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Le modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio
dopo i decreti legislativi 62 e 63 del 2008 / Paesaggio

Vecchie problematiche e nuove questioni in tema di piani e autorizzazioni paesaggistiche dopo il d.lg. 26 marzo 2008, n. 63

di Roberto Chieppa

Sommario: 1. Paesaggio ed ambiente: punti comuni e distinzioni nella disciplina del Codice e nella giurisprudenza costituzionale. - 2. La pianificazione paesaggistica. - 3.1. Le autorizzazioni paesaggistiche e la co-gestione tra Stato e regioni della tutela del paesaggio: precedente sistema e nuova disciplina. - 3.2. Autorizzazioni paesaggistiche: il regime transitorio. - 3.3. Le autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria. - 4. Conclusioni.

1. Paesaggio ed ambiente: punti comuni e distinzioni nella disciplina del Codice e nella giurisprudenza costituzionale

L'art. 9, comma 2, della Costituzione stabilisce che la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, è un compito fondamentale e qualificante della Repubblica.

E' noto come l'importanza del riconoscimento di tale principio fondamentale della nostra Carta costituzionale sia andata ben oltre la sola tutela del paesaggio: nella giurisprudenza costituzionale la nozione di paesaggio fu interpretata in modo estensivo fino a ricomprendervi l'intero habitat dell'uomo (territorio, flora e fauna; Corte cost., 3 marzo 39, n. 1986) e quindi quegli aspetti più strettamente legati all'ambiente, che, a sua volta, pur nel silenzio della Costituzione, venne ritenuto un bene rilevante costituzionalmente (Corte cost., ord. 184/1983).

Il paesaggio e l'ambiente vennero poi accomunati nell'affermazione che il patrimonio paesaggistico ed ambientale costituisce eminente valore cui la Costituzione ha conferito spiccato rilievo (Corte cost., 15 maggio 1987, n. 167).

Da quel momento, l'ambiente, anche accostato alla tutela della salute (Corte cost., 29 maggio 1987, n. 210), venne qualificato come "bene primario e valore assoluto costituzionalmente garantito alla collettività" (Corte cost., 30 dicembre 1987, n. 617; 30 dicembre 1987, n. 641 e 15 novembre 1988, n. 1031).

Si ricorda che la Costituzione italiana non conteneva fino alla recente riforma del titolo V alcuna espressa disposizione relativa all'ambiente ed anche a seguito della riforma, l'unico riferimento all'ambiente è stato limitato ai principi in materia di riparto di competenze tra Stato e regioni, senza alcuna norma di ordine sostanziale inerente la tutela dell'ambiente [1].

Si può, quindi, affermare che l'originaria inclusione della tutela dell'ambiente nel concetto di paesaggio fu determinata dalla necessità di superare l'assenza nella Costituzione del termine ambiente e che, una volta raggiunto l'obiettivo di dare, anche se in via pretoria, una tutela costituzionale all'ambiente, i due concetti vennero nuovamente distinti.

Tuttavia, tale distinzione non è stata facile: il termine ambiente indica un concetto multidimensionale di difficile determinazione e per questo risulta arduo individuare una nozione di ambiente che sia apprezzabile in termini giuridici e che, nello stesso tempo, non risulti troppo generica [2].

Massimo Severo Giannini, cui è riconosciuto il merito di aver dato l'avvio agli studi giuridici in materia di ambiente nel nostro ordinamento, negava rilievo giuridico autonomo alla nozione di ambiente, utilizzando un triplice sistema di riferimento, in cui l'ambiente era assimilato: a) al valore paesaggistico e all'interesse storico culturale; b) all'aspetto ecologico preso con riferimento alla potenziale aggressione dell'uomo al territorio e quindi alla lotta contro l'inquinamento; c) alla generale disciplina di assetto del territorio sotto il profilo urbanistico [3].

Il paesaggio costituiva così uno degli aspetti della tutela ambientale.

Più di recente, la dottrina ha messo in evidenza come la definizione unitaria di ambiente sia possibile solo se i giuristi accettano di adottare un approccio interdisciplinare aperto al contributo delle altre scienze, in particolare di quelle ecologiche. Pur ritenendo che il valore ambientare sia comunque subordinato alla centralità della persona umana, una lettura di tipo antropocentrico è stata ritenuta insufficiente, o quantomeno parziale, per affrontare i problemi dell'ambiente, in quanto un significato autonomo e unitario della nozione di ambiente è possibile trovarlo solo accogliendo la prospettiva ecologica, in cui l'ambiente è inteso come equilibrio ecologico, di volta in volta, della biosfera o dei singoli ecosistemi di riferimento, mentre la tutela dell'ambiente va intesa come tutela dell'equilibrio ecologico della biosfera o degli ecosistemi considerati [4].

Accogliendo questa nozione di ambiente, ne deriva che all'interno del diritto dell'ambiente rientrano tutte quelle discipline di settore in cui si persegue come finalità prevalente la tutela degli equilibri ecologici: disciplina dell'aria, dell'acqua, del rumore, della difesa del suolo, dello smaltimento dei rifiuti, della protezione della natura, delle aree protette, quegli strumenti tipicamente rivolti alla tutela degli equilibri ecologici quali la valutazione di impatto ambientale e il danno ambientale e, secondo un'opinione non pacifica ma preferibile, anche discipline quali quella di tutela del paesaggio [5].

Il problema della definizione dell'ambiente e del paesaggio, in un primo tempo abbandonato, è oggi tornato di estrema attualità, sia a seguito della riforma del titolo V della Costituzione e dell'inserimento della materia "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", tra quelle attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato; sia in conseguenza dell'entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42).

La vigente versione del Codice costituisce il punto di approdo di un processo normativo, che soprattutto in questi ultimi anni è stato travagliato al punto da essere definito "sciame normativo" [6].

Dopo un lungo periodo in cui la disciplina delle "bellezze naturali" era restata dettata dalla risalente legge 29 giugno 1939, n. 1497 solo in parte integrata dal c.d. decreto Galasso (decreto legge 27 giugno 1985, n. 312 conv. in legge 27 giugno 1985, n. 431), si sono avuti negli ultimi dieci anni ben quattro interventi di riassetto normativo.

Dapprima il testo unico approvato con il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, poi a breve sostituito dall'attuale Codice (d.lg. 42/2004), che ha subito due rilevanti interventi correttivi (decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157 e decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63), senza contare un ultima modifica, limitata ad una sola norma (art. 159, ora sostituito dall'art. 4-quinquies, decreto legge 3 giugno 2008, n. 97, aggiunto dalla relativa legge 2 agosto 2008, n. 129 di conversione).

Tra l'entrata in vigore del Testo unico e la sua sostituzione da parte del Codice, l'elemento di novità è stato costituito dalla Convenzione europea del Paesaggio firmata a Firenze il 20 ottobre del 2000 e poi successivamente ratificata con legge 9 gennaio 2006, n. 14.

La Convenzione si prefigge lo scopo di promuovere la salvaguardia, la gestione e la pianificazione dei paesaggi e di organizzare la cooperazione europea in questo campo e introduce una nuova concezione della dimensione paesaggistica del territorio degli Stati, fissando il principio della unicità del paesaggio, la cui tutela dovrà essere esercitata non più su singole porzioni del territorio, ma complessivamente in un'ottica totalizzante.

La Convenzione definisce il paesaggio come "...una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni..." e ne afferma la centralità della tutela come componente irrinunciabile delle strategie di gestione del territorio.

Sotto l'influenza della Convenzione europea, il Codice ha (ri)attribuito al paesaggio una dimensione autonoma e, in questo senso, è significativo che nel Codice è stata abbandonata la terminologia "beni ambientali", utilizzata dal testo unico del 1999 (art. 138) e ora sostituita con la categoria dei "beni paesaggistici" (artt. 2 e 134 del Codice).

Ciò a conferma di quanto ha sempre sostenuto la dottrina più autorevole, secondo la quale è opportuno distinguere ambiente da paesaggio, considerato anche che, rispetto all'originaria nozione di paesaggio coincidente con le "bellezze naturali" intese nel senso tradizionale (valori paesistici sotto il profilo dei quadri naturali che essi realizzano), si è poi affermata una nozione più ampia, non limitata alle "bellezze naturali" da "conservare", ma intesa come forma e aspetto del territorio. Paesaggio, dunque, non significa solamente le "bellezze naturali" o anche quelle che ad opera dell'uomo sono inserite nel territorio, nþ la sola natura, ma la forma del territorio, o dell'ambiente, creata dalla comunità umana che vi si è insediata, con una continua interazione della natura e dell'uomo [7].

La stessa dottrina ha sottolineato che il paesaggio, in un ambiente naturale modificato dall'uomo, è l'espressione di una dinamica di forze naturali, ma soprattutto di forze dell'uomo, dato che in Italia, quasi dappertutto, al di fuori di ristrettissime aree alpine o marine, non si può pensare ad un ambiente naturale senza presenza umana e che il paesaggio viene, quindi, a coincidere con la forma e l'immagine dell'ambiente, come ambiente visibile, ma inscindibile dal non visibile, come un conseguente riferimento di senso o di valori a quel complesso di cose.

Del resto, anche di recente la Corte costituzionale ha riaffermato che il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, la morfologia del territorio, riguarda cioè l'ambiente nel suo aspetto visivo (Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 367).

