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I beni museali (privati ed ecclesiastici)
nel Codice dei beni culturali e del paesaggio
[*]

di Mauro Renna


Sommario: 1. Premessa. - 2. L'individuazione e la tutela dei beni. - 3. La fruizione e la valorizzazione dei beni. - 4. Le proposte di correzione e integrazione del Codice.



1. Premessa

Il presente lavoro intende offrire un contributo alla riflessione sulla disciplina giuridica dei musei e dei beni museali, con particolare attenzione per quelli di proprietà privata ed ecclesiastica, al duplice scopo di verificare in quale misura detta disciplina sia stata innovata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (cd. Codice Urbani, approvato con il decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) e di vagliare, in ogni caso, l'opportunità di formulare al riguardo proposte di correzioni e integrazioni delle nuove disposizioni (correzioni e integrazioni che il governo potrà adottare entro il 1° maggio 2006, a norma del combinato disposto dell'art. 10, comma 4, della legge delega 6 luglio 2002, n. 137, e dell'art. 183, comma 7, del Codice).

Va subito precisato, tuttavia, che le osservazioni seguenti concerneranno non soltanto le novità recate dalle poche disposizioni del Codice riguardanti i musei e le raccolte museali in quanto tali, ma anche quelle introdotte da alcune altre disposizioni che, pur non essendo specificamente rivolte ai musei e ai beni museali, appaiono comunque assumere per essi un notevole rilievo.

 

2. L'individuazione e la tutela dei beni

Infatti, come già accadeva nel Tu del 1999 (decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490) sui beni culturali, ora abrogato per intero e sostanzialmente sostituito dal Codice, scarseggiano in quest'ultimo le norme dedicate in maniera specifica ai musei e ai beni museali.

I musei in quanto tali, inoltre, continuano a non essere considerati beni culturali dalla legge; mentre le raccolte dei musei in quanto tali vengono considerate beni culturali non in termini assoluti e oggettivi, ma solamente ove si tratti di raccolte "dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico" (v. l'art. 10, comma 2, lett. a del Codice).

Come in passato, dunque, le universalità di mobili costituite dalle raccolte dei musei privati ed ecclesiastici sono considerate unitariamente beni culturali dalla legge solo se si tratta di "collezioni o serie di oggetti" le quali, "per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico" (v. l'art. 10, comma 3, lett. e del Codice) e, di conseguenza, sono dichiarate di eccezionale interesse artistico o storico dal ministero per i Beni e le Attività culturali (v. gli artt. 13 ss.).

Ancora oggi quindi, se una raccolta museale privata non riveste nel suo complesso tale interesse (poiché ad esempio essa riveste un indubbio interesse storico-artistico, ma si tratta di un interesse "semplice" e non eccezionale), i pezzi che la compongono possono essere qualificati "beni culturali" - e assoggettati alla corrispondente disciplina di tutela contenuta nel primo titolo della seconda parte del Codice - soltanto singolarmente, vale a dire nella misura in cui ciascun singolo pezzo, in sé considerato, presenti i requisiti oggettivi stabiliti dalla legge per poter essere qualificato e individuato come "bene culturale" (a proposito di questi requisiti, v. nuovamente l'art. 10 del Codice, commi 1, 3 e 4; v. pure il seguente art. 11, relativo ai "beni oggetto di specifiche disposizioni di tutela").

Ciò posto, è evidente allora l'importanza che le regole sull'individuazione dei singoli beni culturali hanno per i beni museali privati, segnatamente per quelli non appartenenti a collezioni che rivestono nel loro complesso un eccezionale interesse artistico o storico; ed è evidente pertanto, in primo luogo, l'importanza rivestita anche per i musei, in particolare per quelli ecclesiastici, dalle nuove regole concernenti la verifica dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico dei singoli beni appartenenti a persone giuridiche private senza fine di lucro (v. il combinato disposto dell'art. 10, commi 1 e 4, e dell'art. 12, commi 1 ss.).

Come ormai è noto, il Codice infatti ha soppresso il vecchio meccanismo di individuazione dei beni immobili e mobili d'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico appartenenti agli enti pubblici e agli enti privati senza fine di lucro (tra i quali spiccano gli enti ecclesiastici), costituito dall'obbligo per gli enti stessi di compilare e aggiornare gli elenchi descrittivi dei medesimi beni.

