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Incontro di studio L'intervento pubblico per la promozione
delle attività culturali – Cinema e spettacolo dal vivo

(Roma, 9 ottobre 2007)

La disciplina europea del cinema e dello spettacolo dal vivo

di Edoardo Chiti

Sommario: 1. Premessa. - 2. Le finalità. - 3. Gli strumenti. - 4. Le conseguenze per gli ordinamenti nazionali. - 5. Conclusioni.

1. Premessa

Quali i caratteri e la ratio dell'intervento dell'Unione europea in materia di cinema e spettacolo dal vivo? E come tale intervento viene ad innestarsi su quello nazionale?

Per raccogliere alcuni elementi utili ad iniziare a rispondere a queste domande, si considereranno dapprima le finalità dell'intervento europeo, quindi gli strumenti attraverso i quali si intendono realizzare tali finalità, infine l'incidenza della emergente disciplina europea sugli ordinamenti nazionali.

2. Le finalità

Il quadro delle misure che definiscono l'intervento dell'Unione europea è estremamente differenziato. Le attività cinematografiche e quelle di spettacolo dal vivo sono oggetto di regolazioni diverse. Le attività di spettacolo dal vivo, a loro volta, sono regolate non da una disciplina unitaria, ma da una varietà di normative che riguardano le loro principali espressioni, quali il teatro, la musica e la danza. Le diverse discipline, poi, hanno un differente grado di consolidamento: se le attività di spettacolo dal vivo paiono oggetto di una regolazione episodica e frammentaria, la disciplina delle attività cinematografiche ha carattere più organico e compiuto.

Ad un quadro di misure tanto articolato corrisponde, com'è prevedibile, non un unico obiettivo, ma una pluralità di finalità. Nel tentativo di una ricostruzione che miri a cogliere gli elementi comuni ai diversi segmenti della disciplina europea, pur senza occultarne le specificità, si può comunque osservare come le diverse misure tendano a convergere intorno a due obiettivi principali: la promozione della cultura, da un lato, e la realizzazione di un mercato concorrenziale, dall'altro.

La promozione della cultura non si presenta genericamente quale azione pubblica suppletiva, volta a garantire l'offerta di beni e servizi non necessariamente in grado di produrre utilità sul mercato. Piuttosto, essa risulta modellata sugli specifici caratteri dell'ordinamento europeo: per un verso, consiste nella costruzione di un patrimonio europeo, comune agli Stati membri dell'Unione ed alle collettività che essi esprimono; per altro verso, è orientata alla tutela ed alla valorizzazione delle diversità culturali compresenti nello spazio europeo. Si annida, qui, una peculiare comprensione della cultura europea, incentrata non sulla contrapposizione tra unità e differenziazione, ma sulla composizione di elementi di uniformità e di integrazione (il patrimonio comune) con elementi di diversità (le diversità culturali). Un esempio di questo disegno è offerto dal programma Cultura 2007, adottato con la decisione n. 1903/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, che si applica alle attività diverse da quelle audiovisive ed afferma la necessità di "rispettare e promuovere la diversità delle culture e delle lingue in Europa e di far conoscere meglio ai cittadini europei le culture dell'Europa diverse dalla loro, sensibilizzandoli al tempo stesso al comune patrimonio culturale europeo".

La realizzazione di un mercato concorrenziale, che costituisce il secondo degli obiettivi comuni alle varie misure europee, attiene alla messa a punto delle condizioni necessarie alla instaurazione ed al mantenimento di un mercato aperto. Un esempio di misura volta alla instaurazione di un mercato di dimensione europea è fornito dal programma Media 2007 per il cinema, adottato con la decisione n. 1718/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 novembre 2006, attraverso il quale si mira, tra l'altro, a "rafforzare la concorrenzialità del settore audiovisivo europeo nel quadro di un mercato europeo aperto e concorrenziale propizio all'occupazione, promuovendo fra l'altro i collegamenti tra i professionisti dell'audiovisivo". Un esempio di intervento volto al mantenimento di un mercato europeo aperto è rappresentato dal controllo che la commissione europea esercita sugli aiuti di Stato destinati a promuovere la cultura, legittimi solo nella misura in cui non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella comunità "in misura contraria all'interesse comune".

