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Cessione di attività culturali della pubblica amministrazione e rapporti di lavoro [*]

di Sandro Mainardi e Davide Casale

Sommario: 1. Lavoro pubblico e privato per il settore culturale. - 2. Passaggi di personale pubblico per trasferimento di attività: l'evoluzione normativa. - 3. Profili oggettivi della fattispecie. - 3.1. L'atto di trasferimento. - 3.2. L'oggetto del trasferimento. - 4. Profili soggettivi: p.a. e dipendenti interessati nel diritto interno... - 5. ...e nel diritto comunitario. - 6. Disposizioni speciali: conferimenti agli enti territoriali, grandi privatizzazioni, trasformazione degli enti culturali. - 7. Effetti sul rapporto di lavoro. - 8. Informazione e consultazione sindacale. - Riferimenti bibliografici.

1. Lavoro pubblico e privato per il settore culturale

L'evoluzione normativa che negli anni recenti ha interessato le forme di gestione dei servizi pubblici di rilievo nazionale e locale [1] e, in particolare, di valorizzazione dei beni culturali [2] influisce significativamente su un aspetto essenziale ai fini del buon andamento e dell'efficienza di tali attività: la disciplina dei rapporti di lavoro del personale addetto.

Anche in questo settore la summa divisio, parallela alla distinzione tra forme di gestione diretta e indiretta delle attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica di cui all'art. 115 del Codice dei beni culturali, è naturalmente quella tra lavoro alle dipendenze di soggetti di natura giuridica privata e soggetti di diritto pubblico. Com'è noto, per i dipendenti di questi ultimi, la disciplina di cui al Capo I, Titolo II, del Libro V, del codice civile ed alle leggi sui rapporti di lavoro privati si applica solo mediatamente, per il tramite dell'art. 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (c.d. Testo unico del pubblico impiego), e solo nella misura in cui essa, per taluni tratti di disciplina, non risulti incompatibile con la normativa speciale contenuta nel decreto medesimo ed in altre fonti secondarie di regolamentazione.

L'adibizione dei lavoratori alla gestione e valorizzazione di beni culturali, quindi, non assume di per sé pregnanza qualificatoria particolare sotto il profilo della disciplina applicabile. Se il datore di lavoro ha natura privata, la disciplina lavoristica che è tenuto ad applicare sarà quella del lavoro nell'impresa (per i non imprenditori resta ferma la clausola di compatibilità di cui all'art. 2239 c.c. [3]). Se invece il datore è pubblico, questi applicherà il richiamato decreto legislativo del 2001 o comunque la pertinente disciplina speciale (non è questa la sede per approfondire la problematica dei margini di applicabilità agli enti territoriali della disciplina lavoristica statale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione [4]).

La predetta distinzione naturalmente vale anche per la regolamentazione collettiva. Per quanto riguarda il lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche giova ricordare che gli enti dotati di competenze in materia culturale non sono raggruppati in un apposito comparto di contrattazione collettiva, risultando distribuiti in diversi degli undici comparti nei quali attualmente sono suddivise, ai fini negoziali, le amministrazioni: nel comparto ministeri, data la presenza del ministero per i Beni e le Attività culturali, e, soprattutto, nel comparto regioni e autonomie locali.

Nel settore privato, invece, oltre a diversi contratti collettivi di lavoro relativi ai settori servizi e turismo, dal 1999 esiste lo specifico contratto nazionale Federculture [5], sottoscritto da F.P. Cgil, Fist Cisl, Uil Ee.Ll., che mira ad accorpare i "dipendenti delle aziende, imprese, società, istituzioni ed enti aderenti alla federazione servizi pubblici, cultura, turismo, sport, tempo libero, che erogano servizi pubblici inerenti: musei, arte, formazione, biblioteche, aree espositive, turismo, spettacolo, teatro, musica, cinema, sport, parchi (naturali, biologici, di divertimento), siti archeologici, terme, tempo libero". Tale Ccnl in data 21 marzo 2005 è stato rinnovato, con modifiche, fino al novembre 2007 per la parte normativa. Esso contempla espressamente diverse figure professionali proprie del settore culturale, quali il direttore artistico (area q); il conservatore museale, il bibliotecario, il promotore culturale, l'archivista laureato, il filologo, l'archeologo, lo storico dell'arte, l'organizzatore manifestazioni culturali, il curatore di manifestazioni culturali, il gestore di beni culturali (area d); il tecnico museale, l'art-buyer, l'assistente museale, il restauratore e l'aiuto bibliotecario (area c); l'operatore servizi turistici o di biglietteria e l'allestitore di strutture congressuali (area b). Prendendo atto che i gestori di servizi culturali non di rado sono soggetti polifunzionali investiti di funzioni eterogenee nella conduzione dei servizi pubblici locali, questo contratto collettivo ha anzi la particolarità di volersi applicare non semplicemente in base alla categoria merceologica del datore, bensì "ai lavoratori addetti ai servizi culturali, turistici e ricreativi sopra elencati, anche se dipendenti da soggetti che gestiscono altri servizi".

Le parti sociali stipulanti questo contratto si mostrano consapevoli delle specifiche esigenze degli operatori del settore. Nella organizzazione dell'orario di lavoro (cfr. artt. 32-37 del contratto del 1999 come modificato dal rinnovo del 2005), ad esempio, si distinguono diverse tipologie organizzative: standard, su nastro lavorativo ampio, in turno, plurisettimanale, con sospensione annuale. Notevoli margini organizzativi sono concessi pure nel controllo dei contratti di lavoro flessibili: pur premettendo che le tipologie contrattuali c.d. atipiche non possono costituire modalità ordinaria di organizzazione aziendale, si stabilisce un'ampia soglia complessiva massima di utilizzo, del 35% sul totale dell'occupazione, tetto elevabile fino al 40% in sede aziendale (cfr. art. 20-bis, introdotto nel 2005).

Nel Ccnl Federculture emerge chiara, inoltre, la consapevolezza che il settore vive "una fase di particolare cambiamento e di grande importanza". Infatti, "il tema della gestione si va affermando soprattutto per la necessità, sempre più impellente, di razionalizzare la spesa pubblica e di rendere efficace l'intervento delle imprese private. Questo fenomeno ha attivato un processo di affidamento a soggetti 'esterni' agli enti pubblici, statali, regionali e locali, in particolare alle amministrazioni comunali e provinciali, delle funzioni di autonoma gestione ed organizzazione dei beni e servizi, mantenendo, in capo alle Istituzioni pubbliche, i compiti di indirizzo generale delle attività, di orientamento e di controllo dei risultati". La logica delle parti negoziali rientra certamente nell'ambito di disposto negli artt. 112 e 115 del Codice dei beni culturali [6], in tale contesto, le fasi dinamiche riguardanti i beni culturali ed i soggetti conferitari influiscono anche sulla condizione lavorativa dei dipendenti pubblici già assegnati alle relative attività.

Ciò che qui si intende analizzare è allora la normativa specificamente destinata a regolare gli effetti sui rapporti di lavoro dei passaggi di attività pubbliche ad altri soggetti pubblici o privati. E giova fin da subito ricordare che una regolamentazione specifica dei passaggi di personale per effetto di trasferimenti di attività da parte delle pubbliche amministrazioni fu inclusa fin dall'inizio nella normativa che ha contrattualizzato il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche ed è oggi presente nel testo del d.lg. 165/2001. Tale normativa costituisce pertanto essenziale quadro di riferimento anche per le regole di carattere settoriale, cui non si sottrae l'ambito dei servizi culturali.

2. Passaggi di personale pubblico per trasferimento di attività: l'evoluzione normativa

La norma in questione è l'art. 31 del d.lg. 165/2001, composta da un singolo comma, in base al quale, "fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applica l'articolo 2112 del codice civile e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui all'articolo 47, commi da 1 a 4, della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (legge comunitaria per il 1990)".

In merito a questa fattispecie, nella trasposizione dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 al d.lg. 165/2001 nulla è cambiato, poiché il predetto art. 31 del decreto del 2001 riproduce il testo della corrispondente norma del decreto del 1993, l'art. 34. Novità si erano invece avute pochi anni prima, quando l'art. 19 decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 aveva sostituito l'art. 34 citato, così rimpiazzando la norma che disciplinava la materia in attuazione dei principi e criteri direttivi contenuti nell'art. 2 comma 1 lett. s) della prima legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, cioè l'art. 62 d.lg. 29/1993 (articolo abrogato dall'art. 43 dello stesso d.lg. 80/1998).

Tale intervento era avvenuto non tanto in esecuzione di una specifica indicazione della seconda legge delega, legge 15 marzo 1997, n. 59, la quale all'art. 11 comma 4 lett. a) semplicemente disponeva di "completare l'integrazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato e la conseguente estensione al lavoro pubblico delle disposizioni del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro privato nell'impresa", quanto a seguito delle rilevate difficoltà applicative dell'art. 62 nell'originaria formulazione. Questa norma - prescrivendo che "fatte salve le disposizioni di leggi speciali, la disciplina del trasferimento d'azienda di cui all'art. 2112 del codice civile, si applica(va) anche nel caso di passaggio di dipendenti degli enti pubblici e delle aziende municipalizzate o consortili a società private per effetto di norme di legge, di regolamento o convenzione, che (... attribuivano) alle stesse società le funzioni esercitate dai citati enti pubblici ed aziende" - aveva infatti sollevato numerose perplessità in particolare con riguardo al suo ambito d'applicazione [7].

L'art. 31 d.lg. 165/2001 ovvia a tali incertezze per mezzo del disposto sopra citato, dalla portata quanto mai ampia, anzitutto con un rinvio all'art. 2112 c.c. e all'art. 47 della legge 428/1990. Si tratta della disciplina lavoristica del trasferimento d'azienda, la quale come noto è inclusa nel codice civile per ciò che riguarda gli effetti della decisione datoriale sul rapporto individuale (in sintesi, continuità della relazione lavorativa con mantenimento dei diritti, v. infra) e nella citata legge speciale per ciò che attiene alle conseguenze sul piano delle relazioni collettive. Tale normativa ha subito significative modifiche ad opera del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 18, che, sulla base della delega concessa con legge 21 dicembre 1999, n. 526 (legge comunitaria per il 1999), ha adeguato l'ordinamento italiano alle correzioni che la dir. n. 98/50/CE aveva apportato alla dir. n. 77/187/CEE (riguardante il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relativamente al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti). Entrambe queste direttive europee sono ora abrogate, in quanto sostituite dalla dir. n. 01/23/CE, la quale, senza introdurre novità, ha operato solo nella direzione di un drafting normativo.

Successivamente è intervenuto l'art. 32 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (c.d. riforma "Biagi"), come modificato dall'art. 9 del decreto legislativo 6 ottobre 2004, n. 251, che ha sostituito il comma 5 dell'art. 2112 c.c. ed ha aggiunto alla stessa norma un comma sesto. Come subito notato [8], non risulta semplice il coordinamento tra la modifica di norme che sono applicabili al lavoro pubblico a causa di rinvii e l'art. 1 comma 2 del d.lg. 276/2003, che dispone la propria inapplicabilità "per le pubbliche amministrazioni ed il loro personale" [9]. Per quanto specificamente riguarda l'art. 2112 c.c., si può tuttavia notare che il comma 5 (come anche il disposto, relativo alla nozione di trasferimento d'azienda in occasione di successione tra appaltatori, di cui all'art. 29 comma 3 del decreto richiamato, tuttavia non inserito nell'art. 2112 c.c.) si occupa semplicemente di definire il campo di applicazione della norma. Pertanto, la sua modifica non ha ricadute sull'art. 31 d.lg. 165/2001, poiché quest'ultimo - disegnando l'autonoma fattispecie del "trasferimento di attività della p.a." - rinvia all'articolo del codice solo per ciò che concerne la disciplina relativa alle conseguenze del trasferimento o conferimento di attività pubbliche prevista dagli altri quattro commi, i quali non sono stati modificati.

Discorso diverso è quello relativo al comma che l'art. 32 del decreto citato ha aggiunto dopo il comma 5 dell'art. 2112 c.c.: nel testo emendato dal d.lg. 251/2004, tale sesto comma prevede che "Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all'articolo 29, comma 2, del d.lg. 276/2003". Quest'ultima disposizione, nel testo riformulato prima dall'art. 6 del citato d.lg. 251/2004 e poi dal comma 911 dell'art. 1 della legge finanziaria 27 dicembre 2006, n. 296, prescrive che in caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti. Nonostante l'art. 31 d.lg. 165/2001 richiami l'intero art. 2112 c.c., il nuovo comma 6 non è applicabile al lavoro pubblico in base al sopra richiamato art. 1 comma 2 del decreto, il quale è norma cronologicamente successiva.

3. Profili oggettivi della fattispecie

3.1. L'atto di trasferimento

Ai sensi dell'art. 31 del d.lg. 165/2001, affinché nei confronti dei lavoratori alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni trovi applicazione la disciplina del trasferimento d'azienda deve verificarsi un "trasferimento o conferimento di attività": è evidente che si tratta di un presupposto assai ampio, perché, come rilevato [10], il concetto di conferimento può essere parimenti collegato alla sfera privatistica ed a quella pubblicistica.

