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Il nuovo sistema museale umbro nella legge regionale
22 dicembre 2003, n. 24

di Antonella Iunti


Sommario: 1. Premessa. - 2. Le origini del sistema museale. - 3. Il sistema museale. - 4. L'esperienza umbra nel settore museale fino alla legge regionale 3 maggio 1990, n. 35. - 5. Il nuovo sistema museale dell'Umbria. - 6. Considerazioni conclusive.



1. Premessa

Con legge regionale 22 dicembre 2003, n. 24, il consiglio regionale dell'Umbria ha approvato le nuove disposizioni in materia di musei e beni culturali connessi. Tale normativa si presenta di particolare interesse, ponendosi tra i primi esempi di legislazione regionale emanati a cavallo di due tra le più importanti riforme degli ultimi anni, che, direttamente o indirettamente, hanno investito il settore dei beni culturali: da una lato, quella del Titolo V della Costituzione, dall'altro, quella condensata nel nuovo Codice dei beni culturali.

Invero, la regione Umbria, fin dalla prima metà degli anni '70, si era distinta per aver adottato una propria legislazione specifica in materia [1], alla quale aveva poi provveduto nel tempo ad apportare le modifiche rese necessarie dal sorgere di nuove istanze emergenti nel settore in questione.

Il vero punto di svolta va rinvenuto, tuttavia, nella legge regionale 3 maggio 1990, n. 35, intitolata Norme in materia di musei degli enti locali e di interesse locale, con la quale il legislatore umbro poneva una serie di disposizioni normative all'avanguardia per l'epoca.

Nell'ambito di tale contesto normativo, spiccava, infatti, la previsione della creazione di un sistema museale regionale, inteso come rete organizzativa unitaria, cui avrebbe potuto aderire la generalità degli istituti di cultura non statali presenti sul territorio, sia pubblici che privati.

Tale modello organizzativo viene riproposto anche oggi, con la legge in commento, anche se, già a prima lettura, le differenze rispetto al passato sembrano essere degne di rilievo. Del resto, non poteva essere altrimenti - almeno così sembra - vista anche la portata degli interventi legislativi e giurisprudenziali che si sono susseguiti negli ultimi anni nel settore in esame.

Proprio alla luce di tali cambiamenti e novità, si ritiene opportuno analizzare il sistema museale umbro, evidenziandone le caratteristiche e i suoi mutamenti.

E' il caso di rilevare fin d'ora che la lettura di un sistema museale può avvenire in chiavi diverse: si può optare, ad esempio, per una lettura di tipo economico [2], al fine di analizzare i vantaggi apportati dalla scelta di una struttura reticolare come strategia di management, così come si può scegliere una lettura di tipo giuridico. Quest'ultima, in particolare, può studiare aspetti differenti di un sistema, che vanno, per esempio, dall'individuazione dei soggetti aderenti e dei loro rapporti, alle funzioni esercitate dagli enti pubblici partecipanti; dall'attività di gestione in senso stretto, alle forme scelte dal sistema per il suo esercizio. Tutto questo, senza mai perdere di vista, peraltro, quelle che sono le opzioni di natura politica, che, sempre, informano e conformano un determinato assetto normativo, specialmente nel settore che qui interessa.

Ciò posto, nell'ottica di una lettura in chiave giuridica, dopo aver delineato cosa si intende per sistema museale in generale, con tale contributo, si cercherà di analizzare, più nello specifico, i meccanismi di funzionamento del sistema museale umbro: dalla legge regionale del 1990, con la quale si è dato vita a tale figura, fino alla recente legge regionale del 2003. In sintonia con quanto testé accennato in ordine alle scelte di matrice politica, si potrà constatare, abbastanza agevolmente, come entrambe, e forse più marcatamente quella della 2003, rappresentino il portato di ben precisi indirizzi di politica pubblica, che obbligano l'interprete, che non voglia essere tacciato di avere una visione miope delle cose, ad una lettura di più ampio respiro, rispetto a quella che sarebbe, se ci si soffermasse ad un'analisi isolata delle singole norme.

 

2. Le origini del sistema museale

Sembra opportuno svolgere qualche considerazione preliminare su che cosa debba intendersi per sistema museale. In via di prima approssimazione, si può dire, fin d'ora, che si tratta di un modello organizzativo tendente a potenziare gli elementi relazionali, quali la collaborazione ed il coordinamento tra i diversi soggetti che operano nel settore, solitamente in stretta contiguità territoriale e la cui origine andrebbe rinvenuta nel processo di regionalizzazione e nell'evoluzione della concezione stessa di museo [3]. In effetti, però, non si può parlare di sistemi museali, prescindendo dalla nozione di "museo".

Definire tale concetto, da un punto di vista giuridico, non appare affatto semplice, anche se ciò potrebbe sembrare un controsenso, in un paese come l'Italia, che può vantare, al suo attivo, almeno tremila musei. Paradossalmente, le maggiori incertezze si riscontrano proprio sul piano legislativo [4], dove "per lungo tempo i musei italiani - statali in particolare - giuridicamente sono stati "inesistenti", presi in considerazione dalla normativa di tutela solo in quanto "collezioni" e dall'erario come luoghi di esazione di una tassa di ingresso" [5]. Nell'incertezza si sono susseguite, nel corso degli anni, varie teorie, tendenti a definire il museo, identificandolo, ora con la raccolta in esso contenuta, cioè come una universitas facti [6], ora, in considerazione dell'eventuale vincolo da esso presupposto, cioè come una universitas iuris [7]. Qualcun altro, invece, mettendone in luce la dimensione organizzativa, è giunto a definirlo in termini di "istituto o istituzione" [8], dando, così, il via a quell'evoluzione della concezione di museo, cui si è poco sopra fatto cenno, che, seguendo anche un po' il percorso della museologia, ha portato all'affermarsi di una nozione soggettiva o istituzionale di museo.

Sennonché, tale evoluzione sembra essere stata, sia pure con notevole ritardo, smentita dal legislatore. Il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 ha fornito la prima definizione giuridica di museo, inteso come "struttura comunque denominata organizzata per la conservazione, la valorizzazione e la fruizione pubblica di beni culturali" (art. 99). Attraverso il ricorso al concetto di "struttura", il legislatore sembrerebbe aver voluto escludere proprio la "soggettivizzazione" del museo; in altri termini, questo, come è stato sottolineato, sarebbe oggetto e non soggetto di diritti [9], distinguendosi, perciò, dal titolare. Sulla base del concetto di "struttura", inteso come l'insieme degli elementi essenziali costituenti il museo (sede, raccolta, organizzazione, rapporti giuridici esterni, etc.), si è finito per sostenere che esso costituisce "(...) solo un modo di organizzazione della raccolta, della conservazione e della fruizione di beni culturali (...) il teatro di attività materiali che possono essere al tempo stesso azioni di tutela e mezzi di valorizzazione di beni culturali, non è esso stesso un bene culturale" [10].

Tuttavia, tale concezione, oggettiva o reale, in virtù della quale, per l'appunto, il museo non sarebbe altro che l'insieme dei beni culturali che contiene, si è rivelata, ben presto, inadeguata a descrivere la nuova realtà, nell'ambito della quale esso è visto anche e soprattutto come servizio pubblico. Ecco, dunque, che la via delle definizioni, aperta dal d.lg. 490/1999, è stata ripercorsa dal recente Codice dei beni culturali, il quale, attraverso la formula contenuta nell'art. 101, sembrerebbe accreditare la tesi della necessità di abbandonare definitivamente la s.d. concezione oggettiva. In effetti, tale norma definisce il museo come "una struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio". Così facendo, essa finisce per considerare il museo come una entità, allestita per accogliere una raccolta, con tutte le attività connesse (tutela, fruizione, valorizzazione), da tenere ben distinta rispetto all'insieme dei beni culturali che accoglie e da non confondere con il soggetto proprietario dell'immobile [11].

Fatta questa che è sembrata essere una premessa necessaria, si vedrà come l'evoluzione di tale concezione di museo abbia inciso anche sulla istituzione dei primi sistemi museali.

La nascita dei sistemi museali va fatta risalire al 1972, quando le regioni sono subentrate in toto agli organi centrali e periferici dello Stato in materia di musei locali [12], essendo state trasferite loro, tra l'altro, funzioni concernenti la relativa istituzione, l'ordinamento, il funzionamento ed il sostegno finanziario, nonché la manutenzione, l'integrità, la sicurezza ed il godimento delle raccolte.

Successivamente, con l'istituzione, a livello centrale, dell'allora ministero per i Beni culturali ed ambientali [13], il trasferimento di funzioni veniva completato ed ampliato dal d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 che, nell'includere i musei appartenenti alle regioni e ad ogni altro ente, anche non territoriale, assoggettato alla loro vigilanza, nell'ambito del settore organico dei servizi sociali alla popolazione regionale, ha delineato per le regioni un ruolo propulsivo e di indirizzo assai vicino a quello oggi prospettato, in termini più generali, dal nuovo Titolo V della Costituzione.