Tornando alla disciplina del paesaggio contenuta nel Codice, come di recente modificato, una primo aspetto da sottolineare è costituito dalla conferma dell'abbinamento "beni culturali e paesaggio", che proviene dalle due c.d. leggi gemelle del 1939 ed è stato poi codificato con il T.U. del 1999 e con il d.lg. 42/2004.

Tale tradizionale impostazione da un lato trova riscontro nell'organizzazione dell'apparato centrale (attuale ministero per i Beni e le Attività culturali), ma dall'altro lato si pone in contrasto con le tendenze, di cui si è già detto, ad accomunare, o quanto meno avvicinare, paesaggio ed ambiente.

Se il paesaggio è l'ambiente nel suo aspetto visivo ed anzi "indica essenzialmente l'ambiente" (Corte cost. 367/2007) e se uno dei principali strumenti di tutela dell'ambiente dall'impatto derivante da grandi opere è diretto a valutare gli effetti dei progetti su una serie di fattori ambientali, tra cui il paesaggio [8], diventa difficile spiegare la separazione a livello centrale delle competenze tra ministero dell'Ambiente e ministero per i Beni e le Attività culturali.

Del resto, è stato evidenziato come l'accorpamento di beni culturali e paesaggio nel T.U. prima e nel Codice poi non sia stato mantenuto in sede di correttivi, approvati in entrambi casi separatamente e che ciò lasci immaginare che a tenere insieme le due discipline qualche forzatura vi sia stata [9].

Forzatura riconducile non solamente alla tradizione, ma soprattutto ad una impostazione decisamente più centralista nell'attribuzione delle competenze, che è stata propria di entrambi i correttivi al Codice e che, almeno con riferimento al primo correttivo, sembra essere stata condivisa dalla Corte costituzionale, che con la già citata sentenza n. 367 del 2007 [10] ha affermato che sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni. La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s (tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali), precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali [11].

2. La pianificazione paesaggistica

Una nozione più ampia di paesaggio, ormai non più limitata al concetto di bellezze naturali, comporta che la tutela del paesaggio non sia ristretta a mere finalità di conservazione e salvaguardia, ma si estenda alla regolazione di ogni intervento umano destinato ad incidere sul paesaggio.

L'imposizione del c.d. vincolo costituisce allora solo uno dei momenti della tutela, a cui si affiancano strumenti maggiormente dinamici aventi ad oggetto la direzione da dare agli interventi che si esplicano sul territorio intesi come continua modificazione della natura e delle precedenti opere dell'uomo.

In questo senso, lo strumento principale con cui ogni intervento viene correttamente orientato rispetto ai profili paesaggistici è la pianificazione, che costituisce uno strumento diretto, con cui, cosciententemente, si prescrivono le modalità attraverso le quali devono avvenire determinate modificazioni del paesaggio.

La stessa dottrina citata in precedenza ha da tempo evidenziato come anche indirettamente si possa incidere sul paesaggio attraverso misure aventi altri scopi, che inevitabilmente finiscono per incidere sul paesaggio; basti pensare alla diversità del paesaggio alpino nelle zone in cui l'istituto del maso chiuso consente una concentrazione di insediamenti abitativi ed esclude un frazionamento della proprietà e in quelle in cui, invece, la frammentazione in appezzamenti esigui muta destinazioni e colture; oppure, al mutamento del paesaggio inglese dopo la costruzione di quartieri periferici costituiti da case unifamiliari con giardinetto che formano un elemento del paesaggio inglese e che derivano dalle prescrizioni del Public Healt Act del 1875 applicato dai costruttori alla lettera in modo da ottenere la massima densità consentita [12].

Anche se l'azione degli apparati in questi casi non è voluta in funzione di una modificazione del paesaggio, sono evidenti le ricadute e ciò dimostra come la tutela del paesaggio non possa essere limitata ad una visione atomistica di tutela del singolo bene, ma debba riguardare l'intero territorio nel suo divenire e nelle sue trasformazioni.

Con tali considerazioni non si intende escludere che per la salvaguardia di determinati valori paesaggistici sia necessario non consentire i mutamenti e conservare integri i valori da preservare; tuttavia, ferme restando queste esigenze, il paesaggio resta un fattore dinamico da regolare proprio in sede di pianificazione.

Ed allora una efficace pianificazione paesaggistica non dovrà riguardare solo i beni vincolati, ma l'intero territorio.

Nonostante quasi trent'anni fa Alberto Predieri parlasse di "tutela del paesaggio" come regolazione conformativa globale del territorio, l'affermarsi dello strumento della pianificazione paesaggistica ha costituito un percorso lungo e non sempre facile nel nostro ordinamento.

Dopo l'entrata in vigore di alcune leggi provvedimento considerate del tutto eccezionali (ad esempio, legge sulla pineta di Ravenna del 1905), i piani territoriali paesistici vennero previsti dall'art. 5 della l. 1497/1939, che li configurava come piani ad adozione facoltativa, da utilizzare per assicurare un più elevato grado di protezione alle bellezze naturali.

Il legislatore del 1939 affidava ai piani il compito - in termini negativi - rispetto ad aree già tutelate con atto amministrativo, di limitare la discrezionalità delle scelte autorizzatorie dell'autorità preposta al vincolo e di impedire che le aree interessate fossero utilizzate con scelte frammentarie e disorganiche in modo pregiudizievole alla bellezza paesaggistica.

Successivamente, con la l. 431/1985 è stata innovata la legislazione precostituzionale di settore (l. 1497/1939), ponendo, accanto ai vincoli specifici gravanti su determinati territori e località, una diffusa tutela del paesaggio, attraverso l'introduzione di vincoli estesi e intensi in ordine a vaste porzioni del territorio nazionale specificamente individuate (ex lege per categorie e specie) od individuabili con atto amministrativo (Corte cost., 1581/1986).

Con la stessa legge il legislatore ha reso obbligatori i piani paesaggistici ed ha imposto per una serie di tipologie di vincoli una sorta di catenaccio rispetto a tutti gli interventi, salvo quelli a carattere di manutenzione, espediente non nuovo nell'ordinamento (v. art. 4, della l. 10/1977). Tale catenaccio, con divieto di interventi innovati, poteva essere rimosso solo con il piano paesaggistico (o con valenza paesaggistico-ambientale), di modo che la generalità degli stessi soggetti destinatari del vincolo fosse interessata all'adozione del piano.

Sicchþ da un controllo estemporaneo, frammentario e caso per caso, nel quale il piano è meramente eventuale (e perciò raro), si passa, con i piani previsti dalla l. 431/1985, ad un controllo razionale, programmato e necessario.

Sono poi note tutte le vicende connesse alla scadenza del termine allora fissato per l'approvazione dei piani (31 dicembre 1986) non rispettato in molte regioni, fino all'intervento sostitutivo dello Stato; questioni che peraltro potrebbero oggi ripetersi in relazione al nuovo termine, di cui si dirà oltre, per l'adeguamento dei piani.

Fin dalla sua prima versione il Codice ha assegnato alla pianificazione paesaggistica un notevole, e nuovo, rilievo tra i piani di tutela del territorio.

Rispetto al passato, la redazione del piano non ha solo il fine di regolare l'uso e la valorizzazione del territorio in relazione a vincoli preesistenti, ma consente anche di introdurre un vincolo nuovo.

La ratio è chiaramente quella di superare una visione atomistica della tutela dei beni ambientali per accedere ad un modello di tutela del paesaggio caratterizzato dagli elementi delle integralità e della globalità.

Tale modello è stato del resto più volte delineato dalla stessa Corte costituzionale, che ha affermato sin dalla sentenza del 27 giugno 1986, n. 151 che la l. 431/1985 ha introdotto "una tutela del paesaggio improntata a integrità e globalità" in quanto implicante una riconsiderazione dell'intero territorio nazionale alla luce del valore estetico-culturale del paesaggio, sancito nell'art. 9 della Costituzione e assunto come valore primario, come tale, insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro. In considerazione di ciò la l. 431/1985 è diventata sinonimo di tutela ambientale (sentenze 21 dicembre 1985, n. 359; 24 febbraio 1992, n. 67; 2697 1993; 20 febbraio 1995, n. 46 e 28 luglio 1995, n. 417).

Il vigente art. 135 prevede che lo Stato e le regioni assicurano che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono. A tale fine le regioni sottopongono a specifica normativa d'uso il territorio mediante piani paesaggistici, ovvero piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici.

E' compito dei piani paesaggistici delimitare gli ambiti del territorio in relazione agli aspetti peculiari ed alle caratteristiche paesaggistiche e predisporre, in riferimento a ciascun ambito, specifiche normative d'uso, dirette non solo alla conservazione degli elementi costitutivi e delle morfologie dei beni paesaggistici sottoposti a tutela ed alla salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali, ma anche alla riqualificazione delle aree compromesse o degradate ed alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati.

Il contenuto del piano non è, quindi, limitato alla tutela dei singoli beni o alla loro collocazione in una visione di insieme, ma si estende a misure propositive finalizzate all'attività di recupero e riqualificazione, agli interveti di valorizzazione e al concetto di sviluppo sostenibile.

I nuovi piani paesistici devono ripartire il territorio in ambiti omogenei, da quelli di elevato pregio paesaggistico fino a quelli significativamente compromessi o degradati e, in funzione dei diversi livelli di valore paesaggistico riconosciuti, devono attribuire a ciascun ambito corrispondenti obiettivi di qualità paesaggistica.

