesso, senza alcuna distinzione tra concessione dei servizi aggiuntivi ed appalto del servizio di biglietteria, ed egualmente è a dirsi per la domanda risarcitoria proposta dalla Ati, rappresentata dalla Novamusa.

6.4. Osservano queste S.U. che, poiché gli artt. art. 113, comma 3, t.u. del 1999 e 117, comma 3, del Codice del 2004, fanno riferimento al servizio di biglietteria come integrante le concessioni sui servizi aggiuntivi, e quindi posizionando tale servizio come accessorio nell'ambito di un prevalente rapporto concessorio di pubblico servizio, il riparto della giurisdizione dovrà effettuarsi tenendo conto del principio della prevalenza, che non è estraneo alle questioni di determinazione della giurisdizione (Cass. S.U. 12 maggio 2008, n. 11656; 28 ottobre 1995, n. 11310; 25 marzo 1991, n. 3199).

Segnatamente queste S.U., in tema di giurisdizione per il danno causato alla p.a. da parte del progettista (giurisdizione dell'AGO) e da parte del direttore dei lavori (giurisdizione della Corte dei conti), hanno tuttavia affermato che sussiste la giurisdizione della Corte dei conti in relazione alla domanda e risarcitoria proposta da un'Amministrazione nei confronti del professionista che abbia svolto per lo stesso lavoro funzioni di progettista e di direttore dei lavori (Cass. S.U. 20 marzo 2008, n. 7446)

Hanno ritenuto le S.U., in quella fattispecie, che non si possa giungere alla scissione delle giurisdizioni, poiché tale soluzione urta contro il trend normativo favorevole all'omogeneizzazione della giurisdizione, allorchè si tratti di fatti collegati in un unitario rapporto, e poiché l'attività del direttore dei lavori va considerata come prevalente rispetto a quella di progettista, che è solo prodromica alla prima.

6.5. Quanto detto costituisce applicazione della costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) che impone all'interprete una nuova sensibilità ed un nuovo approccio interpretativo, per cui ogni soluzione che si adotti nella risoluzione di questioni attinenti a norme sullo svolgimento del processo, deve essere verificata non solo sul piano tradizionale della sua coerenza logico concettuale, ma anche, e soprattutto, per il suo impatto operativo sulla realizzazione di detto obiettivo costituzionale. L'articolo 111 Cost., in combinazione con l'articolo 24, esprime dunque, quale mezzo imprescindibile al fine, un principio di concentrazione delle tutele, con la conseguenza che la giurisdizione sulla domanda principale comporta anche quella su tutte le pretese accessorie, originate dalla medesima situazione dedotta in giudizio (Cass. S.U. 28 febbraio 2007, n. 4636).

6.5. In applicazione dei suddetti principi, poiché nella fattispecie i giudizi instaurati dalla ricorrente davanti al Tar Sicilia, sede di Palermo, hanno ad oggetto concessioni in cui l'elemento prevalente è chiaramente quello dei "servizi di assistenza culturale e di ospitalità", integrati dal "servizio dì biglietteria", che è quindi solo accessorio rispetto ai primi, la giurisdizione si appartiene al giudice amministrativo.

6.6. L'amministrazione intimata va condannata al pagamento delle spese di questo regolamento preventivo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo. Condanna l'amministrazione intimata al pagamento delle spese di questo regolamento sostenute dalla ricorrente, in proprio e nella qualità, liquidate in complessivi euro 3200,00 di cui euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

 

 

 



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