L'estensione della competenza regionale veniva, pertanto, ancorata non più al criterio dell'appartenenza, ma a quello dell'interesse [14]. In particolare, dall'art. 47 del citato d.p.r. 616/1977 emergeva l'accoglimento di una definizione ampia delle funzioni regionali in materia di musei, le quali avrebbero dovuto comprendere tutti i servizi e le attività riguardanti l'esistenza, la conservazione, il funzionamento, il pubblico godimento dei musei e delle raccolte e, soprattutto, il loro coordinamento con le altre istituzioni culturali operanti nella regione. E' proprio, dunque, grazie al d.p.r. 616/1977 che si è aperta la strada al ruolo di coordinamento delle regioni con le altre istituzioni, ponendo così le fondamenta per la creazione dei vari sistemi museali che si andranno via via istituendo e, quindi, per una nuova concezione di museo.

I sistemi museali nascono, infatti, da attività di collaborazione e coordinamento tra più soggetti, pubblici e privati, per il migliore uso e per il più adeguato godimento pubblico del patrimonio culturale. L'attività di collaborazione o, come qualcuno ha opportunamente rilevato, di "progressiva socializzazione delle responsabilità di valorizzazione del patrimonio culturale" [15], impensabile in un contesto storico e legislativo prima degli anni '70, diviene, dunque, il presupposto fondamentale per dar vita a nuove forme di intervento e di organizzazione nel settore culturale.

L'istituzione delle regioni ha, pertanto, cambiato profondamente i termini del problema: la gestione del patrimonio culturale ha cominciato ad essere intesa come servizio; tra regioni ed enti locali sono iniziati ad affermarsi rapporti di collaborazione, mentre le varie leggi regionali hanno finito per supportare la concezione di un museo "aperto", non più inteso in modo tradizionale, come luogo di mera conservazione dei beni [16], ma come protagonista culturale, centro di azione, promozione, ricerca e programmazione, vòlto al conseguimento della piena conoscenza, tutela, valorizzazione ed uso dell'intero patrimonio culturale e quale risorsa fondamentale per lo sviluppo civile, sociale ed economico della comunità [17]. E' in tale contesto che si è assistito alla nascita delle prime forme "embrionali" di gestione associata tra enti pubblici [18] ed all'emanazione delle prime leggi prefiguranti modelli organizzativi in chiave di sistema [19]. Tra queste ultime, spicca proprio la legge umbra del '90, che ha previsto e sviluppato meglio tale modello [20].

 

3. Il sistema museale

Alla luce di quanto sin qui delineato, occorre rilevare come non esista un solo tipo di sistema museale. Sul piano più strettamente giuridico, esso non sembra corrispondere a nessun istituto tipico: varie leggi nazionali vi hanno fatto ricorso in senso generico [21]; mentre, molte leggi regionali lo hanno previsto, in maniera più tecnica, come modello essenzialmente organizzativo, fondatesi sulla collaborazione istituzionale. Allo stesso modo, si riscontrano sistemi museali anche a livello provinciale [22] e, perfino, a livello cittadino [23]. Ciò dimostra, in buona sostanza, come sia necessario ricorrere ad un'analisi delle disposizioni contenute nelle singole leggi istitutive dei vari sistemi museali, al fine di cogliere le caratteristiche di ciascuno e di valutarle anche alla luce dei rapporti politico-istituzionali che ne sono alla base.

Si potrà constatare, allora, come, in alcuni casi, un sistema venga definito tale in considerazione della propria struttura istituzionale e della propria organizzazione. Esso prenderebbe vita dall'unione di più soggetti, anche di natura diversa, che si raccordano tra di loro, integrando le proprie risorse e creando delle strutture organizzative e gestionali comuni. E' questo il caso dei sistemi su base associativa, i quali prevedono l'intervento di più soggetti, pubblici e privati, le cui relazioni sono disciplinate da un apposito statuto, nell'ambito del quale si prevede l'affidamento della gestione ad appositi organi appartenenti all'associazione stessa. In altri casi, invece, un'organizzazione viene definita sistema in quanto unisce, anche con modalità diverse, dei soggetti che hanno in comune una certa dimensione territoriale: nascono, così, i sistemi museali comunali, provinciali o regionali. Quest'ultimi, in particolare, nel prevedere per ambito territoriale di riferimento l'intero territorio regionale, costituiscono lo strumento attraverso il quale i vari soggetti del settore, pubblici e privati, attuano, con il coordinamento della regione, la cooperazione e l'integrazione museale, unitamente alla qualificazione e allo sviluppo dei servizi: è proprio questo il caso del sistema museale umbro.

Emerge, dunque, come la formula sistema museale, di per sé, non sia indicativa di nulla di preciso. Ecco perché sembrerebbe preferibile parlare di sistemi. Se proprio si volesse indicare un tratto caratteristico comune, non si potrebbe andare oltre la constatazione del fatto che, come si è osservato, in tutte le tipologie rinvenibili vi è una chiara volontà di uscire da una visione atomistica e frammentaria dell'istituzione museale e che si riscontrano vari elementi coordinati tra loro, in modo da formare un complesso organico, soggetto a date regole [24].

Così, il sistema museale rappresenta, generalmente, un rimedio a posteriori, applicato, cioè, ad un gruppo di musei già esistenti [25], mediante il quale attivare interrelazioni nell'organizzazione tra più musei, al fine di raggiungere obiettivi difficilmente conseguibili da ogni singolo museo. Si configura, in pratica, una sorta di organizzazione in rete, con la quale è possibile attivare servizi e fornire strumenti comuni capaci di valorizzare reciprocamente le istituzioni museali della rete medesima ed attivare, inoltre, i presupposti per la creazione di economie di scala. Quest'ultime, in particolare, sembrano oggettivamente irrinunciabili, affinché ciascun museo, soprattutto se piccolo, possa ottenere, con costi sostenibili, le dotazioni e le prestazioni con cui assicurare la funzionalità, la qualità e la remunerazione sociale ed economica dei servizi interni e delle azioni intese alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio culturale del territorio. In altri termini, attraverso il sistema si dovrebbero ridurre, se non addirittura eliminare, duplicazioni nella gestione dei servizi comuni, migliorando non solo l'efficacia, ma anche l'efficienza dei diversi servizi forniti dalle istituzioni culturali. L'obiettivo è quello di migliorare gli aspetti e le forme della gestione e della fruizione del panorama museale, lasciando, nella maggior parte dei casi, inalterata l'autonomia dell'attività scientifica di ogni museo e tutte le peculiarità che gli sono proprie.

Peraltro, dall'analisi delle varie esperienze che si sono concretizzate negli ultimi anni, si comprende come il sistema, in genere, costituisce un'unità super partes, di maggior peso, che assolve ad una più incisiva collaborazione con le amministrazioni locali, gli enti pubblici e il sistema economico privato ovvero la realtà imprenditoriale locale. I musei finiscono, così, per identificarsi con un unico soggetto, più grande e più forte, con una maggiore visibilità sul mercato, che diviene il riferimento dell'offerta culturale.

I vantaggi di aderire ad una simile struttura complessa sembrano numerosi: perseguire una maggiore efficienza economica ed organizzativa; consentire la realizzazione di progettualità più qualificate; permettere lo scambio di know-how tra realtà diverse che non avevano avuto precedentemente occasioni per "dialogare" tra loro; determinare un consolidamento di immagine; riuscire ad accedere a maggiori finanziamenti; ottenere la ripartizione di costi fissi con una loro migliore redistribuzione; raggiungere una crescita di utenza; consentire l'adozione di standard minimi di qualità dei servizi e dell'offerta culturale, che sono, normalmente una conditio per entrare nel circuito di un sistema.

In tal modo, il sistema, constando di realtà museali diverse per natura giuridica, per ricchezza espositiva, per argomento, per offerta di servizi, tende, in parte, ad uniformare questi livelli, il che, sotto un certo profilo, costituisce sicuramente un aspetto positivo, perché contribuisce ad offrire una grande occasione di crescita, soprattutto, per quei musei che hanno minori potenzialità. Da un altro punto di vista, tuttavia, una simile uniformazione potrebbe anche rivelarsi svantaggiosa favorendo l'insorgere di maggiori costi di funzionamento della rete, ed, in particolare, di costi legati all'attività di coordinamento, con l'ulteriore problema della gestione di conflitti che spesso si creano a causa della probabile perdita di autonomia o dell'asimmetria nella distribuzione dei poteri, degli oneri e dei benefici tra gli aderenti.

Tale evoluzione ha, indubbiamente, contribuito ad orientare la finalizzazione delle organizzazioni museali verso la fruizione collettiva. L'attenzione si sposta, infatti, progressivamente, dal bene fine a se stesso, alla funzione che questo rappresenta: attraverso l'istituzione del museo il governo locale si propone di realizzare l'interesse della collettività a fruire dei valori culturali espressi dal patrimonio storico e artistico. In altre parole, la qualità di un museo non sarebbe più determinata soltanto dalla rilevanza del patrimonio e dei beni ivi contenuti, ma anche dalla capacità di fornire servizi, di promuovere ricerca e cultura, di qualificare lo sviluppo del territorio circostante.

Alla luce di tali cambiamenti, il museo diventa, come si è già avuto modo di accennare, espressione di un vero e proprio servizio pubblico: l'attività del soggetto che gestisce il museo, mettendolo a disposizione dell'utente, altro non è che un pubblico servizio, la cui fruizione è subordinata all'esazione di una prestazione patrimoniale. La nozione di servizio pubblico che scaturisce da tale contesto è quella classica di "attività della pubblica amministrazione che eroga servizi ed utilità, e che comporta il diritto (...) dei singoli alla tutela del bisogno essenziale connesso (nel caso di specie il diritto alla trasmissione del valore culturale derivante dall'art. 9 Cost.), nonché l'obbligo per i soggetti esponenziali della collettività di svolgere attività per soddisfare tali bisogni (...)" [26]. Inteso, quindi, in questi termini, il museo non costituisce più luogo di mera conservazione e protezione dei beni esposti, caratterizzato dal semplice uso dei beni o dall'esercizio di attività rispetto alle quali gli impianti ed i servizi offerti sono strumentali [27].

