../home../indice../risorse%20web

 

Riscrittura della legge n. 241/1990
e disciplina amministrativa dei beni culturali

di Leonardo Zanetti


Sommario: 1. La doppia riforma della legge 241. - 2. L'ambito di applicazione della "nuova" legge 241. - 2.1. Rispetto alla disciplina di settore. - 2.2. Rispetto alla normativa regionale e locale. - 3. Il procedimento da insieme di atti a rapporto.



1. La doppia riforma della legge 241

La legge 7 agosto 1990, n. 241 fin dal suo apparire è stata interessata da numerose modifiche e integrazioni, per lo più mirate al perfezionamento o aggiornamento di singoli istituti [1]. Quella intervenuta nel più recente periodo, invece, è una revisione di particolare ampiezza e profondità, che incide sull'architettura concettuale e normativa della legge, prim'ancora che su taluni oggetti specifici. Ci si riferisce alla novella introdotta in due tempi nei primi mesi di quest'anno, ad opera dapprima della legge 11 febbraio 2005, n. 15, e quindi del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.

A ben vedere, più che di una riforma articolata in due momenti occorre parlare di una doppia riforma, visto che tra il primo e il secondo intervento esiste una notevole discontinuità: sotto il profilo della genesi, poiché la legge 15 nasce da un iter particolarmente meditato e rivolto ex professo al riordino della disciplina sull'azione amministrativa [2], mentre il decreto 35 rientra tra le misure promosse in via di urgenza e con l'obiettivo del rilancio dell'economia [3]; sotto il profilo dei contenuti, per le ragioni che si tratteggeranno brevemente di seguito.

In effetti, la legge 15 si incentra su quattro filoni di intervento [4]:

a) principi generali sull'attività amministrativa: riconoscimento del principio di trasparenza (a completamento del principio di pubblicità già sancito in precedenza); inserzione nel sistema nazionale dei principi dell'ordinamento comunitario; apertura all'utilizzo del diritto privato nell'adozione di atti "di natura non autoritativa";

b) procedimento amministrativo: termine e silenzio-inadempimento; responsabile; partecipazione; conferenza dei servizi;

c) regime sostanziale del potere amministrativo: caratteristiche degli atti (efficacia, esecutività, esecutorietà); autotutela (revoca e annullamento); patologia degli atti (nullità e annullabilità). Gli interventi in argomento si concretizzano nell'inserzione nella legge del capo IV-bis, e fanno sì che la legge stessa venga definitivamente a disciplinare non tanto il "procedimento amministrativo" in sé quanto la "attività amministrativa" complessivamente intesa;

d) diritto di accesso ai documenti amministrativi [5].

Da parte sua, il decreto 35 si concentra sul procedimento amministrativo: termine e silenzio-inadempimento; accertamenti d'ufficio nell'istruttoria; denuncia di inizio attività; silenzio-assenso.

L'analisi esaustiva di tali e tante innovazioni, naturalmente, sfugge ai limiti di queste note, e dovrà semmai essere rinvenuta nella già cospicua produzione dottrinaria in argomento [6]. Qui si tenterà invece di individuare, con una lettura (quasi) a caldo e del tutto schematica, alcune delle principali ricadute della riforma sul settore dei beni culturali.

 

2. L'ambito di applicazione della "nuova" legge 241

E' noto che la materia dei beni culturali si caratterizza dal punto di vista giuridico per un duplice intreccio, determinato per un verso dalla combinazione tra legislazione settoriale/speciale e legislazione trasversale/generale, e per un altro dalla difficoltà di stabilire con nettezza il riparto di competenza tra i vari enti territoriali (particolarmente alla luce della riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione). Si tratta allora di verificare in quale modo la rinnovata legge 241 venga in rilievo sotto tali profili.

 

2.1. Rispetto alla disciplina di settore

Nella prospettiva del rapporto tra generalità e specialità, occorre rilevare anzitutto che la recente novella non sembra mutare lo schema che fu identificato già a suo tempo in merito alla portata della legge 241 [7]: nel senso che quest'ultima quando intende configurare deroghe o esenzioni per singoli ambiti lo fa in modo esplicito e puntuale, sicché per tutti gli ambiti non nominati essa risulta applicabile pressoché in toto, integrando gli spazi vuoti e prevalendo sulle disposizioni contrastanti delle normative di settore; con la precisazione che la ratio di fondo risiede soprattutto nella individuazione di una "soglia minima di garanzia" dell'utente nei confronti della pubblica amministrazione [8], e che quindi rimangono salvi gli istituti di maggiore partecipazione e/o semplificazione eventualmente previsti dalle discipline settoriali.

