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L'intervento delle regioni a favore dei musei: uno scenario in profondo cambiamento

di Alberto Garlandini

Sommario: 1. La riforma costituzionale e il ruolo delle regioni in materia di musei. - 2. Regioni e musei nel Codice dei beni culturali e del paesaggio. - 3. Le correzioni del Codice in materia di gestione dei musei pubblici. - 4. I musei statali e i sistemi museali regionali. - 5. Standard nazionali e interventi regionali. - 6. L'attuazione del decreto sugli standard museali da parte delle regioni: certificazione della qualità e accreditamento. - 7. L'accreditamento dei musei nell'esperienza della regione Lombardia. - 8. I requisiti minimi per il riconoscimento. - 9. Accreditamento e valorizzazione delle professioni museali. - 10. L'accreditamento come processo di crescita: l'autovalutazione e il monitoraggio regionale. - 11. L'esperienza della regione Lombardia nel sostegno della gestione associata dei musei. - 12. Dieci regole per il successo dell'accreditamento dei musei.

1. La riforma costituzionale e il ruolo delle regioni in materia di musei

La riforma costituzionale del 2001 [1] sta portando innovazioni profonde nelle politiche regionali [2] a favore dei musei. La riforma costituzionale approvata il 16 novembre 2005, nota come devolution, non è entrata in vigore a causa del risultato negativo del referendum confermativo; per altro, per quanto riguarda i musei, non modificava lo scenario del 2001. Il nuovo quadro costituzionale presenta tre aspetti che sono di particolare rilevanza per il rapporto tra regioni e musei.

Il primo riguarda le potestà legislative regionali previste dalla Costituzione. L'articolo 117 ribadisce la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela (al contrario di quanto era previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, articolo 48 [3]), e assegna alle regioni poteri legislativi concorrenti nella valorizzazione dei beni e nella promozione e organizzazione delle attività culturali. Ciò significa che in tali materie lo Stato può emanare solo disposizioni legislative di principio, la cui attuazione è affidata alle regioni. Per quanto riguarda musei e beni culturali, i principi cui devono fare riferimento le normative regionali sono individuati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio [4].

La seconda questione che vorrei evidenziare è relativa al principio costituzionale della sussidiarietà. L'articolo 118 della Costituzione [5] sancisce la sussidiarietà verticale e attribuisce ai comuni la gestione dei servizi pubblici, con la sola eccezione dei casi in cui esigenze di esercizio unitario impongano una diversa allocazione a province, a regioni ed, in ultima analisi, allo Stato. Lo stesso articolo introduce la sussidiarietà orizzontale e dà ai soggetti privati un ruolo importante nella gestione dei servizi pubblici [6]. In altre parole, la gestione diretta di musei da parte dello Stato deve considerarsi eccezionale. La gestione dei musei di norma va affidata agli enti locali e a soggetti privati o misti. Al contrario, lo Stato italiano, caso unico in Europa, gestisce direttamente quasi 500 musei [7], 46 biblioteche e centinaia di aree archeologiche e monumenti. Pochi musei statali possono essere considerati nazionali, e quindi avulsi dalle dinamiche locali. La più parte ha una missione e un ruolo simili a quello degli altri musei non statali ed è parte integrante dell'offerta culturale del territorio e dell'identità delle comunità locali.

Per superare la gestione centralizzata, l'art. 150 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 [8] aveva attivato una procedura per trasferire la gestione di musei e beni statali agli enti locali. I risultati sono stati nulli e l'articolo 150 del d.lg. 112/1998 è stato abrogato dal Codice [9]. La possibilità di trasferire alle regioni e agli enti pubblici territoriali la disponibilità di musei ed altri istituti e luoghi della cultura statali è ora prevista dall'articolo 102 Fruizione degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica [10].

La terza questione è relativa alla gestione dei musei statali. Nel 2002 un parere del Consiglio di Stato [11] bocciò il regolamento proposto dal ministero per i Beni e le Attività culturali allo scopo di costituire società di valorizzazione dei beni culturali statali. Il motivo era che il nuovo quadro costituzionale permetteva allo Stato di individuare i principi della valorizzazione e non di emanare regolamenti, di competenza regionale. A seguito del parere del Consiglio di Stato, il ministero si trovò impossibilitato a regolamentare il funzionamento dei propri musei. E' stata la Corte costituzionale a risolvere la questione. Con la sentenza del 19 dicembre-20 gennaio 2004, n. 26 ha introdotto la titolarità giuridica del bene come discrimine nel riparto delle funzioni. In altre parole, lo Stato ha potestà normativa e regolamentare non solo in materia di tutela, ma anche di valorizzazione e fruizione dei propri musei.

In materia di musei e di beni culturali, la riforma costituzionale determina una forte bipolarità di poteri e di ruoli tra Stato e regioni. In primo luogo, lo Stato ha le competenze di tutela dei beni culturali e le regioni quelle di valorizzazione e di promozione. In secondo luogo, le regioni hanno la responsabilità di governo dell'intero sistema dei musei e dei servizi culturali, con l'esclusione di quelli di proprietà dello Stato. Al fine di ricomporre la possibile divaricazione fra l'azione dello Stato e delle regioni, la Costituzione prevede intese interistituzionali [12].