Proprio l'attrazione della gestione museale nell'orbita dei servizi pubblici ha comportato per gli enti interessati, primi fra tutti gli enti locali, la necessità di operare scelte tendenti a definire in modo non generico i propri obiettivi e di individuare modelli gestionali più confacenti alle proprie esigenze. Ecco, dunque, che le attività e le modalità di gestione hanno finito per assumere un ruolo determinante nel settore, comportando, per gli enti titolari di musei, la necessità di affrontare in modo innovativo i loro compiti istituzionali.

 

4. L'esperienza umbra nel settore museale fino alla legge regionale 3 maggio 1990, n. 35

In questo contesto, al fine di potenziare e migliorare i servizi nel loro complesso, si è assistito alla creazione e diffusione di reti museali, soprattutto in zone dalla forte vocazione territoriale. E' proprio il caso dell'Umbria, il cui territorio, per l'appunto, appare caratterizzato dalla presenza di una popolazione fitta e concentrata in piccoli e medi abitati, ricchi di storia e tradizioni, dove i musei si presentano numerosissimi e diffusi capillarmente su tutto il territorio, anche se, per lo più, di ridotte dimensioni. Tali caratteristiche dei musei locali umbri, che avrebbero potuto tradursi in limiti alla valorizzazione del settore, sono state, invece, considerate "un valore culturale, per se stesso, meritevole di tutela e un'opportunità di insostituibile efficacia operativa ed economica" [28] ed hanno finito per determinare la scelta di un'organizzazione museale in chiave di sistema [29]. Ma, occorre chiedersi, che tipo di sistema.

La legge regionale 35/1990 [30] non sembra presentare un sistema museale "tradizionale", nei termini sopra descritti, esso sembra configurarsi, piuttosto, come una "volontà regionale di sistema", nell'ambito della quale manca un'unione di più soggetti che "volontariamente" si associano per raggiungere degli obiettivi comuni attraverso l'integrazione delle proprie risorse e una medesima organizzazione [31]. Si deve segnalare, inoltre, la mancanza dell'elemento fondamentale della reciproca comunicazione tra gli aderenti, che, come rilevato, caratterizza lo "stare in rete". E' inevitabile, allora, chiedersi in cosa consistesse il sistema museale umbro previsto e disciplinato dalla legge 35/1990.

Dalla lettura di quest'ultima, pare di capire che il legislatore umbro abbia inteso concepire tale sistema come l'insieme dei "servizi di utilità comune e quei criteri e strumenti di organizzazione generale senza i quali (...) i singoli musei ed i più piccoli specialmente non riuscirebbero nemmeno a sopravvivere (...) né sarebbero possibili quelle attività culturali che è pur necessario applicare in forme molteplici per l'intero ambito regionale" [32]. Si tratta, pertanto, di un modello organizzativo tendente a sollecitare forme di partecipazione fra soggetti titolari di strutture museali presenti sul territorio, che avrebbe dovuto, almeno secondo l'intenzione, consentire una razionalizzazione nella ripartizione dei compiti tra i vari istituti, chiamati ad operare in modo complementare [33].

L'organizzazione, in particolare, si presentava composta di soggetti autonomi e non in relazione fra loro, che venivano coordinati e controllati da un unico operatore, rappresentato dalla regione, la quale garantiva l'unicità dell'organizzazione museale. Da quest'ultima dipendeva il perseguimento di alcuni obiettivi, la realizzazione di economie di scala e il coordinamento degli standard qualitativi e quantitativi minimi di alcuni servizi dei musei aderenti. La regione si presentava, pertanto, come il perno del sistema, a cui tutta l'organizzazione faceva capo e da cui dipendeva l'esistenza stessa del modello. Il suo ruolo di coordinamento e controllo si attuava attraverso specifici interventi legislativi e programmatici [34].

Tale sistema, rimasto in vigore fino a tutto il 2003, si presentava, al dunque, come un insieme di strutture e servizi, al cui potenziamento e valorizzazione dovevano essere diretti, previa programmazione pluriennale e annuale, appositi interventi di sostegno della regione. E, sebbene esso ormai da tempo, ma soprattutto a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, mostrasse un'evidente incapacità di rispondere alle esigenze del settore, non si può fare a meno di rilevare come già contenesse, per quegli anni, alcune innovative intuizioni.

Tra queste ultime, in particolare, si segnala la previsione che individuava nell'"indirizzo, coordinamento e controllo" le funzioni spettanti alla regione, escludendone così un'ingerenza diretta nell'attività di gestione, rientrante nella sfera di autonomia degli enti pubblici e dei soggetti privati titolari dei musei. Inoltre, in maniera assolutamente innovativa, si prevedeva una specifica attività di individuazione dei musei e relativo riconoscimento dell'interesse regionale in capo alla giunta: siamo di fronte ad una delle peculiarità che hanno maggiormente caratterizzato il modello organizzativo in questione. A ben guardare, infatti, appariva come un sistema al quale erano chiamati a partecipare i musei il cui interesse regionale fosse stato riconosciuto dalla giunta e la cui appartenenza comportava l'erogazione nei loro confronti dei contributi regionali.

A fronte di siffatto quadro, occorre evidenziare come nella prassi si sia proceduto a dare attuazione a tale impostazione in modo parzialmente difforme, andandosi a realizzare un sistema "aperto", che consentiva l'adesione di qualunque museo, cioè anche di quelli non rientranti per riconoscimento regionale nel sistema. Quest'ultimi potevano, in qualsiasi momento, presentare un'istanza per ottenere i contributi e, qualora gli fossero stati riconosciuti, sarebbero automaticamente divenuti, per la regione, membri della rete.

Se quest'ultimo aspetto è quello che sicuramente ha rappresentato il tratto saliente della disciplina del '90, è anche quello, tuttavia, che sembra aver destato maggiori problemi, contribuendo non poco a determinare l'insuccesso di tale modello. In effetti, il ruolo della regione ha finito per ridursi in una semplice erogazione di contributi, in assenza, peraltro, di una vera e propria programmazione che individuasse le priorità nell'erogazione medesima; con il risultato che la stessa regione non è mai stata in grado di fornire con precisione dati relativi ai musei esistenti sul territorio e a quelli rientranti nel sistema [35].

In realtà, la legge umbra del '90 demandava ad un apposito atto di indirizzo, da sottoporre al consiglio, l'individuazione, fra l'altro, "degli istituti e dei servizi museali esistenti o da istituire", rientranti nel sistema museale regionale. Per la verità, di quest'atto di indirizzo ve n'è traccia: esso risulta approvato dal consiglio regionale dell'Umbria con deliberazione n. 238 del 23 dicembre 1991 ed include un primo elenco di musei aderenti al sistema, comprensivo anche di musei statali [36]. Tuttavia, dalla lettura di tale atto sembrerebbe desumersi che l'inclusione originaria nell'elenco sarebbe stata occasionata da atti di impulso spontaneo da parte degli stessi soggetti, pubblici o privati, titolari dei musei, laddove, invece, le condizioni fondamentali per entrare a far parte del sistema ed ottenere così l'erogazione dei contributi, avrebbero dovuto essere, sulla base delle disposizioni contenute nella legge 35/1990, da un lato, il riconoscimento dell'interesse da parte della regione, ai sensi dell'art. 1 della stessa legge, dall'altro, l'esistenza in capo al soggetto delle caratteristiche funzionali indicate dall'art. 9 della legge medesima, vale a dire, la presenza negli istituti di personale qualificato a seguito di corsi promossi dalla stessa regione, nel rispetto dei profili professionali stabiliti dal piano triennale dei programmi annuali. L'unico aggiornamento, potremmo dire, a carattere ufficiale, di tale elenco si è avuto, di fatto, in occasione dell'approvazione degli atti di programmazione pluriennale degli interventi da porre a carico del bilancio regionale, sicché, l'inserimento nel sistema, che avrebbe dovuto costituire il presupposto indispensabile per l'erogazione di contributi da parte della regione, con l'evidente intento di contribuire al miglioramento delle gestioni e delle condizioni di fruizione pubblica dei beni esposti, ha finito per perdere di rilievo sostanziale.

Peraltro, una recente indagine condotta dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti sui musei locali umbri [37] ha messo in luce come l'elenco in questione sia stato ulteriormente revisionato, nell'ambito delle iniziative di catalogazione del patrimonio culturale e, comunque, senza alcuna cadenza a carattere periodico [38].

Quanto sin qui rilevato mostra, dunque, le carenze del previgente assetto normativo e della relativa attuazione: per l'esistenza del sistema stesso e un corretta programmazione delle sua attività, sarebbe stato necessario realizzare una preliminare attività ricognitiva dei musei esistenti nel territorio e la creazione di un elenco aggiornato ed aggiornabile dei medesimi; ciò, tuttavia, non si è mai realizzato compiutamente [39].

