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La dimensione amministrativa in un quadro di globalizzazione.
Spunti di applicazione al patrimonio culturale
[*]

di Umberto Allegretti


Sommario: 1. Amministrazione e politica nella globalizzazione. - 2. Le tre forme di globalizzazione e le loro conseguenze. - 3. I riflessi sulla globalizzazione istituzionale. - 4. Alcune conseguenze sulle politiche del patrimonio culturale.



1. Amministrazione e politica nella globalizzazione

Il tema è di carattere generale e non richiede di esaminare direttamente i problemi specifici del patrimonio culturale; ci si limiterà pertanto ad affacciare nulla più che qualche elemento riferito a questo settore.

In un recente convegno ("Dalla cittadinanza amministrativa alla cittadinanza globale") [1], la prima giornata dei lavori (relazioni di S. Cassese, R. Ferrara, M.P. Chiti, E. Ferrari, S. Battini, F. Attinà, G. Caia, D. De Pretis, G. Della Cananea, F. Astone) ha visto in prevalenza esposta una visione delle tendenze in atto alla globalizzazione amministrativa, sviluppantisi sia a livello direttamente mondiale che a livello continentale europeo, che rileva l'esistenza, ormai, di settori di vera e propria amministrazione integrata a livello internazionale e lo fa con una sottolineatura di valore tale da sostenere che il diritto amministrativo surroga il diritto costituzionale e il processo amministrativo sostituisce il processo costituzionale nel consenso dei governati (Cassese). La seconda giornata (tavola rotonda con l'intervento di U. Allegretti, J. Morand-Deviller, I. Marino, R. Cavallo Perin e con seguente discussione) ha però modificato questa valutazione, mettendo in luce non l'erroneità della constatazione (poiché esistono una serie di dati che la suffragano) ma la sua incompletezza, non solo in quanto a settori coinvolti (il che è non può non essere chiaro a tutti) bensì anche su un piano qualitativo, e permettendo quindi di sostenere l'unilateralità di quella conclusione. Si è infatti cominciato con l'osservare che non è possibile amministrazione senza scelte politiche che stanno a base della sua costruzione e che guidano il suo funzionamento, come dimostra il caso eclatante, citato anche dai sostenitori della prima tesi, delle istituzioni economiche internazionali (Allegretti); si è proseguito rilevando che gli ordinamenti amministrativi descritti non sono vocati alla generalità e che continua ad avere notevole incidenza la pluralità degli ordinamenti statali (Romano Tassone); che l'interrogativo dove stia la politica, se negli stati o nell'organizzazione internazionale, è decisivo (R. Ferrara); che il mercato non può esistere senza etica e senza diritto e che la politica non può andare avanti con un'autoreferenzialità che si scolla dagli uomini e dai territori a meno di diventare dispotismo (Marino); così che chi presiedeva la sessione (A. Romano) ha affacciato la conclusione che nella fase attuale manca a livello della sfera globale un ordinamento generale (e dunque un'amministrazione che ne sia la concretizzazione).

La considerazione più importante è, dunque, che non esiste la possibilità di valutare l'iniziale globalizzazione amministrativa oggi esistente prescindendo dagli orientamenti politici che stanno alla sua base; che pertanto il suo inquadramento, anche per quanto attiene ai singoli settori come quello del patrimonio culturale (che particolarmente interessa il convegno attuale), non può omettere di considerare gli indirizzi dell'attuale mondializzazione e delle sue applicazioni.

 

2. Le tre forme di globalizzazione e le loro conseguenze

Da queste osservazioni si può partire per fare il punto sullo stadio attuale della vita mondiale. Questa vede in pieno sviluppo il processo - processo in corso e non situazione compiuta - di globalizzazione, nelle sue tre componenti complessive, tra loro interconnesse e comprendenti ciascuna tante sottomanifestazioni, di globalizzazione economica, globalizzazione culturale e globalizzazione politica. Essa presenta la globalizzazione giuridica come ispirata agli orientamenti seguiti da queste tre mondializzazioni "sostanziali", e questa globalizzazione risulta inoltre assai esitante o comunque puramente iniziale, sia in campo normativo - nonostante la codificazione in molteplici strumenti dei diritti fondamentali, detti enfaticamente diritti umani - sia in campo organizzativo.