Rispetto al passato, detti beni continuano invero ad essere considerati beni culturali ex lege e dunque sottoposti automaticamente alla corrispondente disciplina di tutela (gli elenchi descrittivi in effetti non hanno mai avuto una valenza costitutiva della qualificazione di questi beni come beni culturali), sempre che naturalmente si tratti di beni "che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni" (oltre all'art. 12, comma 1, v. a contrario l'art. 10, comma 5).

Tale sottoposizione è tuttavia provvisoria, nel senso che vige fino a quando, d'ufficio o su richiesta degli enti proprietari dei beni, non sia stata effettuata dai competenti organi del ministero (come per i provvedimenti di dichiarazione dell'interesse culturale dei beni, si tratta dei direttori generali, che di norma delegheranno la competenza ai direttori regionali, in base agli artt. 7 ss. del regolamento approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2004, n. 173) la cd. verifica dell'interesse culturale di ciascun singolo bene (il nuovo meccanismo di individuazione era stato introdotto con esclusivo riferimento ai beni di appartenenza pubblica dall'art. 27 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, mentre è stato esteso anche ai beni appartenenti agli enti privati senza fine di lucro dall'art. 12 del Codice).

Inoltre - anche allo scopo evidente di incentivare l'attivazione, da parte degli enti proprietari dei beni, dei procedimenti di verifica del loro interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico - le singole cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, agli altri enti pubblici e agli enti privati non lucrativi "che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni" sono cautelativamente dichiarate dalla legge in ogni caso inalienabili fino a quando non sia stata effettuata la verifica in questione (v. l'art. 54, comma 2, lett. a, del Codice; v. pure gli artt. 65, comma 2, lett. a), e 66, comma 1, in base ai quali finché non sia stata effettuata la verifica è altresì vietata l'uscita dal territorio nazionale delle cose mobili predette, salva la possibilità di ottenere a determinate condizioni l'autorizzazione alla loro uscita temporanea per manifestazioni, mostre o esposizioni d'arte di elevato interesse culturale).

Se poi l'esito della verifica sarà positivo, i beni rimarranno definitivamente assoggettati al regime di tutela previsto per essi dal codice (e a norma dell'art. 12, comma 7, il provvedimento di accertamento dell'interesse culturale costituirà dichiarazione ai sensi del seguente art. 13), comprensivo della disciplina attinente alla circolazione e all'alienazione dei beni; i singoli beni culturali appartenenti agli enti privati senza fine di lucro torneranno quindi ad essere alienabili (v. l'art. 56, comma 1, lett. b), seppure previa autorizzazione ministeriale come in passato (alle autorizzazioni delle alienazioni immobiliari non si applicheranno più, tuttavia, le disposizioni contenute nel regolamento approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2000, n. 283, abrogato dall'art. 184 del Codice).

Se invece l'esito della verifica sarà negativo, le singole cose sottoposte a verifica saranno escluse dall'applicazione delle disposizioni di tutela contenute nel Codice e diventeranno pertanto liberamente alienabili (v. l'art. 12, commi 4 e 6); con l'avvertenza che per i beni appartenenti alle persone giuridiche private non lucrative, diversamente da quanto è accaduto per i beni appartenenti agli enti pubblici (v. l'art. 12, comma 10, nella parte in cui esso richiama l'art. 27, commi 10 e 12, del d.l. 269/2003), non è stato previsto alcun meccanismo semplificatorio inteso a rendere equivalente a un esito negativo della verifica la mancata comunicazione all'ente richiedente di un provvedimento amministrativo espresso entro un determinato termine, decorrente dalla presentazione dell'istanza di verifica.

Quanto appena illustrato vale dunque per i pezzi delle raccolte museali che appartengono agli enti privati non lucrativi e che non sono dichiarate nel loro complesso di eccezionale interesse artistico o storico.

L'individuazione quali beni culturali dei singoli pezzi delle raccolte che appartengono a soggetti privati diversi da quelli non lucrativi e che parimenti non sono dichiarate di eccezionale interesse artistico o storico avviene invece, come in passato, attraverso la dichiarazione ministeriale dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico non meramente "semplice" ma "particolarmente importante" dei beni (v. l'art. 10, comma 3, lett. a), e gli artt. 13 ss. del Codice).

