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I musei: servizi e risorse / Analisi

I processi di produzione del valore nei musei [*]

di Stefano Baia Curioni

Sommario: 1. Premessa. - 2. Il modello della catena del valore. - 3. Le attività primarie nella gestione delle istituzioni museali. - 3.1. La gestione delle collezioni. - 3.2. La ricerca scientifica. - 3.3. La conservazione e sicurezza delle collezioni. - 3.4. Il sistema di offerta al pubblico. - 3.5. L'offerta commerciale alle imprese. - 4. La produzione di valore. - 4.1. Il valore pubblico. - 4.2. Il valore per le comunità scientifiche e professionali. - 4.3. Il valore per il pubblico dei visitatori e i privati. - 5. La complessità delle istituzioni museali. - 5.1. I corollari della "complessità". - 6. Raccomandazioni conclusive. - 6.1. I livelli minimi di valorizzazione. - 6.2. Le risorse umane e professionali. - 6.3. Le esternalizzazioni. - 6.4. I rapporti con il territorio.

1. Premessa

Il lavoro della Sottocommissione fa riferimento al concetto di valorizzazione definito dall'art. 6 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, al ruolo ministeriale di armonizzazione e integrazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici (art. 7) e alle attività specifiche di valorizzazione intese come "costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all'esercizio delle funzioni e al perseguimento delle finalità indicate dall'art. 6" (art. 111).

Inoltre, sempre ai sensi del 111, è rilevante tenere conto che:

a. "A tali attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati", in una prospettiva di sussidiarietà orizzontale;

b. qualora tali processi siano condotti pubblicamente, devono conformarsi a principi operativi che salvaguardino i principi di equità e accessibilità del mercato (non introducendo quindi elementi di distorsione): la trasparenza gestionale, la libertà di partecipazione, la pluralità dei soggetti;

c. la valorizzazione condotta in forma privata può e deve essere socialmente utile.

Il mandato ricevuto è stato particolarmente complesso e articolato. Si è infatti trattato di evidenziare i processi produttivi a cui è opportuno far riferimento per definire i livelli minimi di qualità delle attività di valorizzazione, definendo uno schema interpretativo quanto più possibile comune e condiviso dagli operatori del settore.

Nel concreto, questo ha significato:

- stilizzare i processi produttivi caratteristici delle istituzioni preposte alla "valorizzazione", avendo cura di segmentarli, laddove necessario, su base dimensionale (istituzioni grandi o locali) e funzionale (collezioni, musei di differente natura e patrimonio, siti archeologici ecc.);

- riconoscere, le macro-fasi che vanno a comporre la catena del valore, ovvero la formazione del valore percepito da parte delle diverse categorie di utenti (pubblici e privati);

- qualificare tali macro-fasi con casi ed esempi concreti che possano essere utili per identificarne varianze e specificità.

Per portare a termine l'incarico, si sono dovute fronteggiare alcune difficoltà metodologiche, lessicali e concettuali.

La prima è data dalla grande varietà e dalla numerosità delle istituzioni di gestione del patrimonio: in Italia la densità di musei rispetto al numero di abitanti è tra le più elevate del mondo (71 per milione di abitanti); si tratta di alcune migliaia di istituzioni (3.430 censite dalla Corte dei Conti, 3.311 dall'Istat, 4.120 per il Sistan) dedicate a collezioni molto differenziate, che richiedono attività di conservazione e valorizzazione eterogenee, soggetti a regimi giuridici e gestionali a dir poco eterogenei (il 66% di proprietà pubblica, il 22% di proprietà privata, l'11% di proprietà ecclesiastica), collocate in ambiti geografici e sociali altrettanto privi di omogeneità.

E' quindi apparsa chiara, fin dall'inizio, la necessità di proporre schemi sufficientemente generali da poter includere le diverse situazioni, ma anche abbastanza concreti nella rappresentazione dei processi produttivi delle organizzazioni museali in modo da non rischiare la genericità.

