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Il Codice e la Convenzione europea del paesaggio

Codice dei beni culturali e del paesaggio e Convenzione europea: un raffronto [*]

di Gian Franco Cartei

Sommario: 1. Le novità contenute nel Codice e la centralità della pianificazione paesaggistica. - 2. Il Codice ed il retaggio della tradizione: primato della tutela e ruolo subordinato degli enti substatali. - 3. Segue: la distinzione tra paesaggio e territorio. - 4. Primarietà del paesaggio e gerarchia degli strumenti di pianificazione nella giurisprudenza costituzionale. - 5. Le novità contenute nella Convenzione europea: dimensione territoriale del paesaggio e ruolo delle autonomie locali. - 6. Codice e Convenzione: alcune precisazioni. - 7. Considerazioni conclusive.

1. Le novità contenute nel Codice e la centralità della pianificazione paesaggistica

E' opinione corrente che il Codice dei beni culturali e del paesaggio presenti novità significative rispetto alla tradizione legislativa fondata sui paradigmi della legge del 1939. Altrettanto diffusa è l'opinione che ritiene il Codice la corretta trascrizione dei principi contenuti nella Convenzione europea del paesaggio. A ciò sembrano in vero cospirare numerosi dati esegetici, a cominciare già dalla stessa formula definitoria di cui all'art. 131 che, nella versione da ultimo introdotta dal decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63, precisa che "Per paesaggio si intende il territorio espressivo delle identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni".

Non c'è dubbio che il Codice racchiuda importanti novità rispetto al passato con riguardo a tutte le partizioni disciplinari della disciplina: si pensi alle categorie dei beni paesaggistici, alla disciplina del vincolo ed al regime della sua gestione. Ma è soprattutto dalle norme in materia di pianificazione che il dato normativo risulta notevolmente arricchito.

Sotto il profilo dei contenuti e delle finalità, la disciplina del Codice assegna, infatti, alla regolazione pubblica un ruolo apicale rispetto a tutte le discipline che concorrono a conformare lo statuto del territorio. I principi di cui all'art. 135 confermano l'equipollenza giuridica tra piani urbanistico-territoriali a valenza paesaggistica e piani paesaggistici, e proiettano la disciplina del piano paesaggistico sull'intero territorio regionale in ragione dei differenti valori ambientali presenti [1]. La realizzazione è affidata, secondo gli aspetti ed i caratteri peculiari di ciascuna area, a parti di territorio denominati dalla norma 'ambiti di paesaggio' di cui tuttora manca, invero, una definizione, ma che paiono riferirsi a porzioni di territorio omogenee, individuate tipologicamente in relazione ai caratteri dei valori paesaggistici, e destinate a discipline comuni in funzione di obiettivi di qualità ambientale [2].

Le novità della disciplina sulla pianificazione affiorano sotto il profilo delle finalità e politiche pubbliche: a fianco dei fini tradizionali della ricognizione degli elementi morfologici e della conservazione dei caratteri costitutivi dei beni e delle aree territoriali, sono contemplate, infatti, finalità innovative, costituite dalla determinazione di interventi di riqualificazione e recupero delle aree che presentano processi di degrado ambientale e dalla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio secondo criteri di compatibilità con i valori paesaggistici tutelati. Seppur si tratti di finalità in parte già comprese nella formula contenuta nella legge 8 agosto 1985, n. 431, bene comunque ha fatto il legislatore delegato ad esplicitarle e specificarle nel Codice, dando così carattere prescrittivo ad indicazioni che, altrimenti, sarebbe cadute prigioniere di conflitti interpretativi.

Non meno significative risultano poi le disposizioni contenute nell'art. 143: sia sotto il profilo dei criteri formali di elaborazione e di redazione, sia soprattutto sotto l'aspetto dei contenuti e delle finalità del piano, la disciplina del Codice assegna alla regolazione pubblica il compito di connessione ed integrazione di tutte le discipline che concorrono a conformare lo statuto del territorio. Allo stesso tempo, anche nella versione introdotta dal d.lg. 63/2008 la pianificazione paesaggistica mantiene i caratteri della pianificazione a competenza generale, non limitata agli aspetti ricognitivi di valori preesistenti in funzione di conservazione, e caratterizzata da tratti assai diversi da quelli propri di una pianificazione di settore. La norma di cui all'art. 143 prevede, infatti, che l'elaborazione del piano debba contenere l'analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio, nonché la comparazione con gli altri strumenti di programmazione e di pianificazione territoriale e di difesa del suolo. Di guisa che il riferimento alla individuazione delle misure necessarie per il corretto inserimento degli interventi di trasformazione del territorio, se allude pur sempre ad una valutazione di compatibilità e non al potere di scelta discrezionale proprio della pianificazione urbanistica, introduce nondimeno criteri di ponderazione per la cura di interessi esogeni rispetto all'interesse ambientale, espressi dagli interventi di carattere urbanistico ed infrastrutturale, e di sviluppo economico.

Oltretutto, sempre l'art. 143, secondo comma, lett. e), nella nuova formulazione attribuisce al piano la potestà di individuare "eventuali, ulteriori contesti, diversi da quelli indicati all'art. 134, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione". Si tratta di un'attribuzione ulteriore che, per quanto utilizzi la dizione generica, e giuridicamente spuria, di contesti, allarga le potestà del piano e contestualmente il novero dei beni e delle aree suscettibili di disciplina paesaggistica.

In conclusione, il piano non si limita a riproporre la tecnica precettiva del vincolo e la preservazione delle invarianti, ma costituisce uno strumento volto anche ad obiettivi programmatici e progettuali di trasformazione territoriale tradizionalmente attribuiti alla competenza delle amministrazioni territoriali [3].

La tematica della pianificazione richiama, altresì, quella dei rapporti tra lo Stato e gli enti territoriali. Prevedendosi all'art. 133 che il ministero e le regioni definiscano le politiche per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio mediante lo strumento dell'intesa, sembra inverarsi quell'antico insegnamento della Corte costituzionale, secondo cui "Il principio di leale collaborazione è del tutto normale nel sistema delle autonomie, sia che si tratti di attività legislativa, sia che si tratti d'attività amministrativa" (sent. n. 49/1958) [4]. Ed al principio cooperativo si richiama espressamente anche l'art. 133, secondo comma, che attribuisce al ministero ed alle regioni la definizione d'intesa delle politiche in materia di pianificazione e di gestione paesaggistica.

2. Il Codice ed il retaggio della tradizione: primato della tutela e ruolo subordinato degli enti substatali

Malgrado le novità della disciplina, tuttavia, molte delle partizioni dogmatiche del Codice appaiono tributarie del passato [5].

