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I beni culturali e il paesaggio dopo le ultime riforme / I beni

La tutela dei beni librari

di Girolamo Sciullo

Sommario: 1. Generalità. - 2. L'assetto fino al d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42. - 3. La questione dei "documenti". - 4. Le modifiche apportate dal d.lg. 24 marzo 2006, n. 156.

1. Generalità

Le modifiche introdotte all'art. 5, commi 2 e 3, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, dall'art. 1, comma 1, lett. a), d.lg. 24 marzo 2006, n. 156  [1], rappresentano un ulteriore - e non è detto definitivo - snodo nella ricerca di un soddisfacente riparto fra lo Stato e le regioni dei compiti di tutela in tema di beni librari.

Per anticipare le conclusioni, l'intervento 'di regolamento di confini' operato potrebbe salutarsi positivamente per gli elementi di chiarezza introdotti rispetto al passato nel quadro delle competenze. E tuttavia esso solleva un qualche dubbio sul piano degli assetti organizzativi e soprattutto lascia intendere che in materia di tutela di beni culturali la dinamica dei rapporti fra centro e periferia è al momento in grado di esprimere solo aggiustamenti di margine e compromissori.

Prima di iniziare è opportuno un chiarimento terminologico con il quale, come si vedrà, sarà coerente l'opzione interpretativa seguita: per beni archivistici si intenderanno gli archivi e (in particolare) i documenti cui si riferisce l'art. 10, commi 2, lett. b), e 3, lett. b), del Codice mentre per beni librari si considereranno quelli menzionati dalla stessa disposizione, commi 2, lett. c), 3, lett. c), e 4, lett. c) e d), ossia le raccolte librarie, i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, i libri, le stampe, le incisioni nonché le carte geografiche e gli spartiti musicali [2]. Nel prosieguo si avrà occasione di fare riferimento anche ai beni audivisivi, intendendosi per tali le fotografie, le pellicole cinematografiche e altri materiali (o supporti) audiovisivi, con relativi negativi e matrici, di cui allo stesso art. 10, comma 4, lett. e).

2. L'assetto fino al d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42

Per la piena comprensione delle modifiche apportate dal d.lg. 156/2006 risulta necessario considerare la situazione preesistente, prendendo le mosse dalla prima regionalizzazione e tenendo altresì presente quanto disponeva la legge 1° giugno 1939, n. 1089.

Il d.p.r. 14 gennaio 1972, n. 3, oltre a trasferire alle regioni a statuto ordinario le funzioni amministrative statali in materia di musei e biblioteche di enti locali (o di interesse locale) e dei relativi uffici (soprintendenze ai beni librari) (artt. 7 e 8), delegò alle medesime regioni una serie di compiti diretti di tutela o ad essa strumentali (di impulso e di proposta), e in particolare le notifiche di importante interesse storico-artistico da effettuarsi ai sensi dell'art. 3 della legge 1089/1939 ai privati possessori/detentori dei beni indicati all'art. 1, comma 1, lett. c), della stessa legge, ossia "i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità e di pregio" (art. 9, comma 1, lett. b)).

Tale assetto non cambiò con il t.u. del 1999, che confermò in capo alle regioni la competenza a dichiarare l'interesse particolarmente importante di tali beni in proprietà di privati (art. 6, comma 4, e art. 2, comma 2, lett. c)).

Mutamenti, invece, si ebbero con il d.lg. 42/2004. Come indica la relazione accompagnatoria [3], nell'intento di "tener ferme le attribuzioni ad esse [regioni a statuto ordinario] assegnate, in via di delega con il d.p.r. 14 gennaio 1972, n. 3, integrandole solo nella misura necessaria a rendere omogeneo e coerente lo svolgimento" [4], si stabilì all'art. 5 che "le funzioni di tutela previste dal presente codice che abbiano ad oggetto manoscritti, autografi, carteggi, documenti, incunaboli, raccolte librarie non appartenenti allo Stato o non sottoposte alla tutela statale, nonché libri, stampe e incisioni non appartenenti allo Stato, sono esercitate dalle regioni" (comma 2). Al contempo si previde che, "sulla base di specifici accordi od intese e previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, di seguito denominata "Conferenza Stato-regioni", le regioni possono esercitare le funzioni di tutela anche su raccolte librarie private, nonché su carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi negativi e matrici, non appartenenti allo Stato" (comma 3).