Quale rapporto si stabilisce tra promozione della cultura e realizzazione di un mercato concorrenziale? Nel disegno complessivo dell'intervento europeo, non si tratta di due esigenze confliggenti, ma di due finalità che debbono essere realizzate congiuntamente. La promozione della cultura, in particolare, può essere realizzata solo in un mercato aperto e concorrenziale, il quale, a sua volta, non può essere tale a scapito della cultura, che vale anzi a caratterizzarlo. In questo senso, il mercato europeo non rappresenta tanto uno spazio di libertà di circolazione di merci, lavoratori, capitali e servizi, sul quale possono incidere, per così dire dall'esterno, politiche correttive, quanto uno spazio socio - economico nel quale gli obiettivi dell'economia di mercato sono ridefiniti in modo tale da integrare obiettivi di regolazione sociale. Il già ricordato programma Media 2007 per il cinema fornisce un esempio di questo peculiare rapporto tra promozione della cultura ed esigenze di mercato: per un verso, esso riconosce espressamente che gli obiettivi di promozione culturale possono essere conseguiti solo "attraverso lo sviluppo di un'industria dai contenuti forti e diversificati"; per altro verso, evidenzia come la cultura sia coessenziale al progetto di una "economia basata sulla conoscenza".

Quanto sin qui osservato consente di notare alcune differenze con le finalità proprie dell'intervento pubblico nazionale. Nel nostro ordinamento, l'intervento dei poteri pubblici in materia di spettacolo ha assolto tradizionalmente ad una finalità di tutela di prodotti e servizi inidonei a produrre utilità che giustifichino la loro offerta sul mercato. Nell'ordinamento europeo, invece, la promozione culturale non rappresenta una semplice "correzione" di un effetto indesiderato del mercato, ma contribuisce a ridefinire, divenendone elemento costitutivo, i caratteri del mercato interno. Nell'ordinamento italiano, la tutela è in funzione della qualità o dell'interesse culturale del prodotto o del servizio. Nell'ordinamento europeo, essa opera in funzione delle diversità culturali europee e del patrimonio europeo comune alla pluralità delle tradizioni.

Dell'assetto che si è richiamato, peraltro, occorre porre in evidenza le ambiguità. Ben lungi dal dare luogo ad un disegno stabile, in effetti, tale assetto esprime un "campo gravitazionale" il cui equilibrio complessivo non può essere dato per scontato. Le ambiguità principali riguardano la capacità dell'Unione europea di tradurre gli obiettivi in interventi concreti, che compongano sul piano operativo le diverse finalità della disciplina europea. Ciò che rende necessario portare il discorso sul terreno degli strumenti dell'intervento europeo in materia di spettacolo.

3. Gli strumenti

Gli strumenti attraverso i quali l'ordinamento europeo intende realizzare i propri obiettivi sono essenzialmente tre. Vi sono, anzitutto, i divieti posti dall'Unione agli Stati: l'esempio principale è quello degli aiuti di Stato destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio nazionale, che sono vietati se alterano le condizioni degli scambi e della concorrenza nella comunità (art. 87 comma 3 lett. d del Trattato comunitario). Vi sono, poi, le ipotesi di azione diretta dell'Unione europea: come in vari settori di propria competenza, sia tradizionali, come l'agricoltura, sia di più recente "europeizzazione", quali l'ambiente e la protezione dei consumatori, l'Unione agisce in materia di spettacolo dal vivo e registrato attraverso "programmi" europei. Gli esempi più significativi sono i programmi Cultura 2007 e Media 2007, due programmi settennali di finanziamento di progetti di cooperazione europea, quali la coproduzione e la distribuzione di film "europei". Il terzo tipo di strumenti è quello delle deroghe alle libertà di circolazione sulle quali si fonda il mercato interno europeo. In questo caso, il diritto europeo primario e derivato, così come interpretato dal giudice europeo, riduce l'ambito di applicazione dei limiti imposti agli interventi statali per la realizzazione delle quattro libertà, consentendo misure nazionali che perseguono interessi diversi da quelli della libertà di circolazione. Ad esempio, la Corte di giustizia ha stabilito che una legislazione nazionale che prevede che un'opera cinematografica può essere messa in vendita al pubblico con il supporto di videocassette solo dopo un determinato periodo di tempo persegue un obiettivo culturale ed è compatibile con il diritto comunitario.