Iniziando proprio dai profili definitori, le prospettive aperte dalla nuova disposizione di cui al primo comma dell'art. 131, si richiudono rapidamente allorché il terzo comma della disposizione esplicita quale sia l'oggetto del Codice: "i principi e la disciplina di tutela dei beni paesaggistici". In tal modo, l'oggetto della disciplina appare costituito non dal paesaggio, che resta espressione genericamente evocata ed enfaticamente riferita al valore culturale, quanto dai beni paesaggistici, ovvero, secondo la partizione del Codice, dai beni elencati dall'art. 134. Trattasi, in particolare, seppur con alcune integrazioni, dei beni della legge del 1939 e delle aree sottoposte a tutela dalla legge del 1985. Beni ed aree la cui disciplina è storicamente cresciuta sul primato della tutela e sulla esclusività del valore paesaggistico. E che il Codice abbia a cuore la disciplina dei beni piuttosto che la dimensione paesaggistica del territorio è confermato non solo dalla disciplina in tema di individuazione, ma, altresì, dalle disposizioni in materia di pianificazione e di autorizzazione paesaggistica.

Del resto, la corretta collocazione di una innovativa definizione di paesaggio quale autonomo bene giuridico, non avrebbe dovuto essere la norma di cui all'art. 131, bensì quella di cui all'art. 2, nella quale il patrimonio culturale resta suddiviso nelle categorie dei beni culturali e dei beni paesaggistici, questi ultimi intesi quali "gli immobili e le aree indicati all'art. 134, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge". E proprio all'art. 134 il Codice offre un chiaro segnale della volontà normativa di restringere il paesaggio alla tutela dei beni paesaggistici. La versione vigente non ha riproposto, infatti, il precedente riferimento normativo agli immobili e alle aree "tipizzati, individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156".

Per quanto l'esistenza di un tertium genus di beni paesaggistici sia risultata di problematica delimitazione, la norma investiva la pianificazione degli enti locali territoriali di un autonomo potere di individuazione e di scelta dei beni [6]. Potere, in realtà, per nulla rivoluzionario ed in buona parte riflesso di una tradizione legislativa ed interpretativa risalente a talune disposizioni contenute nella legge urbanistica del 1942 e ad alcune pronunce della Corte costituzionale [7]. Potere, tuttavia, che pare, allo stato, sottratto definitivamente agli enti territoriali allorché l'attuale versione dell'art. 134, lett. c), riconduce tale categoria di beni unicamente agli "ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini di cui all'art. 136", ovvero alle categorie di beni che, salvo alcune modifiche lessicali, ricadono nei paradigmi definitori della legge sulle bellezze naturali. Né tale soppressione pare potersi ritenere sostituita con il riferimento ai già richiamati "eventuali, ulteriori contesti", la cui previsione, oltre che in concreto di problematica individuazione, appare di ancor più problematica compatibilità costituzionale con i principi della riserva di legge di cui all'art. 42 Cost.

Anche sul piano dei rapporti tra le amministrazioni pubbliche, appare chiaro quale sia il piano prescrittivo che fa da sfondo alle scelte del Codice: la precedente previsione di cui all'art. 132 prevedeva, infatti, un obbligo di cooperazione rivolto a tutte le amministrazioni pubbliche nella definizione di indirizzi e criteri concernenti le attività di tutela, valorizzazione, pianificazione e di gestione degli interventi; l'attuale formulazione dell'art. 133, invece, restringe il numero degli attori pubblici a due soggetti, il ministero e le regioni, cui spetta definire d'intesa le politiche per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio e cooperare per la definizione degli indirizzi e dei criteri riguardanti l'attività di pianificazione e di gestione degli interventi. Quanto alle attribuzioni degli altri enti territoriali, il principio sancito dal Codice appare inequivocabile alla luce dell'ultimo comma dell'art. 133: "Gli altri enti pubblici territoriali conformano la loro attività di pianificazione agli indirizzi e ai criteri di cui al comma 2 e, nell'immediato, adeguano gli strumenti vigenti".

La lettera della disposizione non lascia margini di dubbio sul ruolo assolutamente subordinato delle autonomie locali nella disciplina paesaggistica. Del resto, già la versione precedente degli articoli 4 e 5 del Codice aveva individuato il significato del principio cooperativistico in una valenza eccentrica rispetto alle competenze degli enti territoriali e, in ogni caso, lontana dal significato dell'art. 118 Cost., non limitandosi ad individuare nella esclusiva titolarità statale tutte le funzioni di tutela, ma spingendosi a configurare la cooperazione amministrativa quale attività ausiliaria delle regioni e degli enti locali a vantaggio del ministero. Con la conseguenza di considerare tutte le funzioni in materia quali funzioni delegate sulle quali il ministero esercita "le potestà di indirizzo e di vigilanza e il potere sostitutivo in caso di perdurante inerzia o inadempienza" [8].

La posizione di subordinazione degli enti territoriali nei riguardi dello Stato appare confermata dalle disposizioni in materia di pianificazione paesaggistica. La norma di cui all'art. 135, nella versione introdotta dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 157, manteneva la titolarità e la procedura di formazione del piano pur sempre alle regioni, cui restava la potestà di agire "anche in collaborazione con lo Stato". La scelta del legislatore delegato del 2008 appare, invece, privilegiare un modello che segna un indebolimento delle attribuzioni regionali a tutto vantaggio di quelle ministeriali là dove prevede che l'elaborazione dei piani con riguardo ai beni paesaggistici di cui all'art. 143, primo comma, lett. b), c) e d) avvenga "congiuntamente tra ministero e regioni".

In tal modo, il ruolo dello Stato nei processi di pianificazione non risulta più eventuale e, seppur formalmente mantenuta alla sfera regionale, l'approvazione del piano appare sempre meno ricadere nella sfera di autonomia delle regioni per essere attratta sempre più nei modelli di codecisione propri dell'atto complesso. E che si tratti di una complessità fondata su una diseguaglianza, perché sbilanciata a tutto vantaggio delle determinazioni statali, appare confermata dalla disciplina prevista dalla norma di cui all'art. 143 riguardo alla procedura di definizione del piano ed ai suoi effetti: se, infatti, il piano non è elaborato ed approvato nel termine indicato nell'accordo/intesa tra lo Stato e la regione, il ministero può sempre agire in via sostitutiva, sentito il ministro dell'Ambiente e della tutela del Territorio; inoltre, in mancanza dell'accordo, il parere della soprintendenza resta comunque vincolante e non sono ammesse le deroghe previste in materia di rilascio dell'autorizzazione.

In questa prospettiva anche l'autonomia degli enti locali, già limitata alla luce della precedente versione del Codice, appare ulteriormente compromessa nella nuova versione dell'art. 145 essendo totalmente ricondotta all'interno delle scelte operate in sede di accordo stipulato tra il ministero e la regione. Sul punto appare sufficiente menzionare il rinnovato ruolo attribuito alle "linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale". Si tratta, come noto, di una formula già utilizzata in passato dall'art. 81, primo comma, del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, cui invero non è mai stata data applicazione, ma la cui menzione, unitamente al riconoscimento che la loro individuazione costituisce compito di rilievo nazionale, conferisce allo Stato uno strumento che, seppur al fine dichiarato di riguardare unicamente i principi ed i criteri direttivi relativi al conferimento di funzioni agli enti territoriali, è destinato a costituire una ulteriore forma di condizionamento degli strumenti di pianificazione territoriale regionali e locali. Del pari, anche la modifica intervenuta al secondo comma della disposizione in questione, per cui la previsione di misure di coordinamento dei piani paesaggistici con gli strumenti di pianificazione e di settore cessa di avere carattere obbligatorio, contribuisce a conferire una dimensione marginale all'apporto degli enti locali al processo di pianificazione ambientale.