Sempre in tema di qualificazione e individuazione dei beni culturali, un'altra novità rilevante, soprattutto per i beni museali privati non aventi un interesse culturale cd. intrinseco, è poi rappresentata dall'inclusione delle cose mobili tra le cose che - "a chiunque appartenenti" - possono essere qualificate e individuate come beni culturali, mediante dichiarazione ministeriale, qualora rivestano "un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose" (cd. interesse culturale estrinseco; v. l'art. 10, comma 3, lett. d), e gli artt. 13 ss. del Codice).

Di contro, un discutibile passo indietro in ordine alla tutela dei beni museali privati è costituito dalla scomparsa, rispetto al Tu del 1999, della disposizione che sottoponeva ad autorizzazione ministeriale l'alienazione totale o parziale di qualsiasi collezione, a chiunque appartenente, dichiarata nel suo complesso di eccezionale interesse artistico o storico; anche se tale scomparsa è irrilevante con riguardo alle collezioni appartenenti agli enti privati senza fine di lucro, dato che il Codice ha esteso a tutti i tipi di beni culturali appartenenti a questi enti il regime dell'autorizzazione ad alienare (v. il comma 1, lett. b), dell'art. 56, e il seguente comma 2, per cui "l'autorizzazione è richiesta anche nel caso di vendita parziale, da parte dei soggetti di cui al comma 1, lettera b), di collezioni o serie di oggetti e di raccolte librarie", nonché l'art. 57, comma 5).

Vanno segnalate altresì, sempre in tema di beni culturali mobili, le nuove disposizioni concernenti il comodato e il deposito di beni non soltanto presso gli archivi di Stato (v. il Tu del 1999), ma presso ogni tipo di istituto culturale pubblico che abbia "in amministrazione o in deposito raccolte o collezioni artistiche, archeologiche, bibliografiche e scientifiche"; in particolare va qui segnalata la possibilità, per i direttori dei musei pubblici, di "ricevere in comodato da privati proprietari, previo assenso del competente organo ministeriale, beni culturali mobili al fine di consentirne la fruizione da parte della collettività, qualora si tratti di beni di particolare importanza o che rappresentino significative integrazioni delle collezioni pubbliche e purché la loro custodia presso i pubblici istituti non risulti particolarmente onerosa" (art. 44, comma 1).

"Il comodato non può avere durata inferiore a cinque anni" (art. 44, comma 2); i direttori dei musei sono tenuti ad adottare "ogni misura necessaria per la conservazione dei beni ricevuti in comodato, dandone comunicazione al comodante", e "le relative spese sono a carico del ministero" per i Beni e le Attività culturali (art. 44, comma 3); i beni ricevuti in comodato, inoltre, "sono protetti da idonea copertura assicurativa" a carico dello stesso ministero (art. 44, comma 4).

Ancora in tema di beni culturali mobili, altre disposizioni del Codice che hanno riformato la disciplina previgente e risultano di notevole interesse per i musei sono, infine, quelle riguardanti l'uscita dei beni dal territorio nazionale (v. in particolare gli artt. 65 e 66), divenute complessivamente più restrittive rispetto al passato.

In primo luogo, è stata vietata in termini assoluti l'uscita definitiva dal territorio della repubblica di tutti i beni culturali mobili indicati dall'art. 10 del Codice, senza più prevedere che l'uscita è vietata "se costituisce danno per il patrimonio storico e culturale nazionale" (v. il Tu del 1999).

In secondo luogo, è stato esteso il novero dei beni la cui uscita dal territorio nazionale (consentita anche definitivamente, non solo temporaneamente per manifestazioni, mostre o esposizioni d'arte di alto interesse culturale) è sottoposta ad autorizzazione, comprendendovi, per ciò che qui rileva, non soltanto "le fotografie, con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, comunque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni" (art. 11, comma 1, lett. f del Codice), "i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni" (art. 11, comma 1, lett. h), ma pure le opere, realizzate da autori non più viventi e da oltre cinquanta anni, che appartengano a soggetti privati diversi da quelli non lucrativi e presentino un interesse culturale intrinseco meramente "semplice" (anziché "particolarmente importante") o che - a quanto sembra - appartenendo a qualsiasi soggetto presentino un interesse culturale estrinseco meramente "semplice" (anziché "particolarmente importante").