La sentenza 13-27 luglio 2004, n. 272 della Corte costituzionale ha ulteriormente ampliato le responsabilità regionali nella gestione dei musei poiché ha sancito che la disciplina della gestione dei servizi pubblici privi di rilevanza economica rientra nella potestà esclusiva delle regioni. La competenza esclusiva dello Stato sulla gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica è giustificata dal fatto che rientra nell'ambito della "tutela della concorrenza", materia riservata dall'art. 117 della Costituzione alla competenza legislativa esclusiva statale.

2. Regioni e musei nel Codice dei beni culturali e del paesaggio

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio ha aggiornato la normativa di settore alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione. L'articolo 6 Valorizzazione del patrimonio culturale fornisce una definizione ampia delle attività di valorizzazione: esse comprendono la conoscenza, l'utilizzazione, la fruizione pubblica e la conservazione dei beni. L'articolo 7 Funzioni e compiti in materia di valorizzazione del patrimonio culturale conferma le potestà legislative regionali in materia di valorizzazione e di promozione. Gli articoli 102, comma 2, e 112, comma 2, ribadiscono che la legislazione regionale disciplina la fruizione e la valorizzazione dei beni presenti nei musei e negli altri istituti e luoghi della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità.

Se si eccettua gli articoli 101 e seguenti dedicati agli istituti e luoghi della cultura, il Codice fa riferimento non ai musei, bensì ai beni conservati nei musei, e in particolare alle raccolte dei musei pubblici, che ai sensi dell'articolo 10, comma 2, lettera a), sono considerati beni culturali ipso iure.

L'articolo 101 Istituti e luoghi della cultura, fornisce una corretta definizione di museo, oltre che di biblioteca, archivio, area archeologica, parco archeologico, complesso monumentale. Per museo vi si intende un istituto permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio. Se appartenente a soggetti pubblici e destinato alla fruizione pubblica, il museo è un servizio pubblico; se appartenente a soggetti privati e aperto al pubblico, è un servizio privato di utilità sociale. Questo riconoscimento è importante, se si considera che la legge 1° giugno 1939, n. 1089 [13] non citava il museo e il Testo unico sui beni culturali del 1999 [14] nell'articolo 99, comma 2, forniva una riduttiva definizione di museo statale come struttura per la conservazione, la valorizzazione e la fruizione pubblica di raccolte di beni culturali. Nella definizione di museo del Codice rimangono escluse le funzioni di ricerca e le finalità di diletto previste dall'International Council of Museums. Spetta alle normative regionali superare tale limite e riprendere integralmente la definizione di Icom, come peraltro alcune regioni hanno già fatto.

Nel Codice sono previsti accordi tra le amministrazioni pubbliche per varie finalità, anche attraverso intese o pareri delle Conferenze Stato-regioni o Stato-regioni-enti locali. Segnalo le intese previste in materia di tutela (artt. 5, comma 3, e 5, comma 4), di catalogazione e di inventariazione (art. 17, comma 3), di vigilanza (art. 18, comma 2), di conservazione (art. 29), di interventi conservativi (art. 40, comma 3), di fruizione e di accesso agli istituti e ai luoghi della cultura (artt. 102, comma 4, 102, comma 5, 103, comma 1), di valorizzazione (art. 112), di livelli uniformi di qualità della valorizzazione (art. 114, comma 1), di promozione delle attività di studio, ricerca e documentazione e di istituzione di centri permanenti regionali o interregionali (art. 118), di diffusione della conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole (art. 119, comma 1), di accordi con le fondazioni bancarie (art. 121, comma 1).

3. Le correzioni del Codice in materia di gestione dei musei pubblici

Gli articoli del Codice sulla valorizzazione e sulla gestione dei musei pubblici sono stati modificati dal decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156 [15]. In generale, le correzioni apportate alla Parte seconda del Codice non ne modificano l'impianto; fanno eccezione gli articoli 112 Valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica, 115 Forme di gestione e 116 Tutela dei beni culturali conferiti o concessi in uso, che sono stati corretti per allinearli alla normativa europea in materia di servizi pubblici.

La gestione diretta o "in economia" è prevalente nei musei pubblici: è la forma gestionale esclusiva dei musei statali - fatta eccezione per la Fondazione Museo egizio di Torino, peraltro ancora in via di tribolata attivazione - ed è ampiamente maggioritaria nei musei degli enti locali. Il testo corretto del Codice conferma che i musei gestiti in economia debbono essere strutture autonome - dal punto di vista scientifico, organizzativo, finanziario e contabile - e provviste di idoneo personale tecnico. E' stata aggiunta la previsione, condivisibile nella logica della gestione associata, che i musei pubblici possano essere gestiti anche in forma consortile pubblica [16].

In precedenza il Codice considerava la gestione in economia come residuale [17] e la gestione indiretta come scelta ordinaria per i musei pubblici. Ora la gestione indiretta è giustificata solo se garantisce una migliore efficacia e sostenibilità economico-finanziaria. Stato, regioni ed enti pubblici territoriali possono stipulare accordi di valorizzazione dei musei pubblici e, con il consenso degli interessati, anche di quelli privati. Tali accordi possono prevedere la costituzione di appositi soggetti giuridici (fondazioni o altri soggetti associativi), cui le pubbliche amministrazioni possono conferire propri musei. A tali soggetti giuridici possono partecipare sia privati proprietari di beni da valorizzare, sia persone giuridiche senza fine di lucro, cui è comunque vietato diventare concessionarie delle attività di valorizzazione.