3. Segue: la distinzione tra paesaggio e territorio

Alla luce di queste brevi notazioni appare possibile ricavare un significato complessivo dall'ordito normativo del Codice. Sullo sfondo resta salda l'opzione ermeneutica che, fedele alla tradizione ed all'orientamento esegetico prevalente, conferma per i beni paesaggistici una prospettiva disciplinare distinta rispetto al resto del territorio.

Nel linguaggio del Codice Paesaggio, malgrado qualche concessione verbale, rappresenta, infatti, solo ciò che, secondo quanto insegna l'art. 2, rientri nel concetto di patrimonio culturale e, come tale, esprima un valore storico, morfologico o culturale del territorio che faccia il paio con lo statuto dei beni culturali [9]. Tutto ciò spiega perché, al di là di indubbie novità, esista una sostanziale continuità con il passato, ben rappresentata da note antitesi e dicotomie disciplinari. Così è, per limitarci a quelle più conosciute, per le distinzioni tra governo del territorio e tutela del paesaggio, tra piani urbanistici e piani paesaggistici, tra vincoli urbanistici e vincoli paesaggistici e tra titoli edilizi ed ambientali. Tutti elementi che sostanziano la sopravvivenza di concetti quali tutela parallela, interesse differenziato e beni d'interesse pubblico, che hanno contribuito a coagulare il modello epistemologico del principio contenuto nell'art. 9 Cost. sui canoni del valore estetico-culturale elaborati dalla giurisprudenza costituzionale.

Riecheggia, in particolare, la lezione tenuta dalla Corte costituzionale con la nota pronuncia n. 56 del 1968: i beni paesaggistici costituiscono un "complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge"; come tali rappresentano una categoria originariamente di interesse pubblico ed "a contorni certi". Di quei postulati sono note le implicazioni sul piano dei caratteri della tutela, dello statuto della proprietà immobiliare e dei poteri dell'amministrazione. Degli uni e delle altre offre una sintesi icastica una recente pronuncia del Consiglio di Stato: "L'imposizione del vincolo paesaggistico non richiede... una ponderazione degli interessi privati unitamente e in concorrenza con quelli pubblici connessi con la tutela paesaggistica, sia perché la dichiarazione di particolare interesse sotto il profilo paesistico non è in concorrenza con gli interessi pubblici connessi con la tutela paesaggistica, sia perché la dichiarazione di particolare interesse sotto il profilo paesistico non è un vincolo a carattere espropriativo, costituendo i beni aventi valore paesistico una categoria originariamente di interesse pubblico, sia perché comunque la disciplina costituzionale del paesaggio erige il valore estetico-culturale a valore primario dell'ordinamento" [10].

4. Primarietà del paesaggio e gerarchia degli strumenti di pianificazione nella giurisprudenza costituzionale

Che i principi organizzativi ed epistemologici della materia siano quelli ancorati alla tradizione lo ha confermato la Corte costituzionale con due pronunce successive alla legge di ratifica e di esecuzione della Convenzione, legge 9 gennaio 2006, n. 14. In particolare, con la sentenza n. 182 del 2006, utilizzando l'angolo prospettico della potestà di piano, la Corte ha asserito, infatti, che è lo Stato che "pone una disciplina dettagliata, cui le regioni devono conformarsi [...]"; ed ha sottolineato che resta in ogni caso fermo il principio, secondo cui "la tutela del paesaggio assurg(e) a valore primario, cui deve sottostare qualsiasi altro interesse interferente". Da tale modello rigidamente gerarchico, nonché dal carattere unitario ed imprescindibile della pianificazione, la Corte disegna il perimetro angusto all'interno del quale si realizza l'autonomia delle scelte degli enti territoriali: "il paesaggio va rispettato come valore primario, attraverso un indirizzo unitario che superi la pluralità degli interventi delle amministrazioni locali" [11].

Altrettanto esplicita sull'irriducibilità della tutela del paesaggio al governo degli enti territoriali substatali appare l'indicazione offerta dalla pronuncia n. 367 del 2007, che individua nel paesaggio di cui all'art. 9 Cost. "l'ambiente nel suo aspetto visivo", lo "stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene [...]", l'espressione di un "valore primario ed assoluto". La sua tutela, pertanto, "precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali ed ambientali". In conclusione, per dirla con le parole della Corte: "vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle regioni" [12].

Ma è sempre nella prospettiva della pianificazione che la prospettiva della Corte costituzionale raggiunge le implicazioni più nette. Secondo la sentenza n. 180 del 2008, infatti, nei rapporti tra il piano paesaggistico e gli altri piani il principio di prevalenza dell'istanza paesaggistica si converte in un vero e proprio "principio della gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali" [13].

L'opzione interpretativa prescelta dal giudice delle leggi risulta in linea con buona parte delle pronunce del giudice amministrativo [14]; ed è sicuramente destinata a raccogliere il plauso di quelle opinioni critiche che invocano l'unificazione delle competenze "in capo allo Stato, il solo tra i vari enti istituzionali che sia depositario d'una visione generale, che viene inevitabilmente persa di vista man mano che si discende nei livelli locali, la regione e ancora di più il comune" [15].

Non si può tacere, tuttavia, che il panorama della giurisprudenza costituzionale appare tutt'altro che omogeneo [16]. La primarietà del paesaggio, intesa nel significato della sua assolutezza ed indisponibilità, risulta, infatti, smentita dalla stessa Corte costituzionale allorché di recente ha precisato, proprio con riguardo al principio contenuto nell'art. 9 Cost., che "questa primarietà non legittima un primato assoluto in una ipotetica scala gerarchica dei valori costituzionali, ma origina la necessità che essi debbano sempre essere presi in considerazione nei concreti bilanciamenti operati dal legislatore ordinario e dalle pubbliche amministrazioni" [17].

Né si può ritenere che tale pronuncia costituisca un incidente di percorso. In altra e più risalente occasione, infatti, la Corte ha affermato che la tutela del paesaggio deve "attuarsi dinamicamente e cioè tenendo conto delle esigenze poste dallo sviluppo socioeconomico del paese per quanto la soddisfazione di esse può incidere sul territorio e sull'ambiente" [18]. E più di recente il giudice delle leggi ha osservato, alla luce del principio di leale collaborazione dei rapporti tra Stato e regioni [19], che la tutela del paesaggio costituisce "un sistema di intervento pubblico basato su competenze statali e regionali che concorrono o si intersecano, in un'attuazione legislativa che impone il contemperamento dei rispettivi interessi, con l'osservanza in ogni caso del principio di equilibrata concorrenza e cooperazione tra le due competenze, in relazione ai momenti fondamentali della disciplina stabilita a protezione del paesaggio" [20].

A dire il vero neppure la giurisprudenza amministrativa presenta un panorama del tutto uniforme. Non mancano, infatti, pronunce in cui la primarietà del valore paesaggistico recede nel nome di valutazioni comparative con gli interessi con lo stesso configgenti secondo criteri di congruità e proporzionalità [21].