Dal primo punto di vista, il riferimento è alla nozione di conferimento in società da parte del socio, conferimento che secondo diffusa opinione (non smentita dalla riforma del diritto societario) può avere ad oggetto pressoché qualsiasi entità suscettibile di valutazione economica che si ponga in rapporto strumentale con l'esercizio dell'attività sociale (nell'art. 31 in commento l'oggetto del passaggio è individuato col termine anche più generico di "attività", v. infra). Dal secondo punto di vista, il termine evoca l'utilizzo che ne è stato fatto in campo giuspubblicistico a partire dalla legge Bassanini 59/1997, cioè, come precisato dall'art. 1 comma 1 della stessa legge, nel senso di "trasferimento, delega o attribuzione di funzioni e compiti" a regioni ed enti locali allo scopo di dar seguito alla tendenza al decentramento che ha poi trovato un coronamento nella riforma del Titolo V parte seconda della Carta costituzionale operata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Tale accezione è ormai diffusa, anche in quanto impiegata nei relativi decreti delegati e nelle decine di leggi regionali susseguenti. In ambito giuspubblicistico, il termine è comunque utilizzato anche nella tradizionale accezione privatistica sopra accennata: si pensi all'art. 115, comma 7, del Codice dei beni culturali, in base al quale le amministrazioni "possono partecipare al patrimonio dei soggetti di cui all'articolo 112, comma 5, cioè i soggetti giuridici cui affidare l'elaborazione e lo sviluppo dei piani, anche con il conferimento in uso dei beni culturali che ad esse pertengono e che siano oggetto della valorizzazione". Ancor più lato di "conferimento" è il concetto di "trasferimento", contenuto nell'art. 31 in esame, il quale nemmeno implica una specifica tipologia di traslazione. Inoltre, diversamente dall'originario art. 62 che richiamava "norme di legge, regolamento o convenzione", nell'art. 31 non vi è cenno a determinati strumenti giuridici di cessione.

Il legislatore sembra quindi voler assegnare la massima applicabilità alla disciplina cui rinvia (art. 2112 c.c. ed art. 47, commi 1-4, legge 29 dicembre 1990, n. 428). Questa scelta legislativa, che appare legata ad un intento di economicità nella gestione dei rapporti di lavoro con riguardo ad ambiti o servizi soggetti a dismissione (la disciplina potenzialmente concorrente della dichiarazione di eccedenza e della gestione della disponibilità ex art. 33 e ss. del d.lg. 165/2001 è infatti normativamente più complessa ed economicamente più onerosa [11]), risulta peraltro in armonia rispetto al diritto comunitario: non tanto al disposto della direttiva, ove all'art. 1 comma 1 lett. a) si parla di "cessione contrattuale o fusione", quanto all'interpretazione assai lata che di tale dettato è stata fornita dalla corte di Giustizia delle Comunità Europee. Infatti, fin dagli anni ottanta il requisito della contrattualità è stato inteso dal giudice comunitario in maniera ampia [12], per divenire del tutto evanescente negli ultimi anni, quando la direttiva sulla cessione di imprese è stata ritenuta applicabile anche ad un trasferimento autorizzato con legge e disposto con decreto ministeriale [13].

3.2. L'oggetto del trasferimento

Si è detto che la fattispecie delimitata dall'art. 2112 c.c. non interessa l'art. 31 d.lg. 165/2001 in quanto quest'ultimo rinvia all'articolo del codice solo per ciò che concerne la disciplina relativa alle conseguenze del trasferimento sul piano dei rapporti di lavoro. Tuttavia, proprio in parallelo alla dottrina che si è occupata della normativa privatistica [14], si è qui tenuta per chiarezza distinta l'analisi dell'atto traslativo da quella dell'oggetto trasferito. Quest'ultimo è definito nell'art. 31 in maniera alquanto generica, dovendo concretarsi semplicemente in "attività" svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture. Può dunque trattarsi di qualunque compito, nel senso sia di funzione amministrativa implicante esercizio di pubblici poteri, sia di attività materiale [15]. Non è quindi necessario un passaggio di beni materiali o immateriali, essendo sufficiente la semplice stipulazione di una convenzione con cui si affida la gestione di un certo servizio ad un soggetto altro rispetto all'amministrazione affidante.

Sotto questo aspetto non può proporsi una sovrapposizione con la corrispondente nozione di trasferimento d'azienda del settore privato, ove in base al comma 5 dell'art. 2112 c.c. l'oggetto trasferito deve essere sì una attività, ma con requisiti ulteriori, e cioè un'attività economica organizzata, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità. Fermo restando che il requisito dell'organizzazione preesistente al trasferimento è in qualche misura implicito nel concetto di attività (anche, quindi, ai sensi dell'art. 31 d.lg. 165/2001), il suo espresso richiamo nel solo art. 2112 c.c. appare come un rafforzamento di tale caratteristica (nel settore privato, dopo il d.lg. 18/2001, l'attributo della organizzazione - comunque interpretato - risulta anzi il fulcro della nozione di oggetto del trasferimento). Un'indiscutibile differenza, comunque, consiste nel fatto che l'attività trasferita ai sensi dell'art. 31 può anche non essere "economica", nel senso che, oltre a non aver scopo di lucro come può avvenire pure ai sensi dell'art. 2112 c.c., potrebbe trattarsi di funzioni di interesse pubblico che vengono in tutto o in parte finanziate dalla fiscalità generale, nemmeno quindi consentendo un pareggio di bilancio [16].

Senza poter entrare nel dibattito che la nozione contenuta nel comma 5 citato continua ad alimentare (sulla versione introdotta nel 2001, la quale - tentando un definitivo distacco dal tradizionale concetto codicistico di azienda legato alla passaggio di beni - ha comunque avvicinato notevolmente l'oggetto del trasferimento ai sensi dell'art. 2112 c.c. a quello ai sensi dell'art. 31 d.lg. 165/2001 [17], si può affermare che per il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche il legislatore intenda garantire l'applicabilità delle tutele di cui all'art. 2112 c.c. e all'art. 47 legge 428/1990 anche ad una gamma di vicende che, qualora rapportate al settore privato, sarebbero identificabili semplicemente nell'acquisizione da parte di una impresa di quote di mercato prima detenute da un'altra. Ed è di tutta evidenza che nessuna interpretazione della nuova definizione di cui all'art. 2112 comma 5 c.c., per quanto ampia, può giungere a contemplare simili ipotesi. In tale senso depone peraltro anche l'interpretazione autentica dell'art. 2112 comma 5 c.c. ora offerta dall'art. 29 comma 3 del d.lg. 276/2003, secondo cui l'acquisizione del personale già impiegato in un appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d'appalto, "non costituisce, di per sé trasferimento d'azienda o di parte d'azienda".

Si consideri il caso di trasferimento da pubblico a pubblico: il legislatore pare vedere l'insieme delle amministrazioni pubbliche come un'unica macro entità in cui gli assetti organizzativi sono determinati non dalla competizione, ma da scelte 'a monte', in senso lato politiche, che la normativa dà per acquisite. Di conseguenza mentre ai fini del funzionamento delle leggi di mercato e della sopravvivenza delle sole imprese più efficienti è razionale che i lavoratori impegnati in un'attività abbandonata vengano licenziati, è altrettanto ragionevole che, se all'interno di un'organizzazione unica (le amministrazioni pubbliche nel loro complesso) alcune attività iniziano ad essere svolte da una sua articolazione al posto di un altra, gli addetti a quel settore non vengano licenziati (evitando costi sociali alla collettività e costi economici al datore pubblico), ma continuino ad occuparsi di quella attività presso l'ente che ne è ora incaricato, così oltretutto limitando la dispersione di patrimonio che essi rappresentano in termini di aggregato d'esperienze e competenze. Ciò a prescindere da un eventuale passaggio di risorse anche soltanto immateriali o, come afferma l'art. 1 comma 1 lett. b) dir. n. 01/23/CE, di "mezzi (...) organizzati".

In sostanza, come confermato dall'art. 34-bis del d.lg. 165/2001 (in materia di adempimenti preliminari all'indizione di concorsi), la prospettiva è quella di gestire il personale con la logica di un unico grande datore di lavoro pubblico [18]. Come suggerito anche dalla collocazione sistematica dell'art. 31, posto nel Titolo II del d.lg. 165/2001 dedicato alla "organizzazione" e non nel Titolo IV in materia di "rapporto di lavoro", al centro della norma vi sono le tutele in favore dei lavoratori soprattutto in quanto funzionali alla migliore gestione delle risorse umane. Si può quindi affermare che la norma individui una ulteriore tipologia di mobilità dei dipendenti pubblici [19], che opera automaticamente (v. infra), in quanto in essa tendenzialmente si verificano vari dei presupposti propri delle altre forme di mobilità: è verosimile che, come nel passaggio diretto di cui all'art. 30, l'amministrazione cessionaria necessiti di personale aggiuntivo per intraprendere la nuova attività e che, analogamente alla mobilità collettiva di cui all'art. 33, la precedente amministrazione rileverebbe eccedente il personale che era impiegato nell'attività ora assegnata ad altro ente. Tale concetto può forse essere ben espresso richiamando la locuzione impiegata appunto nel comma 5 dell'art. 2112, che descrive il trasferimento semplicemente come un "mutamento nella titolarità di un'attività".

Anche all'uso dell'espressione "trasferimento d'attività" che viene fatto nell'art. 31 del d.lg. 165/2001 potrebbero rivolgersi i rilevi mossi nei confronti della stessa espressione contenuta nell'art. 2112 dopo le modifiche del 2001, cioè che propriamente non può dirsi oggetto di trasferimento una attività, ma soltanto le risorse - più o meno latamente intese - con cui essa viene esercitata [20]. Senza indugiare in rilievi di teoria generale, si può comunque osservare che a scopo di sintesi un certo margine d'approssimazione nel linguaggio del legislatore è fisiologico (proprio in relazione al trasferimento d'azienda [21]) e soprattutto che, diversamente dall'art. 2112 c.c., il termine attività di cui all'art. 31 d.lg. 165/2001 va inteso come trasferimento anche solo della semplice investitura alla cura di un determinato interesse pubblico. Può qui risultare utile la nota distinzione tra attività ed entità economica, elaborata con alcune vistose oscillazioni interpretative dalla corte di Giustizia CE [22] ed adottata dalla dir. n. 98/50/CE (ora confluita nella dir. n. 01/23/CE): detto in termini di diritto comunitario, il trasferimento ex art. 31 non per forza è di una entità economica, potendo bensì essere anche soltanto di una mera attività.

Resta però che nei casi in cui manchi un trasferimento di beni, soprattutto qualora il passaggio dell'attività non sia lineare ma operi in maniera articolata all'interno di una complessa riorganizzazione, potrebbe apparire problematico riconoscere nitidamente i soggetti e l'oggetto del trasferimento. Ciò a maggior ragione nel caso di passaggio di attività molto circoscritte a cui siano addetti pochi dipendenti, poiché è lasciata all'interprete l'individuazione dell'entità minima che il trasferimento deve assumere affinché possa essere considerato tale ai fini dell'art. 31 in esame.

Tornando al tema oggetto di queste riflessioni, non può sussistere dubbio sul fatto che l'assegnazione ad altro soggetto, pubblico o privato, da parte di un amministrazione, della gestione di un qualunque servizio culturale risulti compresa nella fattispecie di cui all'art. 31 del d.lg. 165/2001: dalla esternalizzazione di una piccola biblioteca comunale al conferimento ad una fondazione - a partecipazione pubblica, privata o mista - della gestione di un grande museo di rilievo nazionale. Non fa quindi eccezione neppure il trasferimento di servizi accessori, quali ad esempio la libreria o la caffetteria annesse ad un museo. Resta inteso che potrà esservi passaggio di personale solo se in precedenza l'amministrazione si occupava di tale funzione o servizio in prima persona, cioè con propri dipendenti (altro è il caso della successione di gestori privati in un appalto o in una concessione pubblici).

4. Profili soggettivi: p.a. e dipendenti interessati nel diritto interno...

L'originario art. 62 d.lg. 29/1993 restringeva irragionevolmente la propria efficacia ai "dipendenti degli enti pubblici e delle aziende municipalizzate o consortili". Come detto, la formulazione dell'art. 31 d.lg. 165/2001 si riferisce oggi invece, in parallelo al generale ambito d'applicazione del decreto disegnato dall'art. 1 comma 2, agli impiegati presso tutte le "pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture", compresi, come disposto dall'art. 2 comma 2 dir. n. 01/23/CE, i lavoratori a tempo parziale, a tempo determinato e i lavoratori inviati tramite agenzie di somministrazione a ciò autorizzate [23] (per i dirigenti, fermo restando il passaggio della relazione lavorativa, potrà sussistere una ragione oggettiva di revoca dell'incarico). Sono certamente comprese in tale ambito di applicazione tutte le amministrazioni aventi competenze in ambito culturale, dal ministero per i Beni e le Attività culturali alle regioni ed agli enti territoriali minori.