La seconda significativa difficoltà è connessa alla consapevolezza di come in Italia, forse più che altrove, sia, finora, fallito l'obiettivo di produrre un lessico ed un insieme di principi autenticamente condivisi tra la comunità professionale dei conservatori e dei curatori e quella degli economisti e degli studiosi di management. Più che confluire nella creazione di un campo comune di ricerca e di pratiche, nel nostro paese le diverse "culture" della gestione hanno prodotto un contrappunto disarmonico in cui si sono mescolati entusiastiche adesioni, rifiuti, silenzi e sostanziali indifferenze reciproche. Diverse e complesse ragioni possono essere addotte per questa condizione, alcune delle quali riconducibili alla trasformazione della comunità professionale che negli ultimi dieci anni ha potuto rinnovarsi solo con grande lentezza e in un regime di permanente carenza di risorse, altre a tensioni più oggettivamente legate a conflitti di interesse tra operatori. Sul piano culturale, secondo l'analisi svolta dalla commissione, uno dei principali ostacoli alla convergenza nasce dalla difficoltà di condividere una nozione di valore che costituisca un riferimento comune per la formazione di un lessico riconosciuto e accettato dagli operatori.

Il confronto attorno al tema della definizione del valore nella gestione del patrimonio ha, dunque, tenuto sempre presente il problema, molto complesso e delicato, di far corrispondere alle definizioni teoriche un insieme di criteri e strumenti di misurazione condivisi e idonei. Cercando di evitare il rischio di unilateralità, si è giunti alla formazione di uno schema concettuale che non va inteso come un risultato finale e definitivo, ma piuttosto come l'inizio di una riflessione che apre la possibilità di una convergenza culturale verso principi che potranno, in futuro, consentire l'indispensabile riconsolidamento dell'ambiente tecnico e professionale dedicato alla gestione del patrimonio culturale del nostro paese.

2. Il modello della catena del valore

Per raggiungere l'obiettivo ci si è mossi in una prospettiva induttiva, facendo cioé riferimento ad un sistema di osservazione che dia una prima impostazione ai fenomeni gestionali caratteristici delle istituzioni museali. In via iniziale e provvisoria, si è considerato il modello di Michael Porter che, a metà degli anni Ottanta, ha sviluppato una rappresentazione dei processi caratteristici di un'impresa evidenziando in ottica comparativa i punti di forza e di debolezza rispetto ai competitor attuali o potenziali.

Il modello distingue tra cinque attività primarie:

- la logistica (in entrata e in uscita);

- la trasformazione;

- l'erogazione e la comunicazione;

- il servizio.

Tali attività primarie si associano a funzioni di supporto di natura:

- tecnologica;

- di acquisto;

- amministrativa;

- organizzativa.

Come si osserva nella Figura 1, il margine rappresenta la conseguenza del valore generato dalle attività.

 

Figura 1. La catena del valore (Porter, 1985)

 

Come ogni modello, lo schema di Porter presenta vantaggi e svantaggi e soprattutto non può essere considerato come un punto di vista neutrale rispetto alle questioni centrali considerate dalla commissione.

In termini generali, è possibile affermare che esso è applicabile anche alle istituzioni culturali nella misura in cui queste siano concepite come organizzazioni orientate alla creazione di valore. Fare questo non significa privilegiare una rappresentazione unilateralmente "manageriale" o aziendalistica dei musei, ma, più semplicemente, accettare l'idea che essi siano istituzioni orientate a fini cui si attribuisce un valore collettivamente riconosciuto e, quindi, siano tenute a produrre risultati misurabili sul piano qualitativo e quantitativo. Indirettamente, questo approccio rigetta la sensatezza di ogni ulteriore dibattito per stabilire se i musei siano o non siano aziende: lo sono in quanto suscettibili di una valutazione in termini di efficacia ed efficienza del presidio dei processi di loro competenza.

L'innegabile vantaggio del modello di Porter, ragione per cui si è deciso di considerarlo come punto di partenza del lavoro, è che consente di mettere in evidenza i "processi centrali" per la creazione del valore, distinguendoli da quelli "di supporto", ma enfatizzando, nel contempo, la necessità di curare simultaneamente (con un'adeguata struttura di governo) ognuno di essi.

Un secondo vantaggio è quello di una orientare la riflessione relativa alle scelte di esternalizzazione o internalizzazione, sempre sottolineando la necessità vincolante di un controllo e governo centrale dei risultati delle stesse.

Si tratta quindi di un modello utile per impostare una rappresentazione operativa e imprenditoriale dell'organizzazione museale che, d'altronde, presenta significativi limiti riguardo alla questione centrale del valore.

In primo luogo, esso esplora i processi che conducono alla formazione del valore in una singola unità organizzativa, ma non considera le "esternalità" da essa generate. Si tratta, com'é ovvio, di un limite rilevante per le istituzioni museali (e culturali in generale), che producono un valore in gran parte rappresentato da benefici indotti, in parte acquisiti da privati (subforniture o attività di servizio), in parte usufruiti dalla collettività (informazione, educazione, identificazione, cittadinanza).