La gestione indiretta di musei pubblici o delle loro attività di valorizzazione è attuata con concessione a terzi mediante procedure di evidenza pubblica, anche in forma congiunta e integrata. Le procedure di concessione prevedono una valutazione comparativa dei diversi progetti. I rapporti con i concessionari si basano su un contratto di servizio, comprendente il progetto di gestione, la tempistica, la qualità delle attività e dei servizi, le professionalità degli addetti, i servizi essenziali ed ineludibili.

Se il museo pubblico è conferito ad un soggetto privato di gestione, la titolarità della vigilanza sui concessionari permane in capo anche alla amministrazione pubblica proprietaria. Coerentemente con quanto previsto dall'articolo 13 [18], l'articolo 116 novellato ribadisce che, se conferite a nuovi soggetti o concesse in uso, le raccolte dei musei pubblici rimangono soggette al Codice. Una corretta distinzione tra le funzioni di tutela e quelle di gestione - e cioè tra il ruolo di controllore e quello di controllato - è espresso nella parte finale dell'articolo 116, ove si prevede che le strutture statali preposte alla tutela non possono partecipare agli organismi di gestione.

Le norme del Codice sulle forme di gestione sono vincolanti in ogni dettaglio per i musei statali. Per le altre amministrazioni pubbliche esse assumono la funzione di principi fondamentali. Di conseguenza, le regioni hanno ampi spazi per promuovere forme innovative di gestione diretta e indiretta dei musei.

4. I musei statali e i sistemi museali regionali

I musei statali sono distribuiti in modo disomogeneo sul territorio nazionale. Sono meno numerosi nelle regioni settentrionali, dove è presente una fitta rete di musei civici e privati, e più presenti nelle regioni centrali e in quelle del sud. Il fatto che la valorizzazione e la fruizione dei musei statali competa allo Stato e quella di tutti gli altri musei spetti alle regioni rappresenta una criticità. Le norme regionali rilevano per tutti i musei pubblici e privati, tranne che per quelli statali. Ciò non dovrà impedire che i musei statali tengano conto degli indirizzi regionali, si coordinino con le regioni e gli enti locali e si integrino con i sistemi locali.

E' compito delle regioni promuovere la programmazione integrata degli interventi. Inefficaci si sono dimostrate le Commissioni per i beni e le attività culturali previste dagli articoli 154 e 155 del citato d.lg. 112/1998. Esse avrebbero dovuto armonizzare e coordinare in ogni regione le iniziative di Stato, regione, enti locali ed altri soggetti pubblici e privati, anche attraverso piani integrati di valorizzazione. Purtroppo il ministero non le ha considerate strategiche, ne ha ritardato la costituzione e non ne ha sostenuto le attività. Rincresce, ma non sorprende, che l'articolo 6 del decreto legislativo correttivo del Codice ne abbia sancito l'abrogazione. Il quadro di riferimento per la cooperazione interistituzionale è il nuovo articolo 112 del Codice, ove si prevedono accordi tra Stato, regioni e gli altri enti pubblici territoriali per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare piani strategici di sviluppo culturale.

5. Standard nazionali e interventi regionali

L'8 maggio 2003, nel periodo in cui era in atto un vivace confronto tra ministero e regioni per la stesura del Codice, la Conferenza dei Presidenti delle regioni approvò il documento Più tutela e più valorizzazione del patrimonio culturale. Proposte delle regioni per allargare i soggetti che concorrono con lo Stato alla tutela dei beni culturali. Il documento regionale proponeva la ricomposizione dell'azione pubblica attraverso un miglior raccordo tra Stato e regioni. Il fine era quello di potenziare sia le attività di tutela, sia quelle di valorizzazione. Per evitare contrapposizioni e favorire la cooperazione, si indicava come esempio positivo il decreto ministeriale del 10 maggio 2001 sugli standard museali [19]. Per le regioni comuni standard di tutela e di valorizzazione costituiscono un primo passo verso la costituzione di una rete di operatori in grado di agire in modo sinergico, indipendentemente dalla natura degli istituti in cui lavorano. Questo orientamento è stato riconfermato nella VIII legislatura regionale. Il 9 settembre 2005 i nuovi assessori ai beni e alle attività culturali delle regioni, riuniti a Cagliari, hanno approvato una risoluzione in cui si riconoscevano nel documento dei presidenti delle regioni approvato nel 2003 e ribadivano la necessità di cogliere tutte le opportunità di collaborazione previste dal Codice.

La definizione di standard nazionali di buona gestione risponde ai principi che l'articolo 118 della Costituzione pone alla base del riparto delle funzioni amministrative: sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. La sussidiarietà porta la gestione dei servizi il più vicino possibile ai cittadini. La differenziazione prevede che i servizi debbano essere organizzati tenendo conto delle diverse specificità territoriali. Il principio di adeguatezza comporta che la valorizzazione e la gestione dei servizi debbano essere appropriate e capaci di produrre più qualità e più valore pubblico. In altre parole, i servizi pubblici devono essere gestiti secondo standard di qualità.

In coerenza con quanto affermato dall'articolo 117, comma 2, della Costituzione [20], l'articolo 114 Livelli di qualità della valorizzazione del Codice prevede che ministero, regioni e gli altri enti pubblici territoriali, anche con il concorso delle università, fissano i livelli minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione. Spetta alle regioni non solo perseguire i livelli minimi nazionali, ma migliorarli e adattarli alle specificità locali.