Del tutto indeterminata è poi la gamma di enti che possono farsi cessionari dell'attività e dei dipendenti: superando l'angusto riferimento dell'art. 62 alle sole "società private", l'art. 31 apre completamente la fattispecie, disponendo che il trasferimento o conferimento possa avvenire semplicemente verso "altri soggetti pubblici o privati"; pertanto l'ente destinatario potrà avere qualunque natura - sia pubblica che privata - ed essere dotato di qualsiasi struttura organizzativa, solo eventualmente con scopo di lucro, dalla società di capitali all'imprenditore individuale.

Il trasferimento può quindi corrispondere a vicende del tutto eterogenee: da un riassetto di amministrazioni pubbliche appartenenti allo stesso o diverso comparto (semplice snellimento, complessiva riorganizzazione, finanche estinzione) alla cessione da parte del pubblico di talune attività in quanto estranee ai suoi scopi istituzionali oppure poiché affidate a un soggetto terzo secondo apposite modalità. Qualora si tratti di una trasformazione della natura giuridica del soggetto in questione, da pubblica a privata, l'art. 31 del d.lg. 165/2001 va parimenti ritenuto applicabile. Non si tratta infatti di una trasformazione in senso civilistico (ad es. da un tipo societario ad un altro a seguito di delibera dei soci), ma di una trasmutazione eteronoma, la quale risulta assimilabile dell'estinzione dell'ente pubblico in questione con contemporanea creazione di un soggetto privato con la medesima denominazione, al quale viene contestualmente affidata l'attività prima gestita in via diretta dalla pubblica amministrazione. Nel caso di trasferimento di attività culturali a soggetti privati, il destinatario sarà tendenzialmente una società di capitali o, sempre più spesso, una fondazione mista pubblico-privata: in questa sede non rileva il criterio di selezione del soggetto destinatario né i relativi vincoli procedurali, trattandosi di scelte che in sede d'applicazione dell'art. 31 del d.lg. 165/2001 - norma di diritto del lavoro - sono già avvenute e possono darsi per presupposte.

Ciò vale per tutte le nuove forme di conduzione dei servizi pubblici locali (artt. 112 ss. d.lg. 267/2000); ciò che tuttavia in questa sede rileva non è in generale il tema delle relazioni lavorative nell'ambito di tali servizi [24], ma più specificamente la mutazione, da pubblico a privato, che i rapporti di lavoro subiscono nella prima fase di privatizzazione (quella formale o 'fredda', in cui il gestore pubblico si trasforma in o conferisce al gestore privato in mano pubblica [25]). Ciò che avviene in occasione della seconda fase di privatizzazione (c.d. sostanziale o 'calda', quando soggetti privati diventano effettivamente responsabili del servizio, restando alle istituzioni pubbliche una funzione regolativa e di supervisione) e, a fortiori, nei successivi avvicendamenti tra gestori privati [26], andrà valutato direttamente alla luce dell'art. 2112 c.c. e dell'art. 29 comma 3 citati, tenendo conto anche dell'eventuale presenza di regolamentazioni collettive. In proposito giova rammentare la formulazione dell'art. 19 del citato contratto Federculture introdotta dal rinnovo del 21 marzo 2005, dalla quale risulta un'estensione del campo d'applicazione delle tutele previste dal legislatore per il caso di trasferimento d'azienda: "nell'ipotesi di mutamento nella titolarità dell'attività oggetto dell'appalto, concessione o affidamento - che comporti l'acquisizione del personale del cedente impiegato nella suddetta attività - troverà applicazione la disciplina normativa in tema di trasferimento d'azienda, di cui all'art. 2112 c.c. In tale evenienza, ove il cedente stipuli con il cessionario un distinto contratto di appalto / sub-appalto, la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra cedente e cessionario opererà il regime di solidarietà di cui all'art. 1676 c.c."). Per quanto riguarda, poi, il lavoro nell'ambito di affidamenti da parte di soggetti pubblici, il Codice degli appalti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 accorpa anche norme di carattere lavoristico [27].

5. ...e nel diritto comunitario

In ossequio al principio costituzionale dell'accesso agli impieghi pubblici per concorso [28], l'inverso caso di passaggio di dipendenti da privato a pubblico naturalmente non è contemplato nell'art. 31 d.lg. 165/2001, ma soltanto in sporadiche leggi particolari (es., decreto ministeriale 29 maggio 1998, n. 251, sul personale FiMe). Al contrario, però, la corte di Giustizia CE non ha sottratto nemmeno questa ipotesi dall'efficacia della direttiva [29]. La stessa Corte, comunque, concede qui un significativo margine ai legislatori nazionali per questa ipotesi: qualora necessario per il rispetto della disciplina del lavoro pubblico nazionale, è stata perfino ammessa la riduzione della retribuzione, in occasione del passaggio da privato a pubblico, in deroga alla direttiva dir. n. 01/23/CE [30].

Sotto quest'ultima prospettiva, quella cioè comunitaria, paiono opportune alcune precisazioni. La dir. n. 01/23/CE all'art. 1 comma 1 lett. c) stabilisce la propria applicabilità alle "imprese pubbliche e private che esercitano un'attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro", ma che esula dalla sua sfera d'efficacia qualunque "riorganizzazione amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento di funzioni amministrative tra enti amministrativi pubblici".

Tale norma non deve però far ritenere che l'intero campo di efficacia dell'art. 31 d.lg. 165/2001 si collochi all'esterno di quello della direttiva europea. Se infatti si legge il disposto della lett. c) citata alla luce della giurisprudenza della corte di Giustizia CE, si può rilevare come le due aree possono in parte sovrapporsi.

Nella sentenza Henke [31] è stata esclusa l'applicabilità nel caso di devoluzione di funzioni da alcuni comuni ad un consorzio intercomunale costituito in forza di una convenzione di diritto pubblico, ma la portata di tale decisione è stata successivamente precisata con la sentenza Hidalgo [32], ove si è stabilito che l'esclusione può derivare non dalla mera disciplina pubblicistica degli enti di volta in volta in questione, ma dall'esercizio nell'attività in rilievo di veri e propri "pubblici poteri" (punto 24). Quello che in Hidalgo è un obiter dictum diventa un passaggio centrale della sentenza Mayeur cit., in quanto si ritiene soggetto alla direttiva un "comune, persona giuridica di diritto pubblico operante nell'ambito delle specifiche norme del diritto amministrativo", che si era reso cessionario di un'attività di promozione turistica prima gestita da un privato senza scopo di lucro. A fortiori si comprende quanto affermato nella già richiamata sentenza Collino e ribadito in Beckmann [33], ossia che la direttiva trova applicazione qualora un ente che gestisce servizi pubblici sotto la direzione di un ente statale venga ed essere oggetto di un trasferimento oneroso sotto forma di concessione amministrativa ad una società di diritto privato costituita da un altro ente pubblico che ne detiene la totalità delle azioni [34].

Va quindi affermato che la direttiva europea sui trasferimenti d'imprese ha un cono d'efficacia che parzialmente si interseca con la fattispecie delimitata dall'art. 31 d.lg. 165/2001 e che, per questa parte, il rinvio alla disciplina lavoristica del trasferimento d'azienda costituisce adempimento della direttiva stessa (si tratta peraltro di opinione diffusa: con riguardo, ad es., al Regno Unito, cfr. Burrows 2002).

Di conseguenza, anche le disposizioni speciali fatte salve dallo stesso art. 31 (v. infra), nella misura in cui costituiscano un'attuazione alternativa della direttiva, non dovrebbero da questa discostarsi se non in melius. Per l'eventualità contraria, va tenuta presente la nota giurisprudenza comunitaria che ammette che una direttiva non (fedelmente) attuata sia fatta valere nei confronti dello Stato anche nella sua qualità di datore di lavoro (la c.d. efficacia diretta verticale [35]); compreso quindi il caso di trasferimento d'attività ad altro soggetto pubblico, oppure anche privato in mano pubblica (una conferma con specifico riferimento all'art. 34 d.lg. 29/1993 è nei punti 16 e 22 della sent. Collino cit.). Naturalmente, perché il provvedimento europeo sia concretamente vincolante debbono sussistere anche i requisiti oggettivi prescritti, in particolare la cessione di una "entità economica" come definita dall'art. 1 comma 1 lett. b) nell'interpretazione datane dalla giurisprudenza comunitaria [36]. Resta inteso che l'invocazione della direttiva inattuata può avvenire da parte dei lavoratori nei confronti del datore pubblico ma non viceversa [37].

6. Disposizioni speciali: conferimenti agli enti territoriali, grandi privatizzazioni, trasformazione degli enti culturali

All'inizio dell'art. 31 d.lg. 165/2001 vengono espressamente fatte salve eventuali "disposizioni speciali". Quella predisposta dalla norma vuole rappresentare una disciplina generale applicabile in caso di modificazione soggettiva del datore di lavoro di dipendenti pubblici solo qualora non sia prevista una normativa specifica dal punto di vista dei soggetti, dell'oggetto o, verosimilmente, di entrambi.

Infatti, per le cessioni di una certa importanza sono tendenzialmente state introdotte regole ad hoc. Si pensi da un lato alle grandi privatizzazioni [38] quali ferrovie, poste, servizi telefonici, enti creditizi  [39] e dall'altro lato ai più rilevanti trasferimenti di funzioni dallo Stato a regioni ed enti locali (es., d.p.c.m. 14 dicembre 2000, n. 446, relativo alla "individuazione delle modalità e delle procedure per il trasferimento del personale" ai sensi dell'art. 7 comma 4 decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112; cfr. il relativo protocollo di intesa tra governo e sindacati del 20 luglio 2000), da enti pubblici economici a regioni ed enti locali (es. d.p.c.m. 22 dicembre 2000, n. 448, concernente il trasferimento di personale dell'Anas, ora s.p.a.), dalle regioni agli enti locali (es., l.r. Emilia-Romagna 22 febbraio 2001, n. 5, sulla "disciplina dei trasferimenti di personale regionale a seguito di conferimento di funzioni" a province, comuni e camere di commercio), oppure anche dagli enti locali allo Stato (es., l'art. 8 legge 3 maggio 1999, n. 124 e il conseguente decreto interministeriale 23 luglio 1999, n. 184 sul personale c.d. Ata [40]).

Non mancano esempi pure nel settore culturale, quali l'art. 18 del decreto legislativo 29 gennaio 1999, n. 19 sul personale della Fondazione La Biennale di Venezia (norma rimasta vigente nel testo dettato in occasione dell'originaria trasformazione in "società di cultura") [41]; l'art. 8 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419  [42], sulla trasformazione in fondazione dell'ente esposizione nazionale quadriennale d'arte di Roma; ed il decreto legislativo 20 luglio 1999, n. 273, di trasformazione in fondazione dell'ente autonomo La Triennale di Milano, il cui art. 7, riprodotto pedissequamente nello statuto della Fondazione, ha previsto un'apposita disciplina per il passaggio del personale (la quale peraltro ricalca in buona misura la disciplina generale [43]). In tutte queste fattispecie, il tratto di specialità tendenzialmente riscontrabile è la possibilità concessa per legge al personale interessato di restare alle dipendenze della pubblica amministrazione, con sensibile scostamento, come subito si vedrà, rispetto alla disciplina generale di cui all'art. 31 del d.lg. 165/2001 [44]. Un'altra differenza rispetto alla disciplina generale è il mantenimento, nei confronti pure del personale che passa al privato, dei vigenti trattamenti collettivi fino alla stipulazione di apposito contratto di transizione.

Per quanto riguarda la normativa regionale, considerato che anche nel nuovo quadro costituzionale il lavoro pubblico sembra rimanere materia di competenza essenzialmente statale [45], essa dovrebbe porsi non in deroga a quella statale, ma tutt'al più in sua specificazione [46] (più favorevole al riconoscimento di margini di operatività alla legislazione regionale [47]). La fonte regionale ha maggior spazio qualora sia la legge statale a concederlo, come è ad esempio avvenuto con l'art. 12 comma 3 legge 5 gennaio 1994, n. 36 in materia di "forme e modalità per il trasferimento ai soggetti gestori del servizio idrico integrato (... di) personale appartenente alle amministrazioni comunali, dei consorzi, delle aziende speciali e di altri enti pubblici" [48].

Si noti che l'art. 31 fa salve non le leggi ma le "disposizioni" speciali, potendo quindi la deroga discendere da fonti di rango secondario; appare però che debba trattarsi di atti pur sempre normativi e non anche provvedimentali, altrimenti sfumando la possibilità di porre un discrimine tra le disposizioni speciali e quelli che semplicemente sono trasferimenti o conferimenti in violazione della disciplina richiamata dall'art. 31 stesso.