Resta poco da aggiungere con riguardo all'indirizzo della Corte costituzionale, se non un rilievo: nessun peso particolare o richiamo, esplicito o implicito, ha avuto nel paradigma decisorio della recente giurisprudenza costituzionale la Convenzione europea del paesaggio. Tale silenzio ha una probabile spiegazione: nella ricostruzione interpretativa operata dalla Corte la disciplina della Convenzione risulta assorbita da quella del Codice.

5. Le novità contenute nella Convenzione europea: dimensione territoriale del paesaggio e ruolo delle autonomie locali

Tale silenzio provoca qualche sorpresa perché, se il Codice si adagia in larga misura sul solco della tradizione iconografica ed estetizzante, diversa appare la prospettiva metodologica e tematica cui attinge la Convenzione. In vero, la lettura del testo, almeno nelle disposizioni in cui ricorrono le medesime formulazioni linguistiche del Codice, sembrerebbe a prima vista smentire tale affermazione. Si tratta, tuttavia, di un'impressione fallace: le analogie, che pur caratterizzano i due testi, non testimoniano, infatti, un'identità di prospettiva di oggetto e di metodi, ma solo convergenze su taluni temi specifici. L'ubi consistam della Convenzione, se può ritenersi contenuto, ben difficilmente può dirsi esaurito nella cifra normativa del Codice.

A tal fine, può prendersi spunto già dall'oggetto della Convenzione. La disposizione di cui all'art. 2, infatti, rivolge il proprio campo di applicazione, "a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani. Essa comprende i paesaggi terrestri, le acque interne e marine. Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana sia i paesaggi degradati".

Il paesaggio della Convenzione non appare riconducibile unicamente a quello ascrivibile ad una dimensione differenziata di eccellenza, ma si declina secondo una pluralità di accezioni, estranee alla nozione di patrimonio culturale del Codice, perché comprendono anche realtà prive di pregio o interessate da processi di degrado o di abbandono [22]. Ciò si spiega se ci poniamo nella prospettiva della Convenzione che pone in diretta correlazione il paesaggio ed il territorio: l'allusione alle aree interessate da trasformazioni urbanistiche ed infrastrutturali, infatti, riduce ogni dubbio sulla estendibilità nell'ottica del Consiglio di Europa della disciplina ambientale a tutte le zone del territorio, incluse quelle degradate o legate alla ordinaria fruizione quotidiana [23]. Perde così significato la distinzione operata dal Codice tra paesaggio e beni paesaggistici; del pari, contrasta con la Convenzione la previsione contenuta nell'art. 142, secondo comma, lett. a), del Codice che sottrae alla disciplina le aree classificate dagli strumenti urbanistici come zone destinate a politiche di completamento edilizio.

L'introduzione di una prospettiva fondata su di una pluralità di paesaggi, tuttavia, non significa rinuncia ad una considerazione unitaria del paesaggio, che risulta confermata dal richiamo al principio di integrazione del paesaggio nelle politiche di pianificazione di pianificazione territoriale ed urbanistica ed in quelle a carattere culturale, ambientale, agricolo, sociale ed economico, secondo un criterio del tutto analogo a quello enunciato dall'art. 6 del Trattato dell'Unione europea in materia di tutela dell'ambiente [24].

Che poi la Convenzione sembri legittimare un'interpretazione in cui la dimensione procedimentale del valore paesaggistico rischi di eclissarsi in ragione della concorrenza o della prevalenza di altri interessi sovente ben organizzati appare una lettura smentita dalla disposizione di cui all'art. 6, lett. c), che impone a ciascuna Parte di individuare i propri paesaggi sull'insieme del territorio e di seguirne le trasformazioni. E che non si tratti neppure di una trasformazione del paesaggio disancorata da criteri di scelta e metodi di condotta appare con chiarezza dalle formule definitorie contenute nell'art. 1 della Convenzione. Il riferimento è, in particolare, alla "Politica del paesaggio", intesa quale formulazione di principi, strategie ed orientamenti preordinati all'adozione di misure finalizzate a salvaguardare, gestire e pianificare il paesaggio; agli "Obiettivi di qualità paesaggistica", intesi quali formulazione da parte delle autorità pubbliche delle aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del loro ambiente di vita; alla "Gestione dei paesaggi", concepita quale insieme di azioni volte a garantire il governo del paesaggio al fine di ricondurre le trasformazioni provocate dai processi sociali, economici ed ambientali in una prospettiva di sviluppo sostenibile [25]. In vero, anche una formula giuridica più familiare per il lettore italiano, quale quella relativa alla pianificazione, in realtà risulta suscettibile di correggere, là dove assume le finalità di ripristino e di creazione di paesaggi, molti dei postulati su cui è cresciuta l'esperienza giuridica nazionale [26].

Le differenze tra i due testi normativi non paiono fermarsi agli aspetti pur importanti menzionati. Un altro profilo riguarda i soggetti cui spetta la competenza a riconoscere ed individuare l'oggetto della disciplina. Se nella disposizione di cui all'art. 4 della Convenzione è operato un rinvio alla ripartizione delle competenze di ogni ordinamento nazionale, è pur vero che la menzione del principio di sussidiarietà lascia pochi margini di dubbio sul ruolo che dovrebbero ricoprire in materia le autonomie territoriali [27]. Né appare di rilievo secondario che sempre la Convenzione nella disposizione di cui all'art. 5 menzioni unicamente gli enti territoriali regionali e locali quali soggetti pubblici tra i quali avviare le procedure di partecipazione nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche; in tal modo, appare chiaro che nell'ottica della Convenzione la responsabilità in materia di disciplina del paesaggio spetti non allo Stato, ma agli enti locali [28].

Le differenze tra i due testi riguardano, altresì, il peso attribuito alla collettività locale nel processo di partecipazione preordinato alla individuazione del paesaggio ed alla determinazione delle politiche che lo riguardano. Nel Codice ogni riferimento all'insieme di coloro che vivono sul territorio in vero appare un dato inespresso e costituisce un riflesso del tutto implicito e secondario della disciplina [29]. La versione dell'art. 131, introdotta da ultimo dal d.lg. 63/2008, lasciando cadere la correlazione inizialmente proposta tra processi identitari e popolazioni, conferma significativamente l'impostazione tradizionale che sottrae ogni potestà di scelta ed autonoma determinazione al vaglio della collettività locale. In tal modo, la formula dell'identità nazionale, utilizzata dal secondo comma della norma menzionata, prima ancora di esprimere i valori espressi da una volontà collettiva, rappresenta la trasfigurazione sociologica delle determinazioni operate dalla sovranità statuale.

Affatto diversa appare l'impostazione della Convenzione. I riferimenti ai bisogni sociali, alla cultura locale ed al benessere individuale e collettivo contenuti nel Preambolo consegnano il paesaggio ad una dimensione identitaria di condivisione sociale che si configura come assolutamente necessaria affinché le popolazioni possano "godere di un paesaggio di qualità e svolgere un ruolo attivo nella sua trasformazione". In questa prospettiva il paesaggio costituisce, sempre secondo quanto prevede la disposizione di cui all'art. 1, il risultato di un processo percettivo ed identificativo affidato alla popolazione che nel paesaggio vive e che nel paesaggio intende realizzare le proprie aspirazioni "per quanto riguarda le caratteristiche paesaggistiche del (proprio) ambiente di vita". E' quanto riconosce espressamente, altresì, la norma di cui all'art. 5 della Convenzione allorché impegna ogni parte contraente a "riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità". E proprio perché il paesaggio è concepito quale scelta legata alla dimensione comunitaria delle dinamiche sociali la disposizione di cui all'art. 6 impegna ogni parte contraente ad accrescere la sensibilità, oltre che delle pubbliche amministrazioni, altresì, della società civile nel suo complesso e delle formazioni associative in cui si articola "al valore dei paesaggi, al loro ruolo e alla loro trasformazione".