Il piano paesaggistico ha, dunque, contenuto descrittivo, prescrittivo e propositivo. Al contenuto descrittivo corrisponde la fase di ricognizione dell'intero territorio, attraverso l'analisi delle caratteristiche storiche, naturali, estetiche e delle loro interrelazioni e la conseguente definizione dei valori paesaggistici da tutelare, recuperare, riqualificare e valorizzare; l'analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio attraverso l'individuazione dei fattori di rischio e degli elementi di vulnerabilità del paesaggio, la comparazione con gli altri atti di programmazione, di pianificazione e di difesa del suolo; l'individuazione degli ambiti paesaggistici e dei relativi obiettivi di qualità paesaggistica.

Segue poi la fase prescrittiva, in cui si procede alla definizione di prescrizioni generali ed operative per la tutela e l'uso del territorio compreso negli ambiti individuati; alla determinazione di misure per la conservazione dei caratteri connotativi delle aree tutelate per legge e, ove necessario, dei criteri di gestione e degli interventi di valorizzazione paesaggistica degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico.

In tale fase vengono in rilievo anche misure propositive, relative all'individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate; all'individuazione delle misure necessarie al corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio nel contesto paesaggistico, alle quali debbono riferirsi le azioni e gli investimenti finalizzati allo sviluppo sostenibile delle aree interessate; all'individuazione, ai sensi dell'articolo 134, lettera c), di eventuali categorie di immobili o di aree, diverse da quelle indicate agli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione.

Il piano paesaggistico, anche in relazione alle diverse tipologie di opere ed interventi di trasformazione del territorio, individua distintamente le aree nelle quali la loro realizzazione è consentita sulla base della verifica del rispetto delle prescrizioni, delle misure e dei criteri di gestione stabiliti nel piano paesaggistico, e quelle per le quali il piano paesaggistico definisce anche parametri vincolanti per le specifiche previsioni da introdurre negli strumenti urbanistici in sede di conformazione e di adeguamento ai sensi dell'articolo 145.

La sequenza logica delle operazioni conoscitive, in sede di pianificazione paesistica, è stata riordinata dal nuovo art. 143 del Codice, che ha previsto che in primo luogo si provveda alla "ricognizione", ed alla conseguente perimetrazione, dei vincoli già esistenti, sia di quelli imposti ex lege, sia di quelli a carattere provvedimentale; che in secondo luogo si proceda alla individuazione e delimitazione di ulteriori aree di interesse paesaggistico; e che, in terzo luogo, si proceda alla individuazione delle caratteristiche paesaggistiche dei diversi contesti costituenti l'intero territorio pianificato, delimitandone i relativi ambiti, e dettando, per ciascuno di essi, le specifiche prescrizioni d'uso.

Tale impostazione, rafforzata con entrambi i decreti correttivi, risulta coerente con la Convenzione europea del paesaggio, che poneva espressamente l'obiettivo di pervenire ad uno sviluppo sostenibile fondato su un rapporto equilibrato tra i bisogni sociali, l'attività economica e l'ambiente.

Ciò che, invece, è mutato a seguito dei decreti correttivi è stata la suddivisione di competenze e di poteri tra Stato e regioni.

Rispetto all'originaria versione del Codice, che indicava le regioni nel principale soggetto cui era attribuita la pianificazione, già con il primo correttivo è avvenuto un affiancamento dello Stato alle regioni; significativa è la sostituzione del termine "le regioni" con "lo Stato e le regioni" al primo comma dell'art. 135, che contiene i principi della pianificazione paesaggistica.

Con il secondo correttivo (d.lg. 63/2008), tale accentramento di competenze è stato accentuato sotto diversi profili.

In primo luogo, a fronte di un generico richiamo al dovere di collaborazione con lo Stato per l'approvazione dei piani, contenuto nella precedente versione dell'art. 135, comma 1 ("... anche in collaborazione con lo Stato ..."), è stato ora previsto che l'elaborazione dei piani paesaggistici avvenga congiuntamente tra ministero e regioni, limitatamente ai beni paesaggistici di cui all'articolo 143, comma 1, lettere b), c) e d), nelle forme previste dal medesimo articolo 143.

Si tratta dei beni già vincolati con specifico atto o ex lege o dei beni da vincolare con il piano, per il quali la pianificazione è ora attribuita non alla sola regione, ma in via congiunta a Stato e regioni.

Il richiamo alle forme previste nell'art. 143 non è del tutto chiaro; infatti, l'art. 143 prevede, al comma 2, che regioni, ministero per i Beni culturali e ministero dell'Ambiente "possono stipulare intese per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici, salvo quanto previsto dall'articolo 135, comma 1, terzo periodo".

Sembra desumersi che, ferma restando la generale possibilità di procedere ad intese tra regioni ed amministrazioni statali anche su aspetti ulteriori rispetto alla pianificazione dei beni vincolati, quest'ultima debba comunque avvenire congiuntamente.

Ciò che deve avvenire congiuntamente è la elaborazione del piano riguardante i beni vincolati, mentre il potere di approvazione resta, ai sensi dell'art. 143, comma 2, di competenza regionale anche in caso di raggiungimento di accordi con lo Stato.

Con riguardo a come procedere all'elaborazione congiunta dei piani, le modalità possono essere diverse: intesa sulle procedure, costituzione di una commissione mista, elaborazione provvisoria da parte delle regioni e sottoposizione alle osservazioni ministeriali.

I problemi possono sorgere se tale unanimità di intenti non viene raggiunta e il disaccordo può riguardare sia il modus operandi che il contenuto del piano.

L'art. 143, comma 2 prevede il potere sostitutivo del ministeri in caso di mancata approvazione del piano nel termine fissato nell'accordo tra Stato e regione; ma se tale accordo non si raggiunge, che succede ?

L'art. 156, comma 1 stabilisce che entro il 31 dicembre 2009 (il precedente termine era il 1 maggio 2008), le regioni che hanno redatto piani paesaggistici, verificano la conformità tra le disposizioni dei predetti piani e le previsioni dell'articolo 143 e provvedono ai necessari adeguamenti e che decorso inutilmente il termine sopraindicato il ministero provvede in via sostitutiva.

La stessa disposizione regola, in modo analogo a quanto descritto in precedenza, le possibilità di intesa tra Stato e regioni, prevedendo anche la predisposizione da parte del ministero di uno schema generale di convenzione con le regioni in cui vengono stabilite le metodologie e le procedure di ricognizione, analisi, censimento e catalogazione degli immobili e delle aree oggetto di tutela e ribadendo la sussistenza dei poteri sostitutivi ministeriali in casi do mancata approvazione del piano entro i termini stabiliti dall'accordo.

Si può, quindi, ritenere che i poteri sostitutivi ministeriali siano stati previsti nelle ipotesi di raggiungimento dell'accordo e di mancata approvazione nei termini ivi previsti e in caso di mancato adeguamento dei piani (o verifica della necessità di adeguamento) entro il 31 dicembre 2009.

L'art. 156, comma 3 precisa che qualora l'intesa non venga stipulata, ovvero ad essa non segua l'accordo procedimentale sul contenuto del piano adeguato, non trova applicazione quanto previsto dai commi 4 e 5 dell'articolo 143 (casi in cui gli interventi in zone vincolate possono avvenire senza autorizzazione paesaggistica e solo previo accertamento della conformità alle previsioni del piano).

Da tale disposizione sembra, dunque, emergere la possibilità che la regione proceda comunque all'approvazione del piano, anche senza accordo con lo Stato e che ciò determina solo che non scattano le semplificazioni in sede di autorizzazione previste dai commi 4 e 5 dell'art. 143.

Tuttavia, tale interpretazione necessita di verifica per l'ipotesi della pianificazione avente ad oggetto i beni vincolati, che, come già detto, è rimessa all'elaborazione congiunta della regione e dello Stato.

Questione ulteriore, che si ritiene di non approfondire in questa sede, è la verifica di quali strumenti di tutela possono esservi in caso di mancato raggiungimento dell'accordo (eventuale contestazione del silenzio serbato da una parte, impugnazione del diniego su una proposta di accordo, ecc.).

Per concludere l'esame della disciplina avente ad oggetto la pianificazione va segnalato che il piano può anche subordinare l'entrata in vigore delle disposizioni che consentono la realizzazione di interventi senza autorizzazione paesaggistica, ai sensi del comma 4 (comunque già condizionati - ai sensi del comma 5 dell'art. 143 - all'approvazione degli strumenti urbanistici adeguati al piano), all'esito positivo di un periodo di monitoraggio che verifichi l'effettiva conformità alle previsioni vigenti delle trasformazioni del territorio realizzate e che il piano paesaggistico può individuare anche linee-guida prioritarie per progetti di conservazione, recupero, riqualificazione, valorizzazione e gestione di aree regionali, indicandone gli strumenti di attuazione, comprese le misure incentivanti.

Sotto il profilo del rapporto con gli strumenti urbanistici, il principio della prevalenza della pianificazione paesaggistica è sancito dall'art. 143, comma 9 ("A far data dall'adozione del piano paesaggistico non sono consentiti, sugli immobili e nelle aree di cui all'articolo 134, interventi in contrasto con le prescrizioni di tutela previste nel piano stesso. A far data dalla approvazione del piano le relative previsioni e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei piani territoriali ed urbanistici").