Inoltre, il modello utilizza una nozione monodimensionale e strettamente monetaria del valore economico, nata per dare una rappresentazione di aziende e di imprese operanti in un mercato capitalista, mentre la natura del valore generato è in buona parte non riconducibile ad una misurazione tramite la moneta e i processi di accumulazione finanziaria.

In conseguenza di questo insieme di limiti e di vantaggi, il modello è idoneo per una prima descrizione delle istituzioni museali e per l'identificazione dei processi centrali di creazione del valore, ma è insufficiente ad alimentare una riflessione più ampia riguardo alla natura del valore prodotto da un'istituzione di gestione del patrimonio e agli strumenti più idonei a misurarlo.

3. Le attività primarie nella gestione delle istituzioni museali

La commissione ha individuato cinque attività logicamente collegate, ma non gerarchizzate (Figura 2) che convivono necessariamente, anche se le loro dimensioni e peso reciproco possono evidentemente variare a seconda delle istituzioni considerate.

 

Figura 2. Le attività primarie dei musei

 

3.1. La gestione delle collezioni

Intesa nel senso restrittivo delle attività connesse alle acquisizioni, la gestione delle collezioni presenta gradi di rilevanza piuttosto differenziati a seconda del tipo di istituzione museale, del tipo di collezione e delle sue dimensioni relative.

Intesa in senso allargato come insieme delle scelte di prestito e di circolazione delle opere, essa è invece più generalmente rilevante, anche se più difficile da isolare rispetto alle scelte di conservazione e di offerta al pubblico.

Pur tenendo conto di queste oscillazioni, si è deciso di considerarla come un'attività centrale e indipendente ai fini della valorizzazione.

3.2. La ricerca scientifica

La ricerca scientifica, le azioni di inventario e documentazione costituiscono un ambito ritenuto tradizionalmente essenziale per la natura delle istituzioni museali, che nella pratica è svolto con intensità molto variabile in risposta a due principali istanze. La prima riguarda le attività di ricerca storico-critica (datazioni, attribuzioni, interpretazioni o ricostruzioni contestuali) o tecnologica (tecniche di intervento, condizioni e competenze di tutela ecc.), a cui fanno riferimento i processi di progettazione, gestione, produzione di documenti interni e di approfondimento scientifico. La seconda include invece le attività di inventario e catalogazione delle collezioni e dei materiali di ricerca che si rendono progressivamente disponibili.

3.3. La conservazione e sicurezza delle collezioni

L'azione di conservazione e sicurezza delle collezioni riguarda la conservazione fisica delle opere, ed include:

- le attività diagnostiche e di rilevazione dei rischi;

- la programmazione degli interventi e la loro esecuzione;

- la manutenzione in condizioni di sicurezza delle collezioni nelle diverse sedi in cui esse sono collocate (aree espositive esterne o interne, depositi);

- il monitoraggio delle condizioni microclimatiche e di esposizione agli agenti atmosferici;

- l'identificazione delle le tecnologie più adatte alla protezione da questi ultimi;

- la definizione le modalità più sicure per effettuare eventuali trasferimenti dei beni.

3.4. Il sistema di offerta al pubblico

I processi relativi alla formazione del sistema di offerta comprendono tutto ciò che contribuisce ad alimentare e qualificare l'esperienza di visita e il valore percepito dai visitatori.

Quest'ultimo dipende non solo dalle qualità individuali dei diversi fattori (spazi, collezioni ecc.) ma anche dal loro livello di integrazione e reciproca coerenza. A titolo esemplificativo, tali fattori sono:

- gli spazi e i servizi comuni (logistica, allestimenti, pulizia);

- i servizi cosiddetti aggiuntivi e di accoglienza (biglietteria, guardaroba, guardiana, ristorazione, librerie);

- le esposizioni permanenti (collezioni, allestimenti, apparati didattici e informativi);

- le esposizioni temporanee (collezioni, allestimenti, apparati didattici e informativi);

- gli eventi (palinsesti di attività, spazi dedicati, servizi connessi);

- il sistema comunicativo (esterno, immagine coordinata, segnaletica interna);

- l'attività editoriale (libraria, multimediale, internet, fogli illustrativi, mappe ecc.);

- le attività educative, in collaborazione con scuole e altre strutture del territorio;

- le attività didattiche legate alle iniziative espositive permanenti e temporanee (visite guidate, guide audio o video, ecc.);

- la qualità delle relazioni che il personale stabilisce con il pubblico.