Questi tre tipi di strumenti potrebbero apparire fortemente disomogenei. A ben guardare, però, le differenze sono meno nette di quanto non si ritenga abitualmente.

Si pensi al divieto di aiuti di Stato che incidano sugli scambi e sulla concorrenza nella comunità. Esso presuppone una valutazione della commissione europea sui singoli finanziamenti nazionali alle attività di spettacolo, al fine di verificare se "alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella comunità in misura contraria all'interesse comune". Gli aiuti di Stato destinati ad attività di spettacolo e, più in generale, culturali, in altri termini, non sono né automaticamente vietati, né automaticamente ammessi, ma debbono essere valutati caso per caso dalla istituzione sovranazionale, che dispone, come si evince dalla formulazione del trattato che si è richiamata, di un ampio margine di apprezzamento sulla compatibilità di tali aiuti con il mercato interno. Ciò apre la strada ad una vera e propria politica della commissione: questa, per un verso, pondera l'interesse alla tutela culturale di un paese in ordine all'interesse comune di un mercato europeo aperto e concorrenziale, attraverso le singole pronunce sulle proposte di aiuto; per altro verso, per mezzo del corpus formato da tali pronunce e della esplicitazione dei relativi criteri nelle rilevanti comunicazioni interpretative, condiziona ed orienta la condotta dei poteri pubblici nazionali. Si tratta, evidentemente, di un intervento che si discosta dall'azione diretta che la comunità svolge attraverso i propri programmi, là dove sfrutta piuttosto l'azione dei poteri pubblici nazionali e la inquadra nel superiore disegno europeo o "comune". Anche in questo caso, comunque, si è in presenza di un'azione comunitaria positiva, che va oltre l'intervento meramente limitativo del divieto.

Un discorso non diverso può farsi per le deroghe alle libertà di circolazione per ragioni culturali. Le deroghe, infatti, sono state intese dalla Corte di giustizia non come eccezioni automatiche alle libertà di circolazione, ma come disposizioni che consentono allo Stato di giustificare un intervento domestico che produce l'effetto di ostacolare la circolazione intracomunitaria sulla base di un interesse diverso da quello europeo della libertà di circolazione. Le deroghe, dunque, debbono essere valutate caso per caso attraverso giudizi che implicano una ponderazione tra l'interesse europeo alle libertà di circolazione e l'interesse nazionale alla tutela culturale e che, componendosi in una giurisprudenza complessiva, possono orientare la condotta dei pubblici poteri nazionali, anche in ragione del ruolo di interprete ultimo del diritto europeo assegnato alla Corte di giustizia.

I tre tipi di strumenti, insomma, tendono a configurarsi, direttamente o indirettamente, e seppure attraverso modalità diverse, quali strumenti di una ancora incompiuta ma emergente "politica" dell'Unione in materia di spettacolo.

Si tratta, peraltro, di strumenti che presentano luci ed ombre.

Innanzitutto, vi è da chiedersi se i programmi di finanziamento delle attività di spettacolo siano davvero adeguati alle esigenze del settore. Il programma Media 2007 ha ricevuto una dotazione finanziaria di 755 milioni di euro, mentre lo stanziamento relativo al programma Cultura 2007 è di 400 milioni di euro. Si tratta di dotazioni non soddisfacenti, in considerazione del numero dei paesi dell'Unione e della durata settennale dei programmi. Allo stesso tempo, in entrambi i casi i programmi hanno potuto contare su stanziamenti ben superiori a quelli dei programmi precedenti: Media Plus, adottato nel 2000 ed operativo per sei anni, era dotato di 400 milioni di euro, mentre Cultura 2007 poteva contare su 167 milioni di euro. Tra i punti di forza dei nuovi programmi, inoltre, va menzionata la semplificazione delle modalità del loro utilizzo, che avevano in precedenza dato luogo ad alcune controversie (si vedano, ad esempio, le sentenze del tribunale di primo grado del 9 luglio 2002 e del 15 ottobre 2002, rispettivamente Rougemarine SARL c. Commissione delle Comunità europee, in causa T-333/00 e Scanbox Entertainment A/S c. Commissione delle Comunità europee, in causa T-233/00).