Tale prevalenza non fa venire meno l'obbligo di adeguamento dei piani urbanistici ai sensi dell'art. 145, comma 4, che stabilisce che i comuni, le città metropolitane, le province e gli enti gestori delle aree naturali protette conformano o adeguano gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle previsioni dei piani paesaggistici, secondo le procedure previste dalla legge regionale, entro i termini stabiliti dai piani medesimi e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione.

Va, infine, ricordato che con il nuovo art. 141-bis, è stato previsto l'obbligo, per le amministrazioni interessate (rispettivamente, ministero e regioni) di provvedere all'integrazione dei vincoli paesaggistici già emanati, corredandoli della disciplina d'uso delle aree sottoposte a tutela, recante, in conformità a quanto previsto per i vincoli da imporre ex novo dall'art. 140, la regolamentazione puntuale e specifica delle trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici espressi dalle aree medesime. Tale previsione non si pone in contrasto con il più generale dovere di procedere alla pianificazione territoriale paesistica, ma anzi ne costituisce una regolamentazione anticipata e speciale per le aree di maggiore valenza paesistica, atteso che tale disciplina d'uso, una volta stabilita, diventa parte integrante della futura pianificazione territoriale, non soggetta a modifiche da parte di quest'ultima (v. art. 140, comma 2, la cui disciplina è espressamente richiamata dall'art. 141-bis, comma 1). La norma in questione, al comma 2, fissa anche un termine temporale perchþ le regioni esercitino la potestà di integrazione della disciplina dei vincoli paesaggistici da esse imposti; decorso detto termine, che è lo stesso per l'adeguamento dei piani (31 dicembre 2009), è previsto che il ministero possa esercitare in via sostitutiva la detta potestà.

Va, infine, segnalato che l'art. 159, comma 7, ha anche previsto, come misura "catenaccio" che per i beni che alla data del 1° giugno 2008 siano oggetto di provvedimenti (di inedificabilità assoluta) adottati ai sensi dell'articolo 1-quinquies del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale in data anteriore al 6 settembre 1985, l'autorizzazione può essere concessa solo dopo l'adozione dei provvedimenti integrativi di cui all'articolo 141-bis.

3.1. Le autorizzazioni paesaggistiche e la co-gestione tra Stato e regioni della tutela del paesaggio: precedente sistema e nuova disciplina

L'imposizione di un vincolo paesaggistico ha come effetto giuridico la non trasformabilità del bene in assenza di una previa autorizzazione: allo scopo di salvaguardare i beni ambientali, e di evitare che i proprietari li distruggano, o li modifichino in modo pregiudizievole al loro aspetto esteriore oggetto di protezione, è prescritto che gli interventi edilizi relativi agli stessi siano sottoposti a previo nulla osta paesistico (art. 7, l. 1497/1939, poi trasfuso nell'art. 151, del T.U. 490/1999 ed oggi nel l'art. 146 del Codice).

Il compito di rilasciare l'autorizzazione, inizialmente spettante allo Stato (ai sensi della l. 1497/1939) era stato delegato alle regioni (art. 82, decreto del presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616) e da queste in alcuni casi subdelegato ai comuni.

La giurisprudenza non è stata poi unanime nell'interpretare gli artt. 56 e 57 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che secondo una tesi avrebbero trasferito alle regioni i compiti amministrativi di tutela del paesaggio e dell'ambiente (Cons. Stato, 4 Settembre 2001, VI, n. 4639), mentre in base ad un diverso orientamento avrebbero confermato il sistema delle delega senza un effettivo trasferimento di funzioni (Cons. Stato, Ad. Plen. 9/2001).

Nel precedente sistema, allo Stato veniva mantenuto uno spazio di controllo degli interventi edilizi sull'ambiente, da attuare attraverso due strumenti tipici: a) l'intervento sostitutivo, in caso di inerzia delle regioni nel rilasciare il nulla osta, che si realizza mediante il rilascio o il diniego del provvedimento da parte dello Stato; b) il controllo dei nulla osta, che si realizza mediante il potere di annullamento da parte del ministro per i Beni culturali e ambientali.

Tale riparto è stato definito di co-gestione del bene ambiente da parte di stato, regioni ed anche enti locali; la co-gestione del bene ambiente da parte di stato, regioni ed anche enti locali comporta un sistema di ripartizione di competenze che vede, in attuazione del decentramento, in primo piano gli enti più vicini ai cittadini e all'intervento da realizzare e in seconda battuta lo Stato, che conserva dei poteri di intervento ad estrema difesa del vincolo ambientale.

Come affermato dalla Corte costituzionale, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali è affidata ad un sistema di intervento pubblico basato su competenze statali e regionali che concorrono o si intersecano, in una attuazione legislativa che impone il contemperamento dei rispettivi interessi, con l'osservanza in ogni caso del principio di equilibrata concorrenza e cooperazione tra le due competenze, in relazione ai momenti fondamentali della disciplina stabilita a protezione del paesaggio (si vedano, sentenze 8 maggio 1998, n. 157; 4 giugno 1997, n. 170; 25 ottobre 2000, n. 437).

L'interferenza ed il particolare reciproco legame delle funzioni regionali e statali, nella specifica materia di tutela dei beni paesaggistici, con la previsione del potere dello Stato di annullamento di autorizzazioni rilasciate dalla regione (o dai comuni), esigono la piena attuazione del principio di leale cooperazione, attuato attraverso la tempestiva trasmissione agli organi statali delle autorizzazioni rilasciate da parte della regioni o degli enti subdelegati, la previsione di un termine perentorio di sessanta giorni per l'esercizio del potere statale di annullamento decorrente dall'effettiva ricezione dell'autorizzazione e della documentazione completa e dalla limitazione del potere di annullamento ai soli vizi di legittimità, pur rientrando tra questi tutti i profili dell'eccesso di potere.

Le modalità di esercizio della c.d. co-gestione cambiano radicalmente nel Codice, anche se l'immediato impatto delle novità è temporalmente attenuato dal regime transitorio, ancora in vigore.

Il potere di annullamento dell'autorizzazione, riservato agli organi ministeriali ed oggetto di un ampio contenzioso, viene sostituito da un parere che le soprintendenze possono esprimere all'interno di un unico procedimento di autorizzazione.

Le ragioni del cambiamento sono state individuate nella constatazione della scarsa efficienza di un controllo di mera legittimità esercitato dalle soprintendenze solo successivamente al rilascio dell'autorizzazione.

L'efficacia interdittiva di interventi che pregiudicano il paesaggio assicurata dal sistema di controllo previgente, infatti, è essenzialmente legata alla insufficienza della motivazione con cui i comuni (subdelegati in quasi tutte le regioni) valutano la compatibilità con il vincolo in sede di rilascio delle singole autorizzazioni. Inoltre, è stato rilevato come il rilascio di autorizzazione susciti nell'interessato aspettative all'edificazione che, in caso di annullamento, comportano pregiudizi incolpevoli e inducono comunque a sviluppare un contenzioso, che sovente vede il ministero soccombere e rispetto al quale appare opportuno un intervento deflattivo [13].

Da questo punto di vista, l'espressione del parere preventivamente rilasciato dalla soprintendenza è stata ritenuta utile strumento di controllo nella fase procedimentale, tale da ovviare anticipatamente ad eventuali problemi di compatibilità degli interventi con il paesaggio [14].

La prima versione dell'art. 146 del Codice prevedeva che l'amministrazione locale competente, accertata la compatibilità paesaggistica dell'intervento ed acquisito il parere della commissione per il paesaggio, entro il termine di quaranta giorni dalla ricezione dell'istanza, trasmettesse la proposta di autorizzazione, corredata dal progetto e dalla relativa documentazione, alla competente soprintendenza per l'espressione di un parere non vincolante entro il termine perentorio di sessanta giorni, decorso il quale l'amministrazione competente assumeva comunque le determinazioni in merito alla domanda di autorizzazione.

L'entrata in vigore della nuova disciplina era tuttavia rinviata fino all'approvazione dei piani paesaggistici ed al conseguente adeguamento degli strumenti urbanistici; si trattava di un termine non certo in quanto l'approvazione dei nuovi piani (o comunque la verifica delle necessità di adeguamento) doveva avvenire entro 4 anni dall'entrata in vigore del Codice e l'adeguamento degli strumenti urbanistici doveva essere effettuato entro il termine indicato dai piani, e comunque non oltre due anni dalla loro approvazione.

Nel frattempo, restava in vigore il regime transitorio, disciplinato dall'art. 159, che conservava il tradizionale potere statale di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche entro il termine di sessanta giorni.

Con il primo correttivo (d.lg. 157/2006), il procedimento è stato modificato con una prima impostazione più accentratrice delle competenze.

E' stata limitata, e in un certo senso, disincentivata, la delega delle competenze ai comuni, rispetto ai quali è stata privilegiata la delega alle province o a forme associative e di cooperazione degli enti locali in ambiti sovracomunali al fine di assicurarne l'adeguatezza e garantire la necessaria distinzione tra la tutela paesaggistica e le competenze urbanistiche ed edilizie comunali; la delega ai comuni è possibile solo in caso di approvazione del piano paesaggistico e a condizione che i comuni abbiano provveduto al conseguente adeguamento degli strumenti urbanistici. Comunque, in caso di delega ai comuni, il parere della soprintendenza diventa vincolante.