Tra le disposizioni speciali è indubbiamente degno di menzione l'art. 44 legge 27 dicembre 1997, n. 449: nell'ambito della generale riforma della pubblica amministrazione varata dalla legge Bassanini 59/1997, tale norma offre un quadro legale alla dismissione a società private di attività pubbliche che in base ai canoni di efficienza ed economicità siano superflue o che comunque per loro natura non necessitino d'essere esercitate esclusivamente da parte di regioni o enti locali. Con sensibile scostamento dalla disciplina generale, il comma 1 dell'art. 44 prescrive che le società private alle quali vengano attribuite attività dismesse sono tenute a mantenere il personale adibito alle funzioni trasferite per un tempo concordato comunque non inferiore a cinque anni [49]. Il medesimo comma sul piano collettivo estende la procedura sindacale di cui all'art. 47 legge 428/1990 e sul piano individuale richiama l'art. 62 d.lg. 29/1993. Come detto in apertura, quest'ultima norma è l'antecedente dell'art. 31 d.lg. 165/2001 ed è stata abrogata dal d.lg. 80/1998. Anch'essa, a sua volta, richiamava l'art. 2112 c.c. e sarebbe possibile superare il problema che la sua abrogazione pone rispetto all'art. 44 considerando il rinvio di quest'ultimo come indirizzato alla disciplina sostanziale, cioè all'art. 2112 c.c.

Tuttavia, il fatto che il legislatore non abbia provveduto ad un coordinamento di tale art. 44 con il T.U. degli enti locali (d.lg. 267/2000), il cui Titolo V predispone una disciplina organica in materia di servizi pubblici locali, e nemmeno con l'art. 31 delle "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche" qui in esame, suggerisce l'ipotesi che, perlomeno nei commi 1 e 3 in materia di rapporti di lavoro, esso sia stato implicitamente abrogato quando nel 1998 fu inserito il nuovo art. 34 d.lg. 29/1993 [50]. Infatti, il margine di specialità del concetto di trasferimento di funzioni per dismissione di attività non essenziali, rispetto al concetto di trasferimento o conferimento di attività, è debolmente percepibile ed i testi unici appena richiamati, come afferma l'art. 15 disp. prel., "regola(no) l'intera materia già regolata dalla legge anteriore". Peraltro, in leggi finanziarie posteriori è inclusa più di una norma che potrebbe dirsi aver preso il posto del richiamato art. 44 (cfr. artt. 28 e 29 legge 28 dicembre 2001, n. 448 e succ. modif.).

7. Effetti sul rapporto di lavoro

Una volta stabilita la sussistenza di un trasferimento o conferimento in base all'art. 31 d.lg. 165/2001, le conseguenze che ai sensi dell'art. 2112 c.c. si producono nella singola relazione lavorativa sono essenzialmente tre: la modifica soggettiva del datore con continuazione del rapporto con il cessionario, la conservazione dei diritti già spettanti al dipendente ed infine la solidarietà passiva per i crediti da lavoro tra amministrazione trasferente e soggetto pubblico o privato ricevente.

a) La continuazione del rapporto

Quanto al primo effetto, può affermarsi che la continuazione del rapporto, prescritta dal comma 1 dell'art. 2112 c.c., rappresenti la più basilare tutela che l'ordinamento garantisce: la sua funzione è quella di evitare che un evento il quale di per sé non incide sulle esigenze occupazionali dell'organizzazione datrice di lavoro possa essere addotto quale ragione per interrompere alcuni o tutti i rapporti lavorativi. Conseguentemente, il comma 4 stabilisce che "il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento". Ciò tuttavia non inibisce la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa pertinente, facoltà che infatti è espressamente fatta salva. Perciò, in particolare nel caso di cessioni ad altro soggetto pubblico, non può attribuirsi eccessivo rilievo a tale divieto: nel settore privato esso assolve soprattutto allo scopo d'evitare un vituperabile abbassamento dei costi legati al personale, adducendo il trasferimento come "scusa" per poter licenziare i lavoratori affinché sia il cessionario ad impiegare come neoassunti magari proprio gli stessi appena licenziati. Ma nel pubblico tale rischio è alquanto remoto.

Pur se non mancano posizioni difformi [51] in qualche misura sorrette dal tenore letterale dell'art. 31 [52], appare preferibile l'opinione che ritiene la continuazione presso il cessionario un effetto che il rapporto di lavoro subisce automaticamente [53] [54]. Ciò non tanto per omogeneità con il settore privato, ove la lettera dell'art. 2112 lascia intendere un passaggio ipso iure conformemente a quello che appare l'orientamento della giurisprudenza comunitaria [55], quanto perché le alternative consistono o nel postulare la necessità per ogni trasferimento o conferimento di un atto che disponga il passaggio individuando i lavoratori interessati, oppure nel lasciare la scelta ai dipendenti. Da un lato, richiedere ogni volta un provvedimento di trasferimento del personale comprimerebbe il campo di applicazione dell'art. 31 d.lg. 165/2001 alle sole ipotesi in cui tale atto esista ma null'altro prescriva [56]; dall'altro lato è evidente che per motivi di gestibilità delle riorganizzazioni amministrative non è possibile ammettere in via generale un tale dissenso dei dipendenti.

Del resto, neanche nel settore privato vige un diritto di opposizione del lavoratore alla prosecuzione presso l'acquirente, almeno secondo la giurisprudenza praticamente unanime [57] e la dottrina nettamente prevalente [58]. Il lavoratore che non gradisca il datore di destinazione potrà, sussistendone i presupposti, chiedere un passaggio diretto ex art. 30 d.lg. 165/2001 (tuttavia l'ipotesi è perlomeno problematica quando il datore non gradito sia privato, essendo già divenuto privato anche il rapporto di lavoro; v. anche il parere n. 178/2003 Uppa. Dip. Fun. Pubb., sull'ambito di applicabilità dell'art. 30) oppure potrà solamente rassegnare le dimissioni. In quest'ultimo caso, qualora nei tre mesi successivi al trasferimento le condizioni di lavoro abbiano subito una sostanziale modifica, il recedente avrà diritto ad una somma equivalente all'indennità di mancato preavviso (art. 2112 comma 4 come modificato dal d.lg. 18/2001  [59] [60]).

L'automaticità del passaggio non comporta tuttavia la sua inderogabilità, come implicitamente confermato dall'art. 34 comma 11 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (finanziaria 2003), il quale rende possibili anche agli enti che non avrebbero i previsti requisiti di bilancio "le assunzioni connesse al passaggio di funzioni e competenze alle regioni e agli enti locali il cui onere sia coperto dai trasferimenti erariali compensativi della mancata assegnazione delle unità di personale". Come capita non di rado, è legittima l'eventuale scelta del datore pubblico di lasciare ai singoli lavoratori coinvolti l'opzione di restare alle proprie dipendenze, opzione probabilmente gradita soprattutto quando il cessionario sia un soggetto di natura privata. Di certo sarebbe opportuno che il datore pubblico concedesse (verosimilmente tramite accordo sindacale) una tale facoltà solo qualora risultassero adeguate vacanze nella propria dotazione organica. Se il pubblico interesse postula che l'attività debba non subire interruzioni, è inoltre opportuno che la facoltà predetta sia concessa solo qualora siano apprestate adeguate cautele finalizzate alla continuità dell'attività ceduta. In proposito, si può ad esempio menzionare quanto avvenuto in occasione dell'istituzione nell'ottobre 2004 della Fondazione Museo egizio di Torino, il cui statuto ammetteva il diritto del personale addetto di (non) prestare il consenso al passaggio [61]. La conseguenza è stata che il rifiuto di passare alle dipendenze del soggetto privato di una parte del personale ministeriale ha comportato, a quanto consta, un significativo disordine organizzativo [62].

In talune specifiche ipotesi è la stessa norma di legge ad imporre cautele: si pensi all'art. 115 del Codice dei beni culturali, come modificato dal d.lg. 156/2006, ove si impone che il contratto di servizio relativo alla valorizzazione di beni culturali pubblici da parte di soggetti privati deve determinare tra l'altro "le professionalità degli addetti". La norma presuppone infatti che le strutture amministrative titolari, "provviste di idoneo personale tecnico" a ciò addetto (così il comma 2 dell'art. 115 medesimo), abbiano accettato la permanenza alle loro dipendenze di tale personale (pare invece difficile argomentare che questa norma del Codice dei beni culturali presupponga, e con ciò imponga, il mantenimento dei lavoratori alle dipendenze del soggetto pubblico quindi introducendo una deroga all'art. 31 del d.lg. 165/2001).

Un dubbio interpretativo sorge per l'ipotesi che viceversa i lavoratori aspirino al passaggio alle dipendenze del cessionario. Nel pubblico impiego, ove non si pongono i rischi collegati alla conservazione dei rapporti in capo ad un datore inconsistente, l'opinione che ritiene necessario un assenso sindacale per trattenere (una parte de)i lavoratori alle dipendenze del soggetto che svolgeva la funzione trasferita sembra trovar minor fondamento (opinione, con riguardo al settore privato [63]). Tuttavia, una rinuncia al passaggio espressa ai sensi dell'art. 66 d.lg. 165/2001 da parte del singolo lavoratore coinvolto appare l'unica via sicura per il datore di mettersi al riparo da una possibile futura pretesa di vedersi riconosciuto un avvenuto trapasso verso il cessionario [64]. Va comunque riconosciuto che sul piano di fatto la situazione non è così netta, essendo possibile il verificarsi di un trasferimento del lavoratore, di poco precedente al passaggio di attività, ad una unità produttiva che non si occupi delle attività trasferite [65].

Talora l'inderogabilità del passaggio dei lavoratori può essere prevista espressamente: dato che la mancata assegnazione dei dipendenti preposti alle funzioni trasferite comporta un rischio di duplicazione di assunzioni di personale, pare comprensibile la ratio dell'obbligo, a volte previsto, delle pubbliche amministrazioni coinvolte di far seguire al conferimento delle attività il passaggio delle risorse umane ad esse già addette (cfr., ad es., gli artt. 16 comma 1 e 17 comma 5, l.r. Calabria 12 agosto 2002, n. 34 di "Riordino delle funzioni amministrative regionali e locali", articoli in materia di devoluzione di competenze dalla regione agli enti locali; tale esercizio della potestà legislativa regionale appare giustificabile per via della stretta attinenza con il potere di auto-organizzazione dell'ente).

b) La conservazione dei diritti

Quanto alla seconda garanzia, cioè il mantenimento dei diritti, essa riveste un valore assoluto soltanto per i diritti soggettivi perfetti, già entrati nel patrimonio individuale. Tali non sono le semplici aspettative fondate su prassi o contratti collettivi: le prime potranno eventualmente avere un rilievo in qualità di usi aziendali [66], mentre per i secondi vi è una disciplina apposita (v. infra). Salve anche in questo caso eventuali disposizioni speciali [67], resta intangibile l'anzianità pregressa, che pure non è un diritto, ma un fatto cui sono collegate conseguenze giuridiche. In via generale può affermarsi che ogni situazione soggettiva che non sia un diritto acquisito è funzionalmente correlata alla permanenza del quadro di riferimento che la sorreggeva [68] e, comunque, al cessionario naturalmente non è preclusa la possibilità d'apportare al rapporto le modifiche che la legge consente a prescindere dal trasferimento d'attività (ad es., ius variandi). Restano comunque esclusi i vantaggi conseguiti dagli altri dipendenti del nuovo datore per specifiche cause precedenti la cessione [69]. Un certo contenzioso si segnala per quanto riguarda le quantificazioni economiche all'atto del passaggio [70]. Qualora la retribuzione presso l'ente di provenienza fosse maggiore di quanto spetta presso l'ente di destinazione a parità di inquadramento e anzianità, la differenza deve essere mantenuta, ma è riassorbibile nei successivi rinnovi contrattuali [71], salvo che sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva.

A quest'ultimo proposito, si segnala che la lett. b) dell'art. 4 del contratto Federculture dispone che "Nel trasferimento da un precedente Ccnl a quello di Federculture, il personale ha diritto alla conservazione del proprio trattamento economico globale precedente, riarticolato nelle voci previste dalla retribuzione globale annua del presente contratto, mantenendo come assegno ad personam non assorbibile l'eventuale retribuzione già percepita per anzianità. Nel caso in cui il trattamento economico connesso all'applicazione del Ccnl di Federculture sia globalmente inferiore a quello previsto dal contratto precedente, tale conservazione avviene attraverso il mantenimento ad personam della somma algebrica delle eventuali differenze retributive assorbibili solo a seguito di futuri passaggi di inquadramento di area o livello". Per l'ipotesi di passaggio di personale del comparto regioni e autonomie locali alla sfera d'applicazione del contratto Federculture, in quest'ultimo (tab. 6 del rinnovo 2005) è opportunamente prevista una tavola di corrispondenza e trasposizione dell'inquadramento professionale per ciascuna area e posizione economica.

