../home../indice../risorse%20web

 

I beni culturali di interesse religioso
nel nuovo ordinamento autonomista
[*]

di Mauro Renna


Sommario: 1. Le nozioni di "beni culturali di interesse religioso". - 2. I beni culturali "e" di interesse religioso alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione. - 3. I beni culturali e di interesse religioso nella legislazione statale e regionale. - 4. Gli strumenti di collaborazione e il problema del coordinamento degli interventi.



1. Le nozioni di "beni culturali di interesse religioso"

La materia "beni culturali di interesse religioso" non ha, nell'ordinamento italiano, una propria autonomia, tale da poterla immediatamente ricollegare a un assetto unitario di competenze legislative e amministrative e, contestualmente, a disposizioni o gruppi di disposizioni normative ad essa specificamente dedicati.

A dire il vero, per alcuni tratti significativi, appaiono incerti gli stessi confini di una nozione di "beni culturali di interesse religioso", nonostante detta categoria di beni culturali abbia ricevuto un riconoscimento appariscente nell'art. 19 del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali approvato con il d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490 (di seguito indicato sinteticamente come Testo Unico), che ha generalizzato, estendendolo a tutte le confessioni religiose, l'utilizzo della corrispondente espressione, coniata dall'art. 12, n. 1, comma 2, dell'Accordo di modificazione del Concordato lateranense firmato il 18 febbraio 1984, ratificato e reso esecutivo con la l. 25 marzo 1985, n. 121.

L'art. 19 del Testo Unico, al comma 1, nel dettare forse l'unica disposizione dell'ordinamento nazionale nominalmente e specificamente riferita ai "beni culturali di interesse religioso", "appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa Cattolica o di altre confessioni religiose", si limita a disporre che, quando si tratti della tutela di tali beni, "il Ministero e, per quanto di competenza, le regioni provvedono, relativamente alle esigenze del culto, d'accordo con le rispettive autorità" (tale articolo ha riformulato l'art. 8 della l. 1° giugno 1939, n. 1089, il quale recitava: "Quando si tratti di cose appartenenti ad enti ecclesiastici, il ministro per l'educazione nazionale, nell'esercizio dei suoi poteri, procede per quanto riguarda le esigenze del culto, d'accordo con l'autorità ecclesiastica").

Il comma 2 del medesimo articolo, poi, effettua un rinvio alle disposizioni contenute nelle intese conchiuse ai sensi dell'art. 12, n. 1, dell'Accordo del 1984, nonché, riguardo alle confessioni religiose diverse dalla cattolica, nelle leggi emanate sulla base delle intese sottoscritte a norma dell'art. 8, comma 3, della Costituzione. Queste ultime, infatti, pur non facendo riferimento alla categoria dei "beni culturali di interesse religioso", si occupano dei beni culturali appartenenti o afferenti alle chiese e alle comunità sottoscrittrici delle intese, al fine, per lo più, di stabilire generici obblighi di collaborazione tra la Repubblica italiana e le singole confessioni religiose in ordine alla tutela e alla valorizzazione degli stessi beni (v. l'art. 17 della l. 11 agosto 1984, n. 449, l'art. 34 della l. 22 novembre 1988, n. 516, l'art. 26 della l. 22 novembre 1988, n. 517, l'art. 17 della l. 8 marzo 1989, n. 101, l'art. 18 della l. 12 aprile 1995, n. 116, l'art. 16 della l. 29 novembre 1995, n. 520).

Ebbene, un rapido sguardo d'insieme alle disposizioni che sinora sono state citate consente di sollevare almeno tre ordini di perplessità intorno alla nozione di "beni culturali di interesse religioso".

In primo luogo, se anche oggi possono apparire chiari, grazie soprattutto agli articoli di apertura del Testo Unico, il significato dell'espressione "beni culturali" e le regole per individuare i beni assoggettati alla corrispondente disciplina, rimane invece discutibile il significato dell'espressione "di interesse religioso". Rimane dubbio, in particolare, se le "esigenze di carattere religioso", menzionate dall'art. 12, n. 1, comma 2, dell'Accordo del 1984, debbano totalmente identificarsi con le "esigenze del culto", alle quali si riferisce l'art. 19, comma 1, del Testo Unico, oppure se le prime possano trascendere le seconde, per connotarsi in modo assai più ampio.

