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La conservazione (art. 29)

di Margherita Guccione


Sommario: 1. La nozione di conservazione nel Codice e nella precedente legislazione. - 2. Altre nozioni di conservazione e restauro. - 2.1. Il restauro nella legge sul recupero del patrimonio edilizio. - 2.2. Il restauro nel regolamento della legge quadro in materia di lavori pubblici (d.p.r. 554/1999). - 3. Il dibattito culturale. - 4. Interferenze ed esiti delle diverse nozioni.



1. La nozione di conservazione nel Codice e nella precedente legislazione

L'art. 29 introduce la Sezione II con una norma definitoria, che statuisce la gamma degli interventi mediante i quali è assicurata la conservazione dei beni culturali. La norma pone le premesse per una migliore comprensione delle disposizioni seguenti, articolando in tre definizioni il concetto di "conservazione" che costituisce la categoria generale di riferimento per tutte le misure disciplinate nella Sezione II del Capo III, "Protezione e conservazione". L'articolato riprende la vecchia locuzione "opere necessarie per assicurare la conservazione ed impedire il deterioramento", utilizzata nel Capo II della legge 1 giugno 1939, n. 1089 che comprendeva l'insieme degli interventi diretti sul bene. Introdotte dal comma 1 dedicato alla conservazione, intesa come azione programmata di attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro, le tre definizioni di cui ai comma 2, 3, 4 completano in modo organico il contenuto del precedente art. 34 T.U. del 1999 limitato al "restauro". La precedente definizione di restauro conteneva, infatti, un margine di indefinitezza tale da consentire diverse ipotesi interpretative sull'interferenza tra attività di conservazione, restauro e manutenzione negli interventi conservativi inerenti i beni culturali.

L'attuale disposizione è profondamente innovativa perché, per la prima volta, è stato compiuto lo sforzo di delineare - in ambito normativo - un quadro di riferimento organico per gli interventi conservativi sui beni culturali. Dalla precedente definizione di restauro, di cui all'art. 34 sopra citato, la norma recepisce la specifica indicazione del miglioramento strutturale da realizzarsi sui beni immobili soggetti a rischio sismico.

All'ambito logico della conservazione sono collegate le previsioni dei successivi commi 5-11, che erano del tutto assenti nel T.U. precedente. Una norma rilevante, anche sotto il profilo culturale, è quella del comma 5, che affida al ministero il compito di individuare le linee di indirizzo e la normativa tecnica in materia di conservazione dei beni culturali, con il concorso delle regioni e con la collaborazione delle università e degli istituti di ricerca competenti. La disposizione, in ragione della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione (art. 118, comma 3), riprende, ampliandone e precisandone il contenuto, l'art. 149, comma 4, lett. f), decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che prevede, tra le funzioni riservate allo stato, "la definizione, anche con la cooperazione delle regioni, delle metodologie comuni da seguire nell'attività tecnico-scientifica di restauro".

I successivi commi 6-10 recano la disciplina specifica per la formazione professionale di settore, recependo i contenuti del disegno di legge di iniziativa governativa di analogo contenuto, e dettano le regole per l'insegnamento del restauro, per la formazione delle figure professionali che svolgono attività complementari, per il riordino delle scuole di alta formazione.

L'inserimento di queste disposizioni trova ragione nell'esigenza di fissare criteri e metodologie uniche su tutto il territorio nazionale in materia di conservazione, allo scopo di assicurare riferimenti certi e un'adeguata professionalità dei restauratori dei beni culturali, a cui vengono riservati, in via esclusiva, gli interventi sui beni culturali mobili e sulle superfici decorate di beni architettonici. A tal proposito, va richiamato che, in occasione del conflitto di attribuzione circa le competenze in materia di qualificazione dei restauratori sollevato dalla regione Toscana, la Corte costituzionale, con sentenza 18 dicembre-13 gennaio 2004, n. 9 ha affermato la sussistenza in materia della potestà legislativa esclusiva dello stato.

 

2. Altre nozioni di conservazione e restauro

La specifica definizione di conservazione introdotta dall'art. 29 è riconducibile ad altre norme di carattere definitorio, sebbene più parziali: quelle relative al patrimonio edilizio abitativo e, da ultimo, quelle in materia di lavori pubblici, contenute nel regolamento di attuazione della legge-quadro sui lavori pubblici (d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554), c.d. "legge Merloni".

 

2.1. Il restauro nella legge sul recupero del patrimonio edilizio

L'art. 31 legge 3 agosto 1978, n. 457 reca la prima definizione dettagliata delle categorie d'intervento per il recupero del patrimonio edilizio "mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione ed alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso". Le definizioni di "manutenzione", "restauro e risanamento conservativo", "ristrutturazione edilizia" e "ristrutturazione urbanistica", contenute nell'art. 31, costituiscono, in sede di normativa urbanistica, l'unico riferimento per la caratterizzazione degli interventi sull'intero patrimonio edilizio, anche storico. E' stato comunque notato in dottrina che queste definizioni, pur essendo un utile punto di riferimento anche ai fini dell'applicazione della l. 1089/1939, non possono considerarsi vincolanti [1].

