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I beni culturali e il paesaggio dopo le ultime riforme / I beni

Il silenzio nel regime dei beni culturali

di Giulio Vesperini

Sommario: 1. Premessa. - 2. La verifica dell'interesse culturale. - 3. L'autorizzazione ad eseguire opere su beni culturali. - 4. Disciplina speciale e disciplina generale.

1. Premessa

Il decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156 modifica due distinte previsioni del Codice riguardanti il silenzio dell'amministrazione in materia di beni culturali, quelle rispettivamente aventi ad oggetto il procedimento di verifica dell'interesse culturale (articolo 12) e il procedimento di autorizzazione ad eseguire lavori od opere sui beni culturali (articolo 22). In entrambi i casi, la precedente previsione di un silenzio significativo viene sostituita da una diversa regola di c.d. "silenzio inadempimento".

Di seguito si esaminano in modo distinto le due fattispecie e si svolgono, quindi, alcune brevi considerazioni di carattere generale circa il rapporto tra la riforma in questione e la disciplina generale della legge 7 agosto 1990, n. 241.

2. La verifica dell'interesse culturale

L'articolo 12 del Codice disciplina il procedimento di verifica di interesse culturale per i beni appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente o istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che: presentino interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico; che siano opera di autore non più vivente; la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni  [1].

Il procedimento di verifica è regolato in modo minuzioso. La competenza è del ministero per i Beni e le Attività culturali, il quale può avviare il relativo procedimento di ufficio o su richiesta dei soggetti cui le cose appartengono e deve compiere la verifica in questione sulla base degli indirizzi di carattere generale da esso stesso stabiliti in via preventiva.

Sono disciplinati, poi, gli esiti del procedimento. Quando si riscontra l'interesse storico, artistico, archeologico o etnoantropologico si applica in via definitiva la disciplina di tutela. Nel caso in cui, invece, la verifica abbia esito negativo, la cosa esce dal regime di tutela, viene sdemanializzata e può essere alienata.

Nel regime precedente la recente riforma, sulla disciplina generale si innestavano quattro diverse discipline specifiche. Le prime due riguardavano il patrimonio immobiliare pubblico, distinguendosi tra loro a seconda che il relativo procedimento fosse avviato su richiesta dell'ente proprietario o di ufficio.

La prima ipotesi trovava regolamentazione nell'ultimo comma dell'articolo 12 e nel rinvio che esso disponeva all'articolo 27, commi 8,10, 12, 13 e 13-bis del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 convertito con legge 24 novembre 2003, n. 326. Si prevedeva che la competente filiale dell'agenzia del demanio trasmettesse alla soprintendenza regionale (ora direzione regionale) gli elenchi degli immobili di proprietà dello Stato o del demanio statale sui quali la verifica doveva essere effettuata. La soprintendenza regionale (ora direzione regionale), a sua volta, sulla base dell'istruttoria svolta dalle soprintendenze competenti e del parere da queste formulate nel termine di trenta giorni dalla richiesta, doveva concludere il procedimento di verifica circa la sussistenza dell'interesse culturale dell'immobile, con provvedimento motivato, dandone comunicazione all'agenzia richiedente entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa scheda descrittiva. In ogni caso, la mancata comunicazione, nel termine complessivo di centoventi giorni dalla ricezione della scheda, equivaleva ad esito negativo della verifica (comunemente qualificato silenzio assenso, in relazione al fatto che con la sua formazione veniva meno un ostacolo all'alienazione del bene).

La seconda ipotesi, quella del procedimento sugli immobili pubblici, avviato d'ufficio, dagli stessi organi del ministero, trovava disciplina nel d.m. 6 febbraio 2004, poi modificato dal d.m. 28 febbraio 2005. L'articolo 4-bis del decreto prevedeva che, in questi casi, la verifica si dovesse concludere entro il termine di centoventi giorni. Se la pronuncia non fosse intervenuta entro questo termine, i "richiedenti" avevano la possibilità di diffidare il ministero stesso a provvedere, per poi ricorrere innanzi al giudice ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 se, nei trenta giorni successivi alla diffida, il ministero fosse rimasto inerte. Come è stato rilevato in dottrina, peraltro, la formulazione della norma non era precisa, poiché, trattandosi di procedimenti di ufficio, non era possibile identificare un "richiedente", quanto, semmai, un "interessato", legittimato, nel caso, ad adire il giudice, secondo le procedure indicate, nel caso di ritardo dell'amministrazione  [2].