Si tratta di uno schema che già prima d'ora è stato utilizzato con specifico riguardo al contesto dei beni culturali, seppur tra non poche difficoltà e incertezze, dovute a fattori in parte giuridici (l'importanza attribuita dall'ordinamento alla tutela del patrimonio storico e artistico, a partire dall'art. 9 della Costituzione), e in parte metagiuridici (una certa unilateralità dell'amministrazione nella cura dell'interesse culturale). Emblematica la vicenda della comunicazione di avvio del procedimento disciplinata dagli artt. 7 ss. della legge 241, la cui applicazione alle procedure in tema di beni culturali è stata oggetto dapprima di un progressivo riconoscimento giurisprudenziale, e quindi di apposite misure legislative [9].

Sulla base dello schema in questione [10], si può verificare l'applicabilità ai procedimenti in materia di beni culturali degli istituti portati ex novo dalla riforma della legge 241:

a) principi generali sull'attività amministrativa: risultano del tutto pertinenti anche nell'ambito in esame, ferma restando semmai una loro maggiore o minore importanza pratica a seconda dei vari contesti particolari. Ad esempio, il riconoscimento dello strumentario privatistico nell'adozione di atti "di natura non autoritativa" sembra destinato ad influire sulle azioni pubbliche di valorizzazione dei beni culturali più che su quelle di tutela degli stessi, in conseguenza della scarsità di connotati imperativi della valorizzazione e - al contrario - dell'elevato tasso di imperatività della tutela;

b) regime sostanziale del potere amministrativo: è indubbia l'applicabilità delle nuove disposizioni alla materia di beni culturali (ma si veda anche infra);

c) termine del procedimento e silenzio-inadempimento: le innovazioni apportate a questi istituti, strettamente connessi l'uno all'altro [11], trovano senz'altro applicazione nel settore in discorso, a partire dal venir meno della necessità della diffida - in aggiunta al decorso del termine - per il formarsi del silenzio [12] (ma si veda anche infra);

d) responsabile del procedimento: nuovamente le innovazioni risultano pertinenti anche al settore da noi considerato. Esse consistono nella regola secondo cui "l'organo competente per l'adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale" (art. 6, comma 1, lett. e), l. 241/1990, modificata dalla l. 15/2005). La norma conferisce autonomia non (più) solo concettuale ma anche formale al "progetto di decisione" [13]: da un lato, rendendo normale, recte doverosa, la stesura di una relazione istruttoria conclusiva quale documento-base per l'assunzione del provvedimento [14]; dall'altro lato, stabilendo un obbligo di motivazione a carattere rinforzato per l'ipotesi in cui il provvedimento si discosti dalla relazione [15]. Si tratta di una disposizione che potrebbe assumere un certo rilievo in tema di beni culturali e specialmente di funzioni di tutela, visto che in tale ambito i procedimenti conoscono sovente una cesura piuttosto marcata tra la fase preparatoria a cura degli uffici e la fase decisoria di competenza delle figure di vertice (a partire dai soprintendenti): tale distinzione di momenti e di ruoli, se fin qui non ha dato luogo a particolari conseguenze, d'ora in poi dovrebbe assumere un più chiaro rilievo giuridico;

e) partecipazione al procedimento: risultano applicabili al settore dei beni culturali tutti e tre i principali "blocchi" di disposizioni in argomento. Si tratta innanzitutto del perfezionamento della disciplina sulla comunicazione di avvio, mirato soprattutto a rendere più facilmente conoscibile e giustiziabile dagli interessati la tempistica delle procedure, mediante l'indicazione del dies a quo [16], del dies ad quem, dei rimedi esperibili in caso di ritardo dell'amministrazione (art. 8, comma 2, lett. c-bis) e c-ter), l. 241/1990, aggiunte dalla l. 15/2005). Viene inoltre in rilievo l'introduzione della comunicazione preventiva dei motivi di diniego, nei procedimenti ad istanza di parte (art. 10-bis l. 241/1990, aggiunto dalla l. 15/2005). Si tratta infine delle integrazioni alle norme sugli accordi ad oggetto pubblicistico (su cui si veda infra);

f) conferenza dei servizi: l'ultima versione della normativa trasversale in proposito (artt. 14 ss. l. 241/1990, modificati dalla l. 15/2005) si applica anche ai procedimenti in materia di beni culturali e segnatamente di tutela degli stessi, venendo ad integrare le lacune e - soprattutto - a prevalere sulle difformità eventualmente ravvisabili nella disciplina di settore (con particolare riferimento all'art. 25 decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42). Ciò perché le disposizioni della legge 241 considerano espressamente la partecipazione alla conferenza delle "amministrazioni preposte alla tutela [...] del patrimonio storico-artistico" [17];