 

3. La fruizione e la valorizzazione dei beni

Venendo quindi alle poche disposizioni del Codice destinate in maniera specifica ai musei e agli altri "istituti e luoghi della cultura" (v. gli artt. 101 ss.), va osservato preliminarmente come queste siano tutte contenute nel secondo titolo della seconda parte del Codice, ossia nel titolo dedicato alla fruizione e alla valorizzazione dei beni culturali.

Ciò non significa, ovviamente, che i musei non siano anche istituti e luoghi di tutela dei beni culturali (i loro gestori infatti devono innanzitutto dedicarsi alla conservazione dei beni, senza la quale non possono esistere né la fruizione né la valorizzazione dei medesimi beni); è solo che, come si è già accennato, essi in quanto tali non sono considerati dalla legge beni culturali oggetto di tutela: insomma i beni culturali oggetto di tutela, considerati singolarmente o quali universalità di mobili, costituiscono i musei, senza tuttavia identificarsi con essi.

Le finalità istitutive caratteristiche dei musei, del resto, coincidono con la fruizione collettiva e la valorizzazione dei beni in essi conservati, anche se è evidente che gli stessi rappresentano al contempo le strutture meglio attrezzate per la tutela dei beni culturali mobili.

Quanto appena affermato giustifica dunque la collocazione delle disposizioni in questione nel secondo titolo della seconda parte del Codice e, a ben vedere, consente altresì di capire le ragioni della scarsa rilevanza quantitativa delle norme legislative statali dedicate specificamente ai musei.

La disciplina giuridica dei musei, infatti, specialmente a partire dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 che ha riformato il Titolo V parte seconda della Costituzione, è stata ormai prevalentemente attratta nella sfera delle competenze legislative regionali, dato che secondo l'art. 117 della Cost. lo Stato in materia di beni culturali ha legislazione esclusiva solamente riguardo alla "tutela" (comma 2, lett. s), mentre riguardo alla "valorizzazione" spetta alla legislazione statale soltanto la determinazione dei principi fondamentali (comma 3).

La legislazione regionale, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal Codice, è divenuta quindi la protagonista principale non solo della disciplina della fruizione e della valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi pubblici della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità (v. gli artt. 102, comma 2, e 112, comma 2, del Codice, che hanno sostanzialmente recepito l'orientamento interpretativo espresso dalla Corte costituzionale, sent. 19 dicembre 2003 - 20 gennaio 2004, n. 26), ma pure della disciplina concernente la valorizzazione dei beni culturali privati (v. in generale l'art. 7, comma 1, del Codice), a cominciare naturalmente da quelli conservati ed esposti nei musei.

Ed è in quest'ottica, di conseguenza, che devono essere valutate soprattutto le nuove disposizioni del Codice relative al sostegno pubblico delle attività e delle strutture di valorizzazione dei beni culturali di proprietà privata.

Tali disposizioni devono essere salutate con favore sebbene possano effettivamente apparire un po' scarne, giacché si tratta per lo più di disposizioni di principio atte a formare la cornice entro la quale la legislazione regionale è chiamata a disciplinare dettagliatamente il sostegno pubblico delle attività di valorizzazione a iniziativa privata.

In sintesi, la valorizzazione a iniziativa privata è qualificata come attività socialmente utile e ne è riconosciuta dal Codice la finalità di solidarietà sociale (v. l'art. 111, comma 4, nonché l'art. 101, comma 4, con specifico riferimento ai musei e agli altri istituti e luoghi della cultura appartenenti a soggetti privati e aperti al pubblico; ma v. già in precedenza l'art. 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, concernente le Onlus); perciò si prevede il sostegno pubblico delle attività e delle strutture di valorizzazione dei beni culturali di proprietà privata (tra le quali spiccano evidentemente le strutture museali) da parte dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali (v. l'art. 113, comma 1 del Codice).

