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I musei: servizi e risorse / Esperienze

Il punto di vista delle imprese [*]

di Rosanna Cappelli

Vorrei riprendere quanto presentato da Stefano Baia Curioni che ha fornito una descrizione ed un riferimento molto ampio circa la valorizzazione intesa sia in senso pubblicistico che in senso privatistico come elaborato conclusivo della cosiddetta seconda sottocommissione. La sottocommissione ha affrontato un tema già codificato dal Codice dei beni culturali e a cui il ministero ha recentemente posto nuova attenzione anche a seguito della riforma della Legge Ronchey, legge che ha dato vita, negli ultimi dieci anni, ad una consistente esperienza in ambito di esternalizzazione di servizi e di attività culturali.

Se noi guardiamo all'esperienza maturata in questi anni, discostandoci quindi dalla letteratura teorica e dalle stesse norme legislative che hanno accompagnato la definizione dei processi di valorizzazione, dobbiamo purtroppo constatare come la valorizzazione affermatasi nella prassi corrente sia una valorizzazione di impostazione soprattutto privatistica e quindi commerciale.

A questa valorizzazione commerciale, che in un certo senso ha leso e ridotto il principio ampio di valorizzazione culturale, hanno certamente concorso in forma negativa non solo le società private che hanno lavorato nel settore privilegiando una prospettiva di profitto di breve termine, ma anche una sorta di rinuncia, da parte delle istituzioni pubbliche e culturali, a combattere, per la gestione dei processi di valorizzazione, una battaglia politica simile a quella che, per esempio, gli storici dell'arte e gli archeologi hanno voluto combattere negli anni Ottanta per le politiche di tutela e conservazione.

Le istituzioni pubbliche italiane, in questi ultimi anni, hanno subito sicuramente una riduzione della loro sovranità. A questo risultato hanno concorso, in senso negativo, sia i privati sia, soprattutto, le istituzioni politiche di riferimento. A partire dagli anni Novanta, quindi dal Dicastero di Walter Veltroni, si è scelto di aprire il settore culturale alle società private di profitto, introducendo un elemento di novità e di rottura in un sistema che fino a quel momento era stato interamente ed esclusivamente in mano pubblica e fondato sull'istituzione prevalente delle sovrintendenze.

Negli stessi anni si è diffusa, nel mondo dei non addetti ai lavori, l'idea che le sovrintendenze siano essenzialmente istituzioni chiuse, votate assai di più alle politiche di conservazione e di tutela che a quelle di gestione d'uso del patrimonio.

A questa percezione ha corrisposto, sul piano pratico, la prassi, consolidata ormai da alcuni anni, di esternalizzare non solo i cosiddetti servizi aggiuntivi, ma anche attività di valorizzazione la cui natura ha sottolineato la progressiva perdita di sovranità da parte delle istituzioni culturali pubbliche.

A questa percezione esterna ha corrisposto una certa staticità della cultura interna delle soprintendenze che, significativamente Stefano Baia Curioni ha sollecitato ad aquisire una maggior cultura del "rendere conto", nei confronti del pubblico di visitatori e dell'esterno in generale.

Vi è dunque la necessità che queste ultime recuperino interamente la sovranità della valorizzazione, da un lato acquisendo, come suggerisce Baia Curioni, una maggior cultura del "rende conto" nei confronti dei portatori di interesse pubblici e privati, ma anche cercando di condividere la responsabilità delle attività e dei servizi esternalizzati a società di profitto.

La casa editrice per la quale lavoro ha una vasta esperienza in questo ambito, avendo partecipato ad esso fin dalle primissime gare Ronchey e lavorando ancora oggi in molte concessioni di servizi museali.

La mia esperienza professionale, che parte da una formazione tecnica e quindi dal mondo delle sovrintendenze e continua, invece, attraverso il mondo dei privati, mi porta a sostenere come, senza dubbio, l'iniziale contrapposizione, di natura prettamente ideologica, tra pubblico e privato sia stata in un certo senso riassorbita.

Oggi non esiste più un vero e proprio aperto conflitto tra i sovrintendenti e le società concessionarie dei servizi e delle attività culturali, ma si osserva piuttosto un'altra difficoltà, non meno rischiosa: una sorta di consuetudine, di abitudine. I concessionari sono diventati, nelle esperienze peggiori, quasi un male minore in questa sorta di confusione e sovrapposizione, e ciò questa consuetudine ha contribuito fortemente alla rinuncia, da parte delle istituzioni pubbliche, al recupero della sovranità di gestione.