Ai due diversi regimi procedimentali concernenti gli immobili pubblici, se ne aggiungeva, poi, un terzo, riguardante le cose immobili appartenenti alle persone giuridiche senza fine di lucro, che trovava la sua disciplina di dettaglio nel d.m. 25 gennaio 2005. In questo caso, quale che fosse il modo della sua introduzione (d' ufficio o su richiesta), il procedimento era assoggettato al termine di centoventi giorni. In caso di inerzia dell'amministrazione, l'interessato, previa diffida all'amministrazione, poteva ricorrere innanzi al giudice amministrativo, sempre ai sensi dell'articolo 21-bis della legge n. 1034/1971.

In via residuale, infine, era identificabile la disciplina del procedimento di verifica per le cose mobili, per il quale la normativa non fissava alcun termine, né regolava le conseguenze dell'inerzia dell'amministrazione.

La riforma dell'articolo 12 del Codice, disposta con il d.lg. 156/2006, da un lato, e quella dell'articolo 2, comma 5, della legge 241/1990, disposta con la legge 11 febbraio 2005, n. 15 modificano in modo significativo i quattro regimi procedimentali appena illustrati.

Da un lato, infatti, viene abrogato il comma 10 dell'articolo 12 del Codice, che rinviava alla disciplina del d.l. 269/2003 (come del resto sono abrogate espressamente la maggior parte delle disposizioni oggetto del rinvio), e sostituito con una disposizione che fissa in centoventi giorni il termine per la conclusione del procedimento di verifica. Dall'altro lato, la nuova disposizione dell'articolo 2 della legge 241/1990 prevede espressamente che il ricorso contro il silenzio dell'amministrazione non debba più essere necessariamente preceduto dalla diffida all'amministrazione inadempiente ed attribuisce al giudice nei relativi giudizi la possibilità di conoscere circa la fondatezza dell'istanza.

Gli effetti di queste innovazioni sono fondamentalmente di due tipi.

Il primo è quello della unificazione dei diversi regimi procedimentali. Alla distinzione precedente in ragione del tipo di beni, della loro appartenenza e della forma di avvio del procedimento di verifica si sostituisce una disciplina uniforme: tutti i procedimenti di verifica dell'interesse culturale di un bene si devono concludere entro centoventi giorni. Un possibile dubbio al riguardo potrebbe derivare dalla lettera della norma che fa decorrere il termine dal momento della richiesta, potendo far ritenere, quindi, che il termine medesimo riguardi, quindi, solo i procedimenti ad iniziativa di parte. Ma questa interpretazione è difficilmente sostenibile, se non altro perché il termine indicato dalla nuova norma è lo stesso già fissato, in precedenza, dalle varie discipline speciali dei singoli procedimenti in modo uniforme. La previsione del nuovo comma 4 dell'articolo 12, quindi, sotto questo profilo, opera in funzione ricognitiva delle discipline precedenti, ed in funzione innovativa, per quanto si è prima indicato, di quella riguardante i procedimenti su cose mobili.

Un secondo importante effetto riguarda le conseguenze dell'inerzia dell'amministrazione oltre il termine. Da un lato, infatti, viene abrogata la previsione del silenzio significativo (c.d. silenzio assenso) per i procedimenti riguardanti immobili pubblici avviati su richiesta del demanio, di cui alla disciplina del 2003. Dall'altro lato, si deve ritenere che trovi applicazione a questa fattispecie la nuova disciplina dell'articolo 2, comma 5, della legge 241/1990 circa il silenzio inadempimento, con la possibilità accordata all'interessato di ricorrere innanzi al giudice contro il silenzio, anche senza la previa diffida dell'amministrazione agente. Questo significa, peraltro, che, per effetto dell'innovazione legislativa, perdono ogni operatività le diverse disposizioni contenute nei due decreti ministeriali del 6 febbraio 2004 e del 25 gennaio 2005, che, con riferimento ai beni immobili privati e ai procedimenti d'ufficio su immobili pubblici, prevedevano che il ricorso dovesse essere preceduto da diffida.

3. L'autorizzazione ad eseguire opere sui beni culturali

Molto più rapida è l'analisi della seconda fattispecie oggetto di modifica, quella regolata dall'articolo 22 del Codice. Questo disciplina l'autorizzazione all'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali, quando di competenza del soprintendente (ora direttore regionale). Prevede, in particolare, che tale autorizzazione, al di fuori dei casi previsti dagli articoli 25 (nei quali si ricorra a conferenza di servizi) e 26 (nei quali sia necessaria la valutazione di impatto ambientale), debba essere rilasciata nel termine di centoventi giorni dalla richiesta, salvi i casi di sospensione del termine.