3.5. L'offerta commerciale alle imprese

L'attività per usi commerciali riguarda l'offerta rivolta alle imprese (business to business) dei diritti di proprietà dell'istituzione culturale. Tale attività, non ancora molto sviluppata in Italia ma concettualmente e qualitativamente importante in molte esperienze internazionali, richiede la capacità di gestire i diritti legati non solo agli spazi (cosa che viene fatta normalmente), ma anche alle immagini e quindi alle collezioni. E' doveroso inoltre sottolineare la legittimità di una protezione delle competenze, come ad esempio la capacità intellettuale di sviluppare format espositivi. Per ciascuna di queste differenti categorie è necessario distinguere tra:

- politiche d'uso (fair / commerciale);

- pratiche e condizioni di prestito / nolo;

- modelli e pratiche di offerta;

- definizioni contrattuali ed amministrative.

4. La produzione di valore

Nell'impostazione della riflessione sul tema della creazione del valore ci si è progressivamente distaccati dalla rappresentazione di Porter riconoscendo il fatto che i musei, come ogni istituzione educativa, si rivolgono simultaneamente ad una molteplicità di portatori di interesse (Figura 3) e non a una sola comunità di utenti, ancorché segmentata: il museo è chiamato a produrre valore per una pluralità di attori tra cui prevalgono i soggetti pubblici (quindi lo stato, nelle sue articolazioni nazionali e periferiche), le comunità scientifiche e professionali e il pubblico dei visitatori. Esistono, poi, altri rilevanti portatori di interessi, che la Sottocommissione non ha considerato nel dettaglio: gli sponsor e i donor che sostengono finanziariamente le iniziative, muovendosi con logiche differenti (più simili al privato per gli sponsor, più simili al pubblico per i donor); i privati, le aziende e gli esercizi commerciali che ricavano un'utilità economica indiretta dalla presenza dell'istituzione culturale (ad esempio, i proprietari di case, bar, alberghi nei dintorni dei musei); infine, gli addetti e i fornitori.

 

Figura 3. Attività, valori e attori nei processi museali di creazione del valore

 

Per ciascuna di queste comunità di interlocutori, l'istituzione museale è chiamata a produrre un differente, specifico tipo di valore.

4.1. Il valore pubblico

Nei confronti del settore pubblico (stato, regioni, enti territoriali), l'istituzione di gestione ha la responsabilità di tutelare la realtà di "bene pubblico" del patrimonio culturale nelle sue diverse componenti. Il valore generato nei confronti della cittadinanza non si presta ad essere unicamente ricondotto ad una dimensione di costo-beneficio: non è un valore monetario, ma, come si è suggerito, può essere esteso a componenti immateriali di natura identitaria, educativa, di qualità della vita, così come a componenti di natura "meritoria", definite tali in modo apodittico dalla comunità degli esperti. Si tratta quindi di una nozione complessa di valore che si articola, nei confronti della cittadinanza e delle sue istituzioni di rappresentanza, in diverse dimensioni:

- l'esistenza del bene (attuale e futura - tutela e conservazione);

- la sua accessibilità (la riduzione tendenziale di ogni forma di razionamento che ne riduca la dimensione pubblica);

- la sua funzione simbolica e di rappresentanza, con un ruolo di sostegno delle politiche locali e nazionali;

- la sua funzione educativa e formativa lungo tutto il ciclo della vita dei cittadini;

- la sua sostenibilità ed economicità (efficacia/efficienza) rispetto ad indicatori di carattere pubblico.

Tali dimensioni, in sintesi, sono parte attiva del processo di edificazione e riproduzione della sfera pubblica, ovvero del sistema di istituzioni destinate a regolare la partecipazione e la cittadinanza.

4.2. Il valore per le comunità scientifiche e professionali

Il secondo gruppo di portatori di interesse è costituito dalle comunità scientifiche e professionali. Un'istituzione museale, avendo la responsabilità di garantire un trattamento "scientifico, tecnologico e culturale" adeguato del patrimonio che ha in gestione, si inserisce nel contesto delle comunità scientifiche e professionali (storici, curatori e anche tecnologi) che definiscono gli standard qualitativi per le azioni di tutela, conservazione e valorizzazione.

Anche se l'istituzione non è tenuta ad operare questo confronto in modo esplicito, le azioni che si rivolgono a queste comunità ne influenzano la reputazione e l'accreditamento in campo nazionale ed internazionale condizionandone la capacità di acquisire risorse (per scambi di esperienze, prestiti, coproduzioni ecc.).