Le due disposizioni richiamarono l'attenzione sui poteri previsti e sugli oggetti di riferimento. Quanto ai poteri, conferiti direttamente o conferibili sulla base di specifici accordi, se non parve dubbio che abbracciassero tutte le funzioni di tutela, la conservazione in capo allo Stato della potestà di indirizzo e vigilanza e di quella sostitutiva in caso di inerzia, spinse, a ragione, a considerarli come conferiti (o conferibili) più a titolo di delega che di trasferimento [5]. Quanto agli oggetti, se venivano riprese pressoché integralmente le dizioni contenute nell'art. 2, comma 2, lett. c), del t.u. del 1999, se ne ampliava l'ambito: per un verso, menzionando anche "raccolte librarie" e " carte geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi negativi e matrici", per altro verso, si precisava che la tutela regionale riguardava detti oggetti a chiunque appartenessero, salvo che allo Stato (e quindi concernesse non solo gli oggetti di proprietà privata, come in precedenza indicava il t.u. del 1999 all'art. 6, comma 4).

Una disciplina specifica, e in termini non del tutto chiari, era peraltro dettata per le raccolte librarie private. L'art. 5, al comma 2, comprendeva nel conferimento ex lege delle funzioni di tutela le raccolte librarie "non appartenenti allo Stato o non sottoposte alla tutela statale", mentre, al comma 3, stabiliva che il conferimento sulla base di specifici accordi delle stesse funzioni riguardasse le raccolte "private". Il che induceva agevolmente a ritenere che la tutela regionale discendente direttamente dal d.lg. 42/2004 avesse ad oggetto solo le raccolte librarie di enti pubblici diversi dallo Stato [6], ma lasciava aperta la questione se fra le raccolte librarie "sottoposte a tutela statale" (e quindi escluse dal conferimento ex lege) potessero annoverarsi, oltre a quelle private (fino al conferimento ai sensi del comma 3), anche altre raccolte. La soluzione prospettata in genere dalla dottrina fu nel senso di ritenere ammissibile che il ministero sottoponesse a tutela statale le raccolte librarie di enti pubblici [7]. Il risultato cui si perveniva, però, era di immettere un elemento di incertezza nel conferimento alle regioni delle funzioni di tutela concernenti le raccolte librarie e costringeva ad ipotizzare un atto di apposizione di vincolo 'atipico', giacché per le raccolte librarie di enti pubblici non erano - e non sono - previste dall'art. 13, comma 2, né la dichiarazione né la verifica dell'interesse culturale.

3. La questione dei "documenti"

Ad ogni modo la dottrina trascurò di approfondire la natura dei "documenti", che comparivano fra i beni la cui tutela veniva conferita direttamente alle regioni dal comma 2.

Come è noto, il concetto di documento non è univoco nel campo della legislazione amministrativa, ma varia in ragione degli interessi di volta in volta considerati. Così in particolare sussistono la nozione di 'documento amministrativo', fissata dall'art. 22, comma 1, lett. d), della legge 7 agosto 241, n. 241, ai fini della disciplina del diritto di accesso, e quella di 'documento informatico' indicato dall'art. 1, comma 1, lett. b), del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, in tema di documentazione amministrativa. Su tali nozioni non occorre peraltro soffermarsi, perché formulate per contesti estranei a quelli tenuti presenti dal d.lg. 42/2004, anche se può essere notata la latitudine in cui le nozioni di documento si muovono, con riguardo alle entità di riferimento (atti, fatti e dati, nel d.p.r. 445/2000) e alla natura del supporto materiale sul quale poggia la rappresentazione di tali entità (qualunque specie secondo la legge 241/1990).