Ma l'attenzione ai bisogni sociali delle collettività serve anche a mettere a fuoco il ruolo degli enti nella disciplina del paesaggio. Se, infatti, nel Codice le competenze amministrative, al pari di quelle legislative, sono saldamente nelle mani dello Stato-ministero per i Beni e le Attività culturali, nella Convenzione l'autonomia locale è intesa non quale mero decentramento, ma quale capacità di scelta degli enti territoriali di individuare gli obiettivi delle proprie azioni e di elaborare un autonomo indirizzo politico-amministrativo con riguardo alle esigenze espresse dalla collettività di riferimento.

6. Codice e Convenzione: alcune precisazioni

Volendo formulare una sintesi delle differenze che caratterizzano i due testi normativi preme sottolineare che nel Codice prevalgono la predeterminazione delle tipologie e dei modelli di tutela, l'omogeneità di criteri e di qualificazioni, l'uniformità delle prescrizioni; l'interesse pubblico resta ancorato al modello dell'interesse pubblico di vertice, sovraordinato a qualsiasi altro, affidato allo Stato che, siccome titolare di competenze e potestà, ne cura la conservazione tracciando le regole e imponendone l'attuazione agli enti territoriali. Per l'altro verso, nella Convenzione, l'unità della disciplina deve intendersi come unitarietà di prospettiva in cui, fatte salve quelle aree in cui la preservazione è imposta dalla particolare morfologia dei beni, prevale la molteplicità dei modelli di tutela e la pluralità dei criteri di attuazione tiene conto di un principio di integrazione degli interessi e dei fini pubblici; l'interesse pubblico non costituisce soltanto un dato previo e riflesso in una tassonomia normativa, ma rappresenta il risultato di un progetto condiviso, affidato all'individuazione delle scelta politiche e dei processi sociali; il paesaggio, costituisce così il fondamento della comunità e ne plasma l'identità.

In questo quadro sono destinate a ricevere diversa configurazione e disciplina giuridica alcuni aspetti fondamentali della materia. Ad iniziare dal profilo definitorio, non più confinabile nei paradigmi nell'odierna iconografia estetizzante, sino a quello organizzativo, relativo alla individuazione dei rapporti tra la disciplina del paesaggio e ciò che ricade nella formula del governo del territorio, cui allude l'art. 117, terzo comma, Cost. [30]. Senza trascurare la disamina dell'attualità ed utilità di formulazioni tradizionali, quali quelle espresse dalla contrapposizione tra i vincoli ed i piani, o dalla dicotomia vincoli ricognitivi/vincoli costitutivi, che tanta importanza hanno tuttora nelle partizioni disciplinari della materia [31].

Tra le questioni che l'attuazione della Convenzione è destinata a sollevare ve ne sono alcune particolarmente urgenti perché riguardano l'interpretazione di alcuni principi costituzionali.

Si pensi, ad esempio, alla questione delle competenze in materia. Fintanto che assumiamo il paesaggio quale oggetto limitato alla tutela di determinati beni di pregio ed espressione di valori di eccellenza, pare possibile continuare a ricondurre la materia alla competenza legislativa esclusiva statale e ad invocare, nel nome dell'esercizio unitario delle funzioni amministrative, un ruolo di primazia e di vertice al ministero per i Beni e le Attività culturali [32]. La conclusione si configura diversamente allorché l'oggetto della disciplina assume una dimensione giuridica diffusa ed estesa ad interessi ed attribuzioni strettamente afferenti alla sfera delle competenze degli enti territoriali. In tal caso pare necessario tenere fermi i principi di cui agli artt. 114 e ss. della Costituzione che pongono i rapporti tra gli enti territoriale e lo Stato in un rapporto di equiordinazione e concepiscono l'autonomia locale non quale mero decentramento, ma anche quale capacità degli enti di individuare gli obiettivi delle proprie azioni e di elaborare un autonomo indirizzo politico-amministrativo con riguardo alle esigenze espresse dalla collettività di riferimento [33].

In questa prospettiva, nonché alla luce della Carta europea dell'autonomia locale, espressamente richiamata dall'art. 4 della Convenzione, la disposizione costituzionale contenuta nell'art. 118 Cost. non pare potersi leggere che in altro modo che quello fatto palese dai principi dell'autonomia locale. Per cui i principi ivi espressi di sussidiarietà, differenziazione e di adeguatezza non possono legittimare alcuna interpretazione normativa che determini un criterio di allocazione delle funzioni amministrative che giunga a capovolgere il significato complessivo della disposizione attribuendo al ministero ciò che pertiene alla competenza degli enti territoriali [34].

A tale aspetto si connette la questione del significato della disciplina del paesaggio in rapporto a materie tradizionalmente distinte quali il governo del territorio e l'ambiente. La distinzione tra paesaggio, ambiente e governo del territorio, già problematica sul piano dell'esegesi costituzionale, diventa ancor più confusa alla luce della Convenzione. La difficoltà concerne con particolare evidenza la distinzione tra il paesaggio ed il governo del territorio, ché con riguardo alla tutela dell'ambiente la questione pare porsi con minore difficoltà. Una volta che la disciplina del paesaggio concerne il tessuto urbano e le zone di espansione, comprende i territori degradati, assume funzioni di interesse generale e benessere sociale, assurge a progetto di trasformazione territoriale, riesce difficile individuare l'ambito proprio da ascrivere ad una materia dai contorni incerti quale quella racchiusa nella formula costituzionale del governo del territorio, ancorché concepita nella accezione di urbanistica [35].

Su un piano diverso, come accennato, si pone il rapporto con la nozione di ambiente. In realtà, la distinzione tra la disciplina del paesaggio e la tutela dell'ambiente appare un dato esegetico non esplicitato dall'esegesi costituzionale: l'art. 117, secondo comma, lett. s), come noto, non contempla il paesaggio tra le materie di competenza statale, per cui pare in vero legittimo ritenere che la tutela dell'ambiente comprenda il paesaggio quale forma sensibile e visibile del territorio [36]. Per altro verso, la tutela dell'ambiente è riferita comunemente alla tutela dell'equilibrio ecologico, inteso come garanzia dell'insieme delle condizioni di vita degli esseri viventi [37]. Sennonché a tale accezione pare riferirsi, altresì, la Convenzione allorché nel preambolo attribuisce al paesaggio una funzione di interesse generale sul piano ecologico ed ambientale e nella disposizione di cui all'art. 5 impegna gli ordinamenti nazionali a "riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni".