La distanza che oggi separa i concessionari privati dal personale delle sovrintendenze e dei musei, nell'esercizio dei servizi e delle attività in concessione, è una distanza paradossalmente ancora più ampia di quella che li separava in precedenza: all'inizio era una separazione fatta di estraneità, di diffidenza, di contrapposizione se si vuole ideale e ideologica, oggi è una distanza dovuta ad una prevalente mancanza di interesse, da parte delle istituzioni pubbliche, i temi e gli elementi della gestione anche economica del patrimonio.

Esiste una sostanziale disabitudine, da parte degli storici dell'arte e degli archeologi, ad interessarsi ed appassionarsi ai temi della gestione anche economica del patrimonio, e di questo fenomeno i concessionari rappresentano soltanto la punta dell'iceberg.

Come si recupera questa sovranità? I membri della seconda sottocommissione hanno provato a suggerire una correzione del regime di concessione dei servizi aggiuntivi, in quanto proprio la concessione rappresenta lo strumento più utilizzato per l'esternalizzazione dei servizi e delle attività culturali. Si è proposto dunque di cercare di sostituire il regime di concessioni finora adottato con un regime di maggiore condivisione, ma tale condivisione, in realtà, risulta di difficile applicazione.

Il regime di concessione alla base della Ronchey e delle norme successive prevedeva in origine che si esternalizzassero a società private di profitto soltanto le attività e i servizi, che io ho genericamente definito, in Commissione, "economicamente sostenibili"?. La prassi ha poi portato a una confusione generale, che ha finito con l'attribuire al privato responsabilità e oneri che non possono che essere pubblicistici, e servizi non economicamente "sostenibili" che non possono essere sostenuti se non dalle amministrazioni pubbliche di governo del patrimonio e, comunque, certamente non da società private di profitto.

Questo gap esistente tra chi governa le istituzioni pubbliche culturali e i concessionari dei servizi e delle attività è destinato a non essere colmato fino a quando non si introdurranno dei modelli di sperimentazione effettivi, che inseriscano nella gestione principi di condivisione e di corresponsabilità, come auspicati da Stefano Baia Curioni.

Il professor Baia Curioni ha parlato di una condivisione fondata su un progetto strategico di valorizzazione, elaborato dall'istituzione pubblica che gestisce il patrimonio, progetto a cui possono concorrere per alcune servizi e per alcune attività anche le società di profitto. Ha citato inoltre la possibilità di un'associazione temporanea d'impresa tra l'istituzione pubblica e la società privata, strumento che noi imprese usiamo normalmente per gestire i servizi aggiuntivi. Ha infine ricordato che il 29 gennaio è stato firmato dal ministro Rutelli il decreto ministeriale che riforma la legge che regola i servizi aggiuntivi.

Il decreto introduce alcune varianti rispetto alla prassi, ma ripropone sostanzialmente la concessione quale strumento privilegiato per la gestione dei servizi e delle attività. Quindi non scioglie quel nodo che il documento della sottocommissione ha evidenziato, cioé il nodo delle attività di valorizzazione: proprio qui sta il problema del rapporto tra pubblico e privato e della governance da parte delle istituzioni culturali. Tale governance non deve necessariamente rimanere nell'ambito dei servizi commerciali, ma deve certamente restare in quello delle attività di valorizzazione culturale. Oggi, purtroppo, sia il pubblico che i privati sono soprattutto interessati a quella che è la forma più vistosa di valorizzazione culturale: il fenomeno mostre.

Credo che sia proprio quello delle attività culturali l'ambito in cui il rapporto tra pubblico e privato abbia bisogno di essere ridisegnato. E sembra che questi nodi non vengano risolti o sciolti dal decreto appena firmato, anzi esso sembra dare l'avvio ad una nuova epoca di gare e di servizi aggiuntivi, in cui sia la tipologia dei servizi che il regime di concessione rimangono sostanzialmente invariati rispetto a quelli degli anni precedenti.

 

 

Note

[*] Testo della relazione discussa al convegno La creazione del valore nei processi di gestione dei musei, tenutosi a Milano il 7 febbraio 2008.

 



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