Da tempo standard museali sono stati individuati a livello internazionale: già nel 1986 Icom aveva approvato i principi base per il governo di un museo. Con ritardo, l'Italia ha espresso standard museali nazionali solo nel 2001. Essi nascono grazie al citato art. 150 del d.lg. 112/1998, che contemplava la costituzione di una commissione nazionale per individuare quali musei statali dovessero essere trasferiti agli enti locali. Era prevista anche la stesura di una sorta di disciplinare tecnico che stabilisse standard qualitativi per la gestione dei musei da trasferire. Sotto la spinta di regioni ed enti locali, la commissione venne istituita e dopo tre anni licenziò il ponderoso atto di indirizzo. Per volontà del ministero nessun museo statale fu conferito agli enti locali e così il documento sugli standard non servì allo scopo previsto. In compenso, è diventato il riferimento tecnico-scientifico per tutti i musei italiani, indipendentemente dalla loro natura istituzionale.

6. L'attuazione del decreto sugli standard museali da parte delle regioni: certificazione della qualità e accreditamento

Per attuare quanto previsto dal decreto sugli standard occorrono nuove politiche, innanzitutto da parte delle regioni. Ministero, regioni, enti locali e professionisti museali avevano concordato su alcune indicazioni strategiche, che furono così sintetizzate nell'introduzione del documento nazionale: "il necessario passaggio in vista dell'applicazione degli standard ai musei e ai beni culturali del Paese, prescindendo dalla proprietà e dalla gestione, è la definizione di processi di certificazione secondo praticabili percorsi di accreditamento".

E' la prima volta che certificazione di qualità e accreditamento trovano spazio in documenti ufficiali relativi ai musei. In precedenza, qualcosa di simile (apparentemente) era stato previsto dalla legge 22 settembre 1960, n. 1080 [21], concernente i musei non statali. Essa contemplava una ripartizione in musei multipli, grandi, medi e minori; gli enti proprietari dovevano predisporre "un regolamento di organizzazione e di funzionamento" entro un anno dalla classificazione. La legge 1080/1960 era la risposta alle aspettative dei direttori di musei civici che volevano dare visibilità ai musei non statali, allora fortemente sottovalutati. I risultati non furono all'altezza delle aspettative, sia perché lo scenario culturale non era ancora maturo per l'innovazione, sia perché la legge esprimeva un approccio minimalista negli obiettivi e negli strumenti.

L'effetto pratico di tale legge fu quasi nullo, ma ebbe qualche influenza sulle prime leggi regionali in materia di musei: alcune di esse contemplavano una classificazione simile a quella della legge 1080/1960. La legge della regione Lombardia [22] prevedeva una ripartizione dei musei in grandi, medi e minori; tale classificazione venne approvata una sola volta nel 1978 e non produsse risultati di rilievo. Nessuna delle condizioni di successo per l'accreditamento che propongo al capitolo 12 erano presenti in queste esperienze regionali di classificazione e ciò, a mio avviso, ne spiega il fallimento.

7. L'accreditamento dei musei nell'esperienza della regione Lombardia

La normativa di settore non affronta il tema dell'accreditamento né dei musei né di alcun servizio culturale. L'accreditamento non ha valenze di tutela. Sono di competenza statale tutte le attività necessarie a qualificare come bene culturale le raccolte dei musei: sia l'eventuale accertamento delle condizioni per il riconoscimento ex lege delle raccolte di musei di enti pubblici (articolo 10, comma 2, del Codice); sia la verifica dell'interesse culturale delle raccolte di musei di persone giuridiche private senza fine di lucro (ex art. 12, comma 1); sia la dichiarazione dell'interesse culturale delle raccolte dei musei di singoli e di persone giuridiche private con fine di lucro (ex art. 13, comma 1).

L'accreditamento rientra nell'ambito della valorizzazione ed è uno strumento per migliorare la qualità dei musei. La regione Lombardia è stata la prima regione, e sinora l'unica, a completare l'accreditamento dei musei [23], ma altre regioni prevedono forme simili di certificazione e di promozione della qualità.

In Lombardia il tema dell'accreditamento è stato affrontato in termini intersettoriali. Nel giugno 2003 la Scuola superiore di alta amministrazione della regione Lombardia organizzò un workshop internazionale [24] per studiare le esperienze di accreditamento nella istruzione e formazione professionale, nella sanità, nei servizi culturali. Nella discussione si concordò sulla definizione generale di accreditamento. Si ha un accreditamento quando una istituzione pubblica, in questo caso la regione, riconosce la capacità di un soggetto autonomo, pubblico o privato, di svolgere un servizio pubblico in modo appropriato, efficace ed efficiente. L'accreditamento non è quindi né l'autorizzazione ad esercitare un servizio pubblico, né una certificazione di conformità delle procedure di erogazione di tale servizio. Accreditare un servizio vuol dire riconoscerne un determinato livello di qualità, indipendentemente dalle modalità attraverso cui viene erogato.

Nel workshop si verificò che le finalità e le modalità di accreditamento sono simili, indipendentemente dal settore considerato. I processi di accreditamento richiedono che le amministrazioni pubbliche, i gestori dei servizi e i professionisti condividano i medesimi standard di qualità. Diversamente che altrove, per i servizi culturali la cooperazione è più importante della competizione al fine di generare processi di miglioramento e di apprendimento. Anche per questo motivo, la regione Lombardia ha deciso di promuovere l'accreditamento dei musei insieme a politiche di sostegno della gestione associata.