E' previsto che le misure di sostegno siano adottate "tenendo conto della rilevanza dei beni culturali ai quali si riferiscono" (v. l'art. 113, comma 2) e dunque che le modalità della valorizzazione siano stabilite "con accordo da stipularsi con il proprietario, possessore o detentore del bene in sede di adozione della misura di sostegno" (v. l'art. 113, comma 3, nonché il seguente art. 114, relativo agli standard qualitativi della valorizzazione, che la legge dichiara vincolanti soltanto per le attività ad iniziativa pubblica ma dei quali gli enti pubblici finanziatori con ogni probabilità vorranno estendere l'applicazione anche alle attività ad iniziativa privata oggetto di sostegno; con specifico riferimento ai musei, si pensi agli standard stabiliti dal decreto ministeriale 10 maggio 2001 in attuazione dell'abrogato art. 150, comma 6, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112).

E' previsto inoltre, per quanto qui rileva, che le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possano concorrere alla valorizzazione delle collezioni private dichiarate di eccezionale interesse artistico e storico partecipando agli accordi riguardanti le modalità della loro visita da parte del pubblico, siglati tra i loro proprietari e i competenti soprintendenti (v. il combinato disposto dell'art. 113, comma 4, e dell'art. 104 del Codice), e infine che gli accordi concernenti gli interventi di valorizzazione dei beni culturali pubblici stipulati su base regionale tra lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possano riguardare, previo consenso dei soggetti interessati, anche beni di proprietà privata (v. il combinato disposto dei commi 7 e 4 dell'art. 112).

Alcune delle disposizioni ricordate, invero, recano principi già da tempo conosciuti e sviluppati dalla legislazione regionale (si pensi in particolare alle diverse normative di finanziamento dei "musei privati di interesse locale", categoria di musei all'interno della quale peraltro i musei ecclesiastici occupano indubbiamente una posizione di spicco); altre disposizioni invece (specialmente quelle sugli accordi) rivelano un cospicuo potenziale innovativo, sebbene con ogni evidenza occorra attendere che la legislazione regionale le traduca in norme di dettaglio per comprendere appieno la reale portata operativa della maggior parte delle stesse.

Un discorso analogo, in fondo, va fatto anche a proposito della definizione di museo fornita dall'art. 101, comma 2, lett. a del Codice, in base alla quale per "museo" si deve intendere "una struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio".

Per un verso, tale definizione - confermando l'accoglimento di una concezione oggettiva ma non meramente reale o materiale del museo - rappresenta un progresso significativo rispetto alla definizione fornita dal Tu del 1999 ("struttura comunque denominata organizzata per la conservazione, la valorizzazione e la fruizione pubblica di raccolte di beni culturali"), poiché si tratta di una definizione più precisa e rigorosa che in buona parte è stata ripresa dalla definizione statutaria di museo data dall'Icom (International Council of Museums), secondo la quale per museo si deve intendere (traducendo dall'art. 2, par. 1, dello statuto dell'Icom) "un'istituzione permanente senza fini di lucro, aperta al pubblico, al servizio della società e del suo sviluppo che compie ricerche, acquisisce, conserva, comunica ed espone le testimonianze materiali dell'umanità e del suo ambiente a fini di studio, educazione e diletto".

La nuova definizione, inoltre, è esplicitamente riferita dalla legge tanto ai musei pubblici (v. il comma 3 dell'art. 101 del Codice), come in passato, quanto ai musei privati (v. il comma 4 dello stesso art. 101).

Di contro, la nuova definizione appare ancora lacunosa, se confrontata con la medesima definizione alla quale essa mostra chiaramente di ispirarsi, ossia la definizione di museo data dall'Icom, visto che il Codice omette totalmente di contemplare, da un lato, le imprescindibili funzioni di ricerca e, dall'altro, le finalità di diletto che pure dovrebbero sempre connotare gli istituti museali.

Ebbene, nel valutare le luci e le ombre della disposizione definitoria considerata, bisogna nuovamente sottolineare che in ogni caso si tratta di una disposizione destinata ad essere specificata dalla legislazione regionale, soprattutto con riferimento agli effetti giuridici provocati dalla qualificazione di una struttura come "museo" in base alla definizione codificata.

Riguardo alle strutture private, segnatamente, il Codice lascia in proposito ampio spazio alla potestà normativa delle regioni, limitandosi a sancire, quale unico effetto diretto di detta qualificazione, che l'attività espletata da queste strutture ha in quanto tale la natura di "servizio privato di utilità sociale" (v. l'art. 101, comma 4).