Un'accezione restrittiva del termine potrebbe sembrare assunta dall'art. 6 del d.p.r. 26 settembre 1996, n. 571, con il quale è stata data esecuzione all'intesa fra il Ministro per i beni culturali e ambientali ed il Presidente della Conferenza episcopale italiana, firmata il 13 settembre 1996, relativa alla "tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche": l'articolo citato, infatti, ha ribadito l'applicazione a detti beni dell'art. 8 della l. n. 1089/1939 (oggi trasfuso, come accennato, nell'art. 19, comma 1, del Testo Unico), disponendo che i provvedimenti amministrativi concernenti i medesimi beni "sono assunti dal competente organo del Ministero ... previa intesa, per quel che concerne le esigenze di culto, con l'ordinario diocesano competente per territorio".

Tuttavia, il d.p.r. n. 571/1996, che ha dato attuazione all'art. 12, n. 1, comma 2, dell'Accordo del 1984, pare complessivamente avere voluto disciplinare (v., specialmente, gli artt. 2 e 5 del d.p.r.) un insieme di beni culturali eterogeneo e più vasto rispetto all'ambito di quelli destinati all'esercizio del culto, conformemente, peraltro, alla stessa formulazione letterale dell'espressione "interesse religioso" figurante nell'Accordo.

Appare sostenibile, pertanto, che la nozione di "interesse religioso" fatta propria dall'Accordo del 1984 e dall'intesa del 1996 sia ampia almeno quanto la nozione identificata dall'endiadi "attività di religione o di culto" utilizzata dall'art. 16, lett. a), della l. 20 maggio 1985, n. 222, il quale, seppure nel contesto della disciplina del riconoscimento degli enti ecclesiastici, dispone che "agli effetti delle leggi civili si considerano comunque attività di religione o di culto quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana".

L'art. 19 del Testo Unico, invece, al comma 1, nel riformulare l'art. 8 della l. n. 1089/1939, aggiornato alla luce delle nuove competenze conferite alle Regioni in materia di beni culturali dagli artt. 148 e ss. del d.lg. 31 marzo 1998, n. 112, è sembrato sovrapporre interamente il concetto di beni destinati al culto a quello di beni di interesse religioso; salvo poi mostrare, al comma 2, attraverso il rinvio indistinto alle intese concordatarie, siglate in attuazione dell'art. 12 dell'Accordo, e alle intese delle confessioni diverse da quella cattolica, di volersi riferire a beni il cui "interesse religioso" potrebbe addirittura risolversi nella mera appartenenza dei medesimi beni a un ente o ad un'istituzione ecclesiastica.

Da un lato, infatti, in attuazione dell'art. 12 dell'Accordo - precisamente ai sensi del n. 1, comma 3, di detto articolo - è stata sottoscritta anche l'intesa relativa alla conservazione e consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche appartenenti agli enti e alle istituzioni ecclesiastiche, sottoscritta dal Ministro per i beni e le attività culturali e dal Presidente della Conferenza episcopale italiana il 18 aprile 2000, cui è stata data esecuzione con il d.p.r. 16 maggio 2000, n. 189. Dall'altro, le intese delle confessioni diverse da quella cattolica in modo inequivocabile si occupano dei beni culturali delle confessioni prescindendo dalla loro destinazione.

Si potrebbe persino sostenere, quindi, che esista una nozione amplissima di "beni culturali di interesse religioso", identificandosi questi con tutti i beni culturali appartenenti a qualsiasi confessione religiosa.

In tale ambito, i beni destinati al culto diventerebbero una species del genus "beni culturali di interesse religioso", così come, al pari dei musei, lo diverrebbero, non rilevando la loro destinazione, gli archivi d'interesse storico e le biblioteche appartenenti alle istituzioni e agli enti ecclesiastici.