Il parere della soprintendenza resta vincolante anche fino all'approvazione del piano paesaggistico e all'avvenuto adeguamento ad esso degli strumenti urbanistici comunali, mentre in caso di approvazione del piano a seguito di accordo tra Stato e regioni il parere del soprintendente è obbligatorio, ma non vincolante.

Nel fissare un termine certo per l'adeguamento dei piani (1 maggio 2008), il d.lg. 157/06 ha influito anche sul regime transitorio, che sarebbe dovuto durare al massimo fino a tale data se non fossero stati prima approvati o adeguati i piani.

Inoltre, sempre con il primo correttivo una modifica alla disciplina transitoria di cui all'art. 159 aveva fatto ipotizzare una estensione del potere di annullamento statale anche ai vizi di merito (era stato previsto che "la soprintendenza, se ritiene l'autorizzazione non conforme alle prescrizioni di tutela del paesaggio, può annullarla, con provvedimento motivato, entro i sessanta giorni successivi").

Sul punto, nel respingere le questioni di costituzionalità proposte da alcune regioni, la Corte costituzionale, con la già citata sentenza 367/2007, ha affermato che la norma denunciata (art. 159, comma 3) "non attribuisce all'amministrazione centrale un potere di annullamento del nulla-osta paesaggistico per motivi di merito, così da consentire alla stessa amministrazione di sovrapporre una propria valutazione a quella di chi ha rilasciato il titolo autorizzativo, ma riconosce ad essa un controllo di mera legittimità che, peraltro, può riguardare tutti i possibili vizi, tra cui anche l'eccesso di potere".

Si può, comunque, affermare che il correttivo del 2006 ha modificato sostanzialmente la disciplina delle autorizzazioni paesaggistiche in senso centralista, sia sotto il profilo del disincentivo della delega ai comuni, sia con l'introduzione del carattere vincolante in molti casi del parere della soprintendenza, che - a fonte del precedente potere di annullamento per soli vizi di legittimità - viene così ad acquisire un ben più penetrante potere decisionale, perchþ è evidente che quando il parere è vincolante, la natura consultiva dell'atto è solo formale, mentre in sostanza si tratta di una decisione.

La svolta centralista è stata confermata anche con il correttivo del 2008 (d.lg. 63/2008) e, quindi, può essere attribuita indistintamente ad entrambe le ultime due legislature, anche se di diverso colore politico.

Le correzioni più significative apportate dal secondo correttivo hanno riguardato in primo luogo la generalizzazione della regola del carattere vincolante del parere del soprintendente almeno fino alla verifica da parte del ministero dell'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici alla normativa d'uso dei beni tutelati.

Tale previsione è stata così corretta in sede di Conferenza unificata, in cui le regioni hanno ottenuto di circoscrivere temporalmente il parere vincolante del soprintendente, che è destinato a restare tale fino al momento in cui, attraverso la redazione congiunta dei piani paesaggistici o la definizione autonoma, da parte di ciascuna autorità competente alla imposizione di vincoli paesaggistici, delle prescrizioni d'uso ad essi relative, non sia chiara la disciplina che regola le trasformazioni possibili in area sottoposta a tutela. Una volta che tale disciplina sia stata chiaramente definita nello spirito di leale collaborazione, e che il ministero abbia positivamente vagliato, su richiesta della regione, l'avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici, il parere statale sul progetto di trasformazione assumerà natura meramente obbligatoria.

Ovviamente in caso di procedura semplificata senza rilascio di autorizzazione paesaggistica (art. 143, comma 4), il parere del soprintendente non deve essere chiesto, ma anche questa ipotesi ricorre solo successivamente all'adeguamento degli strumenti urbanistici ai nuovi piani (art. 143, comma 5).

Tuttavia, è singolare che, pur in presenza dell'attribuzione all'organo statale del potere decisionale (nei casi di parere vincolante), tale potere si consuma a seguito del decorso del termine di 45 giorni, alla cui scadenza l'amministrazione competente può indire una conferenza di servizi, cui partecipa il soprintendente e può comunque provvedere decorsi 60 giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente.

E' stato nuovamente ritoccata la disciplina della delegabilità, da parte della regione, della funzione di autorizzazione paesaggistica: sono stati fissati alcuni limiti per la delega ai comuni (sussistenza di condizioni organizzative, da verificare caso per caso, tali da poter assicurare la specificità della cura del paesaggio rispetto ad altri interessi pubblici relativi al governo del territorio), ma nel contempo è stata eliminata la previsione del carattere sempre vincolante del parere della soprintendenza in caso di delega ai comuni.

In sostanza, il legislatore richiede garanzie organizzative e di competenza tecnica sufficienti ad assicurare, nello svolgimento della funzione autorizzatoria in materia paesaggistica, quell'adeguato livello di unitarietà dell'azione amministrativa richiesto dall'art. 118, primo comma, Cost.; in presenza di elementi di affidabilità tecnico-scientifica degli apparati amministrativi degli enti destinatari della delega, non vi è distinzione sul carattere del parere dell'organo statale (che è solo obbligatorio o anche vincolante a seconda dei casi in precedenza descritti).

Il termine entro cui le regioni debbono effettuare tale verifica è lo stesso previsto per l'entrata in vigore del sistema a regime (31 dicembre 2008) e, per garantire l'effettiva verifica delle condizioni organizzative, è stato previsto che il mancato adempimento di tale obbligo di verifica determina la decadenza delle deleghe in essere alla data del 31 dicembre 2008.

Si tratta di una sanzione forte diretta ad incidere in modo penetrante nei poteri di organizzazione delle regioni e degli enti locali e sulla quale può essere sollevato qualche dubbio di costituzionalità, che non è escluso dal parere favorevole espresso dalla Conferenza stato regioni [15].

In accoglimento del parere della Conferenza unificata, è stata rimessa ad un regolamento da emanarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 2 della legge 23 agosto 1988, n. 400, l'individuazione di ulteriori forme di semplificazione del procedimento per gli interventi di lieve entità, privi di impatto sul paesaggio, da determinarsi con il medesimo regolamento. E' stata comunque ribadita l'esclusione dell'applicazione anche a queste fattispecie degli istituti della dichiarazione di inizio attività e del silenzio-assenso, come già previsto dalla normativa vigente.

Il nuovo procedimento a regime di rilascio di autorizzazione paesaggistica sarà, quindi, unitario con una regolazione dei rapporti tra stato e regioni dipendente dall'approvazione dei nuovi piani e dal successivo adeguamento degli strumenti urbanistici.

A prescindere dal carattere vincolante o solo obbligatorio del parere reso dalle soprintendenze, il privato richiedente avrà di fronte un solo interlocutore, che sarà la regione o l'ente subdelegato individuato secondo i criteri menzionati in precedenza.

Una volta ricevuta la domanda, l'amministrazione competente dovrà in primo luogo verificare se si ricade in interventi non soggetti ad autorizzazione ai sensi dell'art. 149, comma 1: oltre al caso già menzionato degli interventi previsti come tali nel piano ai sensi dell'art. 143, comma 4, non è comunque richiesta l'autorizzazione paesaggistica per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici; per gli interventi inerenti l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale che non comportino alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili, e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio; per il taglio colturale, la forestazione, la riforestazione, le opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purchþ previsti ed autorizzati in base alla normativa in materia.

Se l'intervento richiesto è soggetto ad autorizzazione, la pratica deve essere istruita e in primo luogo deve essere verificata la completezza della documentazione a corredo del progetto, che dovrebbe essere stata già predeterminata con il d.p.c.m. previsto dal comma 3, dell'art. 146.

In caso di documentazione incompleta, l'amministrazione competente può procedere a chiedere le opportune integrazioni e a svolgere gli accertamenti del caso; al riguardo, è auspicabile che non si riproponga la duplicità di richieste e accertamenti istruttori, che fino ad oggi ha caratterizzato il doppio procedimento, in cui dopo l'espletamento dell'istruttoria a livello locale, spesso le Soprintendenze richiedevano nuova documentazione con richieste a volte dirette unicamente ad interrompere il termine perentorio di 60 giorni, previsto per il potere di annullamento.

La documentazione richiesta dovrebbe essere, come già detto, predeterminata ad opera di un d.p.c.m e rispetto a tale documentazione non vi dovrebbe essere nessuna richiesta aggiuntiva se non per fisiologici chiarimenti; soprattutto, l'istruzione della pratica da parte dell'amministrazione locale non dovrebbe essere posta nuovamente in discussione da parte della soprintendenza, anche se è facile prevedere che qualche problema possa sorgere soprattutto nei casi in cui il potere decisionale è sostanzialmente rimesso all'organo statale.

E' anche auspicabile che venga rispettata la tempistica delineata dal complesso procedimento di cui all'art. 146: ricezione della domanda, istruzione della pratica, trasmissione entro 40 giorni della documentazione alla soprintendenza, espressione del parere entro 45 giorni dal ricevimento degli atti, decisione dell'amministrazione competente entro 20 giorni dalla ricezione del parere (di rilascio o di preavviso di reiezione dell'istanza ai sensi dell'art. 10-bis della l. 241/1990).

Al totale di 95 giorni devono essere aggiunti i tempi di trasmissioni delle pratiche ed anche qui l'auspicio non può che essere che le amministrazioni, vista la complessità della procedura, adottino modalità di trasmissione semplificate, al fine di evitare quello che fino ad oggi è a volte avvenuto (atti adottati nei termini e comunicati con notevole ritardo alo privato, che nel frattempo stava magari iniziando i lavori ignaro del sopraggiungere di un atto di annullamento della soprintendenza).