7. Considerazioni conclusive

Le considerazioni che precedono inducono a contestare la fondatezza dell'opinione secondo cui il Codice dei beni culturali e del paesaggio costituirebbe il corretto recepimento dei principi contenuti nella Convenzione [38]. Per più aspetti Codice e Convenzione rispecchiano modelli antitetici. Da qui la necessità di comprendere le implicazioni derivanti dalle antinomie tra i due testi.

In linea generale, al pari di ogni altro trattato o convenzione internazionale, vale anche per la Convenzione europea del paesaggio il criterio generale per cui il diritto internazionale pattizio esprime regole e principi destinati a modellare i paradigmi interpretativi del diritto nazionale. E ciò ovviamente con riguardo non solo alle formule giuridiche più agevolmente assimilabili a quella espresse dall'ordinamento nazionale, ma anche a quei principi che paiono più eccentrici rispetto alla tradizione nazionale. Di conseguenza, dovrebbero vigere anche in questo caso i criteri generali che presiedono all'interpretazione dei trattati e, in particolare, quelli contenuti nell'art. 31 della Convenzione di Vienna che, da un lato, consentono di ignorare i significati che privino le norme di effetto utile, dall'altro, legittimano la prevalenza delle formule esegetiche che privilegiano il metodo testuale e della interpretazione analogica, se necessario utilizzando, altresì, le finalità espresse nel Preambolo.

Tale criterio esegetico è destinato, tuttavia, a valere fin dove è possibile interpretare le disposizioni del Codice in senso almeno latamente conforme ai principi della Convenzione. Nei casi, invece, in cui vi sia un contrasto non risolvibile in via interpretativa, e dall'incompatibilità tra i due testi scaturisca un'antinomia normativa, le conseguenze giuridiche paiono coinvolgere valutazioni diverse.

Secondo il ben noto principio contenuto nell'art. 117, primo comma, Cost., anche la potestà legislativa statale deve essere esercitata nel rispetto degli obblighi internazionali, ovvero il legislatore ordinario deve adeguare la propria legislazione alle norme contenute nei trattati internazionali. Ove ciò non accada, la violazione delle norme internazionali costituisce al contempo violazione della disposizione di cui all'art. 117, primo comma, Cost., suscettibile, come tale, di essere sottoposta al vaglio della Corte costituzionale.

Nelle pronunce del giudice costituzionale in cui è stato di recente sancito l'obbligo del legislatore di rispettare le disposizioni internazionali, siccome interposte tra la fonte ordinaria ed il testo della Costituzione, gli obblighi internazionali, invero, erano costituiti dalle prescrizioni contenute nella Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo [39]. Si può ovviamente dubitare che la comune natura di trattato internazionale implichi che le due Convenzioni posseggano la medesima pregnanza ed efficacia giuridica e, sul piano applicativo, siano destinate a ricevere identica garanzia di applicazione da parte del nostro ordinamento nazionale [40].

Qualunque sia la soluzione che si decida di adottare, tuttavia, occorre scongiurare il pericolo che alle disposizioni della Convenzione europea del paesaggio tocchi in sorte di restare sospese sui canoni concettuali della nostra tradizione giuridica, oppure di essere oggetto di una interpretazione regressiva che ne trasfiguri i contenuti originari.

 

 

 

Note

[*] Il presente contributo costituisce la versione definitiva ed integrata della relazione presentata dall'autore alla Biennale del Paesaggio Toscano, Firenze 12-15 novembre 2008.

[1] Si richiama P. Urbani, Art. 135, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 534, secondo cui "In tal senso, tutto il territorio regionale è paesaggio (salva naturalmente la graduazione della disciplina di tutela in funzione della presenza di determinati valori)"; S. Amorosino, Commentario agli articoli 143-145, Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M.A. Sandulli, Milano, 2007, p. 935 ss.; E. Boscolo, Paesaggio e tecniche di regolazione: i contenuti del piano paesaggistico, in Riv. giur. urb., 2008, p. 130 ss.

[2] Già secondo la versione precedente dell'art. 135, secondo comma, "I piani paesaggistici, in base alle caratteristiche naturali e storiche, individuano ambiti definiti in relazione alla tipologia, rilevanza e integrità dei valori paesaggistici". Sugli ambiti di paesaggio, P. Urbani, Art. 135, cit., secondo cui si tratta di "Tecnica ordinante ai fini della disciplina dei vari interessi generali o settoriali che costituisce il supporto conoscitivo e cartografico delle scelte che ciascun piano opera sul territorio"; più diffusamente, E. Boscolo, Paesaggio e tecniche di regolazione: i contenuti del piano paesaggistico, cit. p. 136 ss.

[3] Si richiama S. Amorosino, Art. 143, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, cit., p. 582 ss.

[4] Impostazione ripresa e sviluppata sin dalla pronuncia 28 luglio 1988, n. 921, secondo cui la norma di cui all'art. 9 Cost. "non postula una riserva statale, ma è intesa a promuovere il concorso o la collaborazione, nella sfera di rispettiva competenza, delle strutture centrali e locali per il migliore perseguimento di un grande obiettivo di civiltà", in Regioni, 1989, p. 1675 (punto 4 in diritto), con nota di M. Ainis, Una sentenza su regioni e cultura con un convitato di pietra: lo Stato.

[5] Con riguardo all'influenza sulle disposizioni contenute nell'articolo 1 del Codice dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale e dalla dottrina intorno all'art. 9 Cost., G. Caia, Beni culturali e paesaggio nel recente Codice: i principi e la nozione di patrimonio culturale, in Studi in onore di Leopoldo Mazzarolli, vol. III, Padova, Cedam, 2007, p. 161 ss.

[6] Ancor più evidente appariva il potere attribuito al pianificatore regionale dalla prima versione dell'art. 134, lett. c), che si riferiva agli "immobili e le aree comunque sottoposti a tutela dai piani paesaggistici", ritenuti un tertium genus da P. Carpentieri, Art. 134, in G. Trotta, G. Caia, N. Aicardi (a cura di), Commentario dei beni culturali e del paesaggio, in Nuove Leggi Civili Commentate, 2006, p. 137.

[7] Sia consentito rinviare a G.F. Cartei, Art. 134, in Commentario dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, cit., p. 530 ss.

[8] Si richiamano le puntuali osservazioni di G. Pastori, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, cit., p. 73, secondo cui "Ne risultano complessivamente confermate un'interpretazione ed un'applicazione dell'art. 118 Cost. in termini del tutto restrittivi, in termini di cooperazione ausiliaria delle regioni e degli enti locali e di rapporto di subordinazione fra delegante e delegato".

[9] Sulla derivazione dei beni paesaggistici dalla nozione di patrimonio culturale, alla luce della disposizione dell'art. 2 del Codice, G. Caia, Beni culturali e paesaggio nel recente Codice: i principi e la nozione di patrimonio culturale, cit. p. 161 ss., secondo cui "i beni paesaggistici sono tutelati non in quanto entità di tipo meramente geografico-territoriale, ma in quanto entità in cui gli elementi naturali e morfologici si arricchiscono di tratti storici, culturali e/o estetici, in varia combinazione tra loro".

[10] Cons. Stato, sez. IV, 23 novembre 2004, n. 7667, in www.giustizia-amministrativa.it.