Nel d.lg. 42/2004 il termine documento compariva nell'art. 10, comma 2, lett. b), e comma 3, lett. b), nonché negli artt. 41, comma 1, e 122, 123 e 127, ed era associato al termine archivio. Questa associazione era il riflesso della confluenza intervenuta nel t.u. del 1999 - e poi transitata nel d.lg. 42/2004 - dei contenuti del d.p.r. 30 settembre 1963, n. 1409, sull'ordinamento degli archivi di Stato, per effetto della riconduzione al novero dei beni culturali dei beni archivistici e in particolare dell'assimilazione degli archivi e documenti agli altri beni culturali quanto a regime di individuazione e tutela (art. 2, comma 1, lett. d), e art. 10 del t.u., nonché art. 10, comma 2, lett. b), comma 3, lett. b), e comma 5, del d.lg. 42/2004).

La domanda che allora poteva porsi risultava la seguente: era al concetto (o 'tipo') di documento racchiuso in tali disposizioni che voleva alludere la menzione di "documenti" contenuta nell'art. 5, comma 2, per definire l'ambito materiale delle funzioni di tutela conferite alle regioni ordinarie? In altre parole, la tutela regionale era riferita anche ai documenti considerati dal d.lg. 42/2004 insieme agli archivi, in ragione dell'interesse storico o giuridico-amministrativo presentato, ossia - secondo un'incisiva espressione [8] - ai documenti in quanto "oggetti suscettibili di costituire 'materiale archivistico'"?

La risposta doveva considerarsi senz'altro negativa. Anzitutto per motivi di ordine organizzativo. Il conferimento alle regioni delle funzioni di tutela in tema di documenti (intesi nel senso appena indicato) e il mantenimento in capo dello Stato delle stesse funzioni in tema di archivi, sarebbe risultata semplicemente un 'non senso' considerato che gli uni e gli altri compongono una categoria (quella dei beni archivistici) del tutto unitaria in termini materiali (un archivio non è altro che un corpus di documenti) e in rapporto agli interessi che ne fondano la salvaguardia.

Nella direzione contraria deponevano poi i dati testuali. Come si è detto, dall'art. 5, comma 2, del d.lg. 42/2004 venivano ripresi gli oggetti menzionati dall'art. 2, comma 2, lett. c), del t.u. del 1999 e in precedenza dall'art. 1, comma 1, lett. c), della legge 1089/1939, relativamente ai quali (se di proprietà privata) rispettivamente l'art. 6, comma 4, del t.u. del 1999 e l'art. 9, comma 1, lett. b), del d.p.r. 3/1972 affidavano alle regioni ordinarie la competenza a dichiarare l'interesse particolarmente importante. Vi era dunque una perfetta continuità, sotto il profilo degli oggetti, fra i quali comparivano appunto i "documenti".

Come già la dottrina aveva chiarito sotto il vigore della legge 1089/1939 e confermato con il sopravvenire del t.u. del 1999, i documenti menzionati assieme ai manoscritti, autografi, carteggi ecc. esprimevano fattispecie diverse rispetto ai documenti associati agli archivi nel d.p.r. 1409/1963 e nel t.u. del 1999. Nel primo caso, i documenti componevano i beni librari ed erano soggetti alla disciplina vincolistica in quanto presentanti un interesse artistico (carattere di rarità e di pregio). Nel secondo caso, essi costituivano beni archivistici e la loro soggezione a vincolo derivava dalla presenza di un interesse storico da accertare (se appartenenti a privati) o di un valore giuridico-amministrativo sussistente ex se (se appartenenti ad enti pubblici) [9].

Sul piano sistematico emergeva pertanto che il d.lg. 42/2004 aveva voluto confermare il riparto delle funzioni di tutela fra Stato e regioni mantenendo in capo al primo quelle relative ai documenti-beni archivistici, alle seconde quelle concernenti i documenti-beni librari (come specie dei beni artistici).