In questo caso, la formazione del valore è puramente meritoria, poiché dipende dall'articolazione interna delle comunità scientifiche.

Gli elementi del valore che possiamo riconoscere sono:

- la qualità e la riconoscibilità del personale scientifico e curatoriale del museo e del progetto culturale complessivo (identità e posizionamento dell'istituzione);

- la qualità delle scelte di gestione delle collezioni

- la qualità e la condivisibilità delle scelte di tutela e conservazione e dei programmi di valorizzazione;

- l'accessibilità delle collezioni e degli archivi per attività di studio e ricerca;

- l'accessibilità delle collezioni e degli archivi per attività di valorizzazione congiunta (prestiti e scambi).

4.3. Il valore per il pubblico dei visitatori e i privati

Il terzo gruppo di portatori di interessi è formato dai privati. In questa categoria, piuttosto allargata, la Sottocommissione ha incluso tutti coloro -individui od istituzioni- che sono orientati ad un utilizzo "privato" del patrimonio, ovvero ad un valore generato dalla relazione diretta o indiretta con il bene in una prospettiva utilitaristica e tipicamente economicistica.

Sono quindi compresi i visitatori (con tutte le relative segmentazioni possibili), i privati che traggono vantaggi indiretti dalla prossimità del patrimonio (proprietari di immobili limitrofi, di servizi di ristorazione e di turismo), gli sponsor che agiscono per motivi di natura utilitaristica (sostegno di marchi e prodotti, politiche di incentivi a clienti, personale e fornitori), ed infine i clienti dei servizi business to business, quali le imprese che si relazionano al museo per noli di diritti su spazi, immagini e marchi. In questo caso, la percezione del valore è classicamente di natura mercantile, con una logica di costi-benefici e di sostituibilità dell'offerta.

5. La complessità delle istituzioni museali

L'analisi condotta ha consentito di evidenziare la multidimensionalità del valore generato dall'istituzione museale (economico-monetario, d'uso e di scambio, meritorio e scientifico, pubblico e identitario), e il fatto che ogni valore si definisce necessariamente attraverso un processo di scambio con specifiche comunità di portatori di interesse.

Le condizioni e le risorse per la sopravvivenza e la crescita dell'istituzione sono negoziate all'interno dei diversi sistemi di relazione disponibili. Tali negoziazioni avvengono simultaneamente e in modo competitivo.

L'evidenza suggerisce, infatti, che ognuno dei sistemi di scambio all'interno del quale l'istituzione è chiamata a produrre valore rappresenta una specifica arena competitiva: sia nei confronti del settore pubblico che nei confronti dei visitatori e della comunità professionale, il museo non agisce in condizioni di unicità, ma è soggetto alla concorrenza di altre istituzioni simili.

Le risorse che l'istituzione è in grado di estrarre dai diversi ambienti in cui opera sono reciprocamente complementari.

I conti economici dei musei italiani, non molto dissimili da quelli di altri paesi, sono buoni testimoni della necessaria coesistenza di tutte queste fonti di ricavo. Dal settore pubblico provengono finanziamenti che vanno da un ottimistico 60% del fabbisogno ad un normale 80-85%, per giungere non raramente fino al 100%.

 

Tabella 1. Composizione delle entrate nei musei

 

Italia
(Corte dei conti 2005)

Louvre
(budget 2006)

National Gallery
(2007)

Metropolitan
(2007)

Bigliettazione

22,3%

22%

7%

16,7%

Servizi aggiuntivi

4,5%

9%

6%

37,8%

Settore pubblico

68,5%

62%

80%

9%

Altri privati

5,7%

7%

7%

16,8%

Interessi da fondo dotazione

 

 

 

19,5%

 

A parte alcuni casi sporadici i ricavi derivanti dalla fruizione privata e dai servizi correlati coprono un 20-30% del fabbisogno per arrivare talvolta al 50%.

La relazione di accreditamento con la comunità dei pari è invece più difficile da valutare in termini quantitativi, ma è , di norma, indispensabile per ottenere economie di costo nella produzione delle mostre, nella gestione dei prestiti, nella circolazione di format.

La seconda evidenza è che, di norma, i musei sono chiamati ad operare su tutti i fronti simultaneamente, quindi su pubblici e mercati differenziati.

La terza è che sovente le istanze delle diverse arene competitive possono essere tra loro non coerenti o addirittura contraddittorie: ad esempio, le richieste del pubblico possono confliggere con le condizioni di accreditamento nei confronti della comunità degli esperti, e queste, a loro volta, possono essere in opposizione a ciò che le istituzioni pubbliche domandano al museo.