Passando poi ad analizzare la situazione dei musei rientranti nel sistema, si può rilevare come ciascuno mantenesse la propria autonomia, avendo la facoltà di sviluppare le attività ed i servizi che riteneva più opportuni, ma tutti erano, comunque, tenuti a perseguire, nel più breve tempo possibile, almeno i livelli funzionali minimi di primo avviamento indicati dal piano triennale, quali la regolare apertura al pubblico per un congruo numero di ore settimanali; la presenza di addetti qualificati, a seguito di corsi promossi dalla regione; l'attivazione dei servizi di ingresso e di accoglienza al pubblico, di vigilanza, di salvaguardia delle raccolte, di promozione culturale; la possibilità di disporre del catalogo scientifico sistematico edito nella collana del "catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria".

Come si vede, la legge regionale del '90 rimaneva legata ad un'impostazione sostanzialmente rigida delle competenze e dei rapporti con gli enti locali, verso i quali la regione si poneva non già come soggetto in posizione paritaria, ma come soggetto conformatore dell'intero sistema. Spettava, infatti, a quest'ultima individuarne i componenti, determinarne le caratteristiche, prevedere gli standard qualitativi e quantitativi dei servizi che gli aderenti avrebbero dovuto rispettare: il sistema nasceva e prendeva forma dalla sola volontà dell'ente territoriale, senza lasciare il minimo spazio a strumenti pattizi o ad accordi con gli altri soggetti. La stessa adesione al sistema si presentava anomala e rispecchiava questa posizione gerarchica della regione: i musei considerati aderenti, in quanto, per riconoscimento regionale, godevano dei servizi e dei contributi da questa erogati, non dovevano manifestare alcuna volontà di accettazione relativamente all'ingresso nel sistema. La rete museale in questione nasceva e funzionava, quindi, per volontà unilaterale della regione.

Questo, in realtà, si è rivelato un altro dei limiti del modello organizzativo del '90. I musei che godevano, infatti, dei contributi regionali, pur essendo tenuti, come precedentemente rilevato, al rispetto di alcuni livelli funzionali minimi nello svolgimento del loro servizio, non trovando il fondamento di questa condizione in alcun atto per essi vincolante, data la mancanza di dichiarazione di adesione al sistema, si sono mostrati, frequentemente, inadempienti.

Per quanto attiene alla partecipazione degli enti locali e degli altri soggetti alla creazione e gestione del sistema museale, si può osservare, inoltre, che essa, pur rivelandosi innovativa, si presentava ancora in uno stato "embrionale", limitandosi la legge a prevedere l'attribuzione ad essi di poteri di proposta circa gli interventi da includere nei programmi regionali, unitamente alla creazione di un organismo di tipo collegiale, con funzioni meramente consultive, denominato, vista la sua formazione, "Conferenza dei capi degli istituti museali" [40]. Si avrà modo di vedere come proprio questo della partecipazione sia uno dei punti su cui è intervenuta maggiormente la nuova disciplina.

Con riferimento, invece, al capitolo più strettamente attinente alla gestione dei musei e dei relativi servizi museali, occorre rilevare come la legge regionale 35/1990 contenesse disposizioni, tutto sommato, evolute per l'epoca, affidando tale attività, in via prevalente, ai titolari dei musei, mentre, riservava alla regione l'esercizio diretto solamente di alcune attività di valorizzazione, come la catalogazione, l'inventariazione e la promozione di pubblicazioni scientifiche. Al riguardo, la vera grande novità va rinvenuta nella possibilità di ricorrere a società private per l'esercizio dell'attività di valorizzazione. Si affermano, così, in Umbria le prime forme di "esternalizzazione", anticipando una tendenza che si sarebbe diffusa, divenendo quasi la regola, da lì a qualche anno.

Per conseguire il miglior rapporto fra costi e benefici, consentendo ai musei umbri di poter realmente utilizzare il personale appositamente preparato attraverso i corsi di formazione organizzati dalla regione, senza dover rinunciare, come in passato, ad un costante e qualificato funzionamento, la regione dell'Umbria ha previsto, accanto alle varie forme di incentivazione e sostegno, anche un modello di convenzione per l'affidamento in concessione dei servizi. In pratica, si è consentito ai titolari dei musei di far fronte alla remunerazione degli addetti, attraverso la possibilità di far acquisire direttamente a quest'ultimi tutti i proventi delle attività, a cominciare dai biglietti di ingresso e prevedendo che, qualora ciò non dovesse corrispondere al compenso pattuito, il concedente avrebbe colmato la differenza a proprie spese, avvalendosi comunque dei contributi regionali. Nel caso in cui, invece, si fossero realizzati eventuali utili, il concessionario ne avrebbe ottenuto una quota progressivamente crescente.

Le soluzioni che sono state concretamente adottate dai musei, in realtà, non hanno sempre corrisposto puntualmente al modello proposto dalla regione, ma, indubbiamente, le sostanziali innovazioni gestionali e organizzative introdotte hanno comunque consentito una corretta interazione fra responsabilità pubbliche e iniziativa privata, incentivando lo sviluppo di attività in grado di divenire autosufficienti, in breve tempo e di assorbire occupazione in modo permanente e rendendo, al contempo, possibili risultati che si sono difficilmente riscontrati altrove. I piccoli musei locali, conformati agli standard del sistema regionale, si sono, così, rivelati regolarmente accessibili, con ampi orari di visita (spesso anche di sera) e personale qualificato, unitamente alla capacità di affrontare costi sostenibili. La gestione ha visto come protagonisti, soprattutto, società cooperative costituite da giovani diplomati presso i corsi regionali di formazione professionale per "operatori intramuseali" [41]. Ogni singola cooperativa poteva svolgere attività di valorizzazione presso più musei, fornendo, appunto, anche il personale qualificato, che, pertanto, circolava all'interno del territorio regionale.

Il vantaggio di questo meccanismo operativo era che, non solo consentiva agli operatori intramuseali di fare esperienze diverse e conoscere varie realtà, ma, al contempo, rendeva più omogeneo il sistema. Si potrebbe, addirittura, sostenere, che tali cooperative abbiano contribuito a creare o supportare il modello organizzativo in questione.

In ogni caso, alla gestione dei musei, la regione partecipava mediante l'erogazione di contributi, anche nell'ipotesi in cui si fosse fatto ricorso a società private del tipo suddetto, cioè a condizione che queste impiegassero giovani formati con gli appositi corsi di formazione professionale tenuti ed organizzati dalla regione. Sotto questo profilo, occorre, pertanto, riconoscere che i comuni dell'Umbria hanno, da tempo ormai, manifestato la tendenza positiva ad organizzare le gestioni cercando di superare il rigido modello del "museo-ufficio", che vede il museo come una semplice compagine organizzativa dell'ente, priva di autonomia strutturale, funzionale e scientifica [42].

Un'ulteriore peculiarità degna di nota del sistema predisposto dalla normativa del '90, attiene alla previsione di un possibile contributo regionale, versato a sostegno della costituzione di organismi per la gestione di istituti e servizi museali, sulla base di disposizioni, peraltro rimaste inattuate, che riconoscevano alla regione la possibilità di partecipare alla costituzione di simili organismi.

Tali disposizioni, delle quali non v'è traccia nella nuova legge regionale, sembravano così legittimare la costituzione di soggetti come, ad esempio, le fondazioni di partecipazione che, di lì a poco, si sarebbero affermati, prima a livello di prassi e, poi, a livello normativo, con la legge 28 dicembre 2001, n. 448.

Al dunque, sembra potersi affermare che il sistema museale delineato dalla legge 35/1990 non si configurasse come una vera e propria "impalcatura" istituzionale, né, tanto meno, come un assetto organizzativo ben definito, ma, più semplicemente, come un espediente pratico per rispondere alle quotidiane e concrete esigenze dei singoli musei. In ciò, sembrano rinvenirsi i suoi maggiori limiti.

 

5. Il nuovo sistema museale dell'Umbria

Sebbene negli ultimi anni si siano succeduti vari interventi normativi in materia di beni culturali, la legge regionale 35/1990 è rimasta immodificata, fino al dicembre 2003, senza mai adeguarsi ai cambiamenti intervenuti nel settore e senza cogliere le potenzialità che spesso molte altre leggi contenevano [43]. Tuttavia, a seguito della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, con cui è stato modificato il sistema dei rapporti tra istituzioni centrali, regionali e locali, introducendo nuovi criteri di definizione delle relative sfere di attribuzione, un intervento sulla legge regionale in questione si rendeva necessario. Con la legge regionale 24/2003, il consiglio regionale ha, dunque, proceduto all'abrogazione delle vecchie disposizioni in materia, dando vita ad una normativa innovativa e più rispondente - almeno nelle intenzioni - alle esigenze di interazione fra i diversi soggetti della politica dei beni culturali, come tracciate, appunto, dalla riforma costituzionale [44].

La nuova normativa, contrariamente alla precedente, istituzionalizza il sistema museale e lo trasforma in un vero e proprio modello strutturale e funzionale. L'art. 2 lo definisce, infatti, come "l'organizzazione di rete che concorre, in modo coordinato e di comune intesa fra i soggetti interessati, alla valorizzazione del patrimonio culturale umbro attraverso i musei, le raccolte e le altre strutture". Sembra di avere a che fare con un'evoluzione del vecchio modello: il progetto ideato e realizzato nel '90 si era rivelato, come si è visto, poco stabile ed efficace ed occorreva, pertanto, trovare una soluzione che consentisse alla regione l'effettivo raggiungimento degli obiettivi e degli standard prefissati. In effetti, i soggetti considerati aderenti al sistema avrebbero dovuto perseguire e garantire i livelli funzionali minimi individuati dalla regione, ma la mancanza di strumenti per essi vincolanti ha fatto sì che queste prescrizioni rimanessero spesso inattuate. Il sistema, in pratica, non riusciva a perseguire gli obiettivi per il cui raggiungimento lo stesso era stato ideato e a coinvolgere realmente i soggetti del settore.