In altri termini, la definizione di museo accolta dal Codice non va assolutizzata, almeno per ciò che concerne i musei privati, perché la legislazione regionale potrebbe connettere ad essa effetti giuridici di vario tipo.

Non solo: nell'ambito dello svolgimento della propria competenza legislativa in materia di valorizzazione dei beni culturali, dovrebbe altresì essere consentito alla regione quantomeno di integrare la definizione di museo codificata, in occasione dell'introduzione di una particolare disciplina di sostegno delle attività e delle strutture di valorizzazione private.

 

4. Le proposte di correzione e integrazione del Codice

Le osservazioni sin qui compiute, infine, vanno tenute presenti anche nel chiedersi se sia possibile e opportuno formulare proposte di correzioni e integrazioni delle disposizioni del codice in tema di beni museali e di musei.

Occorre tenere presente, insomma, che nel Codice possono essere introdotte disposizioni dettagliate solamente con riferimento alla tutela dei beni, mentre con riferimento alla valorizzazione dei beni privati e dei beni pubblici non appartenenti allo Stato, o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità, le norme del Codice possono valere soltanto come disposizioni di principio.

Nondimeno, bisogna considerare che le disposizioni correttive e integrative del codice, adottabili dal governo entro il 1° maggio 2006, dovranno comunque rispettare gli stessi principi e criteri direttivi stabiliti dalla legge di delega per l'adozione originaria del Codice, tra i quali meritano qui di essere segnalati l'aggiornamento degli "strumenti di individuazione, conservazione e protezione dei beni culturali ... senza determinare ulteriori restrizioni alla proprietà privata" (art. 10, comma 2, lett. d), l. 137/2002), il "miglioramento dell'efficacia degli interventi concernenti i beni e le attività culturali, anche allo scopo di conseguire l'ottimizzazione delle risorse assegnate", e la "chiara indicazione delle politiche pubbliche di settore, anche ai fini di una significativa e trasparente impostazione del bilancio" (art. 10, comma 2, lett. c, l. 137/2002).

Ciò posto, nel concludere il presente lavoro, risulta effettivamente possibile e opportuno avanzare alcune proposte di emendamento delle disposizioni del codice, sia con riguardo ai beni museali sia con riguardo alle strutture che li raccolgono, li conservano, li ordinano e li espongono.

In merito al primo aspetto, per porre rimedio alla frammentarietà dell'individuazione e quindi della tutela dei beni museali privati (v. retro par. 2), potrebbe essere estesa quantomeno alle raccolte appartenenti agli enti non lucrativi la qualificazione come beni culturali delle raccolte in quanto tali, già propria delle raccolte museali pubbliche (si badi: non dei musei ma delle raccolte o collezioni che li costituiscono); del resto in più punti del Codice, come si è potuto constatare, le norme sull'individuazione e sulla tutela dei beni assimilano il regime dei beni culturali appartenenti alle persone giuridiche private senza fine di lucro a quello dei beni culturali pubblici.

In tal modo, per esempio, i beni raccolti in un museo diocesano, che pure non formino nel loro complesso una collezione di eccezionale interesse artistico o storico, potrebbero comunque essere considerati beni culturali unitariamente, come universalità di mobili, anziché soltanto come singoli pezzi.

Quanto al secondo aspetto, oltre a integrare la definizione di museo seguendo più fedelmente la definizione dell'Icom (v. retro par. 3), si potrebbe inserire nel Codice qualche disposizione di principio dedicata in maniera specifica alle attività e alle strutture museali private, che serva in particolare a portare chiarezza nella legislazione regionale intorno ai rapporti tra le misure di sostegno pubblico e gli standard qualitativi della valorizzazione: si potrebbero elevare a principio e generalizzare, per esempio, sul modello delle esperienze che sono state già avviate in alcune regioni, i meccanismi di accreditamento delle strutture finalizzati all'ingresso dei musei privati nelle reti o nei sistemi regionali dei musei di interesse locale.

 



Note

[*] Questo scritto riproduce, con alcuni emendamenti, il testo di un lavoro commissionato dall'Amei (Associazione musei ecclesiastici italiani) che - in persona del suo presidente Mons. Giancarlo Santi - desidero ringraziare per averne consentito la pubblicazione.



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