Non solo il museo, quindi, deve gestire processi diretti allo stesso tempo a portatori di interessi differenti, ma deve anche possedere una forte capacità di coordinamento centrale per mediare le istanze in potenziale conflitto. Una competenza resa possibile solo da flussi e da sistemi informativi adeguati e in grado di fornire indicazioni dettagliate ai decisori.

Il fatto che a fronte di tale strutturale complessità i musei si ritrovino, soprattutto in Italia, sistematicamente sotto-staffati, in particolare nell'ambito gestionale, non contraddice il quadro delineato, ma rappresenta piuttosto un indicatore significativo dell'arretratezza relativa delle nostre istituzioni. Non a caso le principali realtà museali sia di area anglosassone che francese configurano esempi molto differenti quanto a strutture e competenze organizzative e gestionali.

 

Tabella 2. Dimensioni delle principali istituzioni internazionali

Istituzione / anno

Visitatori

Budget
(in M. euro)

Dipendenti

Smithsonian Institution (2005)

24.000.000

180

1.500

Louvre (2005)

7.551.000

180

1.500

Tate Gallery (2006)

6.412.000

109

1.157

Centre Pompidou (2006)

5.340.000

110

1.026

British Museum (2006)

4.485.000

51

1.136

Metropolitan Musem NY (2006)

4.570.000

219

1.800

Soprintendenza Autonoma Roma (2005)

4.500.000

45

400

Londra National Gallery (2005)

3.953.000

43

432

Guggenheim Museum (2004)

3.500.000

40

744

Victoria and Albert Museum (2005)

2.471.600

89

965

Moma Ny (2006)

2.470.000

111

834

Getty Center + Museum (2004)

1.300.000

264

1.500

 

L'ultima indicazione riguarda il modello di offerta. Le risposte che l'istituzione museale offre ai diversi interlocutori, pur essendo reciprocamente differenziate, non sono indipendenti, ma interagiscono formando un unico sistema e un solo "modello di offerta" che informa la relazione con i diversi utenti.

Questo non significa che l'offerta debba essere univoca, uniforme, priva di varianze e articolazioni, ma che si debba avere la consapevolezza che qualunque azione influisce sulla qualità complessiva percepita e quindi sul valore generato.

5.1. I corollari della "complessità"

La presenza delle condizioni sopra descritte implica che nelle attività caratteristiche e preminenti del museo non vi sia un'attività necessariamente dominante (ad esempio la ricerca scientifica o l'offerta al pubblico), in grado di garantire la qualità di tutti gli altri processi [1]. L'eventuale prevalenza di una attività rispetto alle altre, ad esempio dell'offerta al pubblico rispetto al supporto politico, dipende dalle specificità dell'istituzione, ferma restando la necessità di presidiare tutti i livelli di azione possibili.

La qualità complessiva della valorizzazione risiede poi, come si è detto, nella capacità dell'istituzione di gestire simultaneamente, nella logica del "modello di offerta", tutti i processi (con intensità differenti, a seconda di natura e dimensione) e nella capacità di determinare la loro integrazione per raggiungere sostenibili livelli di efficienza. Tale complessità richiede necessariamente una vasta gamma di attività di coordinamento, in particolare tra le attività di gestione, che non dovrebbero essere decentrate, e quelle che, invece, possono essere esternalizzate.

Le attività che il museo dovrebbe, per principio, gestire internamente sono: il proprio governo, le politiche culturali, le politiche economico-finanziarie, le politiche territoriali, le attività di coordinamento esecutivo dei progetti e dei servizi gestionali fondamentali. Le altre attività, richiamate nei riquadri verdi della Figura 4, possono invece essere esternalizzate, sempre a fronte, però, di precise attività di coordinamento.

 

Figura 4. Le attività di produzione del valore

 

In sintesi, quindi, un'istituzione museale, per aspirare a principi di buona gestione e soddisfacenti risultati di valorizzazione, dovrebbe possedere una decisa dimensione di "imprenditorialità culturale" che implica:

- un forte coordinamento strategico, ovvero la capacità di gestire la "sovranità" dell'istituzione da parte dei responsabili del suo progetto culturale;

- un forte coordinamento gestionale orientato ai risultati e al feedback.