Le linee della prima globalizzazione - quella economica - sono le più note. Si fa largo la tendenza a ridurre a merce molti di quei beni della vita che in precedenza erano sottratti dal regime di scambio: beni umanistici e spirituali, o materiali ma posti a disposizione di tutti e spesso forniti gratuitamente - corpo umano, prodotti dello spirito, scoperte dell'ingegno, acqua, molti servizi - sono ora considerati beni economici (si parla infatti dai critici di onnimercatizzazione). Correlativamente, essi sono in misura crescente privatizzati e liberalizzati: si estende il regime proprietario, per esempio attraverso l'ampliamento della brevettabilità, e si alienano beni e imprese pubbliche, si aprono ai privati servizi che prima venivano svolti dall'ente pubblico, diminuisce, cambia di incidenza, talora scompare, la regolazione amministrativa di molte attività. La deregolazione trova il suo acme nel settore dei beni e delle attività finanziarie: credito, investimento finanziario, operazioni finanziarie di varia natura, operazioni comportanti cambio ed esportazione, vengono più d'ogni altra liberalizzate. Anche per questa via, cresce la supremazia della finanza sull'economia reale, con tutte le conseguenze che questo esplica anche sulle istituzioni economiche in genere, sui caratteri organizzativi delle imprese e sulle classi professionali, portando per esempio a una nuova supremazia, in senso all'impresa, dei proprietari delle azioni e delle obbligazioni, a un nuovo tipo di amministratori che, restando al comando, puntano però ora essenzialmente a elevare la quotazione di borsa per soddisfare gli interessi degli azionisti e alla creazione di una quantità di nuovi operatori finanziari, quali i fondi pensione e altri [2]. Le mutazioni investono anche il regime del lavoro subalterno, che regredisce sempre più a merce, vedendo diminuire la sua tutela sia nelle forme di lavoro subordinato che in quelle inquadrate formalmente come lavoro autonomo ma in realtà fortemente dipendenti dall'impresa di comando. Sotto l'aspetto sociale tutto ciò determina nuova formazione di oligarchie e aumento dei divari sociali all'interno dei singoli stati, così come sul piano geopolitico cresce, nonostante l'ingresso nello sviluppo di alcuni paesi, la polarizzazione tra diverse aree del mondo e fra diversi paesi, che si dividono tra quelli ricchi e ricchissimi e quelli poveri e assolutamente emarginati.

La globalizzazione culturale è più sottile e meno ordinabile nelle sue componenti, anch'esse tuttavia inventariabili se appena si volesse applicarsi a farlo. Essa ha uno dei suoi perni nell'impero e nella mondializzazione della tecnica. Legata com'è al primato dell'economia, la tecnica - oltre a diventare la padrona dello sviluppo scientifico, rendendolo sempre meno "disinteressato" - orienta tutta la vita umana. Affidamento alla tecnica della soluzione dei bisogni e desideri, tecnicizzazione dell'informazione e della comunicazione, tecnicizzazione della risposta al dolore e della ricerca di felicità [3], accresciuta tecnicizzazione dell'uso della forza: sono tutti aspetti che orientano la selezione dei fini e attraverso i quali la tecnica da strumento diventa scopo, fino a potere essere percepita come irrefrenabilmente capace di autosviluppo e addirittura, secondo alcuni, padrona di un'avanzata ineluttabile [4]. La tecnica tende ad omogeneizzare culturalmente il mondo ma non è l'unico fattore di questo fenomeno. La tendenza all'omogeneizzazione riposa anche sull'impulso economico e su quello politico, quest'ultimo proteso a considerare i valori dell'Occidente come superiori ad ogni altro e validi per tutto il mondo. Le tre "I" - inglese, informatica, impresa - tanto spesso avanzate come base per le riforme scolastiche rappresentano bene questi impulsi all'uniformità e insieme il primato del fattore tecnico-economico. A questa tendenza all'omologazione fa riscontro una reazione di ripiegamento di molti paesi, gruppi, settori di società sulle identità particolari. Una reazione ambigua: ha aspetti positivi, ma su di essa si può impiantare lo sviluppo dei fondamentalismi, dei quali il primo e più forte è quello dei paesi economicamente, tecnicamente e politicamente più forti dell'Occidente. Le differenze culturali possono allora diventare una frontiera non di dialogo e di integrazione ma di scontro o almeno di divisione e rivalità reciproca [5].

Finalmente, la globalizzazione politica. Essa emerge nella riduzione del quadro mondiale al primato tendenziale di un'unica superpotenza e quindi all'affermazione di un impero che, a differenza di quanto talora teorizzato [6], praticamente coincide con il classico imperialismo (purché riletto in chiave non solo economica) e si traduce in forma teorica e pratica in unilateralismo (nel campo militare, della tutela dei diritti, in materia ambientale e, almeno nelle aspirazioni, anche in economia). Naturalmente anche qui si attizza lo scontro ed esso, sorretto da un misto di fattori economici, culturali e strettamente politici, assume in misura grave carattere violento, sia attraverso le guerre locali, la tendenza al riarmo anche atomico e il terrorismo, sia attraverso l'uso crescente delle forza bellica intesa al controllo mondiale, che ritorna, contro il diritto internazionale vigente, come strumento di risoluzione delle controversie e si estende alla sedicente difesa dei diritti umani e alla lotta al terrorismo.