Per quanto riguarda i diritti di fonte collettiva, l'art. 2112 comma 3 impone l'applicazione dei trattamenti economici e normativi previsti dai contratti nazionali, territoriali e aziendali fino alla scadenza naturale, salvo che vi siano contratti di pari livello applicati dal cessionario. Nel caso di trasferimento o conferimento da pubblico a pubblico un accordo di comparto in sostituzione vi sarà sempre (per il personale proveniente dai ruoli dei ministeri ex art. 7 legge Bassanini 59/1997, gli artt. 26 ss. Ccnl Regioni e autonomie locali del 5 ottobre 2001 hanno anche previsto una disciplina 'di ingresso'); qualora presso l'amministrazione ricevente manchi il contratto integrativo, per i dipendenti trasferiti resta valido quello che eventualmente vincolava la p.a. cedente. Dato lo stretto legame tra contratto nazionale e quelli integrativi, quest'ultima ipotesi è senza dubbio foriera di complicazioni ed appare auspicabile il raggiungimento, durante la procedura sindacale, di un accordo di transizione che eviti incertezze e contenzioso. Un tale accordo di armonizzazione a maggior ragione è desiderabile quando cessionario sia un soggetto privato che non applichi alcun contratto, anche solo per uno dei livelli negoziali coperti presso l'amministrazione di provenienza: seppur non impraticabile, l'efficacia nei suoi confronti di un contratto concepito per il sistema pubblico sarebbe a dir poco problematica (nonostante si tratti soltanto della parte normativa, naturalmente). Quando invece il nuovo datore applichi un proprio contratto collettivo, l'avvicendamento tra discipline negoziali opera automaticamente, anche qualora il nuovo trattamento sia peggiorativo [72]. Stando tuttavia ad una suggestiva ipotesi  [73], da considerazioni di ordine sistematico collegate alle prescrizioni in materia di standard di lavoro negli appalti pubblici (legge 7 novembre 2000, n. 327) ed alla sentenza della Corte costituzionale che ha esteso l'art. 36 statuto lavoratori anche alle concessioni di servizi pubblici [74], potrebbe inferirsi l'impossibilità per il nuovo datore di sostituire il contratto collettivo del pubblico impiego con una disciplina a sua completa discrezione: l'avvicendamento potrebbe avvenire soltanto con accordi collettivi che non si "discostino in modo evidente" dai valori economici previsti nella contrattazione stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi.

Essendo il concetto di servizio pubblico essenziale definito con criteri di carattere oggettivo, non è possibile che un trasferimento d'attività renda inapplicabile la legge 12 giugno 1990, n. 146. I dipendenti adibiti ad un tale servizio restano sottoposti agli accordi di individuazione delle prestazioni indispensabili sottoscritti dal datore pubblico anche qualora passino ad un soggetto privato, salvo il caso che quest'ultimo già esercitasse quella specifica attività ed applicasse un altro accordo validato dalla Commissione di garanzia, oppure che venga appositamente stipulato apposito accordo.

c) La solidarietà passiva tra datori di lavoro

La terza tutela prevista dall'art. 2112 c.c. consiste in un rafforzamento della posizione creditoria dei lavoratori: salve anche in questo caso eventuali disposizioni speciali (un esempio si è avuto nel passaggio dalle Ussl alle Aziende Usl [75]), tra amministrazione di provenienza e soggetto privato o pubblico di destinazione opera una solidarietà passiva per tutti i crediti che il dipendente aveva al tempo del trasferimento, compresi naturalmente quelli incombenti sulla prima amministrazione a causa di un precedente trasferimento [76].

L'art. 3 comma 2 dir. n. 01/23/CE introduce la possibilità che gli Stati membri adottino i provvedimenti necessari affinché il cedente notifichi al cessionario le obbligazioni in questione, ma, nonostante la stessa norma comunitaria imponga che la mancata notifica non possa pregiudicare i diritti dei lavoratori (al contrario, nella versione dell'art. 2112 c.c. vigente fino al 1990 la conoscenza o conoscibilità da parte dell'acquirente aveva proprio un tale rilievo), il legislatore italiano non ha disposto in tal senso, lasciando le parti del trasferimento libere di distribuirsi le responsabilità interne. Qualora esse non si esprimano, il tenore della direttiva deporrebbe per una responsabilità diretta dell'acquirente con solidarietà dell'alienate; tuttavia, buon senso e rispetto della generale normativa codicistica sembrano suggerire che sia il cessionario a poter agire in regresso contro l'alienante per l'intera somma eventualmente pagata, in quanto l'obbligazione è stata contratta nell'interesse esclusivo di quest'ultimo (art. 1298, comma 1, c.c.); ciò vale a maggior ragione per la fattispecie ex art. 31 d.lg. 165/2001, ove il soggetto ricevente può non aver acquisito alcun valore patrimoniale. Questa soluzione è peraltro conforme agli orientamenti prevalenti riguardo alla sorte nel trasferimento d'azienda dei debiti e crediti anche non nascenti dai rapporti di lavoro [77]. In ogni caso, è fuori di dubbio che non sussista l'obbligo di escussione preventiva, potendo il lavoratore rivolgersi per l'intero indifferentemente ad entrambi (art. 1292 c.c.) e, data la certa solvibilità dei soggetti pubblici, in ciò sta l'utilità di questa garanzia per il personale di cui all'art. 31 d.lg. 165/2001, il quale potrà rivolgersi al nuovo datore nel caso di ritardo nei pagamenti  [78].

La seconda parte dell'art. 2112 comma 2 c.c. introduce la possibilità che il lavoratore liberi il cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto con le procedure di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c.: l'ipotesi è marginale e, comunque, per i dipendenti pubblici il rinvio dovrebbe essere letto come indirizzato agli artt. 65 e 66 d.lg. 165/2001 [79].

Ovviamente, è pacifico che quella del cedente non assurge a "responsabilità economico-morale" per le sorti degli ex dipendenti [80], non estendendosi alle obbligazioni sorte dopo il trasferimento: sia l'art. 3 comma 1 della direttiva europea, sia l'art. 2112 comma 2 c.c. lo precisano. In proposito, va tenuto presente che il Tfr è tendenzialmente considerato un diritto di credito nascente soltanto allo scioglimento del rapporto di lavoro [81], che pertanto incombe per intero sul cessionario senza che operi solidarietà alcuna [82]. Qualora passino alle dipendenze di un privato lavoratori soggetti al regime del trattamento di fine servizio pubblico (cioè, gli assunti entro il 2000 - entro il 30 maggio 2000 nel caso di tempo determinato, in base all'accordo di interpretazione autentica del 27 settembre 2002 - che non abbiano esercitato l'opzione per il passaggio al Tfr di cui all'art. 2 comma 3 dell'accordo quadro 29 luglio 1999 [83], per via della disomogeneità dei due istituti la soluzione migliore per l'amministrazione sarebbe liquidare al momento del passaggio la somma dovuta; secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia CE nella sentenza Collino cit. con specifico riguardo all'indennità di buonuscita italiana, i dipendenti devono comunque rimanere indenni da qualunque svantaggio derivante dal calcolo su due archi di tempo separati.

In base all'art. 3, comma, 4 dir. CE n. 01/23/CE, il mantenimento dei diritti non vale invece per le prestazioni derivanti dai regimi professionali o interprofessionali di previdenza integrativa esistenti al di fuori dei sistemi legali di sicurezza sociale degli Stati membri (regimi da individuarsi comunque in senso restrittivo [84]): potrebbe quindi sostenersi che l'art. 2112 non si riferisca ai fondi pensione, perlomeno quelli dotati di personalità giuridica [85] [86].

Per quanto riguarda il trattamento pensionistico fondamentale, ferma restando la facoltà ex art. 5 legge 8 agosto 1991, n. 274 (analogamente, art. 7 comma 4 d.lg. 112/1998) dei dipendenti di enti pubblici e aziende municipalizzate o consortili che transitano a società private di mantenere l'iscrizione presso l'Inpdap [87], vi sarà uno spostamento della posizione alla nuova gestione previdenziale qualora diversa, con ripetizione tra ente ed ente dei contributi versati; muovendo dall'autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello lavorativo e dall'esistenza di specifici istituti atti a soddisfare gli interessi dei lavoratori, vi è anche chi afferma la non rilevanza in proposito dell'art. 2112.

Infine, va menzionata la possibilità che sia la contrattazione collettiva a ricollegare al caso di passaggi ai sensi dell'art. 31 d.lg. 165/2001 ulteriori conseguenze per i singoli dipendenti o per l'amministrazione nel suo complesso. Esempio del primo caso è la possibilità ex art. 17 comma 7, c.c.n.l. Regioni e autonomie locali 1 aprile 1999 [88] che, compatibilmente con i vincoli di bilancio, ai lavoratori coinvolti in procedure di questo tipo venga corrisposto a scopo d'incentivo alla mobilità uno specifico compenso una tantum non superiore a sei mensilità di retribuzione. Esempio del secondo caso è il divieto di stipulare contratti di formazione e lavoro gravante sulle amministrazioni coinvolte in riorganizzazioni ex art. 31 d.lg. 165/2001 introdotto da alcuni contratti (art. 21 comma 2, c.c.n.l. 24 aprile 2002 aziende autonome, integrativo di quello del 24 maggio 2000; art. 45 comma 2, c.c.n.l. 2 luglio 2002 per il personale non dirigente della Cassa depositi e prestiti).

8. Informazione e consultazione sindacale

L'art. 11 comma 4 lett. h) della legge delega 59/1997 stabiliva l'introduzione di "procedure di consultazione delle organizzazioni sindacali (...) prima dell'adozione degli atti interni di organizzazione aventi riflessi sul rapporto di lavoro". In conformità a tale disposto (attuato dall'art. 9 d.lg. 165/2001), l'art. 31 d.lg. 165/2001 richiama, come detto, i primi quattro commi dell'art. 47 legge 428/1990, i quali dispongono l'esecuzione di un'apposita procedura sindacale per il caso in cui si intenda effettuare un trasferimento ai sensi dell'art. 2112 c.c. da parte di un ente che occupa più di quindici dipendenti.

Pur se letteralmente il rinvio è alle procedure, cioè alla disciplina, e non anche alla fattispecie integrata dall'art. 47, non parrebbe opportuno estendere l'ambito d'applicazione della procedura sindacale a tutti i trasferimenti coinvolgenti anche meno di quindici lavoratori; è comunque vero che la maggior parte delle amministrazioni pubbliche hanno "complessivamente" (così l'art. 47) almeno un tal numero di dipendenti.

Anche quello all'art. 47 è un rinvio formale, dovendosi quindi fare riferimento alla norma quale risulta a seguito delle modifiche apportate dal d.lg. 18/2001 (si può inoltre notare che al tempo dell'entrata in vigore del d.lg. 165/2001, l'art. 47 era già stato modificato dal d.lg. 18/2001). La procedura è composta di due fasi: la comunicazione ai sindacati di cui al comma 1 e l'esame congiunto di cui al comma 2, quest'ultimo da avviarsi solo nell'eventualità in cui venga richiesto da almeno uno dei soggetti destinatari dell'informativa; i commi 3 e 4 si occupano delle violazioni. Non vengono invece richiamati i restanti commi 5 e 6, in quanto relativi ad evenienze di crisi ed insolvenza che come tali non possono riguardare soggetti pubblici; per le eccedenze di personale pubblico esiste la disciplina apposita di cui agli artt. 33 ss. d.lg. 165/2001.

Del trasferimento deve essere data per iscritto comunicazione ai sindacati firmatari dei contratti collettivi applicati negli enti interessati, alle rispettive Rsu ed Rsa (preferibilmente entrambe, qualora coesistano [89]) e, in mancanza di rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro, alle organizzazioni di categoria comparativamente più rappresentative. Tale ultimo requisito, nel pubblico, può forse essere ravvisato per mezzo dei criteri previsti ai fini dell'ammissione alla contrattazione collettiva e della facoltà di costituire Rsa (artt. 43 comma 1 e 42 comma 2 d.lg. 165/2001).

Il contenuto dell'informativa deve comprendere la data anche soltanto presunta del trasferimento, i motivi, le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori e le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi. Nel settore privato si riscontrano posizioni diversificate riguardo l'estensione dello spettro delle informazioni da trasmettere [90]; tuttavia per le vicende di cui all'art. 31 d.lg. 165/2001 il problema pare scemare, a causa della non proponibilità da parte delle amministrazioni pubbliche di obiezioni collegate ad esigenze di riservatezza a fini di concorrenzialità.

Questo adempimento deve essere compiuto dal cedente e dal cessionario nei confronti dei rispettivi sindacati almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che comunque sia in proposito raggiunta un'intesa vincolante [91]; lo scopo della disposizione è evidentemente quello di permettere alle organizzazioni collettive di intervenire in un momento in cui possono ancora influire in maniera sostanziale sulla vicenda.

Nei trasferimenti di attività da pubblico a pubblico l'individuazione come dies a quo della data di statuizione del passaggio e non della sua attuazione postula l'avvio della procedura informativa anche per semplici ipotesi di riorganizzazione amministrativa ancora in fase di progetto. L'art. 47 comma 4 prescrive che la mancata trasmissione alla società controllata, da parte della controllante, delle informazioni necessarie all'assolvimento degli obblighi in esame non ne giustifica l'inadempimento: con un'interpretazione di adeguamento delle disposizioni dell'art. 47 al contesto nel quale il rinvio da parte dell'art. 31 le chiama ad operare, può dedursi questi obblighi hanno carattere assolutamente imperativo e che anche i soggetti pubblici sopraordinati alle amministrazioni direttamente interessate dovrebbero adottare le loro determinazioni dando ad esse la possibilità di rispettare le prerogative sindacali.