g) denuncia di inizio attività e silenzio-assenso: qui occorre evitare un possibile malinteso derivante dalla opinabile fattura di alcune disposizioni. Infatti, gli artt. 19 e 20 della legge 241, novellati dal decreto-legge 35, prevedono che nell'ambito della tutela dei beni culturali non trovino applicazione né la Dia né il silenzio-assenso [18]. Ossia, alla lettera, riferiscono l'esenzione non alla loro versione di tali istituti, ma agli istituti in sé, con il rischio, del tutto paradossale, di essere interpretati nel senso di sopprimere le fattispecie già previste dalla normativa di settore, a partire da quelle oggetto degli artt. 22 e 23 del Codice. Soccorre in proposito, tuttavia, il criterio ermeneutico suppletivo della "soglia minima di garanzia", a mente del quale la disciplina trasversale (di cui alla legge 241) lascia intatte le discipline settoriali (nel caso di specie, il Codice) allorché queste ultime contengano regole in grado di assicurare una maggiore partecipazione e/o semplificazione.

 

2.2. Rispetto alla normativa regionale e locale

Nel lasso di tempo intercorso tra la riforma del Titolo V Cost. e la riscrittura della legge 241 si è sviluppato un dibattito sul problema del riparto di competenza tra Stato e autonomie territoriali per quanto riguarda la disciplina dell'azione amministrativa [19]. Nonostante la complessità del tema, e la diversità di accenti delle varie letture, almeno taluni punti possono essere tenuti ragionevolmente fermi [20]: circa il regime sostanziale dell'attività, la legge dello Stato continua ad avere valenza generale, ossia mantiene l'attitudine a vincolare la normazione delle regioni e degli enti locali [21]; circa la struttura procedurale dell'attività, la legislazione statale non ha di per sé una analoga capacità uniformante [22], viste le sfere di autonomia garantite alle fonti regionali [23] e - in misura di certo minore ma pur sempre non trascurabile - alle fonti locali [24].

Questo schema trova applicazione anche nella materia dei beni culturali, o meglio nelle due sub-materie della tutela e della valorizzazione, rispettivamente attribuite alla legislazione esclusiva dello Stato [25] e alla legislazione concorrente Stato-regione [26]. Senza trascurare le precisazioni del modello introdotte dalla giurisprudenza costituzionale, per cui da un lato è stata riconosciuta alle regioni la possibilità di realizzare misure latu sensu di tutela purché non sostitutive ma aggiuntive rispetto a quelle proprie dello Stato [27], e dall'altro è stata identificata una competenza in toto statale (anziché condivisa) per quanto riguarda la valorizzazione dei beni di proprietà - per l'appunto - statale [28]. E senza dimenticare gli apporti recati dal Codice, laddove ha configurato ipotesi di "delega" dallo Stato alle regioni di talune funzioni inerenti alla tutela, ipotesi stabilite direttamente dal legislatore oppure rimesse alla negoziazione tra le varie amministrazioni interessate [29].

Sulla base delle premesse appena esposte, si può analizzare l'impatto della "nuova" legge 241. Essa distingue opportunamente tra dimensione sostanziale e procedurale.

Circa il primo aspetto, la legge afferma che le sue disposizioni si applicano a tutte le amministrazioni "per quanto stabilito in tema di giustizia amministrativa" (art. 29, comma 1). Trova dunque conferma la ricostruzione emersa in dottrina, orientata a riservare alla legislazione statale la disciplina degli aspetti che concernono il regime e - con ciò - l'impugnazione degli atti.

Circa il secondo profilo, la legge dichiara che le sue prescrizioni si applicano integralmente "ai procedimenti amministrativi che si svolgono nell'ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali" (art. 29, comma 1). Regioni ed enti locali, invece, disciplinano i procedimenti "nell'ambito delle rispettive competenze", e tuttavia nel fare ciò sono tenuti al rispetto non solo del "sistema costituzionale" ma anche dei "principi della presente legge" che definiscono "le garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa" (art. 29, comma 2). Vi è poi un'importante regola transitoria, secondo cui, fino all'adeguamento della legislazione regionale alla nuova disciplina, "i procedimenti amministrativi sono regolati dalle leggi regionali vigenti", mentre soltanto in mancanza di queste ultime la "nuova" legge 241 trova diretta applicazione (art. 22 l. 15/2005). La prosa del legislatore non è delle più lineari, ma offre lo spunto per alcune osservazioni:

