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I musei: servizi e risorse / Esperienze

La Venaria Reale [*]

di Alberto Vanelli

Vorrei innanzitutto ringraziare, per la grande opportunità datami, chi mi ha invitato a questo convegno. Varie vicende della vita hanno fatto sì che per vent'anni mi sia occupato, insieme a Massimo Montella, di legislazione, programmazione e governo del sistema del patrimonio culturale. Da un anno o due ho cambiato lavoro, e sono stato incaricato di dirigere prima le opere di restauro e di recupero e poi l'attività di gestione della Reggia di Venaria. Questa esperienza è stata per me molto arricchente e mi ha permesso di venire a contatto con punti di vista nuovi e interessanti.

Vorrei spendere innanzitutto due brevissime parole per descrivere la Reggia di Venaria, dato che si tratta di un istituto culturale di recente apertura.

Venaria è un territorio, un complesso monumentale molto grande:

80.000 mq di solaio all'interno della Reggia, inseriti in un centro storico di ragguardevoli dimensioni e in un territorio urbano importante, 80 ettari di giardino - credo siano i più grandi d'Italia -, e, infine, 3.000 ettari di parco recintato, chiuso e ben conservato. Dentro i 3.000 ettari di parco c'é un'altra residenza reale di 50.000 mq (il Borgo Castello) e un insieme di altre 20-30 cascine rurali, alcune di ragguardevole interesse architettonico e di dimensioni non banali. Sono stati spesi 200 milioni di euro per il recupero di tutta l'area. Sono stati impiegati sette-otto anni per il restauro fondamentale della Reggia. Sono tuttora in corso altre opere per il completamento dei restauri, ma finalmente nel 2007 è stato aperto al pubblico il percorso storico della Reggia con i primi 20-30 ettari di giardino reinventati e restituiti secondo il disegno antico.

E' già attivo e con risultati brillanti, nelle scuderie alfieriane della Reggia, un centro per il restauro, terzo polo italiano dopo l'Istituto Centrale per il Restauro e l'Opificio delle Pietre Dure. Nel Parco della Mandria, abbiamo poi riattivato, in una grande cascina d'epoca costruita all'uopo, l'allevamento dei cavalli e creato una scuola con attività formative e divulgative connesse all'uso del cavallo. Nei prossimi due o tre anni sono previsti l'inaugurazione e il completamento della grande scuderia della Reggia, la completa realizzazione di altri 30-40 ettari di giardini già appaltati, e il recupero integrale del Borgo Castello e dell'altro pezzo di Reggia sabauda da destinarsi integralmente ad attività legate alla natura e al paesaggio.

Da qualche mese questa struttura è aperta al pubblico: il 9 giugno 2007 sono stati aperti 30 ettari di giardini, mentre dal 12 ottobre 2007 sono visitabili il Castello e la Reggia, con risultati importanti in termini di pubblico. Ad oggi, infatti, ben 200.000 persone hanno visitato la Reggia, numero a cui vanno aggiunte le 100.000 persone che hanno visitato solo i giardini (probabilmente torinesi che già conoscevano la Reggia). Inoltre abbiamo già ricevuto 120.000 prenotazioni a partire da domani e fino all'11 maggio, giorno in cui si completerà il primo evento espositivo realizzato nella Reggia.

Questa esperienza mi ha entusiasmato e arricchito, ma mi ha anche profondamente fatto riflettere circa la gestione di un patrimonio di queste dimensioni. Il costo delle utenze e delle manutenzioni ordinarie di un anno è di 2.500.000 euro, gli addetti ai lavori, in questo momento ancora precario, sono 250... Tutte le dimensioni di costo e di organizzazione di una struttura di questo tipo pongono problemi economico-finanziari, organizzativi e gestionali di grandissima complessità.

Vorrei aggiungere che mi riconosco sostanzialmente nell'impianto concettuale proposto dal professor Baia Curioni e l'esperienza che ho maturato mi fa condividere appieno il telaio che egli propone come risultato degli studi e del lavoro della sottocommissione. E' evidente che la scala di problematicità messe in evidenza (costi, organizzazione, numero di persone, livello dei visitatori, ecc...) richieda una riflessione profonda sul modello e sulle forme di gestione di complessi monumentali e sulla possibile applicabilità degli stessi anche a patrimoni artistici di minori dimensioni.