Come già rilevato, in caso di mancata espressione del parere della soprintendenza la durata del procedimento può allungarsi in quanto vi sono ulteriori 15 giorni, entro i quali perentoriamente deve pronunciarsi la conferenza dei servizi e comunque la decisione dell'amministrazione competente, anche prescindendo dal parere non espresso dell'organo statale, può essere adottata dopo 60 giorni dal ricevimento degli atti da parte del soprintendente.

Decorsi i termini anzidetti, che non sarà facile per l'interessato computare, quest'ultimo si può rivolgere alla regione per un intervento sostitutivo (al soprintendente se non si tratta di autorizzazione delegata).

L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio e diventa efficace decorsi trenta giorni dal suo rilascio.

La previsione di un procedimento unico fa perdere di rilievo la questione dell'efficacia dell'autorizzazione nei termini per l'esercizio del potere di annullamento statale e garantisce maggiore certezza al privato che si appresta a realizzare un intervento e ad effettuare degli investimenti.

La previsione di un termine per diventare efficace sembra diretta a consentire, nell'immediatezza dei fatti, la correzione di eventuali errori in sede di autotutela o in sede giurisdizionale in caso di contestazioni.

Sotto il profilo della tutela giurisdizionale, le modifiche al comma 12 dell'art. 146 hanno inteso riportare a sistema il procedimento contenzioso in materia paesaggistica, eliminando alcune dissonanze, quale, ad esempio, l'obbligo per il giudice amministrativo di decidere sui ricorsi in materia paesaggistica anche nel caso di rinuncia del ricorrente per sopravvenuta carenza d'interesse; anche se è stato previsto che le associazioni portatrici di interessi diffusi qualsiasi altro soggetto pubblico o privato che ne abbia interesse, oltre a poter impugnare i provvedimenti di autorizzazione, possono anche appellare le sentenze, anche se non abbiano proposto ricorso di primo grado.

Al fine di consentire la massima trasparenza e conoscenza degli atti inerenti un valore primario quale il paesaggio, è stato previsto che presso ogni amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica sia istituito un elenco delle autorizzazioni rilasciate, aggiornato almeno ogni trenta giorni e liberamente consultabile, anche per via telematica, in cui è indicata la data di rilascio di ciascuna autorizzazione, con la annotazione sintetica del relativo oggetto.

Infine, l'applicabilità della disciplina è stata espressamente estesa ai procedimenti di rilascio di autorizzazioni per la coltivazione di cave e torbiere, la cui attività è suscettibile di incidere sullo stato dei luoghi vincolati, mentre è stata mantenuta nell'ambito delle competenze del ministero dell'Ambiente, l'autorizzazione allo svolgimento di attività minerarie di ricerca ed estrazione.

3.2. Autorizzazioni paesaggistiche: il regime transitorio

Il descritto sistema di autorizzazione entrerà in vigore a partire dal 31 dicembre 2008: l'art. 159 ha stabilito che la nuova disciplina si applichi ai procedimenti di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica che alla data del 31 dicembre 2008 non si siano ancora conclusi con l'emanazione della relativa autorizzazione o approvazione.

Mentre con il secondo correttivo la noma era stata modificata con il mero richiamo alla salvezza in via transitoria del potere di annullamento ministeriale, l'art. 159 è stato nuovamente sostituito dall'art. 4-quinquies, decreto legge 3 giugno 2008, n. 97 aggiunto dalla relativa legge 2 agosto 2008, n. 129 di conversione.

E' singolare come in sede di conversione di un decreto legge, contenente disposizioni urgenti in materia di monitoraggio e trasparenza dei meccanismi di allocazione della spesa pubblica, nonchþ in materia fiscale e di proroga di termini, abbia trovato spazio l'ennesima modifica del Codice del paesaggio, ma di ciò non si può che prendere atto.

La nuova modifica è dipesa da un dubbio sulla corretta interpretazione dell'art. 159, come sostituito dal d.lg. 63/2008.

Secondo una tesi, il mancato inserimento nel nuovo art. 159 del procedimento transitorio, avrebbe determinato che:

a) dall'entrata in vigore del d.lg. 63/2008 (pubblicato sulla G.U. del 9 aprile 2008) ovverosia dal 24 aprile 2008, il procedimento per il rilascio dell'autorizzazione paesaggistica è quello delineato dall'art. 146 formulato nella nuova stesura del d.lg. 63/2008;

b) continuano ad applicarsi le procedure previste dall'art. 146 come sostituito dal d.lg. 157/2006 (stesura abrogata dal d.lg. 63/2008) per tutte le richieste di autorizzazione paesaggistica presentate fino al 23 aprile 2008, fermo restando che qualora alla data del 31 dicembre 2008 il relativo procedimento non si sia concluso viene fatta applicazione "ex novo" ed in "automatico" dell'art. 146 come riscritto dal d.lg. 63/2008 [16].

Rispetto a tale interpretazione era intervenuta la circolare del ministero per i Beni e le Attività culturali del 13 giugno 2008, n. 125, secondo cui invece la disciplina transitoria andava così intesa:

a) il procedimento autorizzatorio disciplinato dall'articolo 146 si applica dal 1° gennaio 2009, ai procedimenti iniziati (mediante la presentazione dell'istanza di autorizzazione) a partire da tale data, nonchþ ai procedimenti che, alla stessa data, non si siano ancora conclusi (mediante rilascio dell'autorizzazione);

b) le autorizzazioni rilasciate dalle amministrazioni competenti fino alla data del 31 dicembre 2008, sulla base della disciplina del procedimento autorizzatorio contenuta nell'articolo 159, come modificato dal d.lg. 157/2006, continuano ad essere sottoposte al controllo di legittimità della soprintendenza, la quale può annullare l'autorizzazione entro i sessanta giorni dalla trasmissione del provvedimento corredato dalla documentazione prevista.

La menzionata recente modifica normativa è intervenuta appunto in questo senso ed ha espressamente fatto salvi gli atti, anche endoprocedimentali, ed i provvedimenti adottati dalla data di entrata in vigore del d.lg. 63/2008 in applicazione dell'articolo 159 del presente Codice, nel testo vigente anteriormente alla data di entrata in vigore del d.lg. 63/2008. E' stato aggiunto che nei confronti delle autorizzazioni paesaggistiche adottate dopo la data di entrata in vigore del d.lg. 63/2008, e prima della data di entrata in vigore della nuova disposizione, la soprintendenza, qualora non abbia già esercitato il potere di annullamento, può esercitare detto potere, ai sensi dei precedenti commi 2 e 3, entro i trenta giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente disposizione; qualora l'autorizzazione, corredata dalla relativa documentazione, sia stata rinviata dalla soprintendenza all'Autorità competente al rilascio dell'autorizzazione ai fini dell'applicazione dell'articolo 146, il predetto termine decorre dalla data in cui viene nuovamente trasmessa alla soprintendenza.

Al di là della confusione creata con le continue modifiche normative, risalta il fatto che sia la stessa amministrazione statale a sostenere la tesi della posticipazione dell'entrata in vigore di un sistema, diretto a potenziare le proprie competenze rispetto a quelle regionali.

Al di là del rispetto degli accordi raggiunti in sede di conferenza unificata, il sospetto è che l'amministrazione statale non sia pronta all'esercizio delle nuove competenze e che non abbia ben calcolato la ricaduta in termini di carichi di lavoro dello spostamento della decisione sostanziale a livello centrale.

3.3. Le autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria

Prima di trarre delle conclusioni sulla complessa disciplina descritta, è opportuno accennare ad una ultima questione, che attiene all'ammissibilità della c.d. autorizzazione paesaggistica postuma, ovvero in sanatoria rispetto ad interventi realizzati in assenza del nulla osta.

Prima dell'entrata in vigore del Codice, la giurisprudenza aveva riconosciuto la possibilità che l'amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico rilasci in via postuma l'autorizzazione prescritta dall'art. 7, l. 1497/1939 nel corso del procedimento di sanatoria di cui all'art. 13 della l. 47/1985 [17].

In precedenza, non vi era alcuna indicazione del legislatore circa l'ammissibilità, o l'inammissibilità, dell'autorizzazione postuma e tale silenzio era stato inteso dalla giurisprudenza come assenza di divieto.

Era stato rilevato che la valutazione di impatto paesaggistico, infatti, non muta in relazione al fatto che l'opera sia stata realizzata o meno: l'autorità preposta alla tutela del vincolo deve in ogni caso verificare se quel determinato tipo di intervento sia o meno compatibile con il vincolo.

Il giudizio circa tale compatibilità non è in alcun modo influenzato dal fatto che l'opera sia stata, o meno, realizzata: o l'intervento è compatibile con il vincolo ed allora lo era sia prima che dopo la realizzazione, o non lo è ed allora l'autorizzazione postuma non può essere rilasciata, non già perchþ non chiesta in precedenza, ma perchþ non poteva essere rilasciata anche se richiesta tempestivamente.

Si potrebbe però sostenere che, una volta modificato lo stato dei luoghi, diventa difficile, se non impossibile, ricostruire la situazione precedente all'intervento e, quindi, valutare la sua compatibilità con il vincolo paesistico. Per superare tale obiezione era stato sottolineato che ogni valutazione di compatibilità presuppone una comparazione tra la situazione antecedente all'intervento e l'impatto derivante dall'edificazione e che, in caso di autorizzazione postuma, l'amministrazione deve essere posta in grado di effettuare tale comparazione da parte dell'interessato, su cui graverà l'onere di produrre la documentazione relativa alla condizione dei luoghi antecedente l'intervento.