 

2.2. Il restauro nel regolamento della legge quadro in materia di lavori pubblici (d.p.r. 554/1999)

Il regolamento in materia di lavori pubblici contiene ben due definizioni di restauro e manutenzione. Nell'art. 2, esse sono riferite all'intero ambito di applicazione del regolamento e definiscono il restauro come "l'esecuzione di una serie organica di operazioni tecniche specialistiche e amministrative indirizzate al recupero delle caratteristiche di funzionalità e di efficienza di un'opera o di un manufatto"; la manutenzione come "la combinazione di tutte le azioni tecniche, specialistiche ed amministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportare un'opera o un impianto nella condizione di svolgere la funzione prevista dal provvedimento di approvazione del progetto". Mirate ai lavori riguardanti i beni culturali e al peculiare carattere di testimonianza formale e materiale sono le definizioni contenute nel Titolo XIII, art. 212 (commi 3 e 4): "il restauro consiste in una serie organica di operazioni tecniche specifiche indirizzate alla tutela e valorizzazione dei caratteri storico-artistici dei beni culturali e alla conservazione della loro consistenza materiale"; la "manutenzione consiste in una serie di operazioni tecniche specialistiche periodicamente ripetibili e volte a mantenere i caratteri storico-artistici e la materialità del manufatto, garantendone la conservazione". Se nelle definizioni è evidente la sostanziale unità concettuale, sottesa al concetto di conservazione, delle due tipologie di intervento, è anche vero che il restauro e la manutenzione sono chiaramente distinti per il carattere ripetitivo e periodico della seconda, rispetto al carattere episodico del restauro vero e proprio.

Da osservare, infine, il richiamo dell'articolo che si commenta alle norme tecniche in materia di metodologia del restauro, previste dall'art. 211 d.p.r. 554/1999, del tutto assenti nella disciplina precedente.

 

3. Il dibattito culturale

Sul piano culturale, è evidente che la definizione di "conservazione" assunta dal Codice fa riferimento alla teoria elaborata da Cesare Brandi, che, enunciando "... il momento metodologico del riconoscimento dell'opera d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro" [2], ha dato avvio all'elaborazione di una specifica disciplina in materia. La norma fa altresì riferimento ai successivi documenti di indirizzo metodologico elaborati dalla ricerca disciplinare, il cui contenuto era stato - peraltro - già recepito, in sede ministeriale, con l'emanazione, in forma di circolare, della cosiddetta "Carta del restauro del 1972" [3]. In tale documento, che riassume i principi affermatisi nel corso del novecento, la precisazione, nel campo della conservazione del patrimonio, di che cosa debba intendersi per azioni di salvaguardia e di restauro è contenuta nell'art. 4, che distingue il concetto di provvedimento conservativo che non implichi l'intervento diretto sull'opera (salvaguardia) da quello che necessita di intervento diretto (restauro). Quest'ultimo tipo di intervento sembra costituire l'antecedente logico della norma che si commenta, dove l'ambito di applicazione della conservazione viene circoscritto all'intervento diretto e alla finalità di conservazione del patrimonio culturale mediante un insieme organico di attività.

Le tre definizioni dell'art. 29 indicano le attività di conservazione, procedendo per gradualità dalla prevenzione alla manutenzione, fino al restauro, che viene correttamente considerato come l'extrema ratio dell'intervento di conservazione, finalizzato nel suo insieme al mantenimento dell'integrità materiale del bene, alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori culturali. L'articolato recepisce pienamente l'avanzamento del dibattito scientifico degli ultimi due decenni in materia; dibattito che ha messo in evidenza il ruolo rivestito, nell'ambito dei provvedimenti conservativi, dall'attività di prevenzione, in funzione dei rischi a cui sono soggetti i beni culturali, e dall'attività di manutenzione, con particolare riferimento alla manutenzione programmata a scopo preventivo. La norma, peraltro, indica nella distinzione tra prevenzione da una parte, manutenzione e restauro dall'altra, la differenza tra l'azione preventiva volta a limitare le situazioni di rischio del bene nel contesto e gli interventi volti a mantenere l'integrità materiale del bene.

Va pure osservato come l'art. 29 abbia recepito le definizioni contenute dettagliatamente nella cosiddetta Carta del restauro del 1987 [4], elaborata a cura del CNR (mai adottata in sede ministeriale) e l'affinamento delle metodologie di restauro elaborate ed utilizzate in seno all'amministrazione, che affida questo compito all'Istituto centrale per il restauro (istituito dalla legge 22 luglio 1939, n. 1240, e tuttora regolato dall'art. 18 d.p.r. 3 dicembre 1975, n. 805).