Se si dovesse individuare il vero momento di passaggio dal vecchio al nuovo modello, esso si potrebbe, forse, rinvenire nell'entrata in vigore del decreto ministeriale 10 maggio 2001, con cui è stato emanato l'"atto di indirizzo sui criteri tecnico - scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei". Con tale documento si è, infatti, fornito un quadro di riferimento generale concepito in termini di requisiti minimi che i vari musei presenti sul territorio nazionale avrebbero dovuto garantire, in modo da favorire la definizione, da parte di quest'ultimi "di un preciso quadro di obiettivi programmatici (...), così da orientare l'attuazione di un efficace piano di sviluppo con tempi, risorse e risultati controllabili" [45]. La necessità del rispetto degli standard da parte dei musei diveniva, a questo punto, indispensabile e così, anche alla luce dei successivi interventi normativi e giurisprudenziali, il passo tra il vecchio e il nuovo sistema è stato breve.

Il nuovo modello elaborato dalla legge 24/2003 vede sempre in primo piano la regione, della quale, però, cambia il ruolo. Quest'ultima non sembra porsi più come ente sovraordinato agli enti locali e agli altri titolari di musei, ma, in nome del coordinamento e della leale collaborazione fra tutte le istituzioni, dovrebbe ricorrere al metodo della concertazione e della programmazione negoziata degli interventi, proponendosi quale fulcro di un complessivo sistema di governo delle autonomie partecipato e applicato dagli enti locali, che vengono, quindi, coinvolti nell'effettuazione delle scelte e che provvedono direttamente alla loro attuazione.

Il nuovo sistema, al dunque, si caratterizzerebbe per il ricorso alla delegificazione nei casi in cui si può far uso di atti di programmazione, nonché per il superamento della logica del riparto di contributi in favore di modalità negoziate di programmazione territoriale degli interventi e per il ricorso a modalità decisionali e attuative maggiormente rispondenti alla recente cultura giuridica e amministrativa.

Ciò dimostra, peraltro, come la legge del 2003 sia nata sì per migliorare e potenziare il sistema museale, ma anche e soprattutto per attuare quelle istanze di politica pubblica, volte a rafforzare il ruolo della regione e degli enti locali, quali catalizzatori degli interessi in gioco e come promotori di reti di cooperazione tra le diverse organizzazioni sociali. Il tutto in un contesto che li vede fortemente protesi verso modelli di governance cooperativa territoriale [46], in ossequio alla recente riforma istituzionale federalista sancita dal Titolo V della Costituzione. E' appena il caso di osservare come nella maggior parte delle regioni, infatti, si registrino cambiamenti significativi per quanto concerne sia l'organizzazione della politica, volta ad una maggiore concertazione, sia la costituzione di "reti" formate da soggetti pubblici e privati.

La nuova legge umbra, così, si presenta come un'evoluzione della pregressa esperienza normativa in materia, combinata con gli strumenti offerti dalla riforma costituzionale del 2001. Ne consegue l'esigenza per l'interprete di procedere ad un'analisi della nuova normativa il meno parcellizzata possibile, che tenga conto della volontà del legislatore umbro di perseguire gli obiettivi della politica pubblica di riferimento.

Alla luce di ciò, si può comprendere che il sistema museale introdotto nel 2003 consiste, come in precedenza, in un'organizzazione voluta e coordinata dalla regione, che continua a fungere da fulcro e che si preoccupa di garantire ed erogare servizi di utilità comune, vigilando, al contempo, sul rispetto degli standard qualitativi e quantitativi dei servizi offerti dai vari musei aderenti. Tuttavia, la differenza fondamentale che pare distingua questo modello dal precedente, consiste nell'aver strutturato il sistema, cioè nell'essere riusciti a definire i soggetti partecipanti in modo preciso, attraverso una particolare procedura di adesione; nell'essere riusciti a vincolarli, obbligandoli al rispetto degli impegni assunti, attraverso il ricorso a strumenti pattizi e nell'essere riusciti a definire i ruoli e le funzioni di ciascun partecipante, così come avviene in una vera e propria organizzazione. La regione non sembra porsi più, quindi, in qualità di soggetto conformatore del sistema, pur mantenendo il ruolo di collante tra gli aderenti. Le regole e gli standard non dovrebbero essere più indice di una volontà "unilaterale" di questa, ma il frutto di atti concordati tra le parti.

Quello che però è rimasto immutato è il rapporto tra i vari musei, i quali continuano a non "dialogare" tra loro e a non integrare le proprie risorse. Anche il nuovo modello, perciò, non sembra essere riuscito a realizzare appieno un sistema territoriale integrato. Quest'ultimo, in effetti, può essere solamente il frutto di un accordo spontaneo tra soggetti: in Umbria, a tal proposito, la situazione sembra ancora prematura, tranne che per un eccezionale esempio [47].

Altra fondamentale differenza rispetto al precedente modello organizzativo, come accennato, attiene alla partecipazione: le nuove disposizioni prevedono che la medesima sia libera. Nel vecchio sistema, per potervi aderire, era necessario un preventivo riconoscimento da parte della regione dell'interesse del museo; i soggetti interessati non avrebbero potuto scegliere se parteciparvi o meno e tutto dipendeva dalla sola volontà regionale, che, appunto, conformava il sistema. Il nuovo modello permette, invece, a qualsiasi titolare di museo che voglia entrare a far parte della rete di presentare un'istanza di adesione: il sistema, così, si caratterizza per la presenza di soggetti che scelgono di aderirvi liberamente. Tale previsione sembra adeguarsi al principio di derivazione comunitaria, fatto proprio anche dal Codice dei beni culturali [48], della "libertà di partecipazione"; principio che rappresenta uno di quelli cui devono adeguarsi le attività di valorizzazione [49]. Ebbene, essendo ormai pacifica, come precedentemente osservato, la riconduzione di quest'ultime alla nozione di servizio pubblico, non si poteva non estendere ad esse i princìpi che ne rappresentano la disciplina generale, tra cui, per l'appunto, quello sulla libertà di partecipazione. Pertanto, ora, in base a questo principio, la regione non solo è tenuta a consentire lo svolgimento di tali attività di interesse pubblico ad altri soggetti pubblici e privati, ma deve anche favorire il loro coinvolgimento nell'erogazione del servizio agli utenti.

Sembra opportuno rilevare, tuttavia, come la regione mantenga un controllo sull'ingresso nel sistema, spettando alla giunta valutare l'ammissibilità o meno dell'ingresso di nuovi soggetti nella struttura. Ciò potrebbe apparire in contraddizione con l'affermazione "partecipazione libera" e però così non è, perché, come già accennato, i titolari dei musei sono liberi di presentare la domanda, cioè sono liberi di decidere se aderire o meno al sistema, mentre alla regione spetta solo stabilire se i singoli istituti rivestano un interesse per il territorio. In particolare, dapprima, vi sarà la valutazione preventiva sull'interesse, ai fini della fruizione pubblica [50], con conseguente ammissione o meno del soggetto nel sistema [51]; successivamente, sarà necessario provvedere, con i soggetti precedentemente individuati, al perfezionamento dell'ammissione stessa, mediante la redazione di programmi definiti sulla base di accordi, che le parti dovranno impegnarsi a rispettare. Nel caso di soggetti pubblici, l'accordo sarà stipulato ai sensi dell'art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241; nel caso, invece, di soggetti privati, l'accordo consisterà in un "programma negoziato" [52].

La programmazione negoziata si presenta, quindi, come uno strumento che avvantaggia entrambe le parti: i privati, perché partecipano all'elaborazione dell'accordo, senza che nulla venga ad essi imposto contro la loro volontà; l'amministrazione, in quanto la natura negoziale dello strumento vincola i contraenti e garantisce, così, il perseguimento degli obiettivi. Del resto, proprio il ricorso a questo strumento è riuscito a far superare le ostilità che i rappresentanti dei musei privati umbri avevano, inizialmente, dimostrato nei confronti del sistema museale regionale.

Occorre segnalare come sia stata prevista anche l'istituzione di un logo identificativo, il cui rilascio vincolerà i soggetti aderenti al conseguimento ed al mantenimento di standard funzionali, predefiniti in conformità con quanto previsto dal d.m. 10 maggio 2001. Spetterà ad un apposito "Piano regionale per il sistema museale dell'Umbria", adottato con la partecipazione degli enti locali e, previa concertazione, con le parti sociali, in base alle disposizioni contenute nella legge regionale 28 febbraio 2000, n. 13, individuare i suddetti standard, oltre a contenere gli obiettivi e le linee strategiche per lo sviluppo del sistema e a prevederne le forme di cooperazione strutturali e ad esso funzionali, da attuarsi d'intesa con gli aderenti al sistema. Nel caso di musei privati, invece, gli standard saranno individuati mediante le intese programmatiche citate, sottoscritte singolarmente fra regione e soggetti responsabili dei musei in questione.