Il processo di accreditamento è iniziato nel 2002, quando la regione Lombardia ha costituito un gruppo di lavoro composto da professionisti dei musei (statali, civici, privati, ecclesiastici), delle province e delle associazioni museali. L'obiettivo del gruppo era di supportare la regione nella stesura degli indirizzi per l'accreditamento. Grazie a tale lavoro e alla discussione avvenuta nella prima conferenza dei musei lombardi [25], il 20 dicembre 2002 la Giunta regionale ha approvato i criteri per il riconoscimento regionale dei musei e delle raccolte museali di enti locali e di interesse locale [26]. Erano così individuati i dodici requisiti minimi, le linee guida sui profili professionali degli operatori e il questionario di autovalutazione da compilare on line. Nel 2003 hanno fatto domanda di riconoscimento 221 musei, circa il 65% delle realtà esistenti [27]. Nel novembre 2004 la Giunta regionale ha approvato il primo riconoscimento [28] che comprende 117 musei e raccolte museali non statali, più della metà di quanti avevano fatto richiesta [29]. La deliberazione contiene l'elenco dei musei e delle raccolte museali riconosciuti e di quelli non riconosciuti. Ad ognuno di essi sono indirizzate specifiche raccomandazioni della regione al fine sia di superare le criticità e i limiti rilevati, sia di sviluppare programmi di ulteriore miglioramento. Il riconoscimento ha valore fino al 2008.

8. I requisiti minimi per il riconoscimento

Nei processi di accreditamento i requisiti di entrata sono un fattore chiave di successo. Come sono stati definiti in Lombardia? Sono state escluse due possibilità: la prima era quella di individuare requisiti che permettessero il riconoscimento di quasi tutti i musei. Ciò avrebbe accontentato molti, ma l'accreditamento si sarebbe risolto in una perdita di tempo, un giro di carte senza alcun miglioramento della situazione. La seconda possibilità, anch'essa scartata, era di definire standard molto elevati, che avrebbero permesso di riconoscere solo una ristretta cerchia di istituti. Così facendo si sarebbe abbandonata la concezione sistemica che caratterizza la politica della regione: l'obiettivo è far crescere tutti i musei lombardi, non solo alcuni. A tal fine, sono stati individuati dodici requisiti che sono realistici standard-obiettivo per l'intero sistema museale lombardo [30]. Essi sono molto impegnativi e corrispondono alla definizione di museo di Icom e del Codice: per essere riconosciuti gli istituti devono essere formalmente istituiti, essere dotati di personale qualificato, essere aperti e svolgere continuativamente funzioni di servizio pubblico.

I requisiti lombardi sono un adattamento degli standard nazionali. I quattro requisiti relativi allo status giuridico hanno lo scopo di garantire la stabilità dei musei ed esigono la presenza di atti istitutivi, statuti e regolamenti, nonché la disponibilità di collezioni e sedi permanenti. In questa fase sperimentale non sono individuati requisiti obbligatori relativi all'assetto finanziario, ma la regione raccomanda agli enti proprietari di adottare programmi pluriennali di attività, di supportarli con adeguate risorse e di approvare un bilancio o un documento di rendicontazione. Il requisito relativo alle strutture prevede sia che il museo abbia spazi espositivi attrezzati e adeguati depositi, sia che le collezioni abbiano una collocazione fisica tale da impedire fenomeni di degrado.

Il requisito sul personale è dettagliato. Sono individuate le figure professionali obbligatorie: il direttore e/o il conservatore, il responsabile dei servizi educativi, il responsabile tecnico addetto alla sicurezza, il personale addetto ai servizi di custodia. Per ognuna di esse sono indicate le necessarie competenze tecnico-scientifiche e gestionali. Il requisito sulla sicurezza prevede che le sedi siano a norma sotto il profilo statico, impiantistico, igienico-sanitario e del superamento delle barriere architettoniche, e siano dotate di sistemi di sicurezza anti-incendio e anti-intrusione.

I due requisiti sulla gestione e cura delle collezioni prevedono che il museo sviluppi la ricerca scientifica e abbia il registro di ingresso e l'inventario secondo le norme nazionali e del Sistema Informativo Regionale per i Beni Culturali; inoltre, la regione raccomanda lo sviluppo della precatalogazione e della catalogazione dei beni. Tre requisiti sono dedicati ai rapporti con il pubblico e relativi servizi: i musei devono essere aperti 5 giorni a settimana, compreso il sabato e/o la domenica, per almeno 25 ore, mentre le raccolte museali 2 giorni a settimana per almeno 10 ore. I musei devono garantire spazi adeguati per l'organizzazione di attività educative e culturali ed avere, anche in sistema, una biblioteca e/o un centro di documentazione.

9. Accreditamento e valorizzazione delle professioni museali

Il riconoscimento delle professioni museali è una competenza statale. La sentenza n. 153 del 14 aprile 2006 della Corte costituzionale [31] ha confermato che l'individuazione di nuove figure professionali e la definizione dei relativi profili e titoli è riservata allo Stato e spetta alle regioni la disciplina dei soli aspetti che hanno un collegamento con la specifica realtà.