Ciò che auspicabilmente dovrebbe essere evitato è la "cattura" da parte di uno degli interlocutori (supponiamo il pubblico dei visitatori) e quindi l'unilateralità dei modelli di offerta, che porterebbe a uno squilibrio dell'istituzione nel suo complesso e, di conseguenza, del rapporto con il patrimonio. Per fare un esempio non italiano, privo di ambiguità, è evidente che l'attuale gestione della Valle dei Re in Egitto, presenta un deciso sbilanciamento verso uno sfruttamento turistico di massa del sito archeologico, con certezze, ancor più che rischi, di gravi danni dal punto di vista della conservazione.

Contrappeso alla "cattura" è il principio e la pratica dell'indipendenza dell'istituzione museale e il rafforzamento dei poteri della sua infrastruttura tecnica e curatoriale.

Proprio in questa indipendenza risiede il senso e lo scopo della dimensione imprenditoriale implicita della gestione della cultura e delle istituzioni culturali. Essa non implica necessariamente l'introduzione di forme di privatizzazione o di prevalente attenzione alle dimensioni monetarie e commerciali. Si tratta piuttosto della necessità di mantenere un equilibrio tra le diverse arene competitive in cui il museo opera, garantendo una coerenza interna ed esterna della sua offerta rispetto alla missione istituzionale.

E' chiaro che un simile equilibrio non si raggiunge nel breve termine, e soprattutto che si stabilizza solo nel quadro di una permanente negoziazione con i diversi interlocutori. Tale negoziazione è l'oggetto proprio dell'imprenditorialità culturale richiesta e rappresenta un'attività cruciale nel processo di formazione del valore che rappresenta, in ultima analisi, il principale se non unico vettore per l'istituzione, ovvero per l'esistenza e la riproduzione, dell'Arte nella società contemporanea.

In questo consiste, per concludere, la necessaria indipendenza del museo come istituzione culturale responsabile: autonomia e capacità negoziale con i diversi pubblici rendono possibile servire l'arte e il patrimonio culturale.

6. Raccomandazioni conclusive

A partire da queste indicazioni, la Sottocommissione ha elaborato alcune raccomandazioni riguardo ai diversi fronti e alle diverse questioni di pertinenza della Commissione.

6.1. I livelli minimi di valorizzazione

La prima riflessione riguarda il tema dei livelli minimi di valorizzazione. La definizione e la categorizzazione di tali livelli, oltre a generare un'essenziale attività di censimento delle dotazioni e delle competenze delle istituzioni museali italiane, può diventare uno strumento rilevante per aiutare la crescita e la diffusione di una "cultura del rendiconto" al loro interno. L'azione di ricognizione e inventario potrebbe quindi essere l'occasione per l'erogazione di servizi orientati a questo scopo.

In proposito, la Sottocommissione sottolinea come la complessità gestionale sopra descritta richieda alle istituzioni museali la capacità di "rendere conto", all'interno e all'esterno dell'istituzione, delle proprie scelte allocative. Si tratta di un processo di modernizzazione lento ma necessario, che potrebbe trovare un sicuro giovamento dall'azione concernente i livelli minimi di valorizzazione.

6.2. Le risorse umane e professionali

Come si è già indicato, in Italia il tema delle risorse umane e della loro formazione presenta particolari criticità. Le strutture organizzative delle istituzioni di gestione del patrimonio, per tradizione e condizioni di sostenibilità, sono strutturalmente sottodimensionate, soprattutto per la parte specificamente gestionale. E' necessario, dunque, rafforzare consapevolmente il processo di crescita di figure caratterizzate da strutturate capacità gestionali, predisponendo idonei, ovvero non ambigui e inadeguati, percorsi formativi.

Sul punto si ritiene necessario sgomberare il campo da pregiudizi riguardo al primato della dimensione storico-critica su quella economico-gestionale. E' necessario che si sviluppi una convergenza tra queste dimensioni, senza la quale non si potrà sostenere organizzativamente alcun percorso di modernizzazione del comparto.

Si possono e si devono invece discutere i modi attraverso cui realizzare tale convergenza, siano essi orientati alla formazione di figure fortemente differenziate e specialistiche (curatoriali/storico-artistiche, economico-gestionali) o di figure caratterizzate da più forti elementi di ibridazione. Certo è necessaria una precisa consapevolezza della specificità dei processi di formazione del valore nelle istituzioni museali e quindi delle istanze gestionali che, come si è visto, sottendono l'istituzionalizzazione delle arti e dei percorsi di natura storica, artistica, critica preposti alla loro conservazione e valorizzazione.