Esiste poi sicuramente tutta la tematica della conservazione del patrimonio, che va dalla ricerca al restauro, alla conservazione, agli studi scientifici. Questa è una sezione fondamentale di una struttura museale ed è anche quella in cui noi siamo più ricchi: esistono scuole, bibliografie, esperienze, esistono istituti, sovrintendenze, uffici, esistono professioni anche private che su questo campo hanno fortemente consolidato conoscenza e competenza.

Un secondo aspetto, che non è oggetto del convegno di oggi, ma che andrebbe adeguatamente approfondito, è la questione dell'"ermeneutica" museale: un museo non è soltanto un luogo che conserva il patrimonio, ma è anche un luogo che propone, un luogo di produzione culturale, di interpretazione di ciò che si possiede, il modo e la forma. I museo è un luogo vivo.

Mentre la parte filologica, e cioé il conoscere ciò che si ha, è ormai consolidata, la parte del linguaggio e della concettualizzazione di ciò che si vuole comunicare attraverso la collezione e lo spazio apre un ambito di lavoro importante su cui varrebbe la pena discutere e ragionare.

Succede infatti che, benché il tema dei linguaggi della comunicazione museale e della creazione dell'esperienza di visita non sia assolutamente banale, su questo argomento esiste molta meno dottrina, meno scuola, meno bibliografia che orienti chi si trova a dirigere un museo, a doverlo pensare, riproporre, animare, cambiare, trasformare quotidianamente in una struttura di comunicazione e di produzione culturale, di diffusione e di divulgazione. La gestione finanziaria, operativa e organizzativa di un museo richiede professionalità, competenze, modelli, esperienze.

Tuttavia, su questi ultimi aspetti vi sono stati recentemente dei chiari passi in avanti. L'idea, inizialmente considerata blasfema, della trasformazione di un istituto culturale in un'organizzazione in cui anche gli aspetti economici, finanziari, organizzativi, gestionali e di governo fossero ritenuti essenziali, è ormai generalmente accettata, come la riunione di oggi dimostra.

Vorrei poi mettere l'accento su un ulteriore aspetto, a mio avviso sottovalutato: il problema del visitatore.

Lo studio di oggi identifica i cosiddetti prodotti museali: il catalogo, l'audioguida, la visita guidata, la caffetteria, il book shop, ecc... Tuttavia, a mio avviso, il prodotto è uno: la visita del visitatore al museo, non soltanto l'acquisto del biglietto di entrata, ma l'intera esperienza di permanenza al museo di colui che viene a visitarlo.

All'impegno che il museo mette nella conservazione del patrimonio dovrebbe corrispondere un impegno di eguale portata per quanto riguarda la concettualizzazione, la formazione e l'organizzazione dell'esperienza di visita.

La visita non è soltanto l'ingresso, l'attraversamento dello spazio museale e l'uscita: la visita comincia dalla decisione di venire al museo, continua attraverso il percorso di mobilità per raggiungere la struttura, comprende l'intera permanenza e si completa con la discesa dal pullman o con il ritorno con l'automobile a casa. Tutto è dunque importante: le modalità di accoglienza, le forme e gli strumenti di comunicazione, i servizi collaterali e di assistenza, il book shop, il ristorante, il bar, ecc...

Ritengo che se si concepisce il prodotto (la visita al museo) come esperienza totale del fruitore museale si adotta un punto di vista innovativo, e tale innovatività è da riscontrarsi soprattutto nel modo in cui viene organizzata la stessa attività istituzionale del museo. A tal proposito, vorrei sottolineare come la parola "servizi aggiuntivi" sia inadeguata, poiché tali servizi non sono assolutamente collaterali all'essenza del percorso di visita, ma costituiscono parte integrante della visita stessa. Il modo in cui la persona raggiunge il museo, dove parcheggia, dove mangia, dove si ferma, di quali servizi fruisce, ecc..., sono tutti aspetti basilari del prodotto "visita al museo" che hanno un impatto sulla condizione psicologica, intellettuale, fisica ed esistenziale del visitatore. Il prodotto che l'istituto museale, in quanto istituto di cultura, riesce così ad offrire è una completa offerta integrata.

Detto questo, non vorrei essere tuttavia frainteso. Le mie riflessioni fanno riferimento all'esperienza esistenziale del visitatore, a quell'aspetto individuale e personale che rende la visita ad un museo un'esperienza importante nella vita delle persone, e non ai risvolti turistici e alle possibili relazioni con i tour operator.