L'adesione libera e volontaria al sistema e l'individuazione condivisa degli obiettivi di valorizzazione del patrimonio sembrerebbero evidenziare un'evoluzione dei rapporti fra regione e soggetti titolari delle strutture museali, privilegiando logiche di tipo collaborativi/cooperativo, in attuazione del "principio consensuale" per la valorizzazione dei beni culturali, codificato, ormai, anche, nell'art. 112 d.lg. 42/2004 [53].

Ciononostante, rimane sempre un ruolo forte della regione, tant'è che lo stesso funzionamento dell'organizzazione dipende dalla capacità della regione stessa di realizzare un efficace sistema di vigilanza sulla corretta ed effettiva osservanza degli accordi. Spetta, infatti, alla giunta la possibilità di operare un recesso sanzionatorio, con conseguente esclusione dal sistema museale. Ciò, peraltro, sta a dimostrare, come sostenuto da qualcuno, che gli accordi per la valorizzazione dei beni culturali sono disciplinati dalle norme generali sugli accordi [54], a partire dal principio secondo cui "dall'atto scaturiscano effetti di tipo contrattual-obbligatorio ma - in caso di sopravvenienze obiettive - le amministrazioni contraenti sono abilitate a liberarsi dal vincolo pattizio" [55]. Che quello della regione rimane un ruolo forte sembra emergere anche dal fatto che tra le funzioni, ad essa riservate espressamente, assume particolare importanza, accanto alla definizione dei livelli qualitativi e prestazionali dei servizi museali, quella di indirizzo, relativa al perfezionamento dell'autonomia organizzativa dei musei degli enti locali, attraverso la determinazione dei contenuti fondamentali da recepire negli statuti e regolamenti dei musei pubblici del sistema museale regionale.

Per quanto riguarda gli enti locali, occorre rilevare come ad essi siano affidati compiti di gestione in senso stretto, nonché funzioni di governo della materia nel proprio territorio, attraverso la stipula di accordi con i titolari dei musei privati, diretti all'ottimizzazione delle gestioni di pertinenza di quest'ultimi. Su questo punto, tuttavia, la legge suscita qualche perplessità, poiché non sembra esplicitare con precisione se gli accordi in questione attengano soltanto agli istituti non aderenti al sistema museale ovvero se possano, altrimenti, riguardare anche quelli aderenti. In tal caso, però, si verrebbe a porre un problema di compatibilità tra questi accordi e quelli già stipulati fra regione ed enti titolari.

In ordine alla struttura del sistema, così come delineata dalla legge regionale del 2003, è possibile constatare l'assenza di organi propri del modello organizzativo. La rete, infatti, in quanto "organizzazione" tende a coordinare e ripartire i compiti tra gli aderenti per il perseguimento di uno scopo, ma per far ciò si dovrebbe avvalere di organi propri. Contrariamente ad altri sistemi museali che dispongono, per l'appunto, di organi propri, quello umbro utilizza le strutture dei soggetti partecipanti e, in particolare, quelle della regione, cui sono, infatti, affidati compiti di coordinamento e controllo, oltre all'esercizio diretto di qualche attività di valorizzazione. L'unico organo previsto dalla legge regionale in commento è l'"Osservatorio tecnico scientifico": si tratta di un struttura di tipo tecnico, a composizione mista regione-Stato-enti locali-conferenza episcopale e rappresentanti dei musei privati, con funzione consultiva e propositiva nei confronti della giunta in materia di individuazione dei musei di interesse regionale, di redazione del Piano e di azioni di vigilanza sulla qualità culturale e scientifica del sistema museale. L'assetto predisposto dal legislatore umbro parrebbe aver voluto così evitare un irrigidimento dell'organizzazione mediante norme di legge, rinviando la regolazione della stessa all'attività di indirizzo.

Si coglie, pertanto, come il successo del sistema sia strettamente connesso al grado di aderenza del Piano regionale agli obiettivi della legge, oltre che alla capacità di realizzare le forme di cooperazione strutturali e funzionali previste. Quest'ultime, infatti, costituiscono degli strumenti fondamentali per consentire alla regione di intervenire indirettamente e orientare le scelte dei soggetti titolari relative alla gestione, materia nella quale, altrimenti, l'ente territoriale in questione non avrebbe alcun potere di intervento.

 

6. Considerazioni conclusive

Da quanto sin qui rilevato, si evince come il sistema museale umbro costituisca un modello organizzativo, istituito con il principale scopo di valorizzare il patrimonio culturale, attraverso la creazione di una rete museale. Orbene, così facendo, la legge, a prescindere dalla bontà delle singole norme in essa contenute, sembra voler perseguire gli obiettivi propri della politica pubblica che ne hanno ispirato l'emanazione: il sistema si attua attraverso strumenti di collaborazione e cooperazione, rispetto ai quali la regione si pone come promotrice e principale artefice; contrariamente ad una semplice rete, esso tende a creare un'organizzazione strutturale con un organo "di vertice", la regione, per l'appunto, che coordina i vari soggetti partecipanti e le varie attività. Il che, peraltro, sembra presentare il vantaggio, contrariamente al vecchio sistema, di non dare vita a un rigido rapporto di gerarchia, né ad un riparto di competenze, ma ad un più agile e modulabile riparto di compiti, nell'ambito di un'organizzazione coordinata, incentrata sulla diversificazione dei ruoli di tutti i protagonisti.

A questo punto, però, si pone un ulteriore interrogativo: ci si chiede se tale modello organizzativo possa essere considerato un vero e proprio modello di gestione, tenuto conto anche del fatto che, da una parte, con modelli di gestione, solitamente, si intendono tutte quelle soluzioni organizzative, procedimentali ed economiche a cui le amministrazioni ricorrono per l'esercizio di attività di valorizzazione di loro competenza e, dall'altra, in base a quanto previsto nell'art. 111 d.lg. 42/2004, tra tali attività rientrerebbe anche la "costituzione ed organizzazione stabile di (...) reti". A ciò aggiungasi che alcuni sistemi museali rappresentano dei veri e propri moduli gestionali [56].

Tuttavia, occorre subito dire che tale conclusione non sembra attagliarsi all'ipotesi prevista dalla legge umbra in commento. I modelli tradizionali di gestione, infatti, consistono in soluzioni organizzative, dotate di adeguata autonomia e capacità gestionale, a cui le amministrazioni affidano la gestione delle attività e l'erogazione dei servizi, cosa che, nel sistema umbro, non sembra realizzarsi pienamente. Ed anche se quest'ultimo, prima facie, sembrerebbe configurarsi come un modello di gestione in economia, in quanto non gode di una forma giuridica autonoma, ma si avvale delle strutture della regione, alla quale competono anche le spese relative all'organizzazione, come, ad esempio, quelle per il funzionamento dell'unico organo previsto dalla legge regionale 24/2003, ossia l'Osservatorio tecnico scientifico [57] ed in quanto l'entità dei finanziamenti per le spese suddette è determinata annualmente con la legge finanziaria regionale e che tali finanziamenti vengono iscritti nel bilancio regionale in apposite unità previsionali di spesa stabilite proprio per il sistema museale; ciò non toglie, però, che, da un'attenta analisi della legge, emerge come la regione, attraverso le sue strutture, che, come appena rilevato, costituiscono le strutture del sistema, eserciti direttamente solo alcune attività, quali la catalogazione e l'inventariazione dei beni, nonché la promozione di pubblicazioni scientifiche, limitandosi, per quanto riguarda la gestione ed erogazione degli altri servizi, al mero versamento di contributi per il loro sostegno. La gestione in senso stretto spetta, infatti, di norma, agli enti locali o, comunque, ai titolari dei musei.

La stessa legge regionale del 2003, peraltro, non disciplina aspetti gestionali, in ordine ai quali i titolari dei musei potranno avvalersi degli strumenti offerti dalla normativa di settore.

Nel caso di strutture miste, caratterizzate dall'appartenenza dei materiali esposti in parte a soggetti pubblici e in parte ai privati, la gestione dei servizi museali rimane di competenza dei titolari, che vi provvedono nelle forme ritenute più opportune, anche se, nella prassi, è accaduto che la competenza sia stata affidata all'ente locale [58]. In questo senso, tuttavia, il modello ideato dal legislatore umbro sembrerebbe non pregiudicare l'autonomia di scelta degli enti locali, rendendo, al contempo, il sistema molto flessibile e capace di adeguarsi alle esigenze delle varie realtà presenti sul territorio regionale. Senza considerare che il modello in questione, non prevedendo norme specifiche relative alla gestione e ai modelli gestionali, dovrebbe riuscire ad adeguarsi più facilmente ai continui interventi normativi e giurisprudenziali in materia.

In conclusione, sembra potersi affermare che il sistema museale umbro non rappresenti un vero e proprio modello gestionale, sembra, piuttosto, atteggiarsi quale meccanismo funzionale alla gestione, intendendosi, con esso, una soluzione organizzativa, che, attraverso i suoi meccanismi e i suoi strumenti, incide sulla gestione, perseguendone l'efficienza e l'efficacia. Esso, in effetti, si presenta come un'organizzazione di rete istituita con l'obiettivo di valorizzare il patrimonio culturale mediante il ricorso a strumenti di natura negoziale e accordi, incentivando, cioè, come già rilevato, la realizzazione di momenti di tipo collaborativo/cooperativo tra i partecipanti. Attraverso gli strumenti suddetti, si dovrebbe giungere ad una individuazione condivisa degli obiettivi e degli standard qualitativi e quantitativi che i servizi museali degli istituti aderenti al sistema devono garantire e ad orientare le scelte gestionali degli enti locali. In tal modo, il sistema potrebbe costituire una valida "griglia di supporto" tra i soggetti interessati alla valorizzazione del patrimonio culturale presente sul territorio regionale, non svolgente attività di gestione ed erogazione di servizi, ma che, per mezzo degli standard e dei criteri fissati di comune intesa fra gli aderenti, attraverso gli strumenti negoziali e pattizi che costituiscono e danno vita al sistema stesso, determina l'efficienza e l'efficacia dell'attività di gestione svolta dagli enti locali.