Nella versione originaria, si prevedeva, poi, che, decorso inutilmente il termine indicato, il richiedente poteva diffidare l'amministrazione a provvedere. Se questa fosse rimasta inerte per ulteriori trenta giorni, la richiesta di autorizzazione doveva ritenersi accolta. Quindi, un meccanismo particolare di rimedio contro l'inerzia della amministrazione, dove si combinavano un procedimento di diffida e un regime di silenzio assenso.

La modifica apportata dal d.lg 156/2006 introduce un diverso meccanismo di tutela del richiedente, quello di abilitare lo stesso a ricorrere innanzi al giudice avverso il silenzio mantenuto dall'amministrazione oltre il termine indicato. Tuttavia, a differenza di quanto visto nel caso di cui all'articolo 12 del Codice, il ricorso al giudice deve essere preceduto dalla diffida a provvedere all'amministrazione. Non trova, quindi, applicazione la disciplina generale del nuovo articolo 2, comma 5 della legge 241/1990, ma quella speciale del ricorso con preventiva diffida.

4. Disciplina speciale e disciplina generale

Le modifiche apportate dal d.lg. 156/2006 al regime del silenzio nel settore dei beni culturali esprimono un indirizzo tendenzialmente coerente con la disciplina generale della legge 241/1990, anche per come modificata, di recente, dalle leggi 15/2005 e 14 maggio 2005, n. 80 (di conversione del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35).

Anzitutto, per il disfavore espresso dal legislatore della riforma verso le ipotesi di silenzio assenso quando sono in gioco interessi di tutela dei beni culturali. Analogamente, infatti, la recente riforma dell'articolo 20 della legge 241/1990  [3] se, da un lato, prefigura il silenzio assenso come istituto di carattere generale per i procedimenti ad iniziativa di parte, d'altro lato, però, indica tra le principali eccezioni al principio quelle degli "atti e i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico".

In secondo luogo, perché riconduce, sia pure implicitamente, alla disciplina generale, il regime della tutela contro l'inerzia della pubblica amministrazione, in materia di verifica dell'interesse culturale, mentre, invece, ripristina il vecchio regime, con la necessità della previa diffida alla pubblica amministrazione, per l' autorizzazione ad eseguire lavori su beni culturali.

C'è, poi, un altro importante aspetto da sottolineare. La riforma del 2006 assimila, più decisamente che nel passato, le regole riguardanti i rapporti tra le amministrazioni, come sono quelli disciplinati dalle fattispecie esaminate e in particolare da quella dell'articolo 12, a quelle dettate, in via generale, per i rapporti tra le amministrazioni medesime ed i privati  [4]. Meccanismi congegnati per apprestare tutela al cittadino contro l'inerzia della pubblica amministrazione sono utilizzati, in questo settore, per la composizione dei conflitti tra interessi pubblici e le amministrazioni che degli stessi sono titolari. Rispetto alla legislazione previgente, peraltro, si rafforza il ruolo del giudice nella composizione di questi stessi conflitti, atteso anche che, come detto, alla stregua del nuovo articolo 2, comma 5, legge 241/1990, nel ricorso contro il silenzio inadempimento, esso può conoscere della fondatezza dell'istanza.

 

Note

[1] In materia, si v. G. De Giorgi Cezzi, Verifica dell'interesse culturale e meccanismo del silenzio assenso, in Aedon, n. 3/2003; G. Sciullo, La verifica dell' interesse culturale (art. 12), in Aedon, n. 1/2004; S. Foà, La tutela dei beni culturali, in Giornale di diritto amministrativo, 2004, p. 473.

[2] Si v. sul punto, G. Sciullo, Novità (e conferme) in tema di verifica dell'interesse culturale per gli immobili appartenenti a soggetti pubblici e privati non profit, in Aedon, n. 2/2005.

[3] Sulla nuova disciplina dell' articolo 20, si vedano R. Giovagnoli, I silenzi della Pubblica Amministrazione dopo la legge n. 80/2005, Giuffrè, Milano, 2005; G. Fonderico, Il nuovo tempo del procedimento, la d.i.a. ed il silenzio assenso, in Giornale di diritto amministrativo, 2005, p. 1017; S. Amorosino, La semplificazione amministrativa e le recenti modifiche normative alla disciplina generale del procedimento, in Foro amministrativo. T.A.R., 2005, p. 2635.

[4] In questo senso, si v. già, con riferimento al regime precedente, Istituzioni di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, Giuffrè, Milano, 2005, p. 186.

 

 



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