Le considerazioni appena svolte inducono a riflettere sul secondo elemento problematico della nozione di bene culturale di interesse religioso, coinvolgente il profilo soggettivo della categoria, in luogo di quello funzionale.

L'art. 19 del Testo Unico, l'Accordo del 1984 e le sue intese attuative fanno, infatti, espresso e specifico riferimento a beni culturali "appartenenti" agli enti o alle istituzioni ecclesiastiche; mentre le intese con le confessioni diverse da quella cattolica si riferiscono, utilizzando un concetto più sfumato e ampio, ai beni "afferenti" al patrimonio storico, culturale, morale e materiale delle rispettive chiese; l'intesa ebraica, poi, si riferisce, con una formulazione ancora più ampia, ai "beni afferenti al patrimonio storico e artistico, culturale, ambientale e architettonico, archeologico, archivistico e librario dell'ebraismo italiano" e ai "beni culturali ebraici" (v. l'art. 17 della l. n. 101/1989).

Si può avanzare qualche perplessità, dunque, su come l'art. 19 del Testo Unico escluda indiscriminatamente dal novero dei beni considerati quelli non appartenenti alle confessioni religiose, ma ad altri soggetti, vuoi pubblici vuoi privati, e tuttavia ugualmente destinati al culto o, comunque, di interesse religioso nel senso più ampio; con l'effetto, peraltro, di trascurare un fenomeno senza dubbio rilevante e diffuso, particolarmente nella religione cattolica.

In terzo luogo, tornando all'aspetto funzionale della nozione e ponendosi sul versante degli interessi pubblici specificamente inerenti al patrimonio storico e artistico, anziché su quello delle esigenze di carattere religioso, va osservato che l'Accordo del 1984, le sue intese attuative, nonché le intese con le confessioni diverse da quella cattolica, hanno voluto disciplinare tanto la tutela quanto la valorizzazione e il godimento dei beni culturali di interesse religioso.

L'art. 19 del Testo Unico, invece, stante la derivazione del suo comma 1 dall'art. 8 della l. n. 1089/1939, pare essere stato formulato precipuamente in relazione alla tutela (come si evince dall'utilizzo del verbo "provvedere" nel medesimo comma 1), mentre il tema dei beni culturali di interesse religioso è stato trascurato all'interno del Capo VI dello stesso Testo Unico, dedicato alla valorizzazione e al godimento pubblico dei beni.

Né il profilo funzionale attinente all'interesse religioso, né il profilo soggettivo relativo all'appartenenza dei beni, né il profilo, anch'esso funzionale, concernente gli interessi pubblici perseguiti dalle amministrazioni preposte alla cura dei beni culturali sono in grado, pertanto, di costituire un approdo sicuro ai fini di una definizione unitaria della categoria dei beni culturali di interesse religioso.

A dispetto del riconoscimento normativo della categoria, effettuato dall'art. 19 del Testo Unico, occorre constatare, allora, la persistente esistenza di una pluralità di possibili nozioni di beni culturali di interesse religioso, nascoste tra le maglie del medesimo art. 19.

A tali nozioni pare potersi riconoscere una valenza eminentemente descrittiva della realtà che ciascuna di esse intende identificare, eccezion fatta per la nozione, in ogni caso parziale, risalente all'art. 12, n. 1, comma 2, dell'Accordo del 1984, capace quantomeno di individuare la sfera di applicazione dell'intesa del 1996.

In altre parole, non sembra possibile assegnare al menzionato art. 19 alcuna reale valenza di classificazione generale dei beni culturali di interesse religioso: le disposizioni in esso contenute, per un verso, riformulano e aggiornano l'art. 8 della l. n. 1089/1939, mentre, per altro verso, rammentano l'esistenza (e, quanto alle intese con la CEI, forse rinvigoriscono l'efficacia) di disposizioni di origine pattizia, concordate fra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica o le altre confessioni, atte a stabilire alcuni aspetti significativi della regolamentazione dei beni culturali appartenenti o afferenti alle chiese e alle comunità religiose.

 

2. I beni culturali "e" di interesse religioso alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione

In base alle osservazioni che si sono svolte, si può dunque constatare come, sul piano del diritto positivo vigente, la materia "beni culturali di interesse religioso" sia, in realtà, per così dire, una "non materia".