I difetti assai gravi che i vari aspetti delle tre globalizzazioni e il loro intreccio comportano sono evidenti a tutti e molto rilevati nella letteratura, per lo meno se si parte - come è inevitabile - da considerazioni che investono i maggiori problemi umani e se ciò facendo si valutano al giusto le compromissioni della dignità e le fortissime lesioni dei diritti fondamentali di un gran numero di uomini e donne, specialmente (ma non solo) in certe aree del mondo e in certi paesi. Complessivamente, si può esser sicuri che - a fronte di vantaggi, potenziali e anche attuali, ricavabili a questi fini dalla globalizzazione, facilmente riconoscibili e fin troppo riconosciuti - prevalgono in questa fase, e tendono anzi a crescere dopo gli eventi degli anni più recenti, le conseguenze negative direttamente o indirettamente imputabili alla globalizzazione [7]. Per cui vanno aumentando, anche all'interno di settori originariamente ed anche attualmente favorevoli al progetto mondializzatore, le critiche politiche e scientifiche alle tendenze in atto. E nel contempo si diffonde un molteplice movimento di resistenza e proposta, che nella rete di movimenti per eccellenza "altermondialisti" (o no-global o new global come più frequentemente ma meno soddisfacentemente li si chiama) avente ormai natura planetaria - si pensi ai Forum di Porto Alegre e di Mumbai [8] [9], o più semplicemente alle manifestazioni mondiali per la pace del 15 febbraio 2003 e del 20 marzo 2004, che fanno parlare ormai a molti in termini concreti dell'emergere di una società civile internazionale - trova una sua coagulazione a livello di massa.

 

3. I riflessi sulla globalizzazione istituzionale

Le conseguenze di carattere istituzionale - normative, organizzative e in particolare amministrative - ricollegabili a questa situazione sono abbastanza evidenti.

La globalizzazione economica ha un riflesso impressionante nella supremazia che essa impone all'economia su ogni altro aspetto della vita e nella trasformazione in senso liberista, anzi privatista, della disciplina giuridica. Benché i diritti fondamentali di carattere umano continuino ad essere riconosciuti e ribaditi, anche mediante documenti di indirizzo e normativi di natura internazionale, tuttavia su di essi hanno la meglio, nella disciplina e nell'operatività concrete, i diritti di proprietà, di impresa e di rendita finanziaria, il cui effetto diretto è quello di comprimere, e non di rado di impedire in radice, il godimento dei diritti fondamentali: dalla vita alle libertà ai diritti sociali e a quelli elementari della vita materiale. Del pari, tra le organizzazioni dei vari livelli - da quello statale a quello continentale a quello planetario, - e anche all'interno delle stesse organizzazioni, quelle economiche pubbliche e private prevalgono su quelle politiche generali. Basti pensare all'ancora complessivamente preminente impostazione funzionalistica dell'Unione europea (che probabilmente sopravvivrà anche se verrà approvato il nuovo trattato) e alla concreta predominanza dell'incidenza delle istituzioni mondiali dette "specializzate", specialmente delle tre grandi istituzioni economiche (Fmi, Bm e Omc), rispetto alla evanescente capacità di indirizzo dell'Onu, in scostamento dall'impianto della Carta fondativa. E al ridimensionamento drastico della capacità di governo degli stati sugli operatori privati, che assicura a questi libertà di azione a spese dell'interesse collettivo di per sé impersonato dalla sfera politica e oltre ogni frontiera nazionale [10].

Sul piano culturale, in sé rimane il protagonismo organizzativo degli stati e della loro capacità di regolazione - per esempio riconosciuto dai trattati europei e che è riproposto anche nel nuovo trattato -. E nondimeno i condizionamenti esercitati sulla dimensione culturale dalle risorse economiche e dalla loro ineguale distribuzione, il diverso peso politico dei vari stati, e la pratica consapevole e finalizzata da parte dei più forti di essi di una precisa egemonia culturale affidata all'uso dispiegato di strumenti che mirano ad affermarla - particolarmente deciso l'atteggiamento degli Stati Uniti ma anche dell'Europa, che fanno parlare giustamente di "occidentalizzazione del mondo" - rendono da un lato fortissima l'influenza di alcune aree culturali e politiche sul resto del mondo e dall'altro scatenano nell'ambito di altre aree, anche sul piano giuridico e organizzativo, risposte fondamentaliste che rafforzano organizzazioni e sistemi normativi contrapposti a quelli indotti dall'influenza degli stati occidentali.