Le regioni possono fare molto per l'acquisizione, la valorizzazione e la formazione dei professionisti dei musei. Sulla base di quanto previsto dal citato decreto ministeriale sugli standard, varie regioni hanno individuato nella presenza di personale qualificato un requisito determinante per l'accreditamento dei musei e per la certificazione della loro qualità. Nel 2002 la regione Lombardia con i criteri per il riconoscimento ha approvato anche linee guida sui profili professionali delle cinque figure obbligatorie, di cui ha individuato le responsabilità ed attività, i requisiti di accesso, le competenze, i saperi e saper fare, sia tecnico-scientifici che manageriali. Icom e le altre cinque associazioni museali hanno ripreso e ampliato tale lavoro e il 24 ottobre 2005, a Milano, la prima Conferenza nazionale dei musei ha approvato la Carta nazionale delle professioni museali [32].

10. L'accreditamento come processo di crescita: l'autovalutazione e il monitoraggio regionale

Tutti i 221 musei che hanno chiesto il riconoscimento regionale si sono autovalutati fornendo il quadro dei propri punti di forza e di debolezza. Per verificare le loro criticità, il gruppo di lavoro regionale ha fatto un centinaio di sopralluoghi e di incontri con sindaci, assessori, presidenti, direttori e operatori. L'autovalutazione e il confronto con la regione Lombardia hanno innescato un positivo processo di interlocuzione tra gli amministratori e i direttori. Ciò ha portato a decisioni importanti: per ottenere il riconoscimento regionale molte amministrazioni hanno aggiornato statuti e regolamenti, hanno formalizzato nuovi incarichi professionali, deciso investimenti strutturali, accelerato progetti di riallestimento e di apertura di nuove sezioni, promosso forme di gestione associata.

L'autovalutazione ha costituito una banca dati che rappresenta lo strumento fondamentale per il monitoraggio regionale. Si è così verificato che dopo il 2003 molti musei non riconosciuti hanno migliorato la qualità del servizio, altri musei chiusi per lavori hanno riaperto al pubblico, nuovi musei sono stati inaugurati. In ragione di ciò, nel 2006 la regione ha riaperto i termini del riconoscimento, sulla base dei medesimi requisiti del 2002.

La regione Lombardia è impegnata non solo a monitorare e sostenere i musei riconosciuti, ma anche ad appoggiare le realtà non riconosciute che elaborano progetti per raggiungere i requisiti mancanti. I progetti per il raggiungimento dei requisiti sono prioritari nei bandi regionali per il sostegno ai musei, sia in conto corrente che in investimento. Grazie ai 51 accordi di programma promossi dalla regione Lombardia negli ultimi cinque anni [33] sono stati finanziati progetti di apertura o di riallestimento di 28 musei.

11. L'esperienza della regione Lombardia nel sostegno della gestione associata dei musei

L'esperienza lombarda conferma che la gestione associata di servizi, personale ed attività aiuta i musei a migliorare la qualità e a raggiungere i requisiti per il riconoscimento. Nel giugno 2002 la regione Lombardia ha definito le linee guida per lo sviluppo dei sistemi museali locali [34], dando attuazione al conferimento di funzioni alle province deciso nel 2000 [35]. Erano individuati i vantaggi economici, tecnico/organizzativi, scientifici e promozionali della gestione associata; le caratteristiche dei sistemi; le attività e i servizi che meglio possono essere gestiti in forma associata [36]. La regione Lombardia non ha predeterminato modelli e assetti organizzativi poiché la gestione associata può nascere e crescere solo attraverso un faticoso lavoro di studio e di sperimentazione locale. Al contrario di quanto è avvenuto con i sistemi bibliotecari, è inefficace una normazione regionale che definisca a priori le dimensioni intercomunali di aggregazione dei musei.

Secondo gli indirizzi regionali e grazie al coordinamento delle province, in tre anni si sono costituiti quattordici sistemi museali locali, cui partecipano circa 130 musei pubblici e privati e realtà similari. Tali sistemi si sovrappongono, senza sostituirli, ai soggetti che gestiscono i musei. Sono forme di coordinamento e di condivisione di risorse, persone e servizi su base consensuale e cooperativa. Cinque sistemi sono provinciali e nove subprovinciali e intercomunali. All'interno di ogni sistema è individuato un centro di coordinamento o capofila. Gli otto sistemi territoriali sono formati da istituti contigui dal punto di vista geografico e appartenenti ad una stessa area storico-culturale. I sei sistemi tematici sono formati da istituti omogenei per materia che cooperano per la realizzazione di iniziative di valorizzazione, promozione, studio e ricerca.

Per ora il livello di istituzionalizzazione è basso: i sistemi sono stati istituiti con atti convenzionali o grazie all'allargamento delle finalità di sistemi bibliotecari. L'esperienza consentirà di verificare se sussistono le condizioni per promuovere forme gestionali più stabili (con la costituzione di fondazioni, associazioni, consorzi).

Dal 2003 i bandi regionali per il sostegno ai musei prevedono anche il cofinanziamento di progetti realizzati in gestione associata da più musei: sono stati così avviati più di sessanta progetti, di cui un quarto già conclusi positivamente. Il ruolo delle province è stato determinante per lo sviluppo dei sistemi. Sulla base degli indirizzi regionali, ciascuna provincia ha approvato studi di fattibilità e individuato proprie modalità per la costituzione dei sistemi. Alcune province hanno organizzato sistemi provinciali, altre promuovono e coordinano la nascita di più sistemi subprovinciali, altre attuano un mix di azioni, altre ancora svolgono solo un ruolo di coordinamento, lasciando spazio alle iniziative autonome dei musei. Con il sostegno della regione, le province hanno promosso progetti di promozione e di comunicazione e hanno acquisito professionalità museali. Secondo gli indirizzi regionali, ogni provincia dovrà istituire uffici per i musei, come è avvenuto per i sistemi bibliotecari; per il momento solo alcune di esse hanno già provveduto in tal senso. Le comunità montane si sono dimostrate enti adatti alla gestione associata dei servizi culturali: il loro intervento permette sia di superare la frammentazione tipica dei musei siti in zone montane, sia di integrare i servizi culturali con le strutture di promozione ed educazione ambientale.