[11] Corte cost., 5 maggio 2006, n. 182 (punti 2 e 3 in diritto), in Giur. cost., 2006, 1841 ss., con nota di D.M. Traina, Note minime su pianificazione del paesaggio e governo del territorio nella legge toscana n. 1 del 2005, in cui la Corte ha dichiarato la illegittimità di alcune disposizioni della l. r Toscana n. 1 del 2005 che attribuivano potestà agli enti territoriali comunali; sul significato politico delle argomentazioni della Corte merita richiamare l'opinione di L. Scano, La Consulta dice: il paesaggio compete alle regioni e allo Stato, secondo cui: "fanno, da un lato, giustizia di ogni tesi sulla "equiordinazione" degli strumenti di competenza dei diversi livelli istituzionali, e mettono da un altro lato in crisi gravissima tutte quelle legislazioni regionali che hanno escluso, del tutto o quasi, la possibilità di avere anche efficacie immediatamente vincolanti, e direttamente operative, sia per quegli strumenti di pianificazione sovraccomunali che (come per l'appunto nel caso della regione Toscana) per la "figura pianificatoria" comunale "di primo livello", di norma denominata "piano strutturale", in www.eddyburg.it.

[12] Corte costituzionale, 7 novembre 2007, n. 367 (punto 7.1 in diritto); per un commento si richiama P. Carpentieri, Tutela del paesaggio: un valore di spessore nazionale, in Urb. app., 2008, n. 3, p. 3005 ss.; D.M. Traina, Il paesaggio come valore costituzionale assoluto, in corso di pubblicazione in Giur. cost., 2008; S. Amorosino, La tutela del paesaggio spetta in primis allo Stato ed è irriducibile al governo (regionale/locale) del territorio, in Riv. giur. ed., 2008, I, 90 ss.; di tenore identico alle pronunce richiamate nel resto risulta, altresì, Corte cost., 27 giugno 2008, n. 232, che ribadisce per la tutela paesaggistica la qualificazione di "valore primario ed assoluto", come tale rientrante "nella competenza legislativa esclusiva dello Stato" (punto 5 in diritto), in www.giurcost.org.

[13] Corte cost., 19 maggio 2008, n. 180 (punto 3 in diritto).

[14] Merita richiamare Cons. Stato, ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9, in Cons. St., 2001, I, pag. 2585 ss., secondo cui "la titolarità da parte dello Stato dei valori del paesaggio [...] comporta che la materia, pur se evolvesse nel senso della riduzione dei poteri statali, non potrebbe caratterizzarsi per il loro trasferimento", in Riv. giur. ed., 2002, I, p. 184 ss.

[15] E. Scalfari, Beni culturali sempre più a rischio. Come porre rimedio ai disastri, in La Repubblica, 12 novembre 2008; di tenore simile, si richiama di recente, G. Valentini, Giù le mani dal paesaggio...Un sacrosanto appello alla decisione su un testo che ripristina un corretto equilibrio tra Stato e regione, in La Repubblica, 19 febbraio 2008; per una sintesi delle posizioni espresse da alcuni esponenti della c.d. società civile si veda l'intervista fatta ad Alberto Asor Rosa da F. Erbani, Un decalogo per il paesaggio, in La Repubblica, 26 marzo 2008, p. 50; per un'interpretazione dei principi costituzionali in linea con le pronunce della Corte costituzionale, si richiamano le considerazioni contenute nella relazione di G. Losavio, Presidente di Italia Nostra, al Convegno annuale di Italia Nostra per il 2008, Il primato della tutela, in www.eddyburg.it.

[16] Specie allorché la Corte ha scelto quale angolo di analisi la pianificazione paesaggistica; per una disamina sul punto, M. Immordino, I piani paesaggistici nella giurisprudenza costituzionale, in Il diritto urbanistico in 50 anni di giurisprudenza costituzionale, a cura di M.A. Sandulli, M.R. Spasiano, P. Stella Richter, Napoli, Editoriale Scientifica, 2007, p. 88 ss.

[17] Corte cost., 28 giugno 2004, n. 196 (punto 23 in diritto), consultabile in www.giurcost.org, pertanto, come precisa la Corte nella medesima pronuncia, "la primarietà degli interessi che assurgono alla qualifica di "valori costituzionali" non può che implicare l'esigenza di una compiuta ed esplicita rappresentazione di tali interessi nei processi decisionali all'interno dei quali si esprime la discrezionalità delle scelte politiche o amministrative".

[18] Corte cost., 1Á aprile 1985, n. 94, in Giur. cost., 1985, p. 604.

[19] Su tale principio esiste, come noto, una ingente bibliografia; si richiamano le osservazioni di F. Merloni, La leale collaborazione nella Repubblica delle autonomie, in Dir. pub., 2002, p. 865 ss.

[20] Corte cost., 25 ottobre 2000, n. 437 (punto 3 in diritto).

[21] Si tratta di un orientamento della giurisprudenza amministrativa in cui la disciplina paesaggisitica rischia di costituire un impedimento assoluto per la tutela di interessi economici costituzionalmente rilevanti; si v. Tar Sicilia, Palermo, II, 4 febbraio 2005, n. 150, in cui si afferma che "la tutela del paesaggio non è l'unica forma di tutela territoriale rilevante, affiancandosi alla tutela dell'ambiente, alla tutela della salute, al governo del territorio e ad altre ipotesi di poteri insistenti sul medesimo dato della realtà fisica, posti a presidio di altrettanti - distinti - interessi pubblici"; Tar, Sicilia, Palermo, II, 4 maggio 2007, n. 1252, entrambe in www.giustamm.it; per una valutazione delle due pronunce utile è la lettura di un saggio scritto dal loro estensore; si richiama G. Tulumello, L'energia eolica: problemi e prospettive- L'esperienza italiana, in www.giustamm.it; in senso critico nei confronti di tale indirizzo giurisprudenziale, P. Carpentieri, Eolico e paesaggio, in Riv. giur.ed., 2008, I, p. 326 ss.

[22] Sottolinea come la Convenzione dia rilevanza ad una 'pluralità di paesaggi', D. Sorace, Paesaggio e paesaggi della Convenzione europea, in Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, a cura di G.F. Cartei, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 17 ss.

[23] Sul punto R. Priore, La Convenzione europea del Paesaggio: matrici politico-culturali e itinerari applicativi, in Convenzione europea del Paesaggio e governo del territorio, cit., p. 50 ss.; R. Gambino, Il ruolo della pianificazione territoriale nell'attuazione della Convenzione, ivi, p. 119 ss.

[24] In tema del principio di integrazione in materia ambientale enunciato dall'art. 6 del Trattato CE, M. Cecchetti, L'ambiente tra fonti statali e fonti regionali alla luce della riforma costituzionale del Titolo V, a cura di U. De Siervo, in Osservatorio sulle fonti 2001, Torino, Giappichelli, 2002, p. 269 ss.

[25] Secondo quanto afferma G. Ferrara: " Il problema base, da porre sotto controllo, è la trasformazione: o impariamo a trasformare, o siamo perduti"; in Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, cit., p. 150.

[26] Come osserva R. Gambino, secondo cui le politiche pubbliche per il paesaggio "pongono l'esigenza di una regolazione pubblica dei processi che incidono sul paesaggio, di ben maggiore impegno di quella tradizionalmente affidata alle misure di "vincolo" su singoli oggetti individualmente considerati", in Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, cit., p. 120.