In questo senso, il dibattito pubblico/privato, così come impostato oggi, non appare convincente, in quanto sembra persistere una distinzione netta fra i compiti culturali e civili del pubblico (la cultura, la ricerca, lo studio, le garanzie, la fruibilità per tutti, ecc...) e quelli per così dire (economicamente) "utili" del privato (il catalogo, l'autoguida, la prenotazione, il pullman, ecc...). Questo modo di pensare cozza inevitabilmente con la concettualizzazione dell'istituto culturale come fornitore di un'offerta integrata e non solo come ente deputato alla conservazione.

L'esperienza maturata negli anni mi induce a sostenere che il quid che manca al pubblico, e che potrebbe giungere dal privato, è costituito dall'imprenditorialità necessaria ad organizzare il "prodotto visita" in forma tale da essere di grande attrattività per il fruitore stesso. Questa imprenditorialità è oggi il centro ed il motivo principale di un'alleanza possibile tra pubblico e privato, un'alleanza che permetta di superare quella logica di sezionamento tra funzione pubblica "alta" e funzione privata "economicamente utile". Tra l'altro, tale logica non risulta neanche corretta: poiché un museo, per quanto capace, non riuscirà mai a coprire con le entrate più del 30-40% dei costi, risultando dunque in costante perdita, non è giusto che la pubblica amministrazione si faccia carico degli oneri e che i margini di utile vengano invece sbriciolati tra privati.

Sono ovviamente favorevole all'outsourcing, alla privatizzazione e agli appalti nei confronti di imprese specializzate se si tratta di servizi come ad esempio la pulizia degli ambienti o la stampa di un catalogo, in quanto è impensabile che una Regione (o un museo) possegga tali competenze.

Io credo che, nel momento in cui si voglia trasformare l'istituto culturale museo in un'impresa, l'operazione imprenditoriale debba essere integrata: ci deve essere un fabbisogno, un budget, una disponibilità, ma soprattutto un equilibrio tra la parte finanziaria e quella organizzativa. Tale equilibrio è il fulcro del compito del bravo manager.

Per concludere, vorrei aggiungere come, in tale contesto, diventa decisivo anche il rapporto col territorio circostante: non si può, in quest'ottica, pensare ad un museo senza tener conto del territorio. Se l'esperienza di visita deve essere concepita come globale e totalizzante, bisogna comprendere come il bene culturale non sia estraneo al sistema culturale e territoriale che lo circonda. Anzi. Se è vero che l'esperienza di visita comincia con la partenza da casa e finisce con il ritorno a casa, allora tutta l'esperienza di avvicinamento e di contestualizzazione della visita è strettamente legata a ciò che c'é attorno al museo, al contesto (urbano o non) nel quale è inserito.

Infine, è doveroso rilevare un ultimo aspetto interessante. I visitatori che vengono a Venaria chiedono al museo se possono venire anche con gli animali domestici, se c'é una baby sitter che si prenda cura dei figli, se c'é un luogo vicino per delle cure mediche, se vi sono tutti gli adeguati servizi per le persone diversamente abili... I visitatori, cioé, rendono sempre più esplicita la dimensione civile totale del museo.

Dopo un'iniziale incomprensione, ho capito come l'istituto culturale sia, in realtà, in grado di offrire tutto: è a carico del museo l'esperienza globale di visita che la singola persona intende fare, comprese le sue problematiche civili.

Questo vuol dire che il visitatore non ha più autonomia nella sua esperienza di visita e di fruizione culturale? No. Non è vero. L'autonomia del visitatore si concretizza prima della sua partenza, nel momento in cui manifesta (e soddisfa) l'esigenza di conoscere sempre di più l'insieme dei servizi e dei sistemi offerti, per strutturare, da solo e in autonomia, la sua permanenza al museo. Poi, una volta al museo, il visitatore si aspetterà di trovare quell'offerta integrata di cui aveva preso conoscenza preventivamente e in autonomia. Dall'analisi di molteplici blog e siti Internet in cui vengono spontaneamente raccontate le esperienze di singoli individui, emerge chiaramente come l'esperienza integrata di visita sia sempre più riproposta come racconto di una giornata della propria vita, di grande intensità sia sul piano educativo-formativo che su quello esistenziale.

Tutto ciò apre la strada ad una prospettiva nuova: un ripensamento dell'organizzazione museale in grado, da un lato, di offrire un'esperienza umana di grande intensità e, dall'altro, di ridefinire il rapporto tra pubblico e privato come ricerca di un'imprenditorialità nuova, di una partnership proficua e di lungo periodo.

Note

[*] Testo della relazione discussa al convegno La creazione del valore nei processi di gestione dei musei, tenutosi a Milano il 7 febbraio 2008.

 



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