Nel caso di trasferimento con atto amministrativo si impone inoltre una consultazione contemporanea al procedimento ex legge 7 agosto 1990, n. 241 eventualmente coordinata con la partecipazione disposta ai sensi degli artt. 7 ss. della stessa legge.

Ciascuno dei soggetti sindacali in tal modo informati può, entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione, chiedere per iscritto lo svolgimento di un esame congiunto. Entro sette giorni dalla richiesta, cedente e cessionario sono tenuti ad iniziare tale confronto, i cui esiti dipendono essenzialmente dai rapporti di forza tra le parti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia raggiunto un accordo. Dopo un intervallo di tempo che quindi, in raccordo con i venticinque giorni d'anticipo della comunicazione iniziale, può al massimo durare ventiquattro giorni, il datore di lavoro è libero di dar corso alle sue decisioni, anche in caso di dissenso sindacale. Qualora invece venga raggiunto un accordo, esso potrà avere il contenuto più vario: ad es., individuazione o determinazione dei trattamenti collettivi applicabili, negoziazione di eventuali provvedimenti di gestione del rapporto indirizzati ad alcuni o tutti i lavoratori coinvolti nel passaggio, gestione dell'ammontare di permessi ed altre prerogative sindacali, etc.

L'art. 47 comma 3 legge 428/1990 stabilisce espressamente che la violazione, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi di informazione o di consultazione costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 St.lav. (la cui repressione, nel pubblico impiego privatizzato, ai sensi dell'art. 63 comma 3 d.lg. 165/2001 è devoluta alla cognizione del g.o. [92] [93]). La norma però non precisa quale sia la concreta efficacia del decreto del giudice nella parte in cui definisce la "rimozione degli effetti" del comportamento illegittimo. In proposito le tesi sono diversificate [94], essendovi chi afferma l'invalidità dell'atto traslativo per violazione di norme imperative chi la sua temporanea inefficacia fino alla corretta esecuzione degli adempimenti procedurali, chi l'invalidità soltanto dei conseguenti pregiudizievoli atti di gestione dei rapporti di lavoro [95]. In quest'ultimo senso si è orientata la Corte di cassazione [96].

Per buona parte delle vicende di cui all'art. 31, un punto fermo può comunque essere individuato nello stesso d.lg. 165/2001: tenendo presente che nel pubblico impiego il passaggio di attività avviene generalmente con atti - unilaterali o convenzionali - di diritto pubblico e che l'art. 63 comma 1 del decreto dispone che il giudice ordinario disapplica gli atti amministrativi presupposti che ritenga illegittimi (valutazione da compiersi secondo i canoni del diritto amministrativo [97]), può inferirsi che la disapplicazione è quanto può ottenere il sindacato che nel corso di una vicenda ex art. 31 d.lg. 165/2001 abbia visto lesi i propri interessi. Tenendo però presente che della disapplicazione possono giovarsi solo le parti processuali, resta problematico capire come di essa potrebbero beneficiare i singoli lavoratori, iscritti e non iscritti al sindacato che si faccia attore. Dovrebbe restar salva l'eventuale proponibilità di un'azione individuale [98].

Laddove non esistano norme ad hoc per il settore culturale, in coerenza con il rapporto qui seguito fra regola generale e regola particolare, è chiaro che anche i trasferimenti di attività culturali da parte di pubbliche amministrazioni risultano soggetti alle prescrizioni dell'art. 47 della legge 428/1990, così come richiamato dall'art. 31 del d.lg. 165/2001.

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Note

[*] Lo scritto è frutto di una riflessione comune; Sandro Mainardi è autore dei §§ da 1 a 4, Davide Casale dei §§ da 5 a 8.

[1] Per quanto concerne i servizi pubblici d'interesse nazionale, non si può che rinviare alle plurime discipline di settore. Per quanto riguarda i servizi pubblici locali, il riferimento è naturalmente al Titolo V del Tuel, come noto ripetutamente novellato anche a seguito degli interventi della Corte costituzionale (con riferimento alle ricadute sulla gestione dei servizi culturali, v. G. Sciullo, Gestione dei servizi culturali e governo locale
dopo la pronuncia 272 del 2004 della Corte costituzionale
, in Aedon, 3/2004).

[2] Il riferimento è alla disciplina di cui al Titolo II del Codice dei beni culturali e del paesaggio, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 come da ultimo modificato dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156.

[3] La norma dispone che "I rapporti di lavoro subordinato che non sono inerenti all'esercizio di un'impresa sono regolati dalle disposizioni delle Sezioni II, III e IV del Capo I del Titolo II, in quanto compatibili con la specialità del rapporto".

[4] R. Salomone, Il diritto del lavoro nella riforma costituzionale: esperienze, modelli e tecniche di regolazione territoriale, Padova, 2005, pp. 171 ss.

[5] Si tratta della federazione nazionale - aderente a Confservizi Cispel - che raggruppa regioni, enti locali, aziende di servizio pubblico locale e tutti i soggetti che hanno responsabilità di programmazione nel settore della cultura, del turismo, dello sport e del tempo libero: v. il sito www.federculture.it.

[6] Su queste norme, come modificate dal d.lg. 156/2006, v. G. Sciullo, Valorizzazione, gestione e fondazioni nel settore dei beni culturali: una svolta dopo il d.lg. 156/2006?, in Aedon, 2/2006.

[7] Cfr. S. Mainardi Trasferimento di attività e passaggio di dipendenti a soggetti pubblici, o privati, in F. Carinci e M. D'Antona(diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Dal d.lg. 29/1993 ai d.lg. 396/1997, 80/1998 e 387/1998. Commentario, Milano, p. 967.

[8] A. Bellavista, Alcune osservazioni sulla legge n. 30/2003, in Lg, p. 705.

[9] D. Casale, Pubbliche amministrazioni e d.lg. 276/2003: alcune questioni in tema di somministrazione, in Lpa, 2006, 359; E. Gragnoli, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, in M.T. Carinci (a cura di), La legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro, 2003, Milano, p. 245; S. Mainardi, D.lg. 10 settembre 2003, n. 276 e riforma del mercato del lavoro: l'esclusione del pubblico impiego, in Lpa, p. 1069.

[10] S. Mainardi, Trasferimento di attività e passaggio di dipendenti a soggetti pubblici o privati, in F Carinci. e M. D'antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Dal d.lg. 29/1993 ai d.lg. 396/1997, 80/1998 e 387/1998. Commentario, Milano, 2000, p. 981.

[11] D. Casale, Le esternalizzazioni nelle pubbliche amministrazioni fra trasferimento di funzioni e gestione delle eccedenze (commento a Tribunale di Siena, ordinanze 6 marzo 2003 e 21 maggio 2003, Tribunale di Catanzaro, sentenza 27 novembre 2002), in Lpa, 2003, p. 951-954.

[12] A. Pizzoferrato, La nozione "giuslavoristica" di trasferimento di azienda fra diritto comunitario e diritto interno", in Ridl, II, 1998, p. 429.

[13] Corte di Giustizia 14 settembre 2000, Collino, causa C-343/98 (riguardante la privatizzazione dei servizi telefonici italiani), in Lg, 2001, 223, con nota di Mattace Raso, e (m) in Lpa, 2000, 1113, con nota di Bolego. In proposito, cfr. anche O'Leary 2002, 277 ss. Qualche isolata pronuncia della Corte di cassazione, relativamente al trasferimento di attività in concessione, condivide il descritto orientamento dei giudici comunitari (Cass. 20 settembre 2003, n. 13949).

[14] G. Villani, Trasferimento d'azienda: profili di diritto del lavoro e della previdenza sociale, Torino 2000.

[15] G. Caia, Funzione pubblica e servizio pubblico, in AA.VV., Diritto amministrativo, vol. I, Bologna, 2001, 923.

[16] L. Menghini, Il passaggio da un servizio da un comune ad un'azienda municipalizzata prima e dopo l'intervento dell'art. 31 del t.u. 165/2001 (nota a Cass. 28 luglio 2004, n. 14266), in Rgl, II, 14, 2005.

[17] Ai sensi dell'art. 31 d.lg. 165/2001, cfr.C. Cester, Trasferimento d'azienda e rapporti di lavoro: la nuova disciplina, in Lg, 2001, p. 505; E. Menegatti, I riflessi del d.lg. 2 febbraio 2001, n. 18 sulla nozione di trasferimento di azienda, in Lg, 2001, p. 820; C. De Marchis, Aspetti vecchi e nuovi del trasferimento d'azienda alla luce del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 18, in Rgl, 2001 I, p. 113; G. Santoro Passarelli, La nozione di azienda trasferita tra disciplina comunitaria e nuova normativa nazionale, in Adl, p. 575 e in G. Santoro Passarelli. e R. Foglia. (a cura di), La nuova disciplina del trasferimento d'impresa. Commento al d.lg. 18/2001, Milano, 2001, p. 3; S. Maretti, L'oggetto del trasferimento d'azienda, in Dpl, 2002, p. 2040; S. Mainardi, "Azienda" e "ramo d'azienda": il trasferimento nel d.lg. 276/2003, in Dlm, 2003, p. 683. E sulle modifiche apportate dal d.lg. 276/2003, v. C. Cester, Il trasferimento d'azienda e di parte di azienda fra garanzie per i lavoratori e nuove forme organizzative dell'impresa: l'attuazione delle direttive comunitarie è conclusa?, in M.T. Carinci e C. Cester. (a cura di), Somministrazione, comando, appalto, trasferimento d'azienda, vol. VIII.2, in F. Carinci (coordinato da), D.lg. 276/2003. Commentario, Milano, 2004, p. 238; S. Mainardi, "Azienda" e "ramo d'azienda" cit., p. 683; G. Pellacani, Il trasferimento d'azienda. Commento all'art. 32, in L. Galantino (a cura di), La riforma del mercato del lavoro, Torino, 2004, p. 363; nonché i contributi in Aa.Vv. Trasferimento di ramo d'azienda e rapporto di lavoro, volume monografico n. 2 di Dialoghi fra dottrina e giurisprudenza. Quaderni di diritto del lavoro, Milano, 2005.

[18] A. Manna, La mobilità nel pubblico impiego: ammortizzatore sociale e strumento di razionalizzazione nelle risorse umane, in D&L, 2001, p. 311; S. Mainardi e R. Salomone, L'esclusione dell'impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Le competenze di regioni a statuto speciale e province autonome, in M. Miscione e M. Ricci. (a cura di), Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro, vol. VIII.1, in F Carinci (coordinato da), D.lg. 10 settembre 2003, n. 276. Commentario, Milano, 2004, p. 34.

[19] S. Mainardi, Trasferimento di attività e passaggio di dipendenti a soggetti pubblici o privati, in F. Carinci. e M D'antona. (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Dal d.lg. 29/1993 ai d.lg. 396/1997, 80/1998 e 387/1998. Commentario, Milano, 2000, p. 967.

[20] V. Buonocore, Il "nuovo" testo dell'art. 2112 del codice civile e il trasferimento di un ramo di azienda (commento a Cass. 23 luglio 2002, n. 10761, Cass. 23 ottobre 2002, n. 14961), in GComm, 2003, II, 313.

[21] S. Magrini, La sostituzione soggettiva nel rapporto di lavoro, Milano, 1980, pp. 14 e ss.

[22] In proposito v. ad es. Corte di Giustizia 20 novembre 2003, Abler, causa C-340/01, in LG, 2004, 27, con nota di Casale.

[23] Invero la direttiva comunitaria si riferisce ai lavoratori interinali, in sede d'interpretazione della norma interna non sussiste motivo per escludere i lavoratori in somministrazione a tempo indeterminato.

[24] M. Novella, Nuove discipline delle trasformazioni dei servizi pubblici locali. Profili giuslavoristici, in Ld, 2002, p. 159; G. De Simone, Modificazioni soggettive dei gestori di servizi pubblici locali e disciplina del trasferimento d'azienda. Prime riflessioni sul rapporto tra norme speciali e norme generali dopo il d.lg. 18/2001, in Ld, p. 181, 2002; R. Salomone e M. Tiraboschi, Enti locali, dismissioni di attività pubbliche e rapporto di lavoro, in Lpa, 2002, p. 1035; L. Nogler, Trasformazione del gestore del servizio pubblico locale e rapporti di lavoro nella regione Trentino Alto Adige - Sudtirol. Il caso del passaggio dal servizio in economia alla società per azioni, in Lpa, 1998, p. 645; N. Forlani, Privatizzazione dei servizi pubblici e società miste, in G. Ferraro (a cura di), Sviluppo e occupazione nell'Europa federale. Itinerari giuridici e socioeconomici su Regioni e autonomie locali, Milano, 2003, p. 341.