In secondo luogo, l'esercizio dei poteri della Commissione in materia di aiuti di Stato destinati all'attività di spettacolo mostra la complessità della ponderazione dell'interesse nazionale alla promozione culturale in ordine all'interesse comune di un mercato europeo aperto e concorrenziale. Un esempio è offerto da un programma tedesco che prevede la possibilità di un finanziamento di 4 milioni di euro per film. La Commissione ha ritenuto nel 2006 che il programma potesse essere autorizzato: esso rispondeva, tra l'altro, non solo all'obiettivo della promozione della cultura tedesca (ad esempio prevedendo ambientazioni locali ed una versione in tedesco delle opere), ma anche a quello della promozione della comune cultura europea (ad esempio prevedendo personaggi e contenuti europei), in linea con gli orientamenti recenti dell'intervento europeo in materia di spettacolo. Ma non è un segreto che il programma sia volto tanto alla promozione dell'industria culturale nazionale, quanto ad attrarre produzioni straniere, ritenute molto vantaggiose dal punto di vista economico. In questo caso, dunque, la Commissione ha approvato una misura nazionale che inquadra la promozione della cultura nazionale nel più ampio contesto della cultura europea ed allo stesso tempo incoraggia la crescita del mercato cinematografico. Ma questa crescita riguarda solo un segmento del territorio dell'Unione e forse avvantaggia le industrie straniere rispetto a quella tedesca. Non vi è dubbio, dunque, che la Commissione, attraverso questo schema, ottimizza l'interesse comunitario. Resta da valutare, però, se questa ottimizzazione produca degli inconvenienti e se gli aiuti di Stato siano lo strumento appropriato per realizzare obiettivi comunitari di questo tipo.

In terzo luogo, il controllo della Corte di giustizia sulle misure nazionali a tutela della cultura che violino le esigenze del mercato interno pone il giudice comunitario nella posizione di valutare ed eventualmente sanzionare politiche nazionali estremamente complesse. Da un lato, infatti, vi sono le ipotesi, più chiare, di misure nazionali discriminatorie, scopertamente protezionistiche o aventi l'effetto di escludere l'accesso al mercato di beni, lavoratori o servizi non nazionali, che possono essere ritenute legittime solo ove adeguatamente giustificate dagli Stati membri. Dall'altro lato, vi sono le ipotesi di misure regolatorie nazionali che non impediscono l'accesso al mercato ma costituiscono comunque un ostacolo alle libertà di circolazione, che obbligano il giudice europeo ad una delicata ponderazione tra l'interesse comune alla libertà di circolazione e l'interesse alla cultura nazionale. A questa osservazione, peraltro, si può obiettare che delle difficoltà connesse a questa funzione non si hanno in effetti molti esempi nella giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di spettacolo, la quale resta quantitativamente limitata e poco problematica.

Una quarta ambivalenza riguarda l'assetto istituzionale preposto alla realizzazione della emergente politica europea in materia di spettacolo. Non ci si riferisce tanto al ruolo svolto dalla Corte di giustizia nella valutazione delle misure nazionali, che non deve essere sopravvalutato. Ci si riferisce, piuttosto, al carattere essenzialmente sovranazionale di tale assetto. Non mancano forme di cooperazione tra le autorità europee e quelle nazionali: basta pensare ai cosiddetti Punti di contatto cultura previsti dal programma Cultura 2007, che sono uffici nazionali chiamati a collaborare con le autorità comunitarie per una migliore attuazione del programma. Le attribuzioni principali, però, spettano alla commissione ed alla agenzia esecutiva per l'Istruzione, gli audiovisivi e la cultura, vale a dire ad un organismo chiamato ad operare in maniera indipendente dai governi nazionali e ad un organismo che rappresenta una delle possibili forme di esternalizzazione dei compiti di gestione della Commissione. Si tratta di una scelta che mira evidentemente a proteggere le amministrazioni europee dalle interferenze della politica nazionale. Data l'ambizione funzionale della emergente politica in materia di spettacolo, e le difficoltà connesse al contemperamento di esigenze nazionali e sovranazionali, concorrenziali e sociali, però, vi è da chiedersi se una soluzione organizzativa di tipo diverso, più nettamente orientata sulla cooperazione e sulla integrazione tra le amministrazioni europee e quelle nazionali non sarebbe stata preferibile. In questa prospettiva, l'esperienza dello European Audiovisual Observatory, che non rientra nell'ordinamento dell'Unione Europea, avrebbe potuto rappresentare un'utile fonte di ispirazione.