a) la legge intende rendere vincolanti per la normazione regionale e locale solamente i suoi "principi", qualora risultino espressivi di "garanzie del cittadino" riconducibili al "sistema costituzionale" [30]. Si è in presenza di una clausola di autoqualificazione, che ha di per sé uno scarso rilievo giuridico. Comunque si tratta di una norma che lascia all'interprete il compito di stabilire quali disposizioni possiedano i caratteri in questione, ossia non consente di ritenere aprioristicamente che tutta o quasi la legge costituisca un vincolo per le potestà normative delle autonomie territoriali. E sarà proprio in sede di interpretazione che si potrà e dovrà declinare la capacità di incidenza della legge 241 in modo diverso a seconda della materia specificamente considerata, del punto di equilibrio che in ciascun singolo contesto si realizza tra le competenze dello Stato e delle regioni. Il che risulta di qualche interesse con riferimento alla legislazione regionale in tema di valorizzazione dei beni culturali, visto il suo carattere di potestà concorrente, limitabile dal legislatore statale tramite disposizioni espressive di "principi fondamentali della materia" e non di scelte di dettaglio;

b) la "nuova" legge 241 riconosce espressamente alle regioni e agli enti locali la competenza a normare i procedimenti, seppur nel rispetto dei (veri o presunti) vincoli di cui si è detto. Ciò forse sembra scontato per le regioni, ma lo è assai meno per gli enti locali, che conoscono sì da anni un processo di rafforzamento della loro potestà statutaria e regolamentare, ma che fin qui non avevano visto emergere questa tendenza a livello di disciplina fondamentale dell'attività amministrativa. Non si potrebbe escludere, ad esempio, che un comune intervenisse sulle procedure svolte dai propri uffici e, così facendo, influisse sulla gestione degli adempimenti in tema di beni culturali, tanto più che il livello comunale risulta da tempo titolare di vari "sportelli unici" e, con essi, del coordinamento di numerosi procedimenti settoriali, anche nell'ambito in esame [31];

c) le norme in commento fanno sì che l'adeguamento delle fonti normative delle autonomie territoriali avvenga in maniera differente a seconda del livello istituzionale: in merito all'ordinamento regionale, l'applicazione della "nuova 241" appare sostanzialmente rinviata sine die, essendo subordinata all'emanazione di nuove leggi regionali, e non avendosi un termine per tale legiferazione; in merito all'ordinamento locale, invece, l'applicabilità della "nuova 241" non incontra ostacoli siffatti. Si noti che, per quanto riguarda il sistema regionale, la disciplina transitoria viene riferita ai procedimenti non già "svolti" bensì "regolati" dalla regione: ivi compresi, perciò, quelli che si collocano operativamente presso gli enti locali.

d) d'altro canto, la legge si applica in modo pieno ed esclusivo solo ai procedimenti "svolti" e non anche ai procedimenti "disciplinati" a livello statale. Ciò assume rilievo per le funzioni di tutela dei beni culturali il cui esercizio viene conferito dallo Stato alle regioni. In proposito, infatti, sembra aprirsi un certo spazio per la normativa regionale, almeno sotto il profilo della dettatura di norme di dettaglio.

 

3. Il procedimento da insieme di atti a rapporto

Nelle pagine precedenti, tre istituti fondamentali della "nuova" legge 241 sono stati toccati soltanto a livello di brevi cenni, che meritano di essere ripresi: ci si riferisce in particolare alla disciplina sull'annullabilità, su termine del procedimento e silenzio-inadempimento, sugli accordi.

Le innovazioni in tema di annullabilità segnano probabilmente la svolta più netta della legge rispetto al passato. In sintesi, esse sono riconducibili a due regole (entrambe contenute nell'art. 21-octies, comma 2, l. 241/1990): in prima battuta, la violazione di norme "sul procedimento o sulla forma degli atti" non dà luogo ad annullamento "qualora, per la natura vincolata dell'atto, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato"; inoltre, anche per gli atti non vincolati, l'omissione della comunicazione d'avvio del procedimento non comporta annullamento "qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del procedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato". Dunque, il legislatore riprende e generalizza gli spunti già forniti da una certa giurisprudenza nel senso di dequotare molte ipotesi di violazione di legge [32] da vere e proprie illegittimità a semplici irregolarità, a maggior ragione quando si tratti di provvedimenti vincolati, e comunque quando la violazione concerna il difetto di comunicazione di avvio del procedimento [33].