Analoghe le conseguenze politiche: gli stati perdono potere, ma sarebbe avventato parlare di un complessivo declino di questa forma del potere politico, che anzi la statualizzazione non ha fatto che incrementarsi in tante aree geopolitiche; piuttosto, si creano fra gli stati, ad onta dell'affermata loro parità giuridica, discrepanze di peso e di ruolo reciproco abissali, tra il rafforzamento di alcuni - gli Stati Uniti fra tutti, che infatti teorizzano e incrementano il loro unilateralismo -, l'indebolimento fino a forme di dichiarato "fallimento" di altri, e la ricerca in certe aree come l'Europa di integrazione interstatale, sempre parziale peraltro e tale da far salva la individualità e molti poteri degli stati membri. Fenomeni tutti particolarmente vistosi in campo militare e perciò stesso forieri di diseguaglianze ulteriori dovuti all'intensificarsi dell'uso della forza.

Tutto ciò concerne innanzi tutto lo strato alto della normazione e dell'organizzazione, ma la dipendenza che si è vista fra livello politico e livello amministrativo fa sì che coinvolga anche quest'ultimo. Limitandosi a due esempi, i programmi di aggiustamento del Fmi e anche gli atti di esercizio del potere di sorveglianza (che riguarda tutti i paesi e non sono quelli soggetti all'indebitamento) sono tutti ispirati alla prevalenza dell'impianto liberista per quanto attiene, rispettivamente, alle condizioni imposte ai prestiti e alle raccomandazioni formulate nei confronti degli stati dopo le ispezioni periodiche. Elementi determinati dall'indirizzo della globalizzazione economica divengono così modello dell'azione amministrativa svolta e conformano, attraverso la loro consolidazione nelle pratiche organizzative abituali dell'istituzione di cui si tratta, un fattore essenziale della formazione della dirigenza amministrativa. Nella pratica militare, la pianificazione strategica e le decisioni sull'armamento risultanti dagli indirizzi seguiti nell'uso della forza divengono elementi guida delle attività amministrative della Nato e tradizione formativa del suo personale. E' certamente possibile rintracciare esempi diversi, se si sta alla ricostruzione di Battini circa il coordinamento, secondo lui paritario, tra più interessi (o che addirittura darebbe la prevalenza a considerazioni di superiorità degli interessi, ad esempio, sanitari), che avverrebbe sul terreno di altre azioni amministrative internazionali; ma è certo che il modello contrario è solidamente rappresentato [11].

 

4. Alcune conseguenze sulle politiche del patrimonio culturale

Volendo intravedere alcuni riflessi di questo quadro dei rapporti mondiali sul patrimonio culturale, si può rilevare quanto segue.

I beni culturali, in passato considerati - nonostante alcuni aspetti di rilevanza economica - essenzialmente come aventi carattere spirituale ("testimonianza di civiltà" secondo una nota espressione), tendono a entrare in misura rilevante nell'area della mercificazione. Ciò si correla con la tendenza alla loro privatizzazione totale o parziale (anche se non esclusivamente: vi sono ideologie pubblicistiche che tendono nella stessa direzione, come quando si sottolinea la rilevanza del patrimonio culturale come risorsa pubblica, in linea certo con eventi concreti come la crescente importanza del turismo sull'economia). I beni culturali non vengono esclusi dalla finanziarizzazione, quando per esempio si ammette che possano essere oggetto di operazioni di cartolarizzazione. Può essere così compromessa la loro natura di beni spirituali destinati all'elevazione collettiva dell'umanità. E' stato notato che, nel quadro dell'Ue, il patrimonio culturale è passato da una situazione originaria di estraneità all'ordinamento comunitario alla soggezione ad alcune preoccupazioni economicistiche in tema di circolazione dei beni - seppure combinate con la ricerca di soluzioni che ne compensassero gli effetti negativi -, poi al riconoscimento della cultura tra gli interessi comunitari, ma con la contemporanea affermazione del valore prevalentemente nazionale di essa come elemento dell'identità nazionale e quindi col suo mantenimento nell'area della competenza degli stati membri e il confinamento del ruolo dell'Unione a interventi complementari e di sostegno, tuttavia influenti (è sicuro) sulla posizione degli stati [12].