4. Le conseguenze per gli ordinamenti nazionali

Tratteggiate le finalità della disciplina europea e gli strumenti per mezzo dei quali esse debbono essere realizzate, occorre chiedersi quali conseguenze questi sviluppi comportino per gli ordinamenti nazionali.

Al riguardo, si può osservare, anzitutto, come l'attuale disciplina europea in materia di spettacoli non dia luogo ad un "livellamento del campo di gioco" paragonabile ad altri settori dell'intervento dell'Unione. Sotto il profilo delle fonti, nei campi nei quali l'Unione interviene con maggiore incisività, il diritto europeo esplica la propria forza in due modi tra loro complementari: fissa i principi della materia, da applicare nell'Unione e a livello nazionale; e stabilisce almeno gli istituti essenziali, organizzativi e procedurali, attraverso i quali i principi possono trovare effettiva attuazione. I principi fissati richiedono un immediato adeguamento delle legislazioni nazionali. Gli istituti sono per lo più posti da disposizioni dirette, per le quali non sono necessarie atti nazionali di attuazione, ma possono essere talora specificati ed approfonditi dalle autorità nazionali. Gli esempi di questa tecnica di intervento sono numerosi e spaziano dalle comunicazioni elettroniche all'energia elettrica ed il gas, alla sicurezza alimentare. Nel caso della disciplina in materia di spettacoli, invece, non mancano veri e propri principi, come quello che governa gli aiuti di Stato, ma questi sono poste da norme eterogenee, la normativa è talora specifica per gli spettacoli, talaltra più generale, ad esempio relativa alla cultura nel suo complesso, manca un insieme organico di disposizioni che regolino la sua attuazione.

Sarebbe un errore, comunque, sottovalutare l'incidenza della disciplina europea in materia di spettacoli sugli ordinamenti nazionali. Se si considera il modo complessivo di attuazione di tale disciplina, si nota come l'azione diretta attraverso programmi comunitari e l'azione indiretta attraverso il controllo sugli aiuti nazionali, cui si aggiunge il controllo operato dal giudice europeo sulle deroghe alle libertà di circolazione, tendano a "fare sistema" tra loro, condizionando ed orientando l'intervento nazionale. Pur non procedendo ad un "livellamento del campo di gioco" dal punto di vista delle fonti, dunque, l'attuale disciplina europea in materia di spettacoli determina un "inquadramento" dell'intervento nazionale, il quale, per un verso, può esplicarsi entro i limiti definiti dal diritto europeo, per altro verso, viene orientato alle superiori esigenze dell'ordinamento europeo.

L'emergente disciplina europea in materia di spettacoli, poi, produce alcune conseguenze sull'assetto organizzativo nazionale. Le principali sono due. Da un lato, i poteri pubblici nazionali vengono assoggettati ad obblighi di collaborazione con i propri omologhi degli altri Stati membri e con le autorità europee, principalmente la commissione. Tali obblighi risultano non solo da specifiche disposizioni settoriali, ma anche dalle disposizioni del trattato comunitario, che impone un obbligo generale di leale cooperazione nei rapporti tra autorità nazionali ed autorità europee. Dall'altro lato, il diritto comunitario determina l'articolazione organizzativa dell'amministrazione nazionale, obbligando lo Stato ad istituire un ufficio, oppure ad individuare un ufficio esistente e ad assegnare ad esso determinate attribuzioni. Ad esempio, la decisione che regola il programma Cultura 2007 prevede l'istituzione dei già ricordati Punti di contatto cultura, mentre l'attuazione del programma Media 2007 prevede l'istituzione delle cosiddette Media desk e antenne Media. Il diritto comunitario, peraltro, può anche spingersi sino a definire i requisiti organizzativi e le regole dell'azione dell'ufficio nazionale, ad esempio prevedendo che le Media desk abbiano personale "in possesso delle qualifiche professionali e delle competenze linguistiche adeguate per lavorare in un ambiente di cooperazione internazionale" ed operino "in un contesto amministrativo che consenta loro di svolgere opportunamente i propri compiti e di evitare ogni conflitto d'interessi". In tal modo, le autorità nazionali acquistano un duplice fondamento: da un lato, quello nazionale; dall'altro, quello comunitario.