6.3. Le esternalizzazioni

La questione delle esternalizzazioni rappresenta uno dei nodi più rilevanti affrontati dalla Commissione e, in questo momento, esso è già stato affrontato con la predisposizione del nuovo Decreto di revisione della legge Ronchey.

Dal punto di vista dei processi considerati in questa relazione, si ritiene importante evidenziare come l'offerta al pubblico - oggetto precipuo delle scelte di esternalizzazione concretizzate nelle concessioni - sia da considerarsi come un'attività strategica direttamente afferente alla missione dell'istituzione museale.

Le attività di valorizzazione e di offerta al pubblico sono ambiti su cui l'istituzione museale dovrebbe esercitare sovranità diretta. Ogni prospettiva di esternalizzazione che non sia meramente esecutiva, ma anche progettuale implica quindi un decentramento e una delega della sovranità dell'istituzione stessa e richiederebbe adeguate forme di coordinamento e verifica.

In questo senso, si auspica che i nuovi regimi di concessione muovano verso un recupero di sovranità da parte delle istituzioni di gestione del patrimonio, nel quadro di una maggiore trasparenza e responsabilizzazione sui risultati. E' peraltro piuttosto evidente che in generale i regimi concessori, in particolare per i plessi più rilevanti, tendano ad attribuire un ruolo decisamente più pregnante al concessionario, sia sul piano culturale che progettuale.

Questo significa che si apre la necessità di istituire aree di sperimentazione nella relazione pubblico-privato che garantiscano, nel contempo, una significativa flessibilità degli strumenti, in modo da permettere soluzioni differenziate tra plessi di grandi dimensioni con forte impatto territoriale e istituzioni di piccole dimensioni, tra musei di diversa natura e contesto.

6.4. I rapporti con il territorio

L'ultima raccomandazione riguarda l'ambito del territorio. E' evidente che la prospettiva di integrare e articolare l'offerta delle istituzioni di gestione del patrimonio nei confronti di differenti portatori di interessi ha implicazioni anche in relazione alla gestione dei rapporti col territorio.

Una prima riguarda la qualificazione della natura istituzionale e dei criteri di gestione dei sistemi museali territoriali. Esiste oggi in Italia una significativa e crescente dinamica di creazione di sistemi museali.

Noi riteniamo che la forma di rappresentazione e modellizzazione proposta in questo documento possa essere utile per qualificare non solo la natura, ma anche l'estensione ed i confini dei sistemi museali, offrendo la possibilità di dare inquadramento anche a quesiti o problemi di non facile determinazione (i sistemi museali che cosa sono? dove è necessario porre un limite? E' possibile per esempio inserire in un "sistema" di valorizzazione museale anche un albergo, un ristorante, un outlet (un modello ad esempio consolidato nei parchi a tema)? Fanno essi parte di un sistema di valorizzazione o no? Quali sono gli organi di governo e come si stratificano a diversi livelli?).

La seconda implicazione implica un ripensamento degli strumenti di progettazione (studi di fattibilità) e dei piani di gestione museale. Questi sono infatti chiamati, oltre che a determinare e programmare le condizioni di sostenibilità microeconomica e aziendalistica (business plan) allo sviluppo di "piattaforme" di coordinamento ed integrazione degli interessi presenti sul territorio, operando sia in logica verticistica che nella prospettiva di una mobilitazione dal basso (meta-management).

In concreto il problema non consiste soltanto nella valutazione delle condizioni e dei fabbisogni determinati dalla creazione della singola istituzione, ma anche nella mobilitazione, intorno a questa creazione, di un'energia che passi attraverso diverse comunità di interlocutori e corrisponda ad un arricchimento delle relazioni tra il patrimonio gestito e lo sviluppo della comunità sociale e territoriale nel suo complesso.

 

 

Note

[*] La presentazione costituisce una rielaborazione del documento presentato al termine del lavoro della sottocommissione "Processi produttivi" nominata nel quadro delle attività della Commissione sui livelli minimi di valorizzazione presieduta dal professor Massimo Montella. La Sottocommissione, coordinata da chi scrive, ha visto la partecipazione di Maria Vittoria Marini Clarelli, Adele Maresca, Elisa Tittoni, Luca Zan. Il documento riprende con fedeltà i concetti di fondo condivisi dalla commissione; chi scrive si assume, comunque, la responsabilità dei cambiamenti e degli ampliamenti introdotti rispetto alla stesura originale del testo.

[1] Questo è quanto per esempio accade nel prospetto della regione Lombardia al riguardo.

 

 



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