Nei riflessi che restano più direttamente legati al piano culturale, i beni culturali combinano elementi di universalità, proprio per il valore che mantengono di testimonianze di civiltà, col legame con territori e comunità determinate [13] e sono perciò oggetto di tensione tra esigenze locali e esigenze nazionali e internazionali. Questo si traduce sul piano politico e istituzionale in un difficile rapporto tra diversi centri politico-amministrativi competenti per la loro tutela e la loro valorizzazione. D'altra parte la supremazia della guerra, come è avvenuto in molti casi recenti, ne coinvolge gravemente la permanenza in vita e la funzione, nonostante la presenza di convenzioni internazionali volte a proteggerli dai danni bellici.

Se si prende atto dei danni che queste tendenze presentano per il valore più direttamente civile e spirituale dei beni culturali, una corretta disciplina dovrebbe perciò prima di tutto codificare la loro natura di beni pubblici, mantenendo le forme finora note sia di beni propri dell'ente pubblico (forma inevitabilmente prevalente) che di beni privati sottoposti a regolazione pubblica. Anche la gestione, seppure può associare i privati, deve stare attenta a non trasferire loro poteri prevalenti e inoltre deve evitare di rendere quella privata prevalente facendo mancare alla sfera pubblica risorse finanziarie e di personale adeguate.

Per tenere conto del misto di universalità-identità locale, il loro governo dovrà associare all'interno dei vari stati i diversi livelli politico-amministrativi territoriali. E dovrà accettare alcuni vincoli e collaborazioni continentali e mondiali (Ue e Unesco), che dovrebbero riguardare anche la loro protezione di fronte alla violenza. Così come dovrebbero essere introdotti alcuni standard di protezione da fissare in sede nazionale e da combinare con una prevalente gestione locale. Settis non sembra coerente quando diffida della partecipazione locale alla gestione, che vuol dire anche rapporto di collaborazione nella tutela, essendo come si rileva valorizzazione e tutela funzioni connesse [14]. Sul piano internazionale, dovrebbe esser dato un rilievo pari alle testimonianze della diverse civiltà, il che significa dover concentrare l'attenzione e l'intervento sui paesi extraeuropei, oggi (come anche ieri) soggetti a maggiori rischi di compromissione del patrimonio culturale - inclusa la sua rapina a favore delle economie sviluppate - per mancanza di risorse e per soggezione politica.

 



Note

[*] Intervento al Convegno Archivi e archivisti tra amministrazione e società: quale futuro? La riforma dei beni culturali, organizzato dall'Associazione nazionale archivistica italiana, sezione Toscana, Firenze 31 marzo-1° aprile 2004).

[1] Dalla cittadinanza amministrativa alla cittadinanza globale - Università Mediterranea Reggio Calabria, Dipartimento di Scienze storiche, giuridiche, economiche e sociali, 30 e 31 ottobre 2003 (gli atti non risultano pubblicati).

[2] F. Chesnais, Dodici tesi sulla mondializzazione del capitale, in Democrazia e diritto, 4/2003.

[3] S. Natoli, Tecnologia e dolore. Le ambiguità del contemporaneo, in S. Natoli e L. Verga, La politica e il dolore, Roma, 1996.

[4] E. Severino, Il destino della tecnica, Milano, 1998. U. Galimberti, Psiche e Techne. L'uomo nell'età della tecnica, Milano, 1999.

[5] Come teorizza S. Huntington, The clash of civilizations and the remaking of world order, 1996, trad. it. Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Milano, 1997.

[6] M. Hardt - A. Negri, Impero, Milano, 2002.

[7] Per tutti, U. Allegretti, Diritti e Stato nella mondializzazione, Troina (Enna), Città aperta, 2002, e ivi abbondante letteratura.

[8] Su cui B. De Sousa Santos, The world social forum: toward a counter-hegemonic globalization, 2003, trad. it. Il forum sociale mondiale. Verso una globalizzazione antiegemonica, Troina (Enna), Città aperta, 2003.

[9] U. Allegretti, Il Movimento internazionale come attore costituzionale, in Democrazia e diritto, n. 1/2004.

[10] Per un'ampia analisi su tutto ciò si rinvia a U. Allegretti, Diritti e Stato nella mondializzazione, cit.

[11] S. Battini, Amministrazioni senza Stato. Profili di diritto amministrativo internazionale, Milano, 2003.

[12] B. Accettura, I beni culturali tra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali, in Aedon, 2/2003.

[13] Entrambi questi elementi sono stati messi in luce con grande forza da S. Settis, Italia spa. L'assalto al patrimonio pubblico, Torino, 2002.

[14] M. Cammelli, Italia spa: sul saggio di Salvatore Settis (e dintorni), in Aedon, 3/2002.



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