[25] G. Bolego, "Privatizzazione" dei gestori di servizi pubblici ed effetti sul rapporto di lavoro, in Lpa, 1999, p. 1225.

[26] S. Nappi, Successione di appalti di servizi e trasferimento d'azienda (nota a Trib. di Napoli 21 giugno 2000), in Dl, II, p. 39, 2001; F. Torelli, Trasferimento d'azienda e successione negli appalti: un indirizzo in via di consolidamento (nota a Corte Giust. CE 25 gennaio 2001, C-172/99), in Ogl (Osservatorio comunitario), 2001, p. 17; P. Passalacqua, Successione nell'appalto, trasferimento d'azienda e definizione legale della fattispecie (nota a Corte Giust. CE 25 gennaio 01, C-172/99), in Mgl, 2001, p. 490; A. Vallebona, Successione nell'appalto e trasferimento d'azienda, in G. Santoro Passarelli e R. Foglia (a cura di), La nuova disciplina del trasferimento d'impresa. Commento al d.lg. 18/2001, Milano, 2002, p. 53.

[27] F. Scarpelli, Regolarità del lavoro e regole della concorrenza: il caso degli appalti pubblici, in Rgl, 2006, I, 753.

[28] E. Menegatti Pubbliche amministrazioni e trasferimento d'azienda nella giurisprudenza comunitaria (nota a Corte Giust. CE 4 giugno 2002, C-164/2000), in Lg, 2002, p. 959.

[29] Corte di Giustizia 26 settembre 2000, Mayeur, causa C-175/99, in RaccGC. 2000, I-7755, caso in cui tuttavia il ricorrente non domandava l'immissione nei ruoli pubblici, ma solo un'indennità per licenziamento illegittimo.

[30] Corte di Giustizia 11 novembre 2004, Delahaye, C-425/02, in LG, 2005, 931, con nota di Salvalaio. Soluzione più equilibrata appare quella di mantenere la retribuzione di provenienza, permettendo però il riassorbimento nei rinnovi successivi contrattuali, come deciso dalla Cassazione italiana (infra).

[31] Corte di Giustizia 15 ottobre 1996, Henke, causa C-298/94, in RaccGC. 1996, I-4989.

[32] Corte di Giustizia 10 dicembre 1998, Hidalgo, cause riunite C-173/96 e C-247/96, in RaccGC, 1998, I-8237.

[33] Corte di Giustizia 4 giugno 2002, Beckmann, causa C-164/00 (v. in partic. al punto 27), in LG, 2002, 951, con nota di Menegatti. Sulla medesima linea interpretativa si colloca l'ord. 26 maggio 2005, Sozialhilfeverband Rohrbach, C-297/03, in RaccGC, 2005 I-4305 con riguardo ad una società a responsabilità limitata di diritto privato il cui solo azionista è un consorzio intercomunale di assistenza sociale di diritto pubblico.

[34] E. Menegatti, Pubbliche amministrazioni e trasferimento d'azienda nella giurisprudenza comunitaria (nota a Corte Giust. CE 4 giugno 2002, C-164/2000), in Lg, 2002, p. 957.

[35] G. Tesauro, Diritto comunitario, Padova, 2003, p. 172 ss.

[36] P. Pelissero, L'"entità economica" come oggetto del trasferimento d'azienda: sviluppi recenti nella giurisprudenza comunitaria e possibili riflessi sugli ordinamenti nazionali, in Dri, 1998, p. 63; A. Pizzoferrato, I riflessi della direttiva 98/50 CE sull'ordinamento italiano, in Dlri, 1999, p. 463; M. Marinelli, Decentramento produttivo e tutela dei lavoratori, Torino, 2002; M. Roccella e T. Treu, Diritto del lavoro della Comunità Europea, Padova, 2002, pp. 287-302.

[37] Espressamente in tal senso Corte di Giustizia, ord., 26 maggio 2005, Sozialhilfeverband Rohrbach, cit., proprio in un caso relativo alla direttiva sul trasferimento d'imprese, nel quale l'ente pubblico mirava ad opporre il passaggio dei lavoratori al cessionario nonostante l'inattuazione della direttiva.

[38] G. Bolego, "Privatizzazione" dei gestori di servizi pubblici ed effetti sul rapporto di lavoro, in Lpa, 1999, p. 1232 ss; P.Lambertucci, Le tutele del lavoratore nella circolazione dell'azienda, Torino, 1999, p. 148 ss; S. Nappi, Negozi traslativi dell'impresa e rapporti di lavoro, Napoli, 1999, p. 260 ss.

[39] Il punto 6 del protocollo di intesa tra governo e sindacati del 4 febbraio 2002 in proposito prevede una procedura di preventiva consultazione.

[40] In proposito si segnalano Cass. 17 febbraio 2005, n. 3224, e Cass. 4 aprile 2005, n. 4722, entrambe in FI dvd, secondo le quali il trattamento economico presso l'amministrazione di destinazione dovrebbe calcolarsi rapportando l'anzianità maturata presso l'ente di provenienza alle tabelle contrattuali applicabili ai dipendenti dell'ente di destinazione, addirittura a prescindere dall'esito finale (migliorativo o meno). Cfr. anche Cass. 18 febbraio 2005, n. 3356, in D&L, con nota di Martignoni.

[41] L'art. 18 è il seguente: "1. I rapporti di lavoro dei dipendenti della fondazione sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa e sono costituiti e regolati contrattualmente. 2. La retribuzione del personale è determinata dal contratto collettivo nazionale di lavoro. Fino alla stipulazione del primo contratto collettivo di lavoro, al personale si applica il trattamento economico e giuridico vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, compresa l'applicazione di eventuali rinnovi contrattuali nel frattempo intercorsi per il comparto di appartenenza. 3. La trasformazione di cui all'articolo 1 non costituisce causa di risoluzione del rapporto di lavoro con il personale dipendente, che abbia rapporto a tempo indeterminato in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto. 4. I dipendenti conservano i diritti loro derivanti dall'anzianità raggiunta anteriormente alla trasformazione. Il trattamento di fine rapporto del personale di ruolo in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto resta regolato dall'articolo 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70; ai fini del trattamento previdenziale, il medesimo personale può optare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, per il mantenimento dell'iscrizione all'Inpdap. 5. Entro tre mesi dalla stipula del primo contratto collettivo di lavoro, il personale dell'ente autonomo 'La Biennale di Venezia' può optare per la permanenza nel pubblico impiego e conseguentemente viene trasferito ad altra amministrazione ai sensi del d.lg. 29/1993, e successive modificazioni".

[42] Il destino del relativo personale fu regolato dalle norme, generali all'intero testo legislativo, di cui all'art. 11 ed in particolare al c. 1: "Entro tre mesi dalla data di assunzione della personalità giuridica di diritto privato, il personale che intrattiene un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con gli enti privatizzati ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera a), può optare per la permanenza nel pubblico impiego, ad esso applicandosi, in tale caso, le ordinarie procedure di mobilità di cui agli articoli 34 e 35 del d.lg. 29/1993, e successive modificazioni. Sino alla stipulazione del primo contratto collettivo di lavoro della categoria, si applicano al personale degli enti stessi le norme relative al trattamento giuridico ed economico per esso vigenti".

[43] L'art. 7 è il seguente: "1. I rapporti di lavoro dei dipendenti della fondazione sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa dal contratto collettivo nazionale di lavoro. 2. Fino alla stipulazione del primo contratto collettivo di lavoro, al personale si applica il trattamento economico e giuridico vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, compresa l'applicazione di eventuali rinnovi contrattuali nel frattempo intercorsi per il comparto di appartenenza. 3. La trasformazione di cui all'articolo 1 non costituisce causa di risoluzione del rapporto di lavoro con il personale dipendente, che abbia rapporto a tempo indeterminato in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto. 4. I dipendenti conservano i diritti loro derivanti dall'anzianità raggiunta anteriormente alla trasformazione. Il trattamento di fine rapporto del personale di ruolo in servizio alla data di entrata in vigore del presente decreto resta regolato dall'articolo 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70, fino alla data di istituzione della fondazione e gli importi maturati da ciascun dipendente per trattamento di fine rapporto alla data di istituzione della fondazione, costituiscono accantonamenti rivalutabili con le modalità di cui all'articolo 2120 del codice civile; ai fini del trattamento previdenziale, il medesimo personale può optare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, per il mantenimento dell'iscrizione in atto. 5. Entro tre mesi dalla data di stipulazione del primo contratto collettivo di lavoro, il personale può optare per la permanenza alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, ed è pertanto collocato in mobilità. Ad esso si applicano le norme del d.lg. 29/1993, e segnatamente dell'articolo 35, comma 8, e successive modificazioni".

[44] Tale facoltà di opzione è stata spesso concessa anche nei passaggi verso altro soggetto pubblico: cfr., ad esempio l'art. 5 del d.m. 12 giugno 2000 del ministero per i Beni e le Attività culturali, sul passaggio dal ministero all'Università di Bologna della biblioteca universitaria; in proposito v. A. Serra, L'altro decentramento: il trasferimento della biblioteca universitaria di Bologna, in Aedon, 3/2000.

[45] F. Carinci, Riforma costituzionale e diritto del lavoro, in Adl, 2003, p. 64; R. Salomone, Il diritto del lavoro nella riforma costituzionale: esperienze, modelli e tecniche di regolazione territoriale, Padova, 2005, p. 171 ss.

[46] Tale è infatti il caso dell'appena richiamata l.r. Emilia-Romagna 5/2001, la quale si occupa di concretare, senza discostarsene, il principio posto dall'art. 31 d.lg. 165/2001 con riguardo ai vari aspetti del rapporto e della retribuzione.

[47] R. Salomone, Trasformazione delle Ipab in fondazioni private e contratto collettivo applicabile (nota a Trib. Mantova 3 giugno 2005, n. 434), in Adl, 2006, 878.

[48] F. Brunetti, Privatizzazione del servizio idrico gestito in economia e tutela del lavoratore pubblico ex art. 2112 c.c., in RU, 2003, p. 205; G. De Simone, Modificazioni soggettive dei gestori di servizi pubblici locali e disciplina del trasferimento d'azienda. Prime riflessioni sul rapporto tra norme speciali e norme generali dopo il d.lg. 18/2001, in Ld, 2002, p. 181; M. Novella, Aspetti giuslavoristici delle trasformazioni dei servizi pubblici locali, in Ld, 2001, p. 207.

[49] S. Mainardi, Trasferimento di attività e passaggio di dipendenti a soggetti pubblici o privati, in F. Carinci e M. D'antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Dal d.lg. 29/1993 ai d.lg. 396/1997, 80/1998 e 387/1998. Commentario, Milano, 2000, p. 967.

[50] Soluzione in passato già ipotizzata da M. Clarich e D. Iaria, La riforma del pubblico impiego, Rimini, 1999.

[51] A. Bianchi, Sub Art. 31, in Aa.Vv., Il rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Commento al d.lg. 30 marzo 2001, n. 165, supplemento a Prime note, 2001, 7, p. 139; P. Sordi, Sub Art 19, in M. Dell'olio e B. Sassani (a cura di), Amministrazioni pubbliche, lavoro, processo. Commento ai d.lg. 80/1998 e 387/1998, Milano, 2000, p. 135.

[52] La norma infatti si riferisce al solo personale "che passa"; la rubrica dell'articolo però depone in senso opposto.

[53] La giurisprudenza sull'art. 31 d.lg. 165/2001 è assai scarsa; a favore dell'automaticità del passaggio si sono pronunciate Pret. Bergamo 24 giugno 1999, in Lpa, 1999, 1292, con nota di Pellacani, e Trib. Catanzaro 27 novembre 2002, in Lpa, 2003, 941. Posizione opposta quella di Trib. Siena ordinanze 6 marzo 2003 e 21 maggio 2003, in LPpa, 2003, 935 ss., con nota di Casale; nonché di Trib. Parma 19 maggio 2005, in Lpa, 2005, 625, con nota di Ferretti.

[54] D. Casale, Le esternalizzazioni nelle pubbliche amministrazioni fra trasferimento di funzioni e gestione delle eccedenze (commento a Tribunale di Siena, ordinanze 6 marzo 2003 e 21 maggio 2003, Tribunale di Catanzaro, sentenza 27 novembre 2002), in Lpa, 2003, p. 945; G. Pellacani, Trasferimento di attività e servizi pubblici a società miste ex art. 22, l. n. 142/1990 ed effetti sui rapporti di lavoro (nota a Pret. di Bergamo 24 giugno 1999), in Lpa, 1999, p. 1296.

[55] Cfr. ad es. Corte di Giustizia 14 novembre 1996, Hertaing, causa C-305/94, in RaccGC, 1996, I-5927. Implicitamente nel senso della automaticità del passaggio Corte di Giustizia, ord. 26 maggio 2005, Sozialhilfeverband Rohrbach, cit.