In materia di termine del procedimento e silenzio-inadempimento, si segnala l'affermazione secondo cui, qualora il richiedente un provvedimento - a fronte dell'inerzia dell'amministrazione - proponga l'apposito rito speciale accelerato [34], "il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell'istanza" (art. 2, comma 5, l. 241/1990, novellato dal d.l. 35/2005). Va notato che la possibilità per il G.a. di pronunciare sul quomodo oltre che sull'an del rilascio del provvedimento si era già affacciata in giurisprudenza ma senza attecchire definitivamente e - comunque - venendo riferita soltanto agli atti vincolati, mentre ora risulta sancita direttamente dal legislatore e - al contempo - non viene formalmente circoscritta all'attività vincolata [35]. Ciò presente notevole interesse e delicatezza nel campo dei beni culturali e segnatamente delle funzioni di tutela, che in prevalenza si articolano in poteri di tipo tecnico-discrezionale più che propriamente vincolato, e che spesso denotano qualche criticità per quanto riguarda l'osservanza del termine del procedimento [36]. In ultima analisi, peraltro, la questione concerne la locuzione secondo cui il G.a. "può" decidere sulla fondatezza della richiesta: verosimilmente la norma intende demandare al giudice una valutazione non già meramente facoltativa e casistica bensì guidata da criteri generali e astratti, ancorché la mancanza di disposizioni più puntuali imponga di rifarsi alle coordinate di fondo del sistema e - perciò - lasci aperta la via ad interpretazioni difformi. Spetterà dunque alla giurisprudenza individuare il confine entro il quale la decisione può riferirsi solamente all'an del provvedere, e oltre cui invece può estendersi al quomodo. Non è escluso che a tal fine venga recuperata la distinzione tra attività discrezionale e attività vincolata, fermo restando che quella vincolata sembra rappresentare ormai l'ambito minimo - e non più massimo - entro cui aversi il giudizio sulla fondatezza dell'istanza.

Meno appariscente ma assai importante risulta poi l'intervento della novella in tema di accordi (a modifica dell'art. 11 l. 241/1990). Non ci si riferisce tanto all'affermazione secondo cui "la stipulazione dell'accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento", la quale sembra finalizzata soprattutto a raccordare le eventuali competenze di organi collegiali con la sottoscrizione quale atto monocratico; quanto invece alla soppressione dell'inciso secondo cui l'accordo in sostituzione di provvedimento era ammesso "nei casi previsti dalla legge", soppressione che rende l'alternativa accordo/provvedimento non più tipica ma generale [37].

Le innovazioni qui in esame, così come l'intera riscrittura della legge 241, a parere di chi scrive vanno nel senso di una configurazione del procedimento non quale "insieme di atti" ma quale "rapporto", secondo un'impostazione in cui rileva non tanto la puntigliosa osservanza delle prescrizioni formali quanto il rispetto di alcuni principi sostanziali: la necessità che in un tempo predeterminato si giunga a una decisione, in forma espressa o meno; l'esigenza di dare spazio al dialogo tra l'utente e l'amministrazione, a meno che ciò risulti manifestamente inutile o dilatorio; l'opportunità che la negoziazione tra le parti sia in grado di dipanarsi senza incontrare eccessivi limiti di ordine procedurale. A ciò si accompagna una forte sottolineatura del ruolo del giudice, in primis amministrativo, vista la quantità e qualità di "concetti giuridici indeterminati" di cui ha fatto uso il legislatore negli interventi di novella.

Quali possono essere le ricadute sul settore dei beni culturali, in termini complessivi e - dunque - al di là della compatibilità delle singole norme, del mutamento di prospettiva dovuto alla "nuova" legge 241? Naturalmente è difficile dare una risposta al quesito, ma alcune linee tendenziali sembrano fin d'ora individuabili.

Relativamente alle funzioni di tutela, e soprattutto per quanto riguarda il "nucleo duro" costituito dai poteri imperativi statali in tema di individuazione e protezione-conservazione dei beni, la novella potrebbe determinare un ridimensionamento del livello di garanzia degli amministrati. In effetti nella materia vengono in rilievo potestà essenzialmente tecnico-discrezionali, in merito a cui la giurisprudenza è solita limitarsi ad un sindacato esteriore e non incisivo [38]. In tale ambito, ancor più che in altri contesti, l'osservanza delle norme sul procedimento e sulla forma non è fine a sé stessa ma al contrario assicura una qualche riconoscibilità e verificabilità del processo decisionale amministrativo. Si corre dunque il rischio che i cambiamenti introdotti in proposito finiscano con il rivitalizzare una concezione dell'apparato di settore - a partire dal sistema delle soprintendenze - quale unico ed esclusivo dominus dell'interesse culturale. Ciò soprattutto se la giurisprudenza dovesse propendere per un'applicazione non sufficientemente rigorosa e restrittiva della "nuova" legge 241 [39].