Il giudizio dovrà essere conseguentemente negativo, con relativa possibilità di demolire le opere, laddove detto raffronto non si riveli possibile stante il mancato assolvimento del descritto onere da parte del privato così come nel caso in cui la realizzazione dell'opera abbia eliminato o cancellato il bene tutelato.

Del resto, la previsione di una sanzione alternativa (demolizione o pagamento di una indennità), prevista fin dall'art. 15, l. 1497/1939, implica che non è affatto necessario che l'opera venga demolita e da ciò deriva che la via della demolizione sarà preclusa, lasciando residuare la strada della sanzione pecuniaria, nell'ipotesi in cui l'opera si armonizzi con il contesto ambientale.

La stessa possibilità, prevista dal legislatore, di una sanzione differente dalla demolizione comporta il mantenimento in vita dell'opera, che non può che conseguire ad un giudizio di compatibilità con il vincolo paesaggistico. In queste ipotesi la compatibilità ambientale dell'opera non è una conseguenza della mancata demolizione, ma ne costituisce il presupposto su cui fondare la scelta della misura sanzionatoria.

Pur se con riferimento al condono sexies art. 3, l. 47/1985, la giurisprudenza ha chiarito che la sanzione pecuniaria di cui all'art. 15 della l. 1497/1939, nonostante il riferimento al termine di indennità, non costituisce una ipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenta una sanzione amministrativa applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali, ovvero in caso di compromissione dell'integrità paesaggistica, sia in ipotesi di illeciti formali, quale è da ritenersi il caso di violazione dell'obbligo di conseguire l'autorizzazione preventiva a fronte di intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto di protezione [18].

La giurisprudenza aveva rilevato che una diversa interpretazione condurrebbe alla irragionevole conseguenza della necessaria demolizione di un edificio conforme alla normativa urbanistica ed al contesto paesaggistico e, quindi, realizzabile nuovamente e nella stessa forma dopo la demolizione, previo conseguimento dell'autorizzazione e del titolo concessorio.

In tale quadro giurisprudenziale è intervenuto dapprima il d.lg. 42/2004, che ha introdotto con l'originario art. 146 un divieto assoluto di rilascio dell'autorizzazione in sanatoria, che ha così modificato la ormai pacifica ammissibilità dell'autorizzazione postuma, affermata dalla giurisprudenza e poi la legge 15 dicembre 2004, n. 108 che ha previsto una sorta di sanatoria paesaggistica a regime (art. 1, comma 36) e uno speciale condono ambientale (art. 1, comma 37).

Sull'immediata operatività del divieto di autorizzazione in sanatoria, di cui all'art. 146 del Codice, è sorto un contrasto.

Secondo il Consiglio di Stato, il divieto di rilascio di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, introdotto dall'art. 146, comma 10 lett. c), d.lg. 42/2004, non è operante nella vigenza del sistema transitorio disciplinato dall'art. 159 dello stesso decreto in relazione alle fattispecie cui non si applica la successiva modifica apportata dal d.lg. 157/2006.

Infatti, il d.lg. 42/2004 nel mentre ha introdotto nella disciplina a regime una serie di innovazioni non solo di ordine sostanziale, ma anche procedimentale in tema di autorizzazione paesaggistica, e tra l'altro il divieto di autorizzazione in sanatoria (art. 146), ha però previsto all'art. 159 un " procedimento di autorizzazione in via transitoria", "fino alla approvazione dei piani paesaggistici", che, pur innovando per taluni aspetti la previgente disciplina, non contiene anche il divieto di autorizzazione in sanatoria. Nþ vale obiettare che la disciplina introdotta dall'art. 146 sarebbe entrata immediatamente in vigore in mancanza di un espresso differimento, giacchþ la previsione di una normativa transitoria (per il tempo necessario alla approvazione dei piani paesaggistici) non può che determinare la temporanea sospensione della disciplina a regime [19].

Tale interpretazione è confermata dalle "disposizioni correttive e integrative" apportate con il successivo d.lg. 157/2006 il quale, mentre da un lato ha temperato la rigidità del divieto di autorizzazione in sanatoria introducendo una serie di eccezioni (cfr. art. 167, d.lg. 42/2004 come riformulato dall'art. 27, d.lg. 157/2006), dall'altro ha esteso anche alla fase transitoria il divieto di autorizzazione in sanatoria seppure con le eccezioni anzidette (cfr. art. 159, 6° comma, come riformulato dall'art. 26, d.lg. 157/2006). E' dunque solo con la novella del 2006 che è stato esteso al procedimento di autorizzazione della fase transitoria il divieto di sanatoria nella nuova versione. E la ragione di ciò si rinviene agevolmente nel fatto che protraendosi nel tempo la fase transitoria (per la mancata approvazione dei piani paesaggistici) si è ritenuto di raccordare - quanto alla disciplina "sostanziale" - la autorizzazione della fase transitoria con quella a regime, tanto più che con i temperamenti introdotti il divieto di sanatoria veniva ad essere limitato agli interventi di maggiore impatto, e segnatamente a quelli comportanti "creazione di superfici utili o volumi, ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati".

Di diverso avviso è stato il ministero per i Beni e le Attività culturali, secondo cui il divieto deve ritenersi immediatamente operativo, con necessità di revoca delle autorizzazioni ex post rilasciate dopo la data del 1° maggio 2004 (data di entrata in vigore del Codice) [20].

Come già detto, il quadro normativo è stato ulteriormente complicato dall'entrata in vigore della l. 308/2004 che ha introdotto per gli immobili realizzati abusivamente in zone vincolate una sanatoria a regime e un condono dagli effetti non compiutamente definiti.

Senza approfondire in questa sede le questioni interpretative, legate a tale ultima legge ed anche al rapporto con il c.d. condono edilizio (in parte affrontate dalla Corte cost. nella sent. 1837/2006), va rilevato che solo con il d.lg. 157/2006 si è cercato di definire a regime la questione dell'autorizzazione paesaggistica postuma.

Il divieto assoluto, contenuto nella precedente versione dell'art. 146, è stato abrogato ed è stato previsto che "L'autorizzazione paesaggistica, fuori dai casi di cui all'articolo 167, commi 4 e 5, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi." (art. 146, comma 12; disposizione ora contenuta nel comma 4 dell'art. 146, novellato dal d.lg. 63/2008).

Si tratta delle seguenti fattispecie:

a) lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;

b) impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;

c) lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

In queste ipotesi il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi presenta apposita domanda che segue il procedimento delineato dal comma 5 dell'art. 167 e qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione.

L'art. 182, comma 3-bis, ha infine previsto che in deroga al divieto di cui all'articolo 146, comma 4, secondo periodo, sono conclusi dall'autorità competente alla gestione del vincolo paesaggistico i procedimenti relativi alle domande di autorizzazione paesaggistica in sanatoria presentate entro il 30 aprile 2004 non ancora definiti alla data di entrata in vigore del presente comma, ovvero definiti con determinazione di improcedibilità della domanda per il sopravvenuto divieto, senza pronuncia nel merito della compatibilità paesaggistica dell'intervento.

Il quadro normativo vigente può essere così riassunto:

a) permane in via tendenziale un divieto ai autorizzazione paesaggistica postuma;

b) il divieto è derogato nelle ipotesi di cui all'art. 167 e, quindi, a regime non sono sanabili, neanche se in ipotesi compatibili con il paesaggio, le opere realizzate senza autorizzazione che non rientrano nei casi di cui all'art. 167, commi 4 e 5;

c) per tali ultime opere si ripropone il problema dell'impossibilità di sanare opere, che potrebbero risultare compatibili e che potrebbero essere riedificate, previa autorizzazione, dopo la demolizione.

4. Conclusioni

L'esame della complessa disciplina in materia di pianificazione paesaggistiche e di rilascio delle autorizzazioni conduce ad alcune brevi riflessioni finali,

La prima riguarda il principio della certezza del diritto, rispetto al quale certamente mal si conciliano le continue e ripetute modifiche normative, che dopo i due correttivi del Codice del 2006 e del 2008, sembrano non arrestarsi come dimostra l'ultima modifica all'art. 159, introdotta in sede di conversione di un decreto legge, che per nulla riguarda il paesaggio.

Altro aspetto è costituito dalla impostazione centralista, con profili che però appaiono diversi se riferiti alla pianificazione o alla autorizzazione.

La disciplina della pianificazione è oggi retta da regole ispirate ai principi della Convenzione europea del paesaggio e ad un concetto di tutela del paesaggio come governo globale del territorio, ben lontano da una ottica di gestione atomistica del singolo vincolo.

Tale dimensione ampia ed autonoma del paesaggio non può che essere salutata con favore.

Affinchþ i principi non restino sulla carta, è ora necessario procedere nei tempi previsti all'integrazione del contenuto dei vincoli e soprattutto all'adeguamento dei piani paesaggistici, sperando che non si ripetano i ritardi e i contenziosi che caratterizzarono la prima approvazione obbligatoria dei piani dopo la legge Galasso.

Alcuni punti critici possono essere costituiti dal rapporto Stato - regioni e dalla possibilità che il mancato raggiungimento di intese possa rallentare o addirittura paralizzare le procedure.