5. Conclusioni

In questa relazione si è tentato di raccogliere alcuni elementi utili ad una prima ricostruzione dei caratteri dell'intervento dell'Unione europea in materia di spettacolo e della sua incidenza sull'intervento nazionale.

Il limitato grado di consolidamento della materia e la frammentarietà della disciplina non consentono di ricondurre l'intervento europeo in questo settore a formule nette ed unitarie.

Le osservazioni svolte, peraltro, consentono tre conclusioni principali, che possono essere esposte, con evidente ma forse inevitabile forzatura, come segue.

In primo luogo, pur essendo composta da complessi eterogenei, la disciplina europea in materia di spettacoli tende a convergere intorno a due obiettivi principali, la promozione della cultura europea e la realizzazione di un mercato europeo aperto e concorrenziale, costruiti come due finalità tra loro inscindibilmente connesse, nella maniera indicata in precedenza.

In secondo luogo, tali finalità vengono perseguite attraverso una varietà di meccanismi diversi, i quali, però, tendono ad operare in maniera funzionalmente complementare ed a configurarsi quali strumenti di una ancora incompiuta ma emergente "politica" dell'Unione in materia di spettacolo. Questi strumenti presentano alcuni punti di forza ed alcuni inconvenienti: luci ed ombre, dunque, che condizionano l'efficace svolgimento e l'ulteriore sviluppo della politica europea in materia di spettacoli.

In terzo luogo, per quanto incida poco sulla regolazione formale degli Stati membri, l'emergente disciplina in materia di spettacoli produce varie conseguenze sugli ordinamenti nazionali, là dove determina un inquadramento della funzione nazionale e impone vari aggiustamenti organizzativi.

Queste osservazioni, d'altra parte, non hanno l'ambizione di rappresentare il punto di arrivo della discussione giuridica e politica sull'intervento europeo in materia di spettacolo. Più modestamente, esse ne costituiscono il punto di avvio, là dove indicano i percorsi di formazione di una disciplina europea e segnalano l'opportunità di un'indagine con strumenti meno rudimentali di quelli qui utilizzati.

Nota bibliografica

La disciplina europea dello spettacolo non è oggetto di trattazioni complessive. Possono aiutare ad inquadrare la materia, comunque, i contributi raccolti nel volume R. Craufurd Smith, Culture and European Union Law, Oxford, Oxford University Press, 2004, e F. Lafarge, Cultura, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. Chiti e G. Greco, II ed., Milano, 2007, parte speciale, vol. II, p. 971 ss. Sulle applicazioni recenti dei poteri della commissione in materia di aiuti di Stato destinati alle attività cinematografiche, si veda J. Broche, O. Chatterjee, I. Orssich e N. Tosics, State aid for films - a policy in motion?, in Competition Policy Newsletter, 1/2007. Sull'autonomia regolatoria degli Stati membri, in una prospettiva comunque diversa da quella assunta in questo scritto, S. Foà e W. Santagata, Eccezione culturale e diversità culturale. Il potere culturale delle organizzazioni centralizzate e decentralizzate, in Aedon 2/2004. I caratteri dell'intervento pubblico nazionale in materia di spettacolo sono tratteggiati da C. Barbati, Spettacolo, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, 2006, ad vocem; alla stessa autrice si deve la più recente monografia in materia, Istituzioni e spettacolo. Pubblico e privato nelle prospettive di riforma, Padova, 1996; tra i principali scritti precedenti, F. Merusi, Significato e portata dell'art. 9 della Costituzione, in Aspetti e tendenze del diritto costituzionale, in Scritti in onore di Costantino Mortati, Milano, 1977, vol. III, p. 797 ss. Per una discussione complessiva sulla diversità culturale nell'ordinamento europeo, B. de Witte, The Value of Cultural Diversity, in Values in the Constitution of Europe, a cura di S. Millns e M. Aziz, Dartmouth, Ashgate, 2007.

 

 



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