[56] P. Sordi, Sub Art. 19, in M. Dell'olio e B. Sassani (a cura di), Amministrazioni pubbliche, lavoro, processo. Commento ai d.lg. 31 marzo 1998, n. 80 e 29 ottobre 1998, n. 387, Milano, 2002, p. 138.

[57] V. ad es. Cass. 23 luglio 2002, n. 10761, in RIDL, 2003, II, 150 (unitamente a Cass. 22 luglio 2002, n. 10701 e Cass. 25 ottobre 2002, n. 15105), con nota di Scarpelli, e in LG, 2003, 19, con nota di Barraco.

[58] M. Aimo, Il trasferimento d'azienda fra diritto comunitario e diritto interno. Le garanzie individuali dei lavoratori, in Rgl, I, 1999, p. 839; R. De Luca Tamajo, Le esternalizzazioni tra cessione di ramo d'azienda e rapporti di fornitura, in Id. (a cura di), I processi di esternalizzazione. Opportunità e vincoli giuridici, Napoli, 2002, p. 9; L. De Andreis e C. Francioso, Nelle cessioni parziali d'azienda è sempre rilevante il consenso dei singoli lavoratori addetti ai "rami" oggetto di cessione, in D&L, 2001, p. 557; A. Lepore, Trasferimento del ramo d'azienda e diritto di opposizione del lavoratore alla sua cessione (anche con riferimento al nuovo art. 2112 cod. civ. in attuazione della direttiva comunitaria n. 98/50) (nota a Pret. di Milano 14 maggio 1999, n. 1102; Cass. 30 agosto 2000, n. 11422; Trib. di Milano 31 gennaio 2001, n. 304), in Rgl, 2001 II, p. 344; Mannacio, Vecchi e nuovi problemi sul trasferimento d'azienda (nota a Cass. 4 dicembre 2002, n. 17207), in Lg, 2003, p. 435; M. Meucci, Trasferimento di ramo d'azienda o esternalizzazione di solo personale?, Lpo, 2003, p. 19; S. Piccininno, Consenso del lavoratore e dimissioni per giusta causa, in G. Santoro Passarelli e R. Foglia (a cura di), La nuova disciplina del trasferimento d'impresa. Commento al d.lg. 18/2001, Milano, 2002, p. 75; U. Runggaldier, Trasferimento d'azienda e consenso del lavoratore alla cessione del contratto, in Dlri, 1999, p. 523; G. Vidiri, Il d.lg. 2 febbraio 2001, n. 18: trasferimento d'azienda tra "flessibilità" e "garantismo", in Mgl, 2003, p. 2.

[59] M. De Cristofaro, Trasferimento d'azienda e successive dimissioni del lavoratore, in Dl, 2003 I, p. 505. M.V. Ballestrero, Il trattamento economico e normativo dei lavoratori nella nuova disciplina del trasferimento d'azienda, in Ld, 2002, p. 201.

[60] Una recente pronuncia di merito ha interpretato tale disposizione nel senso che le dimissioni agevolate sarebbero permesse solo quando la modifica sostanziale delle condizioni di lavoro derivi da un mutamento di contratti collettivi: Trib. Bologna 11 gennaio 2005, in LG, 2005, 675, con nota di Marsano. Il pronunciamento pare comunque destinato a rimanere isolato, dato che non sembra ravvisabile alcuna connessione specifica tra il comma 3 e la seconda parte del comma 4 dell'art. 2112 c.c.

[61] Secondo l'art. 1 comma 5 dello statuto, "La fondazione concorda con il ministero per i Beni e le Attività culturali le modalità per la prioritaria utilizzazione del personale, ritenuto necessario, in servizio presso il museo, con l'assenso degli interessati, dandone comunicazione alle organizzazioni sindacali".

[62] Ad effettuare pubbliche rimostranze è stata invero soprattutto una importante sigla sindacale (cfr. www.uilbac.it/Stampa.htm). Nel caso, erano state anche ipotizzate forme di invio temporaneo del personale pubblico presso la Fondazione, in particolare l'utilizzo dell'art. 23-bis del d.lg. 165/2001, che avrebbe potuto permettere l'assegnazione di personale dirigenziale mantenendo il rapporto lavorativo con il ministero, tramite un periodo di aspettativa. Si tratta, però di norma priva del regolamento d'attuazione di cui al comma 10.

[63] G. Santoro Passarelli, La nozione di azienda trasferita tra disciplina comunitaria e nuova normativa nazionale, in ADL, p. 575 e in G. Santoro Passarelli e R. Foglia (a cura di), La nuova disciplina del trasferimento d'impresa. Commento al d.lg. 2 febbraio 2001, n. 18, Milano, 2001, p. 584.

[64] Una tale rinuncia nel settore privato è stata dalla Cassazione ritenuta legittima con riferimento ad una conciliazione in sede sindacale: sent. 18 agosto 2000, n. 10963, in FI, 2001, I, 1259 e in NGL, 2001, 113. E' comunque vero che, con riguardo ad imprese non in crisi ma in bonis, una parte della giurisprudenza sembra ammettere che il mantenimento alle dipendenze del cedente possa essere stabilito anche semplicemente dalla concorde volontà dei due datori coinvolti (così Cass. 30 agosto 2000, n. 11422, in NGL, 2001, 165; Cass. 13 dicembre 2003, n. 19105).

[65] A. Lepore, Trasferimento del ramo d'azienda e diritto di opposizione del lavoratore alla sua cessione (anche con riferimento al nuovo art. 2112 cod. civ. in attuazione della direttiva comunitaria n. 98/50) (nota a Pret. di Milano 14 maggio 1999, n. 1102; Cass. 30 agosto 2000, n. 11422; Trib. di Milano 31 gennaio 2001, n. 304), in Rgl, II, p. 44; M. Marinelli, Decentramento produttivo e tutela dei lavoratori, Torino, 2002, p. 87 ss.

[66] M.V. Ballestrero, Il trattamento economico e normativo dei lavoratori nella nuova disciplina del trasferimento d'azienda, in Ld, 2002, p. 288; L. Tartaglione, Gli effetti del trasferimento dell'impresa sui diritti individuali dei lavoratori, in C. Russo (a cura di), Il trasferimento dell'impresa, Il sole 24 ore, Milano, 2001, p. 68.

[67] P. Montagna, Trasferimento di personale tra amministrazioni e tutela dell'anzianità (nota a Trib. di Milano 23 aprile 2002), in D&L, 2002, p. 629.

[68] P. Lambertucci, Le procedure sindacali nel trasferimento d'azienda dopo le modifiche apportate dal decreto legislativo n. 18 del 2001, in Dl, I, 2001, p. 34.

[69] A. Buonajuto, Il trasferimento di azienda e del lavoratore, Padova, 1999, p. 63.

[70] V. ad es. Cass. 11 aprile 2006, n. 8389, e Cass. 13 aprile 2006, n. 8693, entrambe in FI dvd.

[71] Cass. 16 giugno 2005, n. 12956, in FI dvd.

[72] Cass. 8 settembre 1999, n. 9545, in MGL, 1999, 1147; vi è però chi sul punto manifesta perplessità: vedasi, ad es., Stanchi 2001, 136. Per un quadro, D. Calafiore, I contratti collettivi applicabili, in G. Santoro Passarelli e R. Foglia (a cura di), La nuova disciplina del trasferimento d'impresa. Commento al d.lg. 2 febbraio 2001, n. 18, Milano, 2002, 115 ss.

[73] M.V. Ballestrero, Servizi pubblici e trasferimento d'azienda. Il trattamento economico e normativo dei lavoratori, in Ld, 2001, p. 296 ss.

[74] Corte cost. 1-19 giugno 1998, n. 226, in www.cortecostituzionale.it.

[75] R. Martignoni, Ferie pregresse e successione tra aziende sanitarie (nota a Corte d'App. di Milano 18 settembre 2001), in D&L, 2002, p. 117.

[76] Con riguardo a settore privato, v. Cass. 17 luglio 2002, n. 10348, in FI dvd.

[77] G.F. Campobasso, Diritto commerciale, vol. 1 Diritto dell'impresa, Torino, 1997, p. 155.

[78] S. Mainardi, Trasferimento di attività e passaggio di dipendenti a soggetti pubblici o privati, in F. Carinci e M. D'antona (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Dal d.lg. 29/1993 ai d.lg. 396/1997, 80/1998 e 387/1998. Commentario, Milano, 2000, p. 989.

[79] P. Sordi, Sub Art 19, in M. Dell'olio e B. Sassani (a cura di), Amministrazioni pubbliche, lavoro, processo. Commento ai d.lg. 31 marzo 1998, n. 80 e 29 ottobre 1998, n. 387, Milano, 2000, p. 141.

[80] U. Carabelli e B. Veneziani, Il trasferimento di azienda in Italia, in AA.VV., La transmisiòn de empresas en Europa, Bari, 1999, p. 139.

[81] L. Tartaglione, Gli effetti del trasferimento dell'impresa sui diritti individuali dei lavoratori, in C. Russo (a cura di), Il trasferimento dell'impresa, Il sole 24 ore, Milano, 2001, p. 72.

[82] Cass. 13 dicembre 2000, n. 15687, in GPiem, 2001, 150 (decisione non isolata).

[83] D. Cirioli, Tfr nel pubblico impiego (Guide operative Dpl, 12), Milano, 2002.

[84] Corte di Giustizia 4 giugno 2002, Beckmann, causa C-164/00, cit.

[85] M. Cinelli, Riflessi previdenziali del trasferimento d'azienda, in C. Russo (a cura di), Il trasferimento dell'impresa, Il sole 24 ore, Milano, 2001, p. 242.

[86] Merita ricordare che il Ccnl Federculture (art. 66) aderisce al fondo Previambiente, della Confservizi Cispel.

[87] A. Loffredo, Sub Art. 34, in A. Corpaci, M. Rusciano e L. Zoppoli. (a cura di), La riforma dell'organizzazione, dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, in Nlcc, II, 1999, p. 1250.

[88] L'articolo è richiamato dall'art. 25 comma 5 del successivo ccnl 14 settembre 2000, in materia di passaggio diretto di personale in eccedenza; nell'art. 45 del ccnl 2002-2005, del 22 gennaio 2004, è confermata la validità delle norme contrattuali già vigenti e non modificate.

[89] C. Cester, Trasferimento d'azienda e rapporti di lavoro: la nuova disciplina, in Lg, 2001, p. 513.

[90] U. Carabelli. e B. Veneziani, Il trasferimento di azienda in Italia, in AA.VV., La transmisiòn de empresas en Europa, Bari, 1999, p. 118-119; D. Izzi, Il trasferimento d'azienda fra diritto comunitario e diritto interno. La dimensione collettiva della tutela, in Rgl, I, 1999, p. 882-883.

[91] P. Passalacqua, Gli obblighi di informazione e consultazione sindacale nel trasferimento d'azienda, in C. Russo (a cura di), Il trasferimento dell'impresa, Il sole 24 ore, Milano, 2001, p. 111; C. Cester, Trasferimento d'azienda e rapporti di lavoro: la nuova disciplina, in Lg, 2001, p. 514; F. Scarpelli, Nuova disciplina del trasferimento d'azienda, in Dpl, 2001, p. 784. Contra: P. Lambertucci, Le procedure sindacali nel trasferimento d'azienda dopo le modifiche apportate dal decreto legislativo n. 18 del 2001, in Dl, 2001 I, p. 448-451, il quale ritiene opportuno basare il computo su una data, perlomeno, non anteriore al contratto definitivo.

[92] D.Borghesi, La giurisdizione del pubblico impiego privatizzato, Padova, 2002, pp. 103 ss.

[93] Per un quadro in proposito, v. anche Corte cost., ord., 24 aprile 2003, n. 143, in LPA, 2003, 525, nonché ivi la nota di Lunardon.

[94] V. Nuzzo, Trasferimento di azienda e rapporto di lavoro, Padova, 2002.

[95] G. Villani, Trasferimento d'azienda: profili di diritto del lavoro e della previdenza sociale, Torino, 2002, p. 129; P. Lambertucci, Le tutele del lavoratore nella circolazione dell'azienda, Torino, 1999, p. 237; M. Grandi, voce Trasferimento d'azienda (dir. lav.), in Egt, vol. XXXI, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1995.

[96] Cfr. Cass. 4 gennaio 2000, n. 23, in FI, 2001 I, 1260, e, recentemente, Cass. 6 giugno 2003, n. 9130. Non manca una giurisprudenza di merito di segno contrario, tuttavia antecedente.

[97] B. Sassani, Il passaggio alla giurisdizione ordinaria del contenzioso sul pubblico impiego: poteri del giudice, esecuzione della sentenza, comportamento antisindacale, contratti collettivi in Cassazione, in G. Perone e B. Sassani (a cura di), Processo del lavoro e rapporto alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Il decreto legislativo n. 80 del 1998, Padova, 1999, p. 5.

[98] Stando alla giurisprudenza di legittimità più recente, invece, i lavoratori non sarebbero legittimati a far valere la carenza o la falsità delle informazioni: cfr. Cass. 22 agosto 2005, n. 17072, in FI dvd.



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