In relazione alla definizione di restauro, la disposizione conferma il riferimento alla questione sismica e alle normative tecniche specifiche sul miglioramento delle prestazioni strutturali dei beni immobili. Tali normative, che rappresentano l'esito più rilevante delle ricerche sulla prevenzione e protezione del patrimonio culturale dal rischio derivante dall'azione dei terremoti, sono costituite da una sequenza di regole sistematiche di indirizzo metodologico, titolate "Istruzioni generali per la redazione dei progetti di restauro dei beni architettonici di valore storico-artistico ricadenti in zona sismica" [5], e sono state elaborate da un gruppo di lavoro interministeriale e successivamente approvate dal Consiglio superiore dei lavori pubblici con voto n. 564 del 28 novembre 1997. Esse costituiscono un corpus organico di prescrizioni in materia di prevenzione dal rischio sismico e individuano nella categoria concettuale del "miglioramento strutturale" la modalità d'intervento peculiare del restauro architettonico, in contrapposizione all'"adeguamento" da utilizzare per gli interventi sull'edilizia recente. Tale normativa è stata, oggi, recepita da alcune regioni nella disciplina degli interventi in aree a rischio sismico.

 

4. Interferenze ed esiti delle diverse nozioni

Nell'articolo che si commenta, il termine "conservazione" ha un carattere di generalità, essendo riferito ad ogni categoria di bene culturale (architettonico, artistico, storico, archeologico) e all'insieme delle operazioni tecniche da effettuarsi con interventi diretti sul bene. Va ribadito il carattere innovativo della disposizione, che permette di superare ogni conflitto interpretativo che il precedente art. 34 T.U. del 1999 apriva, per esempio, sull'appartenenza o meno della manutenzione all'ambito del restauro, con la definitiva attribuzione di questa, insieme alla prevenzione, alle attività di conservazione.

La precisazione del concetto di conservazione come attività di tutela dell'integrità fisica del bene conferma la distinzione rispetto all'attività di valorizzazione, volta a favorire e migliorare la fruizione. Il che comporta, nel caso degli interventi sui beni immobili, una distinzione (rilevante ai fini dei contributi) tra gli interventi conservativi e quelli di adeguamento funzionale e di miglioramento della fruizione. La distinzione apre questioni specifiche, come quella della realizzazione dei sistemi di sicurezza [intesi a garantire sia la difesa del bene (tutela) sia l'incolumità dei visitatori (fruizione)], la cui installazione si ritiene possa rientrare, proprio per le finalità che i sistemi di sicurezza permettono di perseguire, nell'ambito della conservazione. Del resto, la specificazione delle operazioni tecniche inerenti alla conservazione del bene culturale si colloca indubbiamente nell'ambito della tutela, così come definita dall'art. 148, comma 1, lett. c), d.lg. 112/1998 che considera la "tutela" come ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali e ambientali.

Da segnalare, invece, la coincidenza tra la finalità di conservazione e quella di protezione, che è ribadita dall'art. 29, comma 4, con il riferimento al caso dei beni immobili ricadenti in aree sismiche, il cui restauro comprende l'intervento di miglioramento finalizzato a incrementare le caratteristiche di resistenza del bene in previsione di futuri terremoti.

Come già osservato, la norma in esame ratifica l'estensione del concetto di restauro al miglioramento strutturale, limitandolo però ai beni situati nelle zone dichiarate a rischio sismico. Ma, se è vero che l'esistenza di una normativa tecnica specifica per questa tipologia di rischio può spiegare la genesi della norma, è anche vero che la limitazione introdotta configura, nella definizione di conservazione accolta dal Codice, l'esclusione del miglioramento strutturale dagli interventi su beni soggetti ad altre tipologie di rischio (si pensi al rischio idrogeologico o agli altri rischi ambientali), il cui verificarsi potrebbe ugualmente compromettere l'integrità strutturale del monumento e delle cose tutelate. Una individuazione più completa dei rischi a cui è soggetto il patrimonio culturale, con conseguente ammissione ad interventi di miglioramento strutturale (tipici del restauro architettonico dei beni immobili), magari accentuandone il carattere di necessità a fini conservativi, avrebbe opportunamente completato la disposizione del secondo periodo del comma 4 [6].

 



Note

[1] T. Alibrandi-P. Ferri, I beni culturali e ambientali, Milano, 2001, 363.

[2] C. Brandi, Teoria del restauro, Roma, 1963, 34.

[3] G. Carbonara, Avvicinamento al restauro. Teoria, storia, monumenti, Napoli, 1997, 661 ss.

[4] P. Marconi, Il restauro e l'architetto, Venezia, 1993.

[5] AA.VV., La protezione del patrimonio culturale e la questione sismica, a cura di M. Guccione, Roma, 1998.

[6] M. Guccione-M.R. Nappi-A.P. Recchia, Patrimonio culturale e disastri, Roma, 1998, 15 ss.

 



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