[27] Per tali aspetti, R. Priore, La Convenzione europea del paesaggio: matrici politico-culturali e itinerari applicativi, cit., p. 70 ss.

[28] Secondo quanto rileva D. Sorace "sono espressamente nominate soltanto le istanze esponenziali delle comunità substatali (ma non solo quelle sub-regionali), in Paesaggio e paesaggi della Convenzione europea, in Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, cit., p. 21.

[29] Secondo quanto rileva R. Gambino, "Rischia così di smarrirsi proprio quella dimensione sociale del paesaggio che costituisce il fondamento principale della svolta politico-culturale impressa dalla Convenzione europea", in Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, cit., p. 133.

[30] Per una lettura critica della estensione del paesaggio all'intero territorio, si v., ad ogni modo, S. Civitarese Matteucci, La concezione integrale del paesaggio alla prova della prima revisione del Codice del Paesaggio, in Convenzione europea del Paesaggio e governo del territorio, cit., p. 210 ss., secondo cui esisterebbe il rischio che ciò "possa trasformarsi in un abbraccio mortale" per la tutela del paesaggio; analogamente P. Carpentieri, Art. 131, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Trotta, G. Caia, N. Aicardi, cit., p. 126 ss.

[31] In tema si richiamano le osservazioni critiche nei riguardi dei principi della Convenzione di P. Carpentieri, Regime dei vincoli e Convenzione europea, in Convenzione europea del Paesaggio e governo del territorio, cit., p. 150 ss.; sul regime dei vincoli paesaggistici, sia permesso rinviare a G.F. Cartei, La disciplina dei vincoli paesaggistici: regime dei beni ed esercizio della funzione amministrativa, in Urbanistica e paesaggio, a cura di G. Cugurra E. Ferrari G. Pagliari, Napoli, Editoriale Scientifica, 2006, p. 217 ss.

[32] Sulla riferibilità della disciplina alla materia dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., si v. Cons. Stato, ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9, cit., p. 2585 ss.; il panorama della riflessione giuridica non presenta particolari divergenze sulla questione; si rinvia a S. Civitarese Matteucci, Il paesaggio nel nuovo Titolo V, Parte II della Costituzione, in L'ambiente nel nuovo Titolo V della Costituzione, a cura di B. Pozzo e M. Renna, Milano, 2004, p. 142 ss.; G.F. Cartei, Il paesaggio, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, t. IV, parte speciale, Milano, 2003, p. 2110 ss.; M. Cecchetti, Ambiente, paesaggio e beni culturali, in Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, I, a cura di G. Corso e V. Lopilato, Milano, Giuffrè, 2006, p. 317 ss.; N. Aicardi, Art. 3, in Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Trotta, G. Caia, N. Aicardi, cit., p. 136 ss.

[33] In tema L. De Lucia, Le funzioni di province e comuni, in Riv. trim. dir. pub., 2005, p. 27 ss.

[34] Si richiama di recente V. Lopilato, Le funzioni amministrative, in Il diritto amministrativo dopo le riforme costituzionali, cit., p. 210 ss., secondo cui la disposizione di cui all'art. 118 Cost. determina criteri mobili e flessibili di attribuzione delle funzioni alla luce non del sistema statico delle materie, bensì del criterio della dimensione degli interessi, a sua volta integrato dal c.d. approccio funzionalista, alla stregua del quale, quando lo Stato o la regione allocano una funzione devono valutare l'estensione degli interessi coinvolti, nonché verificare se l'ente individuato sia quello più adeguato. Sul punto, ad ogni modo, esiste un significativo contrasto interpretativo riguardo al contenuto specifico del principio di differenziazione; secondo, ad esempio, V. Lopilato, Le funzioni amministrative, cit., il principio costituzionale implicherebbe che l'allocazione avvenga "in considerazione delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi"; attribuisce, invece, al principio un significato che bilancia quello di sussidiarietà con riguardo alla disciplina paesaggistica, P. Carpentieri, Principio di differenziazione e paesaggio, in Riv. giur. ed., 2007, p. 71 ss., secondo cui il principio andrebbe ricondotto alla dimensione "istituzionale-procedurale, che lo configura come applicazione - uniforme su tutto il territorio nazionale - del principio del contraddittorio alla dialettica tra interessi pubblici antagonisti nell'ambito del procedimento amministrativo complesso".

[35] Secondo quanto osserva G. Pastori, Governo del territorio e nuovo assetto delle competenze statali e regionali, in L'ambiente nel nuovo Titolo V della Costituzione, cit., p. 34, l'espressione governo del territorio fa "riferimento più che a una materia in senso tradizionale, a una funzione, a un ruolo funzionale, di per sé a carattere orizzontale, che racchiude e supera la precedente frammentazione di materie"; sulla difficoltà di individuare un significato all'espressione 'governo del territorio', G.L. Conti, Dimensioni costituzionali del governo del territorio, Milano, Giuffrè, 2007, p. 169 ss.

[36] Per un riferimento si richiama di recente Corte cost., 10 febbraio 2006, n. 51 (punto 5 in diritto) secondo cui la materia "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali" di cui all'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. è "comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali e culturali", in www.giurcost.org.

[37] Di recente M. Cecchetti, Ambiente, paesaggio e beni culturali, cit., p. 316 ss., che richiama l'impostazione di B. Carovita, Diritto dell'ambiente, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 22 ss.

[38] Sul recepimento della Convenzione ad opera del Codice assai significativa è la risposta affermativa fornita dal Sottosegretario al ministero per i Beni e le Attività culturali D. Mazzonis in data 22 novembre 2007 all'interrogazione parlamentare proposta in merito all'attuazione della Convenzione europea nell'ordinamento italiano n. 4-04597; la si può leggere in www.recep-enelc.net.

[39] Si allude alle sentt. della Corte cost., 24 ottobre 2007, n. 348 e n. 349 ed al principio richiamato in quest'ultima pronuncia, secondo cui l'art. 117 Cost., primo comma, Cost. "comporta l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma della CEDU e dunque con gli "obblighi internazionali" di cui all'art. 117, primo comma, viola per ciò stesso tale parametro costituzionale"; per un'illustrazione della problematica si rinvia alle osservazioni di P. Caretti, Le norme CEDU come norme interposte nel giudizio di legittimità costituzionale delle leggi: problemi aperti e prospettive, in corso di pubblicazione.

[40] A questo proposito, una qualche indicazione (e perplessità) nei riguardi un'applicazione estensiva dei principi di cui all'art. 117, primo comma, Cost., a tutti gli accordi internazionali sembra affiorare in quel passaggio della sentenza n. 349 (punto 6 in diritto) in cui la Corte afferma che in considerazione dei caratteri della CEDU "la rilevanza di quest'ultima, così come interpretata dal suo giudice, rispetto al diritto interno è certamente diversa rispetto a quella della generalità degli accordi internazionali, la cui interpretazione rimane in capo alle Parti contraenti, salvo, in caso di controversia, la composizione del contrasto mediante negoziato o arbitrato o comunque un meccanismo di conciliazione di tipo negoziale".

 

 

 



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