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La elaborazione del "diritto dei beni culturali" nella giurisprudenza costituzionale

Parte quinta - Considerazioni conclusive

di Guido Clemente di San Luca

Sommario: 1. Il contributo della Corte costituzionale alla definizione del Diritto dei beni culturali.

1. Il contributo della Corte costituzionale alla definizione del Diritto dei beni culturali

Al termine dell'indagine sembra si possano proporre le seguenti considerazioni conclusive.

1) La Corte ha meritoriamente provveduto a colmare molte delle lacune che il tessuto normativo presentava in materia di beni culturali. Questo specialmente con riguardo alla disciplina del loro regime giuridico. Si pensi, ad esempio, al lodevolissimo contributo definitorio concernente questioni lasciate aperte dall'ordito normativo, e perciò controverse: le nozioni giuridiche di restauro e di manutenzione; quelle di tutela e di valorizzazione; quella di gestione. E così via.

2) La Corte ha, del pari, assai significativamente orientato la produzione del legislatore successivo, in qualche modo indirizzandone le scelte normative. E' indubbio, infatti, che molte delle nozioni da essa puntualizzate in sede interpretativa abbiano poi costituito oggetto di altrettante successive disposizioni di legge. Si pensi, ad esempio, alla stessa nozione di restauro elaborata dalla Corte che il legislatore in seguito ha espressamente fatto propria, prima, con l'art. 34 del T.U. del 1999 e, poi, con l'art. 29 del Codice.

3) A voler entrare nel merito dei suoi orientamenti, peraltro, non può dichiararsi che l'operato del giudice costituzionale sia stato sempre del tutto condivisibile. Lascia infatti non proprio pienamente convinti, nella complessiva trama del pensiero che esso ha progressivamente elaborato, la scarsa sensibilità alla matrice territoriale della cultura.

In proposito la giurisprudenza costituzionale ha risentito, per lungo tempo, della eco di una risalente e convinta concezione centralistica delle istituzioni. Sposandola, la Corte (che, invece, sulle questioni dei diritti civili si è sin dall'inizio eretta ad usbergo di una concezione moderna e democratica dello Stato di diritto) si è mostrata - nel corso della prima stagione del suo operato - scarsamente incline a cogliere quella 'rivoluzione' culturale consacrata nell'art. 5 Cost., il cui naturale sviluppo nel Titolo V (originario) è stato, per oltre un ventennio, fino al 1970, ostacolato senza che il giudice delle leggi assumesse la necessaria giusta considerazione delle ragioni delle autonomie territoriali.

Ž vero, non si può disconoscere che, con riguardo allo specifico settore del patrimonio culturale, siano più che fondate le preoccupazioni di coloro che intravedono un fortissimo rischio per la sua salvaguardia nel riconoscere le relative competenze di tutela alle istituzioni territoriali locali. Ma è altrettanto vero che la cultura costituisce «il tratto che esprime in maniera emblematica la singolarità e l'unicità di una comunità: i soggetti istituzionali che indubitabilmente meglio degli altri possono interpretare tale unicità - e metterla in valore - sono (...) le regioni, le province, i comuni» [1].

Gli orientamenti che da ultimo la Corte va manifestando, i quali si muovono in piena coerenza col ruolo - verrebbe quasi di dire: esplicitamente assegnatole dalla riforma del Titolo V - di supplenza che essa sta esercitando nella delineazione dei confini delle rispettive competenze fra Stato e autonomie territoriali, sembrano disegnare una inversione di tendenza, nel senso di una nuova sensibilità nei confronti delle ragioni delle autonomie.

Si pensi, fra le altre, alle affermazioni rese dalla Consulta a proposito del riconoscimento alle regioni di uno spazio regolativo in materia di tutela e valorizzazione dei locali storici (sent. 9/2003); ovvero in tema di tutela e valorizzazione dei tratturi, pur nell'indiscutibile rispetto della disciplina statale delle funzioni amministrative concernenti la tutela (sent. 388/2005): Si pensi ancora, - e ciò pare di particolare, pregnante, significatività - alla qualificazione della tutela come «materia-attività» ed al conseguente riconoscimento della necessaria coesistenza, in detto ambito, di competenze legislative diverse (sent. 232/2005); nonché all'auspicio formulato dalla Corte affinché, in sede di applicazione dell'art. 118, comma 3, non si trascurino le peculiarità locali delle regioni (sent. 9/2004). Da una meditata considerazione del loro insieme, si ricava indubbiamente la propensione del giudice delle leggi a superare le strettoie di una ripartizione di competenze tra Stato e regioni basata sulla rigida diversificazione delle rispettive attività, in favore di una concezione più coerente con la realtà dei fatti, in base alla quale è impensabile una 'dicotomizzazione' manichea fra tutela e valorizzazione.

Del resto, il compito al quale essa viene chiamata appare obiettivamente improprio, l'architettura della Carta - almeno nel suo disegno originario - assegnandole un ruolo che, quantunque creativo nel rimediare alle eventuali cesure del tessuto costituzionale praticate dal legislatore, non dovrebbe (né potrebbe) mai spingersi fino a consentirle di sostituirsi nell'attività di quest'ultimo.

La conclusione, dunque, non può che essere nel senso di un rinnovato auspicio affinché ciascun attore istituzionale riprenda a svolgere appieno i compiti che la Carta assegna ad esso. Segnatamente: che il legislatore scelga, e il giudice delle leggi verifichi la conformità delle sue scelte al quadro costituzionale di riferimento.

Certo un siffatto auspicio meriterebbe facilmente la qualificazione di utopistico. E l'aggettivo non sembra improprio, stanti la confusione e le incertezze determinate dalla incongruità fra l'impianto del testo del 1948 - pensato in coerenza con un sistema elettorale di tipo proporzionale - ed il sistema elettorale maggioritario introdotto nell'ordinamento ormai da tre lustri senza che ad esso quell'impianto fosse opportunamente adeguato (non v'è bisogno di chiarire che, anche dopo l'ultima riforma della legge elettorale, il sistema sia ancor oggi, a dispetto dell'apparenza, sostanzialmente maggioritario).

Nel frattempo che la classe politica trovi quegli equilibri di saggezza indispensabili per una siffatta opera di adeguamento, credo sia dovuto alla Corte un ringraziamento particolare, perché con la sua opera, pur tra mille difficoltà oggettive e talvolta qualche libertà di troppo, permette al sistema di non deflagrare.

 

Note

[1] Così G. Clemente di San Luca, R. Savoia, Manuale di diritto dei beni culturali cit., p. 78.



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