 



Note

[1] Si veda, in particolare, la legge regionale 3 giugno 1975, n. 39, in www.regione.umbria.it.

[2] A tal proposito si veda E. Ballaira - F. Leon, Un'esperienza di sistema. L'abbonamento musei Torino Piemonte 1999 - 2003, in Economia della Cultura, 2004, 469 ss.

[3] Cfr. G. Endrici, Profili istituzionali e prospettive di sviluppo dei musei locali, in Le Regioni, 1995, 280 ss.

[4] Le cause di questa evidente anomalia della situazione italiana sono da rintracciare, da un lato, in una normativa statale che, a partire dal 1902, ha preso in considerazione i musei solo in quanto "raccolte governative", al punto che il termine museo ha, da allora, cessato di comparire nella legislazione di tutela sino al 1999; dall'altro, in una struttura organizzativa statale pensata prevalentemente in funzione dell'esercizio della tutela territoriale, privando i musei non solo di un proprio profilo giuridico, ma anche di proprie norme di funzionamento o organizzazione e di specifici ruoli di personale.

[5] In questi termini, D. Jalla, Premessa, in Il museo contemporaneo, Torino, 2000. E' il caso di rilevare come molti istituti culturali e diverse regioni hanno cercato di far fronte a questa indeterminatezza, ricorrendo alla definizione di museo fornita, nel proprio statuto, dall'International Council of museum.

[6] Cfr. R. Juso, Pinacoteca e museo, in Nov.ss.mo dig. it., XIII, Torino, 1966, 105 ss.

[7] Si veda M. Cantucci, La tutela giuridica delle cose d'interesse storico o artistico, Padova, 1953, 137.

[8] A tal proposito, si veda T. Alibrandi, voce Musei, in Enc. giur. Treccani, XX, 1.

[9] Così G. Severini, Musei pubblici e musei privati: un genere, due specie, in Aedon, 2/2003.

[10] Così G. Severini, op. ult. cit.

[11] R. Rotigliano, Articolo 101 - Istituti e luoghi della cultura, in M. Cammelli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Bologna, 2004, 413 ss.

[12] Cfr. art. 7 del d.p.r. 14 gennaio 1972, n. 3, in Gazzetta Ufficiale, 19 gennaio 1972, n. 15.

[13]Cfr. legge 29 gennaio 1975, n. 5, in Gazzetta Ufficiale 14 febbraio 1975, n. 43 e d.p.r. 3 dicembre 1975, n. 805, ivi, 27 gennaio 1976, n. 23.

[14] Al criterio dell'interesse è ricorsa anche la Corte costituzionale (sentt. 8 luglio 1988, n. 921 e 19 luglio 1994, n. 339, entrambe in www.cortecostituzionale.it) secondo la quale l'art. 47 d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616 "riassume l'evoluzione normativa, svincolando la competenza regionale dalla territorialità dell'ente e collegandola alla località dell'interesse".

[15] P. Petraroia, Il governo, in C. Barbati, M. Cammelli, G. Sciullo (a cura di), Il diritto dei beni culturali, Bologna, 2003, 155, il quale rileva come tale espressione sia comparsa, per la prima volta, nella normativa del 1975 e, precisamente, nell'art. 2, comma 2 del citato d.p.r. n. 805.

[16] A tal proposito, si veda F. Salvia, I beni culturali: i ruoli istituzionali, in Archivio Isap, Le relazioni centro periferia, vol. II, Milano, 1984, 1881.

[17] Così l'art. 1 della legge regione Umbria 3 maggio 1990, n. 35, in www.regione.umbria.it.

[18] A questo periodo risalgono, ad esempio, le esperienze della Rocca albornoziana di Spoleto, delle basiliche ravennati, nonché del sistema museale dell'Umbria.

[19] Tra le prime leggi configuranti modelli organizzati in chiave di sistema, si ricordano, in particolare, quelle della Liguria (legge regione Liguria 18 luglio 1973, n. 25; legge regione Liguria 22 aprile 1980, n. 21, in www.camera.it) e della Toscana (legge regione Toscana 4 dicembre 1980, n. 89, in www.camera.it).

[20] E' il caso di ricordare come in quegli stessi anni fosse stato presentato un progetto di legge per la creazione di un sistema museale a livello statale: si tratta del c.d. Progetto Covatta, in Il giornale dell'arte, 1991, 89 ss.

[21] Si pensi, ad esempio, alla legge 10 febbraio 1992, n. 145, in Gazzetta Ufficiale, 21 febbraio 1992, n. 43, riguardante interventi organici di tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia, la quale, tra gli obiettivi di programma triennale di indirizzi, prevedeva "la valorizzazione del sistema museale, attraverso la realizzazione di progetti sperimentali relativi a modelli di gestione, esposizione e fruizione".

[22] I sistemi museali, a livello provinciale, si sono diffusi, soprattutto, a seguito del rafforzamento del ruolo della provincia nel campo dei beni culturali, operato dalla legge 8 giugno 1990, n. 142. Attualmente, sono diversi i sistemi museali provinciali presenti sul territorio nazionale. Tra tutti, si possono ricordare, ad esempio, quelli della provincia di Ravenna e della provincia di Macerata.

[23] Un esempio di sistema museale a livello cittadino è quello di Venezia.

[24] Cfr. G. Endrici, op. ult. cit., 279.

[25] E' possibile, comunque, rinvenire, eccezionalmente, casi di sistemi costituenti rimedi a priori, cioè previsti prima dell'istituzione dei musei aderenti. A tal proposito si ricorda l'esperienza del sistema museale Agno - Chiampo, il quale è nato prima che alcuni comuni dell'ovest vicentino decidessero di istituire i musei. Tale sistema si propone di offrire servizi museali alla popolazione di una vasta porzione del territorio occidentale della provincia di Vicenza (coincidente con le due vallate adiacenti dell'Agno e del Chiampo) senza istituire nuovi musei. In questo caso, si è voluto evitare la dispersione delle risorse in tante piccole realtà di difficilissima gestione, incapaci di fornire servizi qualitativamente soddisfacenti, ponendo al servizio di un più ampio territorio l'attività di un unico museo, capace di assicurare professionalità, qualità gestionale e continuità del servizio. Il sistema è, pertanto, rappresentato dal suddetto museo, con funzione espositiva e di centro servizi e coordinamento per l'intera organizzazione, affiancato da una serie di servizi museali locali, uno per ciascuno dei comuni interessati, costituenti attività decentrate del sistema.

[26] S. Foà, Beni culturali e turismo in una prospettiva integrata, in Il diritto dell'economia, 1998, 283 ss.

[27] Così S. Foà, Beni culturali e turismo in una prospettiva integrata, cit., 293.

[28] Aa. Vv., Il sistema museale regionale dell'Umbria, Milano, 1995, 19.

[29] La legge umbra, come è stato rilevato, mostra gli straordinari vantaggi che portano a favorire la promozione di un sistema museale diffuso come quello di operare ad immediato contatto con le comunità stesse che, così, si sentono compartecipi e corresponsabili del proprio patrimonio culturale e quello di conoscere e controllare quotidianamente e da vicino gli oggetti e gli ambienti in cui si trovano collocati, provvedendo ad una sistematica manutenzione programmata: F. Ciceroni, I beni culturali, Rimini, 1999, 214.

[30] Consultabile sul sito www.regione.umbria.it.

[31] E' possibile, comunque, trovare in Umbria un esempio di gestione congiunta di servizi museali tra alcuni comuni. Quello che ci si sarebbe aspettato dal sistema regionale, è stato, invece, realizzato "volontariamente" da alcuni comuni. Si tratta di un esempio di gestione unitaria di una pluralità di servizi museali di pertinenza di soggetti diversi, realizzata sulla base di una convenzione sottoscritta fra gli enti interessati ai sensi dell'art. 24 della legge 142/90, attualmente confluito nell'art. 30 del d.lg. 18 agosto 2000, n. 267.

I comuni che hanno dato vita a questa esperienza sono stati, inizialmente, quello di Trevi e Bevagna, ma, successivamente, se ne sono aggiunti altri (es. Assisi, Spello, Deruta, Montefalco, ecc.). La convenzione, infatti, attualmente, interessa dodici comuni, dei quali undici fondatori ed uno aderente con successiva manifestazione di volontà unilaterale (si tratta del comune di Cascia).

Con la convenzione suddetta viene evidenziata l'intenzione di dar vita ad un'organizzazione unitaria per lo svolgimento di attività e per la fornitura di materiali e servizi di comune utilità relativi ai musei di appartenenza di ciascun ente aderente, con lo scopo di ottenere sia una riduzione dei costi di gestione, sia uno snellimento dei relativi adempimenti amministrativi, sia un incremento quantitativo e qualitativo dell'offerta di servizi culturali. L'attività di maggiore importanza posta in essere congiuntamente dai comuni suddetti è rappresentata, però, dall'organizzazione e gestione di una gara d'appalto europea per l'affidamento unitario delle gestioni museali.