Dal 2004 i bandi regionali sostengono anche la costituzione di reti regionali di musei, e cioè di musei di tipologie affini che si organizzano per predisporre progetti di ricerca, valorizzazione e promozione a valenza regionale, nazionale e internazionale [37].

12. Dieci regole per il successo dell'accreditamento dei musei

Per concludere, sulla base dell'esperienza lombarda sintetizzo alcuni requisiti che a mio avviso sono necessari per portare a compimento i processi di accreditamento museale.

1. Occorre un riferimento condiviso a standard nazionali.

2. Ogni regione deve trasformare gli standard nazionali in realistici standard-obiettivo che tengano conto delle specificità locali.

3. L'accreditamento è un mix di politiche top-down, con iniziative dirette delle regioni, e bottom-up, con l'accoglimento dei bisogni e delle proposte provenienti dal territorio.

4. I requisiti e le procedure per l'accreditamento devono essere trasparenti, chiari e condivisi dagli amministratori, dai professionisti e dalle associazioni del volontariato e degli utenti.

5. L'autovalutazione va promossa contestualmente alla valutazione.

6. L'omogeneità e la serietà di giudizio deve sposarsi con la flessibilità e il realismo.

7. La comunità professionale va coinvolta nell'intero processo, specie nella valutazione che deve essere peer to peer.

8. L'accreditamento deve essere un processo continuo, monitorato e capace di offrire possibilità di crescita anche agli istituti inizialmente non riconosciuti.

9. Le regioni devono promuovere la gestione associata di servizi, di personale e di attività e la costruzione di sistemi.

10. Va promossa una rete di musei di eccellenza in grado di essere un riferimento per i musei con standard meno elevati.

 

Note

[1] Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.

[2] Sono qui analizzate le politiche a favore dei musei promosse dalle regioni a statuto ordinario, in quanto gli statuti delle regioni a statuto speciale hanno determinato specifici assetti della tutela e valorizzazione dei beni culturali.

[3] L'articolo 48 del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, prevedeva che "le funzioni amministrative delle regioni e degli enti locali in ordine alla tutela e valorizzazione del patrimonio storico, librario, artistico, archeologico, monumentale, paleoetnologico ed etno-antropologico saranno stabilite con la legge sulla tutela dei beni culturali da emanare entro il 31 dicembre 1979".

[4] Decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137.

[5] Il comma 1 dell'art. 118 della Costituzione così recita: "Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza."

[6] Il comma 4 dell'art. 118 della Costituzione così recita: "Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà".

[7] Non vi sono dati esatti, anche se le rilevazioni convergono sul fatto che i musei statali sono il 13/14% del totale: nel 1991 l'indagine diretta da D. Primicerio per conto del ministero del Bilancio e della Programmazione economica segnalava la presenza di 483 musei statali, nel 1995 l'ISTAT ha censito 492 musei statali e 204 monumenti e aree archeologiche, la recente rilevazione della Corte dei conti ha individuato 461 musei statali.

[8] Decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 112, Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59 (artt. 1-10; 148-155).

[9] L'articolo 150 del d.lg. 112/1998 è stato abrogato dall'articolo 184 Norme abrogate del Codice.

[10] L'articolo 102, comma 5, del Codice prevede che: "Mediante gli accordi di cui al comma 4 il ministero può altresì trasferire alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, la disponibilità di istituti e luoghi della cultura, al fine di assicurare un'adeguata fruizione e valorizzazione dei beni ivi presenti."

[11] Consiglio di Stato, 26 agosto 2002, n. 1794, Parere sullo schema di regolamento recante disposizioni concernenti la costituzione e la partecipazione a società da parte del ministero per i Beni e le Attività culturali a norma dell'art. 10 del d.lg. 20 ottobre 1998, n. 368 e successive modifiche.

[12] L'articolo 118, comma 3, della Costituzione prevede che la legge statale disciplini forme di intesa e di coordinamento fra Stato e regioni nella tutela dei beni culturali.

[13] La legge 1° giugno 1939, n. 1089 Normativa generale di tutela delle cose d'interesse artistico e storico è rimasta in vigore per 65 anni e ha improntato la politica culturale dello Stato italiano per tutto il XX secolo.

[14] Decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352.

[15] Decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156, Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 in relazione ai beni culturali, pubblicato sul Supplemento ordinario 102/L della Gazzetta Ufficiale 97 del 27 aprile 2006.

[16] La possibilità di gestire in comune uffici pubblici attraverso l'istituzione di "forme consortili non imprenditoriali" è confermata anche dal comma 9 del nuovo articolo 112.

[17] La precedente versione dell'articolo 115, comma 6, così recitava: "Gli altri enti pubblici territoriali ordinariamente ricorrono alla gestione in forma indiretta di cui al comma 3, lettera a), salvo che, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche dell'attività di valorizzazione, non risulti conveniente od opportuna la gestione in forma diretta."

[18] L'articolo 13 Dichiarazione dell'interesse culturale prevede che le raccolte dei musei pubblici rimangono sottoposte a tutela anche qualora i soggetti cui essi appartengono mutino in qualunque modo la natura giuridica.