Della polisemia del termine documento gli estensori del d.lg. 42/2004 erano peraltro ben consapevoli. Nell'indicare la tipologia dei beni culturali ripresero all'art. 10, comma 4, lett. c), esattamente la dizione dell'art. 2, comma 2, lett. c), del t.u. del 1999, a sua volta identica a quella dell'art. 1, comma 1, lett. c), della legge 1089/1939, ma con una variante: omettendo l'indicazione dei "documenti notevoli". E ciò, è da pensare, per un'esigenza di chiarezza nell'ordine dei concetti, ma, è da aggiungere, senza riflessi di sorta di tipo sostanziale. Se l'associazione a manoscritti, autografi ecc. lasciava chiaramente intendere il carattere cartaceo dei documenti, e se l'aggettivazione 'notevoli' poteva far supporre l'esistenza altresì di una valenza storica negli stessi documenti [10], ben difficilmente, anche dopo la messa a punto dell'art. 10, comma 4, lett. c), un documento cartaceo di interesse storico non sarebbe rientrato strutturalmente fra i manoscritti, gli autografi o i carteggi ecc., per ricadere, presentando i tratti della rarità e del pregio, fra i beni librari tutelati da tale disposizione.

Del nuovo dato formale ad ogni modo avrebbe dovuto tener conto l'art. 5, comma 2, in quanto norma di riparto di funzioni per i beni indicati nell'art. 10, comma 4, lett. c). Il che non avvenne, presumibilmente, solo per un difetto di coordinamento nella redazione del testo del decreto. Il dato sostanziale non risultava però toccato: per le ragioni sulle quali ci si è sopra soffermati, risultava fuori discussione che la competenza regionale in termini di tutela concernesse i "documenti" rilevanti come beni artistici (librari) e non come beni archivistici.

4. Le modifiche apportate dal d.lg. 24 marzo 2006, n. 156

All'assetto appena descritto il d.lg. 156/2006 ha introdotto tre ordini di modifiche, che hanno trovato il parere favorevole della Conferenza unificata [11].

Anzitutto è stato eliminata dal comma 2 dell'art. 5 la dizione "documenti" presente in precedenza. La relazione illustrativa rileva al riguardo che "nell'intento di rendere più chiari la consistenza ed i limiti del conferimento alle regioni delle funzioni di tutela relative ai "beni librari" ..., si è provveduto ad espungere dall'elenco delle cose costituenti oggetto di conferimento i "documenti" stante l'interesse preminentemente archivistico di tale tipologia di beni culturali". Ci si può limitare ad osservare che la modifica raccorda la disposizione con quella dell'art. 10, comma 4, lett. c), e comunque sul piano sostanziale non ha inciso sulle funzioni in precedenza conferite alle regioni.

La seconda modifica ha riguardato le raccolte librarie. Il loro regime è stato assimilato a quello di altri beni librari. Per un verso, le funzioni di tutela conferite alle regioni dal comma 2 concernono ora le raccolte non solo degli enti pubblici diversi dallo Stato, ma anche quelle dei privati. Per altro verso, è venuta meno l'esclusione dal conferimento delle raccolte "sottoposte alla tutela statale", formula questa che aveva costituito fonte di incertezze interpretative. Per altro verso ancora, conseguentemente, i compiti di tutela sulle raccolte librarie private non costituiscono più oggetto di possibile conferimento ex comma 3.

In breve, l'assetto delle competenze a seguito delle modifiche introdotte all'art. 5 risulta razionalizzato e più chiaro:

a)  i compiti di tutela sui beni librari in genere sono stati dal comma 2 direttamente ripartiti dal Codice secondo il criterio dominicale: allo Stato, quelli concernenti i beni di appartenenza statale, alle regioni, quelli relativi ai beni appartenenti a privati o ad altri enti pubblici;

b)  i compiti di tutela su carte geografiche e spartiti musicali nonché sui beni audiovisivi possono invece, nel rispetto del criterio dominicale, essere conferiti alle regioni, sulla base di specifici accordi.