Alla luce di ciò, si potrebbe, pertanto, ritenere che questa esperienza dia vita ad un sistema territoriale integrato, secondo le logiche tradizionali precedentemente esposte.

[32] Aa. Vv., Il sistema museale regionale dell'Umbria, cit., 20.

[33] Cfr. G. Endrici, op. ult. cit., secondo la quale un sistema museale su base regionale si è potuto realizzare in Umbria, in quanto si tratta di regione di piccole dimensioni che può facilmente ambire alla costruzione di un unico sistema.

[34] In definitiva, tale sistema si caratterizzava essenzialmente per la presenza: di una legislazione regionale che disciplinava attività, modalità e finanziamenti per la conoscenza e la tutela delle raccolte e per il ripristino e l'ordinario funzionamento dei musei; di un protocollo d'intesa con la conferenza episcopale umbra per i musei e i beni ecclesiastici; di indirizzi progettuali, organizzativi e gestionali per il ripristino e il funzionamento dei musei locali; di alcuni nuovi servizi di ampia efficacia territoriale che vennero denominati "musei per le città"; di indirizzi amministrativi e tecnici per la installazione di impianti di sicurezza, controllo e condizionamento del clima collegabili ad una stazione centrale che ne vigilasse incessantemente il regolare funzionamento; di un centro regionale per il catalogo, con cui si provvedeva (e si continua a provvedere) alla schedatura sistematica delle raccolte e a studi, ricerche e pubblicazioni inerenti ai beni culturali della regione; di una fototeca regionale, per la sistematica documentazione delle raccolte e della generalità dei beni culturali presenti sul territorio regionale, nonché per la conservazione, commercializzazione e pubblica utilizzazione dei materiali iconografici; della collana del "catalogo regionale dei beni culturali dell'Umbria"; della previsione di specifici profili professionali elaborati per il personale da adibire ai servizi ordinari dei musei, con la programmazione e l'attuazione dei conseguenti corsi di formazione e di aggiornamento e gli indirizzi amministrativi inerenti alle modalità di impiego.

[35] Il problema è stato rilevato dalla sezione regionale di controllo per l'Umbria della Corte dei conti, nella relazione su "I musei umbri di interesse locale: profili ricognitivi, organizzativi e gestionali", approvata con delibera 8 giungo 2004, n. 1 e consultabile su www.corteconti.it. In questa si fa presente la mancanza di "una fonte unitaria dalla quale desumere in modo completo il numero, la denominazione e la titolarità dei musei, pubblici o privati, che siano esistenti nel territorio della regione. L'attività di ricognizione della situazione esistente non ha assunto, infatti, almeno fino ad oggi, nelle previsioni del legislatore statale alcuna connotazione autonoma e neppure risulta per legge intestata ad una autorità terza ovvero ad un centro di responsabilità appositamente individuato a livello statale o a livello regionale".

[36] La citata relazione della sezione regionale di controllo della Corte dei conti ha anche evidenziato che "non si conoscono le procedure adottate per la compilazione di detto elenco e neppure se esso sia stato preceduto da un'istruttoria specifica volta ad estrinsecare i criteri in base ai quali sia stata accertata la presenza dei requisiti ritenuti indefettibili per l'inclusione delle strutture in esso comprese nell'ambito del sistema museale umbro ed ai fini del riconoscimento dell'interesse regionale".

[37] V. supra sub nota 19.

[38] Sempre dalla citata relazione della Corte dei conti emergono le motivazioni addotte dalla regione per giustificare l'incompletezza dell'elenco: l'impegno dell'amministrazione regionale sarebbe stato ostacolato dall'impossibilità, derivante proprio dagli assetti normativi all'epoca vigenti, di fissare preventivamente criteri di riconoscimento certi ed esattamente definiti.

[39] Sembrerebbe che l'aggiornamento più recente, seguito a quello effettuato nel 1994, anno dell'approvazione del programma triennale 1994 - 1996, debba farsi risalire al 2003.

[40] E' il caso di rilevare come tale organo collegiale non sia mai stato concretamente istituito. Nella citata relazione della Corte dei conti si riferisce la circostanza che con nota n. 11565 del 3 giungo 2002, il dirigente responsabile del servizio musei della regione Umbria avrebbe fatto presente che tale organismo non è mai stato costituito, in quanto lo stesso avrebbe dovuto essere formato da figure apicali (i direttori dei musei), delle quali i musei umbri ancora non disponevano, se non in qualche rara eccezione. Peraltro, la legge regionale del '90 avrebbe previsto anche l'istituzione di un altro organismo, la c.d. Commissione consultiva scientifica, che, però, sarebbe scomparsa nel 1999, per effetto della legge regionale 30 giugno 1999, n. 19, in www.camera.it.

[41] In particolare, la gestione dei servizi è stata affidata dai vari musei presenti sul territorio a due società, nelle quali sono confluiti il maggior numero dei diplomati presso i corsi della regione: la società cooperativa "sistema museo" e la società "arsmon".

[42] A tal proposito, cfr. G. Endrici, op. ult. cit., 285.

[43] La legge umbra del '90, ad esempio, essendo antecedente alla legge 142/1990, non poteva coglierne le potenzialità, che riguardavano, in particolare, dal punto di vista delle possibili ricadute sull'organizzazione di settore, il potenziamento del ruolo della provincia relativamente ai beni culturali, le forme organizzative proprie dei servizi, nonché lo stesso ruolo regionale rispetto agli enti locali.

[44] Occorre segnalare come la nuova legge abbia già subito due interventi modificatori: il primo, a seguito della legge regionale 13 aprile 2004, n. 3, relativamente alla parte finanziaria; il secondo, per effetto della legge regionale 21 luglio 2004, n. 13, entrambe in www.regione.umbria.it. Quest'ultimo, in particolare, è stato determinato sia dall'emanazione del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), che dall'impugnazione della legge umbra da parte del governo, per il mancato richiamo alle disposizioni del decreto del ministro per i Beni e le Attività culturali 10 maggio 2001.

[45] Conferenza delle regioni, Standard per i musei italiani, Bologna 28 settembre 1999. Documento redatto d'intesa con Anci e Upi e con la partecipazione del ministero per i Beni e le Attività culturali, del comitato italiano dell'Icom e dell'Anmli.

[46] F. Morata, Reti territoriali e governo cooperativo nell'Unione europea, in Le istituzioni del federalismo, 2000, 45 ss.

[47] Cfr. supra nota 22.

[48] Cfr. art. 111, comma 3 d.lg. 42/2004.

[49] Si veda, a tal proposito, C. Barbati, Articolo 111 - Attività di valorizzazione, in M. Cammelli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., 434 ss.

[50] Attualmente, il nuovo sistema museale umbro è ai "nastri di partenza", essendo ancora fermo alla fase preliminare di raccolta delle istanze. Le domande di adesione fin ora pervenute si presentano molto numerose e riguardano musei di natura e dimensioni molto diverse fra loro, il cui interesse sarà infatti vagliato successivamente dalla regione.

[51] La legge regionale 24/2003 ha richiesto come unico requisito per accedere al sistema quello della rilevanza regionale del museo, contrariamente ad altre leggi in materia che hanno previsto il sistema dell'accreditamento (si pensi ad es. al sistema adottato in Lombardia).

[52] Si veda, in proposito, P. Petraroia, op. cit., 161 ss.

[53] Al riguardo si veda L. Zanetti, Articolo 112 - Valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica, in M. Cammelli (a cura di), Il codice dei beni culturali, cit., 437 ss.

[54] Solitamente si distinguono norme generali sugli accordi tra pubbliche amministrazioni (art. 15 legge 241/1990) e quelle relative agli accordi fra enti pubblici e soggetti privati (art. 11 legge 241/1990; art. 43, commi 1 e 2 legge 27 dicembre 1997, n. 449).

[55] L. Zanetti, ivi, 447.

[56] Il sistema museale della provincia di Macerata, ad esempio, è un vero e proprio modello di gestione. Questo è stato costituito nella forma dell'associazione, con una propria autonomia organizzativa e gestionale, e si avvale di organi appositamente costituiti. Tra i principali compiti dell'associazione vi è la gestione in forma coordinata dei servizi comuni.

[57] Occorre, a tal proposito, ricordare anche il sistema museale della provincia di Ravenna, che, per certi aspetti, si avvicina a quello umbro. Anch'esso non dispone di una forma giuridica autonoma, ma rappresenta una delle attività del settore Beni e Attività culturali della provincia ed è da questo coordinato. La struttura organizzativa è quella del settore, all'interno del quale vi è una u.o. Beni culturali dalla quale dipende il sistema. Le stesse considerazioni valgono per la gestione delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, in quanto il personale e i mezzi finanziari vengono inseriti nel peg del settore.

Per quanto riguarda, invece, gli strumenti applicativi utilizzati per la gestione del sistema nei confronti dei musei, si rileva che questi consistono nelle convenzioni stipulate con gli enti proprietari, sia pubblici che privati.

[58] In Umbria, un esempio di questo tipo è rappresentato dal museo civico diocesano la Castellina di Norcia, che rientra nella titolarità del comune e della diocesi locale, la cui gestione è affidata ad una cooperativa privata, in base ad una convenzione sottoscritta dall'ente locale.

 



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