[19] Ministero per i Beni e le Attività culturali, Decreto 10 maggio 2001. Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (art. 150, comma 6, d.lg. 112/1998).

[20] L'articolo 117, comma 2, della Costituzione assegna allo Stato la competenza di determinare "i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale".

[21] Norme concernenti i musei non statali.

[22] Legge regionale 12 luglio 1974, n. 39 Norme in materia di musei di enti locali o di interesse locale.

[23] Il processo di accreditamento lombardo è descritto in dettaglio in AA.VV., Accreditare i musei. L'esperienza della Lombardia, Regione Lombardia Culture, Identità e Autonomie della Lombardia, Guerini e associati, Abbiategrasso (MI), 2005.

[24] Oltre a numerosi dirigenti regionali, parteciparono al workshop esperti europei ed extraeuropei, fra cui Emmeline Leary del Council for museums, archives and libraries, UK, e Julie Hart dell'American Association of Museums, USA.

[25] La conferenza vide la partecipazione di più di trecento operatori e gli atti sono pubblicati in Regione Lombardia Culture, Identità e Autonomie della Lombardia - Istituto Regionale di Ricerca della Lombardia, Musei in Lombardia 2002-2005: qualità e sviluppo dei servizi. Seminario regionale, Lunedì 18 novembre 2002, Milano, Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia.

[26] Deliberazione della giunta regionale 20 dicembre 2002, n. 11643 Criteri e linee guida per il riconoscimento dei musei e delle raccolte museali in Lombardia, nonché linee guida sui profili professionali degli operatori dei musei e delle raccolte museali in Lombardia, ai sensi della l.r. 5 gennaio 2000, n. 1, commi 130-131.

[27] Il sistema museale lombardo comprende circa 350 realtà pubbliche e private, cui si aggiunge una decina di musei ed aree archeologiche statali; oltre la metà dei musei sono civici, il resto è di proprietà di enti ecclesiastici, di fondazioni e di associazioni.

[28] Deliberazione della giunta regionale 5 novembre 2004, n. 19262 Primo riconoscimento dei musei e delle raccolte museali in Lombardia, di cui alla d.g.r. del 20 dicembre 2002 "Criteri e linee guida per il riconoscimento dei musei e delle raccolte museali in Lombardia, nonché linee guida sui profili professionali degli operatori dei musei e delle raccolte museali in Lombardia, ai sensi della l.r. 5 gennaio 2000, n. 1, commi 130-131"

[29] Sono stati riconosciuti 64 musei civici, 4 di altri enti pubblici, 35 di soggetti privati, 11 di enti ecclesiastici, 3 di università.

[30] Riprendendo l'art. 47 del d.p.r. 616/1977 e una tradizionale differenziazione nel sistema museale lombardo, la regione riconosce due categorie: i musei e le raccolte museali. I requisiti per il riconoscimento delle raccolte museali poco differiscono da quelli per i musei: il responsabile dei servizi educativi è obbligatorio per i musei e solo raccomandato per le raccolte; alle raccolte la ricerca è raccomandata, ma non è un requisito obbligatorio; l'orario di apertura richiesto per le raccolte è inferiore a quello per i musei; le raccolte non devono essere obbligatoriamente dotate di una biblioteca e/o di un centro di documentazione.

[31] Reperibile sul sito ufficiale della Corte www.cortecostituzionale.it.

[32] Il testo de La Carta nazionale delle professioni museali è pubblicata nel sito di Icom Italia.

[33] L'accordo di programma quadro in materia di beni culturali tra ministero e regione Lombardia, il primo in Italia, sottoscritto nel 1999 e integrato nel 2003 e nel 2005, finanzia 38 interventi strutturali, con un investimento di 231 milioni di euro ripartito tra Stato, regione, enti pubblici e soggetti privati. Anche in attuazione dell'Accordo con il ministero, la regione Lombardia ha promosso 51 accordi di programma con gli enti locali e altri soggetti pubblici e privati, grazie ai quali cui sono stati concentrati su interventi di recupero e valorizzazione di beni culturali circa 500 milioni di euro, di cui circa 150 provenienti dal bilancio regionale.

[34] Deliberazione della giunta regionale 14 giugno 2002, n. 7/9393. L.r. 1/2000 art. 4 comma 134, lett. a) - Sviluppo dei sistemi museali locali: approvazione dei criteri per l'assegnazione e l'erogazione dei contributi alle province e approvazione degli obiettivi e delle linee guida per l'elaborazione da parte delle province di studi di fattibilità comprensivi dell'individuazione di progetti pilota di gestione associata dei servizi.

[35] La legge regionale 5 gennaio 2000, n. 1 Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia. Attuazione del d.lg. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi delle Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) prevede all'art. 4, comma 134 che "... sono ulteriormente delegate alle province le funzioni amministrative concernenti: a) le attività e lo sviluppo dei sistemi museali locali; ...".

[36] Lo sviluppo della gestione associata in Lombardia è descritto in A. Sinatra (a cura di), I musei fanno sistema: esperienze in Lombardia, Regione Lombardia Ricerche e Strumenti, Guerini Associati, 2005.

[37] Sinora la regione ha promosso la costituzione delle reti dei musei storici (che hanno costituito una associazione), delle case museo, degli orti botanici, dei musei dell'Ottocento, dei musei archeologici, dei musei etnografici e dei musei scientifici e naturalistici.

 

 



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