Relativamente alle funzioni di valorizzazione, la novella viene a porsi in armonia con la legislazione di settore, segnatamente per quanto riguarda il rafforzamento degli strumenti di negoziazione dell'attività amministrativa. In effetti, che le politiche di valorizzazione dei beni culturali siano incentrate su fattispecie pattizie/convenzionali è un dato che ormai emerge con chiarezza dal diritto vigente e vivente [40]. Sicché la dilatazione dell'operatività degli accordi, e in particolare di quelli sostitutivi, voluta dalla "nuova" legge 241, non può che corroborare le tendenze in atto [41].

 



Note

[1] Si ricordino le innovazioni apportate dai seguenti atti legislativi: decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 163, conv. con modif. dalla legge 11 luglio 1995, n. 273; legge 24 dicembre 1993, n. 537; legge 15 maggio 1997, n. 127; legge 3 agosto 1999, n. 265; legge 24 novembre 2000, n. 340.

[2] La legge 15 nasce da un'iniziativa del governo (AS 1281, XIV legislatura), a sua volta largamente ispirata alla precedente iniziativa del deputato Vincenzo Cerulli Irelli (A.C. 6844, XIII legislatura). In proposito si veda E. Battisti, L'iter del disegno di legge di modifica della legge 241/1990, in Aa.Vv., La riforma della legge 241 del 1990, in Giustizia amministrativa, n. 2/2005, su www.giustamm.it (peraltro la raccolta è accessibile anche dai numeri successivi di tale rivista).

[3] Il decreto, rubricato "Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale", costituisce una sorta di anticipazione rispetto ad una iniziativa legislativa ordinaria del governo, intitolata per l'appunto "Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale" (AC 5736, XIV legislatura).

[4] Come evidenziato da V. Cerulli Irelli, Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell'azione amministrativa. Un primo commento alla legge 11 febbraio 2005, recante "Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241", in Astrid Rassegna, n. 4/2005, 1-2, su www.astrid-online.it.

[5] Istituto su cui nel presente lavoro non ci si soffermerà.

[6] Senza pretesa di completezza, si vedano: Aa.Vv., L'azione amministrativa. Commento l. 7 agosto 1990, n. 241 modificata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15 e dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, Milano, 2005; Aa.Vv., La nuova legge sul procedimento amministrativo, in Giornale di diritto amministrativo, 2005, 469; Aa.Vv., La riforma della Legge 241 del 1990, cit.; V. Cerulli Irelli, Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell'azione amministrativa, cit.; M.A. Sandulli, La riforma della legge sul procedimento tra novità vere ed apparenti, in Federalismi, n. 4/2005, su www.federalismi.it; G. Tarantini, L. 11 febbraio 2005, n. 15 "Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa", in Federalismi, n. 8/2005, su www.federalismi.it; A. Travi, La legge n. 15/2005: verso un nuovo diritto amministrativo?, in Corriere giuridico, 2005, 449; Le nuove regole sull'azione amministrativa dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, a cura di F. Caringella, D. De Carolis, G. De Marzo, Milano, 2005.

[7] Per tutti si veda G. Morbidelli, Il procedimento amministrativo, in Aa.Vv., Diritto amministrativo, III ed., vol. II, Bologna, 2001, 1266-1267.

[8] Ciò oggi appare ulteriormente confortato dal nuovo art. 29, c. 2, della legge 241, secondo cui "i principi stabiliti nella presente legge" definiscono le "garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa".

[9] Sull'inserzione prima giurisprudenziale e poi legislativa della comunicazione d'avvio del procedimento nell'iter per la dichiarazione dell'interesse culturale si veda per tutti M. Filippi, Il procedimento di dichiarazione del bene culturale, in Il testo unico sui beni culturali e ambientali, a cura di G. Caia, Milano, 2000, 21. Le disposizioni introdotte sul punto dall'art. 7 del Testo unico approvato con decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 sono confluite nell'art. 14 del Codice approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. La comunicazione di avvio del procedimento è configurata ex professo anche per le procedure di cui agli artt. 19, 22, 28, 33, 46, 68, 70, 71 del Codice.