La soluzione per evitare tale ipotesi è utilizzare come criterio interpretativo e risolutivo delle questioni quel principio di leale collaborazione, da tempo valorizzato dalla Corte costituzionale.

L'impressione è che con entrambi i correttivi, che - si ripete - pur provenendo da legislature di colore politico diverso - sono risultati omogenei sul punto, si sia voluto recuperare potere a livello di amministrazione centrale senza considerare appieno le ricadute sull'effettiva capacità di gestire le nuove funzioni.

Anche nella relazione che ha accompagnato il secondo correttivo, sono valorizzati i concetti patria e unità nazionale, come se la Repubblica cui fa riferimento l'art. 9 della Costituzione comprendesse solo lo Stato e non anche le sue articolazioni territoriali.

In tale relazione, il paesaggio viene inteso come aspetto peculiare e caratteristico dell'identità nazionale, come"la rappresentazione materiale e visibile della patria" (secondo la definizione della l. 778/1922).

Viene in tal modo giustificata "la necessità, in un panorama istituzionale in cui coesistono, intrecciate, attribuzioni e funzioni diverse, di un livello di governo unitario, che può essere assicurato anche in deroga all'ordinario assetto delle competenze istituzionali nella specifica materia, e che trova il suo fondamento, in via di principio, nella proclamazione di unità e indivisibilità della Repubblica".

Probabilmente il valore della patria e dell'unità della Repubblica non sono i primi principi che vengono in mente quando si ammira un paesaggio, sia esso una bellezza naturale o un quadro panoramico in cui la bellezza è costituita anche dall'opera dell'uomo, anche di valore culturale; probabilmente nell'art. 131, che contiene la definizione di paesaggio, sarebbe stato utile richiamare non solo gli aspetti "che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale", ma anche quelli legati ai valori culturali locali; ma il problema non sta tanto nelle definizioni o nella declamazione di principi.

Il problema reale è quello di dare una risposta all'interrogativo circa il livello decisionale ottimale per le competenze in materia di paesaggio e in particolare di autorizzazioni paesaggistiche.

Il livello ottimale va ricercato alla luce non di astratti principi, ma dei criteri della sussidiarietà e dell'adeguatezza.

E prima ancora va stabilito chi deve decidere quale sia il livello decisionale ottimale.

Sicuramente dai due correttivi emerge una sfiducia nei confronti delle amministrazioni locali, e in particolari quelle comunali, come dimostra il fatto che è stata dapprima disincentivata e poi condizionata a determinati presupposti la delega di funzioni ai comuni; ma è significativo anche che le regioni non siano state lasciate libere di individuare il soggetto cui delegare eventualmente le funzioni, ma siano state assoggettate a criteri fissati dall'alto, con misure particolarmente invasive, quali la decadenza delle deleghe o il sostanziale trasferimento della competenza alle soprintendenze.

Ci si deve a questo punto chiedere se l'apparato statale sia pronto per l'applicazione del nuovo sistema di autorizzazioni, la cui entrata in vigore è ormai prossima (31 dicembre 2008).

Nel recente passato, l'amministrazione dei beni culturali ha spesso faticato ad adeguarsi ad alcune statuizioni della giurisprudenza amministrativa e uno degli argomenti invocati è stata la mancanza di risorse.

Ad esempio, è noto il contrasto sorto sull'applicazione al procedimento di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche dell'obbligo di comunicare l'avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della l. 241/1990; dopo una iniziale incertezza, la giurisprudenza amministrativa si è orientata nel senso dell'applicabilità della disposizione e l'amministrazioni dei beni culturali, anche attraverso non sempre felici modifiche normative, ha cercato di evitare l'invio della suddetta comunicazione, ritenuta particolarmente gravosa.

Dal 2009 in poi dovranno essere reperite risorse, decisamente maggiori, per esercitare una competenza diretta in tema di autorizzazioni paesaggistiche e non si potranno adottare strumenti organizzativi, quali il controllo a campione come poteva avvenire per l'esercizio del potere di annullamento, perchþ, soprattutto in caso di parere vincolante, il potere è decisionale, con il rischio che l'amministrazione competente sia indotta a curare meno una pratica, rispetto alla quale l'effettivo potere decisionale è allocato altrove.

Il dubbio che l'allocazione delle competenze disciplinata dalla vigente versione del Codice non sia stata ottimale sussiste, ma l'auspicio è che attraverso l'attuazione del principio di leale collaborazione le difficoltà possano essere superate e tutto sarà reso più facile se ciascun soggetto porterà a termine i propri adempimenti nei termini previsti.

 

 

 

Note

[1] Non sono finora stati approvati i vari disegni di legge di riforma costituzionale, diretti ad inserire un ulteriore comma all'art. 9 Cost.: "Tutela l'ambiente e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni. Protegge le biodiversità e promuove il rispetto degli animali".

[2] Sul punto vedi M. Cecchetti, Principi costituzionali per la tutela dell'ambiente, Milano 2000.

[3] M.S. Giannini, Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. Trim. Dir. Pubbl. 1973, p. 15.

[4] Vedi B. Caravita, Diritto dell'ambiente, Bologna, 2001, 33, il quale sottolinea che, parlando di tutela degli equilibri ecologici della biosfera e degli ecosistemi, non si vuole far riferimento a tutela dell'ambiente inteso in senso esclusivamente naturale, in quanto della biosfera e degli ecosistemi fanno parte l'uomo e gli ambienti costruiti e strutturati dall'uomo.

[5] B. Caravita, Diritto dell'ambiente, cit., ritiene che la disciplina paesistica rimanga al confine della predetta nozione di ambiente, mentre ne restano fuori quelle discipline quali l'agricoltura o la sicurezza sul lavoro, che, pur presentando connessioni o collegamenti con il diritto dell'ambiente, sono caratterizzate da oggetti diversi e dalla prevalenza di finalità diverse.

[6] G. Severini, Le nuove modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio. Le nuove misure correttive e integrative, in Giorn. dir. amm., n. 10/2008, p. 1.

[7] In questo senso, A. Predieri, Paesaggio (voce), Enc. dir., XXXI, Milano, 1981.

[8] V. la disciplina in materia di V.I.A. fin dall'art. 3 della direttiva CEE 27-6-1985 concernente la valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.

[9] V. Mazzarelli, Le nuove modifiche al Codice dei beni culturali e del paesaggio. La disciplina del paesaggio dopo il d.lgs. n. 63/2008, in Giorn. dir. amm., n. 10/2008, p. 1

[10] In relazione alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato con riferimento al d.lg. 157/2006, la Corte - con ordinanza 18 luglio 2008, n. 296 - ha restituito gli atti al giudice remittente per una rinnovata valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza alla luce della normativa sopravvenuta (d.lg. 63/2008).

[11] Principi ribaditi con la successiva Corte cost., 30 maggio 2008, n. 180, con cui è stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 12, comma 2, della legge della regione Piemonte 19 febbraio 2007, n. 3 (Istituzione del Parco fluviale Gesso e Stura) poichþ, nel sostituire, pur nel solo ambito del Parco fluviale Gesso e Stura, il piano d'area al piano paesaggistico, ha alterato l'ordine di prevalenza che la normativa statale, alla quale è riservata tale competenza, detta tra gli strumenti di pianificazione paesaggistica e pertanto viola l'art. 145, comma 3, del d.lg. 42/2004 che, al tempo stesso, è norma interposta in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. ed esprime un principio fondamentale ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.

[12] Vedi A. Predieri, cit.

[13] Affermazioni tratte dalla scheda del ministero illustrativa delle novità introdotte nella prima versione del Codice.

[14] M. Ferretti, Breve commento al nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio, in www.lexfor.it.; dello stesso autore vedi anche Diritto dei beni culturali e del paesaggio, Napoli, 2007.

[15] Risulta essere stato proposto ricorso per questione di legittimità costituzionale dalla solo provincia autonoma di Trento per questione attinente a profili specifici dell'autonomia speciale (atto di promovimento n. 26 in G.U. n. 27 del 25-6-2008).

[16] M. Grisanti, Note a margine della circolare del Ministero per i beni e le attività culturali del 13 giugno 2008, n. 125, in www.lexitalia.it, n. 6/2008, il quale rilevava anche che se così non fosse non avrebbe avuto alcun senso la disposizione conclusiva del comma 1 dell'art. 159 che fa salvo il potere del soprintendente di annullare le autorizzazioni paesaggistiche già rilasciate, visto che se la norma in vigore fino al 31 dicembre 2008 è sempre quella vecchia rimane in vigore anche il potere di annullamento. Sulla questione, v. anche F. Botteon, La disciplina transitoria della autorizzazione paesaggistica: prime riflessioni sul nuovo art. 159 del Codice dei beni culturali dopo il d.lg. 63/08, in www.lexitalia.it, n. 5/2008.

[17] Fra tutte, Cons. Stato, VI, 22 dicembre 2004, n. 8188; 4 dicembre 2000, n. 6469; 9 ottobre 2000, n. 5373.

[18] V., fra tutte, Cons. Stato, VI, n. 3184/2000.

[19] Cons. Stato, VI, 22 giugno 2007, n. 3483; 2 maggio 2007, n. 1917.

[20] Nota Ufficio Legislativo del 22 giugno 2004, prot. n. 11758; interpretazione condivisa da Cons. Stato, II, 25 settembre 2007, n. 1557.

 

 

 



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