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Il riordino del ministero nel sistema dei beni culturali
(giornata di studio, 25 novembre 2004, Roma, Musei capitolini)

Qualche osservazione finale sulla recente riorganizzazione del Mbac

di Fabio Merusi



Riformare a costo zero. Questo è l'imperativo attuale per ogni riforma amministrativa. Un imperativo più volte richiamato sia nel decreto legislativo sulla riforma del ministero sia nel regolamento di organizzazione che ne è seguito. E' un imperativo del quale è il caso di tener conto quando si esaminano criticamente le riforme. Certo si poteva fare di meglio, ma se il meglio veniva a costare di più, non si poteva fare. E non lo si poteva fare proprio in materia organizzativa, dove la spesa in più diventa costante, quando addirittura non si dilata nel tempo a seguito di incontrollabili effetti automatici.

Certo nella logica delle riforme senza spesa si poteva addirittura risparmiare, mettendo le mani nel vespaio ... Ma poteva "l'ultimo dei ministeri", anche se di recente diventato particolarmente dinamico e "politicamente visibile" mettere direttamente le mani nel vespaio? Poteva tradurre in norme organizzative quel che tutti tacciono perché considerato politicamente scorretto? Poteva porsi la domanda di quale fosse il livello più economico di decentramento, quando questa domanda non se la pone neppure chi propone di modificare la Costituzione?

Proviamo a porcela noi. Non tanto per fare delle esercitazioni di ingegneria costituzionale del tutto astratte dalla realtà, ma per renderci conto, in controluce, di che cosa c'è nei retropensieri delle critiche di segno opposto che hanno accolto la riforma dell'organizzazione del ministero per i Beni e le Attività culturali.

Prima di tutto la regionalizzazione con la creazione delle direzioni regionali.

C'è chi la giudica un decentramento imperfetto perché non tutte le funzioni sono state decentrate a livello regionale, ma in numerosi casi sono state conservate al centro, a livello di ministero.

Chi le giudica insufficienti per realizzare un effettivo dialogo con le regioni, un dialogo che superi l'apparentemente insopportabile dicotomia generata dalla dissociazione costituzionale delle competenze fra tutela e valorizzazione dei beni culturali.

C'è infine chi, a tutela del vecchio modulo della soprintendenza, ne ha addirittura prospettato l'illegittimità costituzionale attraverso una ordinanza di remissione alla Corte da parte di un Tribunale amministrativo regionale che si è prestato alla bisogna.

In realtà le varie critiche hanno dietro di sé una domanda alla quale hanno preferito non rispondere: il modulo organizzativo è stato rapportato alla funzione da svolgere? E l'ambito territoriale nel quale svolgere la funzione è idoneo a sopportare quel modulo organizzativo?

Non tutte le regioni sono eguali e non tutti i territori regionali si prestano al decentramento delle funzioni o ad un efficace coordinamento con affermate competenze di "valorizzazione".

E' la solita domanda ormai improponibile: la regione, così come identificata dai padri costituenti, è una entità territoriale idonea ad organizzare il decentramento organizzativo dell'amministrazione statale nonché una parallela autonomia federale?

C'è chi risponde di no in generale e perciò, conseguentemente, critica ogni soluzione organizzativa che modifichi la situazione attuale e chi risponde di sì o di no a seconda del tipo di ente regionale al quale sta pensando.

Certo si potrebbe obiettare che proprio il ministero dei Beni culturali poteva far tesoro della sua precedente esperienza di superamento delle difficoltà prospettate dall'organizzazione amministrativa esistente: molte soprintendenze avevano superato le angustie "culturali" del territorio provinciale accorpando più province.

Perché non realizzare i presupposti di un autentico federalismo accorpando più regioni, di per sé "insufficienti", in una unica "direzione regionale"?

A domanda provocatoria risposta ragionevole: perché le reazioni politiche regionali, specie in prossimità delle elezioni, sarebbero state ben più pesanti di quelle provinciali.

Scartate le critiche che hanno un retropensiero inespresso e inesprimibile, rimangono valutabili soltanto le critiche "interne" al processo di decentramento: si poteva decentrare di più nelle direzioni regionali ... alcune funzioni conservate al ministero potevano anch'esse essere decentrate, anche per favorire il determinarsi di un completo "interfaccia" con la regione.

Ma qui, al di là dei casi particolari che potrebbero giustificare la critica, non possiamo ignorare un altro dei problemi organizzativi che gravano sul ministero per i Beni culturali: la nozione di bene culturale, così come recentemente dilatata dal Codice per i beni culturali, è una nozione che riunisce cose diversissime, che conseguentemente hanno bisogno di apparati organizzativi diversi per esercitare su di esse le funzioni istituzionalmente affidate al ministero per i Beni culturali. A funzioni necessariamente diversificate per il notevole grado di specializzazione che le distingue l'una dall'altra non possono essere date spesso le stesse risposte organizzative. Così come è difficile spesso fare interagire, all'interno di una stessa organizzazione, apparati che svolgono funzioni notevolmente diversificate. Se poi si aggiunge che il ministero deve occuparsi anche di teatro e di sport, si ha la misura di quanto sia stato difficile applicare organizzativamente in questo ministero il motto ex pluribus unum. Anche se non tutto il complicato viene per nuocere ... o almeno viene per nuocere ai beni culturali ... Dopo il decreto sull'organizzazione del ministero, il ministro per i Beni e le Attività culturali, di concerto con il ministro dell'Economia e delle Finanze, con decreto 14 dicembre 2004, ha emanato delle direttive per la riorganizzazione dell'Istituto per il Credito sportivo, l'ultima banca pubblica "residua" - per usare la terminologia del Testo unico per il credito ed il risparmio - esistente nel nostro ordinamento.

L'ente, a differenza delle altre banche pubbliche ormai tutte privatizzate, rimane un ente pubblico con una duplice funzione, di sovvenzionamento e di banca finalizzata al finanziamento di opere di interesse pubblico. Un ente, almeno in parte, strumentale per la realizzazione dell'indirizzo politico ministeriale. Con un particolare, che l'oggetto dell'attività dell'ente è stato esteso dallo sport anche ai beni culturali.

Come dire che alla fine di una riforma senza spesa si è forse acquisita la possibilità di accedere a qualche nuova forma di finanziamento...

 
 


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