[10] Che non incontra particolari ostacoli nell'enunciato dell'art. 183, comma 6, del Codice, secondo cui "le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe ai principi del presente decreto legislativo se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni": anzitutto, la salvaguardia viene riferita solo ai principi e non anche alle regole sul procedimento; comunque, siffatte clausole di autoqualificazione possiedono una scarsa efficacia giuridica (cfr. A. Fantin, Sub art. 183, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Commento al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, a cura di M. Cammelli, Bologna, 2004, spec. 725).

[11] Per uno sguardo d'insieme si veda M. Corradino, Termini, efficacia dei provvedimenti e silenzio dell'amministrazione nelle "riforme" della legge n. 241/1990 (legge 11 febbraio 2005, n. 15 e legge 14 maggio 2005, n. 80), in Giustizia amministrativa, n. 6/2005, su www.giustamm.it.

[12] G. Sciullo, Novità (e conferme) in tema di verifica dell'interesse culturale per gli immobili appartenenti a soggetti pubblici e privati non profit, in Aedon, 2/2005, rileva l'incompatibilità tra la disciplina ministeriale sulla verifica dell'interesse culturale e la "nuova" legge 241 proprio per quanto riguarda tale aspetto.

[13] In argomento si veda soprattutto R. La Barbera, La previsione degli effetti. Rilevanza giuridica del progetto di provvedimento, Torino, 2001.

[14] Cfr. V. Cerulli Irelli, Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell'azione amministrativa, cit., 11.

[15] In tal senso rileva il tenore letterale della suddetta disposizione, che non si limita a richiedere la motivazione del provvedimento il quale diverga dalla relazione, ma arriva ad affermare che in assenza di motivazione il primo "non può discostarsi" dalla seconda. Si veda però T. Di Nitto, Il termine, il responsabile, la partecipazione, la d.i.a. e l'ambito di applicazione della legge, in Aa.Vv., La nuova legge sul procedimento amministrativo, cit., 500, secondo cui la prescrizione in commento sarebbe opportuna ma non innovativa, e, particolarmente, nulla aggiungerebbe all'obbligo di motivazione già derivante dall'art. 3 l. 241/1990.

[16] Stabilendosi in particolare che, nei procedimenti ad iniziativa di parte, la comunicazione debba precisare la data di presentazione dell'istanza.

[17] Cfr. M. Sgroi, Sub art. 25, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., 162 (in questo lavoro si dà conto anche delle più recenti innovazioni normative, che all'epoca della sua stesura si trovavano già in fase di avanzata elaborazione).

[18] La prosa del legislatore è leggermente diversa nelle due fattispecie, giacché l'esenzione viene riferita per la Dia agli "atti rilasciati dalle amministrazioni preposte [...] alla tutela [...] del patrimonio culturale", e per il silenzio-assenso agli "atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale".

[19] Per un quadro di sintesi e alcune ipotesi ricostruttive sia concesso il rinvio a L. Zanetti, La disciplina dei procedimenti amministrativi dopo la legge costituzionale n. 3 del 2001, in Le istituzioni del federalismo-Regione e governo locale, 2003, 27 ss.

[20] Con l'avvertenza che non si considerano qui le problematiche inerenti alle regioni e province ad autonomia differenziata.

[21] Ciò viene ricondotto alla legislazione esclusiva dello Stato in materia di "giustizia amministrativa" (art. 117, comma 2, lett. l), Cost.).

[22] Infatti non si ravvisano titoli di competenza legislativa esclusiva dello Stato che possano "coprire" in toto la normazione sul procedimento: la stessa disciplina in commento afferma di basarsi su di un siffatto titolo soltanto per quanto riguarda il diritto di accesso ai documenti, che secondo l'art. 22 l. 241/1990 attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui all'art. 117, comma 2, lett. m), Cost. (e si tralascia qui, anche considerando che il presente lavoro non si occupa dell'istituto dell'accesso, di discutere della validità ed efficacia di questa affermazione). Allo stesso modo la legislazione "sussidiaria" statale è stata giustificata dalla giurisprudenza (a partire da Corte cost., 1° ottobre 2003, n. 303) in relazione a situazioni di tipo essenzialmente casistico, sicché non appare in grado di fondare l'attrazione allo Stato della disciplina del procedimento nella sua interezza: e non a caso la stessa legge in rassegna non ne fa menzione.

[23] Nelle materie che l'art. 117 Cost. assegna alla legislazione concorrente Stato-regione o, ancor più, alla legislazione residuale/esclusiva delle regioni.

[24] Alla luce del riconoscimento dell'autonomia statutaria e regolamentare di comuni e province oggi effettuato dagli artt. 114 e 117 Cost. In merito alla potestà statutaria, in particolare, si veda da ultimo Cass., sez. un. civ., 16 giugno 2005, n. 12868, in Giustizia amministrativa, n. 6/2005, su www.giustamm.it, con nota di A. Celotto, La riforma del titolo V "presa sul serio": lo statuto comunale come "atto normativo atipico di rango paraprimario".