Vi è, infine, una terza modifica, in qualche modo 'compensativa' per lo Stato dell'ampliamento delle competenze regionali. Nel caso di beni librari con compiti di tutela direttamente conferiti, "qualora l'interesse culturale ... sia stato riconosciuto con provvedimento ministeriale, l'esercizio delle potestà previste dall'art. 128 compete al ministero". (nuovo art. 5, comma 2). Il portato della disposizione non risulta del tutto chiaro. L'art. 128 del Codice concerne le notifiche effettuate a norma della legislazione precedente, prevedendo a seconda dei casi la sottoposizione ad una nuova dichiarazione dell'interesse culturale ex art. 14 o al suo rinnovo [12]. Dunque, letteralmente le sole potestà di spettanza statale sarebbero inerenti alla dichiarazione di interesse, mentre gli altri compiti di tutela dovrebbero essere intesi come conferiti alle regioni. Il che, però suscita qualche perplessità sulla congruità del riparto.

In ogni caso, quale che siano cioè i termini del riparto medesimo, è da rilevare che il ministero ormai non dispone più di un apparato periferico specificamente dedicato alla tutela dei beni librari. Come si ricordò, le soprintendenze ai beni librari sono state trasferite alle regioni con il d.p.r. 3/1972, sicché le funzioni di competenza statale secondo il nuovo comma 2 non vanno esenti da dubbi circa le forme di concreto esercizio.

Sia consentita un'osservazione: una volta deciso in sede di decreto correttivo di razionalizzare il conferimento alle regioni delle funzioni di tutela sui beni librari, sarebbe stato più 'lineare' (sul piano funzionale e organizzativo) stabilire che anche i compiti menzionati dall'art. 128 fossero di pertinenza regionale. Oltretutto lo Stato, anche dopo il d.lg. 156/2006, conserva in materia poteri di indirizzo, vigilanza e sostituzione (art. 5, comma 7).

Purtroppo, però, ancora una volta i principi di 'responsabilità e unicità dell'amministrazione', che l'art. 4, comma 2, lett. e), della legge 15 marzo 1997, n. 59, aveva posto a guida del conferimento di funzioni, sembrano appartenere ad una dimensione astratta.

 

Note

[1] Con la dizione Codice si farà nel prosieguo riferimento al testo del d.lg. 42/2004 come integrato dal d.lg. 156/2006.

[2] Le due tipologie erano esplicitamente menzionate dall'art. 2, comma 1, lett. d) ed e), e commi 4 e 5, del d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo Unico).

[3] Relazione presentata alla riunione del Consiglio dei ministri del 29 settembre 2003.

[4] P. IV.

[5] Cfr. G. Pastori, Art. 5, in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, coordinato da M. Cammelli, il Mulino, Bologna 2004, 84. Diversamente N. Aicardi, Art. 5, in Codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Trotta, G. Caia, N. Aicardi, in Le nuove leggi civ. comm., 2004, 1079.

[6] Cfr. G. Pastori, Art. 5, cit., 85 e N. Aicardi, Art. 5, cit., 1081.

[7] Cfr. G. Pastori, op. loc. ult. cit. e N. Aicardi, Art. 5, cit., che riteneva ammissibile l'assoggettamento a tutela statale anche delle raccolte librarie private una volta che la relativa tutela fosse stata conferita alle regioni ai sensi del comma 3.

[8] L'espressione è di A.M. Sandulli, voce Documento, in Enc. dir., vol. XIII, 1964, 608.

[9] Cfr. T. Alibrandi, P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Giuffrè, Milano 2001, 186 s. e 206 s., e in precedenza A. Anzon, Il regime dei beni culturali nell'ordinamento vigente e nelle prospettive di riforma, in Ricerca sui beni culturali, a cura della Camera dei Deputati, Roma 1975, 119 ss. Al primo caso venivano ricondotti anche i documenti, che pur presentando un interesse storico, avevano i caratteri della rarità e del pregio.

[10] A.M. Sandulli, voce Documento, cit., 610 s.

[11] Cfr. Conferenza unificata, Rep. Atti n. 901 del 26 gennaio 2002.

[12] Cfr. M. Brocca, Art. 128, in Il Codice, cit., 497 ss.

 

 



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