[25] Art. 117, comma 2, lett. s), Cost.

[26] Art. 117, comma 3, Cost.

[27] Cfr. da ultimo Corte cost., 16 giugno 2005, n. 232, e in precedenza Corte cost., 28 marzo 2003, n. 94.

[28] Corte cost., 20 gennaio 2004, n. 26.

[29] Artt. 4 e 5 d.lg. 42/2004.

[30] Anche con specifico riguardo all'art. 97 Cost., come rileva A. Celotto, Il nuovo art. 29 della l. n. 241 del 1990: norma utile, inutile o pericolosa?, in Giustizia amministrativa, n. 6/2005, su www.giustamm.it.

[31] Si pensi allo sportello unico per le attività produttive nonché, di più recente introduzione, allo sportello unico per l'edilizia.

[32] Comunque non quelle sui profili sostanziali della decisione amministrativa, su cui rimane incentrata la garanzia dei diretti interessati e dei soggetti terzi.

[33] In realtà un simile spostamento del punto di equilibrio tra illegittimità e irregolarità determina non pochi problemi, visto che tra l'altro: enfatizza il concetto di "attività vincolata" i cui confini invece risultano tutt'altro che certi e definiti; si incentra su valutazioni ex post anziché ex ante; dilata il ruolo del giudice; non chiarisce se l'antigiuridicità venga meno solo ai fini dell'annullamento dell'atto o anche in relazione alle varie possibili responsabilità del funzionario e/o dell'ente (disciplinare, amministrativa, civile, penale).

[34] Così come configurato dall'art. 21-bis legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (aggiunto dalla legge 21 luglio 2000, n. 205).

[35] Per una ricostruzione della vicenda si rinvia a M. Corradino, Termini, efficacia dei provvedimenti e silenzio dell'amministrazione, cit.. In particolare, si ricordi che Cons. Stato, Ad. plen., 9 gennaio 2002, n. 1, in www.giustizia-amministrativa.it, aveva da ultimo affermato l'impossibilità per il G.a. di pronunciare sul quomodo oltre che sull'an, pur non chiudendo del tutto il dibattito in giurisprudenza.

[36] Almeno con specifico riguardo all'ambito degli interventi edilizi su beni culturali, tale difficoltà viene rilevata da F. Baldi, La conservazione dei beni culturali nel testo unico, in Il testo unico sui beni culturali e ambientali, cit., 55.

[37] Almeno per quanto riguarda l'attività amministrativa di tipo puntuale e fermo restando il problema di quella programmatoria, circa la quale si fronteggiano le cautele espresse dall'art. 13 l. 241/1990 e le aperture delle discipline di settore (ad esempio in tema di programmazione negoziata e di urbanistica contrattata).

[38] Peraltro questa ritrosia non sembra (ancora?) temperata da un significativo utilizzo degli strumenti processuali introdotti dalla legislazione dell'ultimo periodo, quali la consulenza tecnica d'ufficio.

[39] Ad esempio, occorrerebbe che la nozione di "atto vincolato" venisse riferita ai provvedimenti il cui contenuto è vincolato per l'intero e non soltanto in parte. Un primo orientamento di segno contrario, invece, sembra cogliersi in Tar Veneto, sez. II, 11 marzo 2005, n. 935, in www.giustizia-amministrativa.it, secondo cui un ordine di demolizione e ripristino non è annullabile qualora esso presenti almeno un singolo profilo vincolato (nel caso, di tipo paesaggistico), indipendentemente dalla circostanza che lo stesso risulti viziato sotto più punti di vista (nella specie, per "difetto di motivazione; contraddittorietà; omessa acquisizione parere commissione edilizia integrata").

[40] In argomento si vedano tra gli altri: P. Petraroia, Il governo, in Il diritto dei beni culturali, a cura di C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo, Bologna, 2003, 153; L. Zanetti, Sub art. 112, e G. Piperata, Sub art. 113, entrambi in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., rispettivamente 438 e 448.

[41] Senza dimenticare che anche la tutela dei beni culturali sta conoscendo alcuni sviluppi nella direzione del ricorso agli strumenti consensuali - come rileva G. Pastori, Sub art. 5, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., 83 - e quindi potrebbe risultare interessata dal potenziamento degli accordi risultante dalla "nuova" legge 241.



copyright 2005 by Società editrice il Mulino


inizio pagina