Detta affermazione, prima ancora di guidare la difficile ricerca della disciplina o, meglio, delle discipline applicabili alle diverse specie di beni culturali di interesse religioso, refluisce e, al contempo, trova conferma nel nuovo impianto fondamentale del riparto delle competenze normative e amministrative fra Stato, Regioni ed Enti locali, voluto dalla l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, che ha modificato il Titolo V della Costituzione.

Scorrendo gli elenchi delle materie riportati nei commi 2 e 3 del nuovo art. 117 della Costituzione, viene subito da pensare, infatti, che la disciplina dei beni culturali di interesse religioso possa situarsi nei punti di intersezione di almeno tre materie: i "rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose" (art. 117, comma 2, lett. c)); la "tutela dei beni culturali" (art. 117, comma 2, lett. s)); la "valorizzazione dei beni culturali" (art. 117, comma 3).

Le prime due sono assegnate alla legislazione esclusiva dello Stato; la terza, invece, appartiene alla competenza legislativa concorrente delle Regioni (nonostante non sia facile delimitare con precisione i confini dell'attività di valorizzazione rispetto a quelli dell'attività di tutela).

Peraltro, proprio perché la "non materia" dei beni culturali di interesse religioso appare ricostruibile attraverso il ritaglio e la sovrapposizione di pezzi significativi di queste materie, può sembrare più efficace e consono, in molti casi, l'utilizzo dell'espressione "beni culturali e di interesse religioso", piuttosto che quella coniata dall'Accordo del 1984, priva della congiunzione "e".

Ciascuna delle tre materie indicate, inoltre, oggi come in passato, non è in grado di esaurire ogni profilo funzionale sotteso alla sua stessa identificazione, senza, a sua volta, intersecare o essere intersecata da altre materie che attualmente compaiono negli elenchi dell'art. 117 della Costituzione o che, non comparendo, finiscono addirittura per essere attratte nella sfera della nuova competenza legislativa residuale delle Regioni, a norma del comma 4 del medesimo articolo.

Da una parte, la tutela delle esigenze di carattere religioso, ad esempio, può ben rappresentare il fondamento di disposizioni normative in materia urbanistica ed edilizia, come accade per gli edifici di culto, o condurre a dettare specifiche disposizioni riguardanti i lavori, le opere e i beni pubblici destinati al culto o, comunque, di interesse religioso.

Dall'altra, la cura degli interessi inerenti al patrimonio storico e artistico ha modo, frequentemente, anche di ispirare disposizioni relative alle ricostruzioni e agli interventi di protezione civile, conseguenti a terremoti o ad altre calamità naturali o eventi accidentali, oppure, guardando a tutt'altra materia, di fondare specifiche disposizioni di diritto tributario.

Non è infrequente, anzi, che in questi casi le tutele di entrambi gli ambiti di interessi "viaggino in coppia", com'è avvenuto a seguito dei terremoti che hanno afflitto le Marche e l'Umbria nel 1997-1998.

Analogamente, può accadere che la cura di entrambe le sfere di esigenze confluisca in un ambito di tutela più ampio, ad esempio quello della tutela e della valorizzazione dell'ambiente e dei beni ambientali, come particolarmente succede in Piemonte, dove sono stati istituiti numerosi parchi o riserve naturali dei Sacri Monti, estesi intorno a storici edifici di culto di grande pregio artistico (ma si pensi anche al parco archeologico storico naturale delle Chiese rupestri del Materano, in Basilicata, o al parco dell'Abbazia di Monteveglio, in Emilia-Romagna).

Ancora, può avvenire che la tutela o la promozione di interessi eterogenei e di per sé estranei a quelli religiosi o storico-artistici concorra indirettamente alla valorizzazione e al godimento di beni culturali e/o di interesse religioso: si pensi, per esempio, alla disciplina volta al superamento e all'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici oppure, cambiando totalmente prospettiva, alle disposizioni intese a promuovere l'offerta turistica nazionale, regionale o locale.

Non va poi trascurato che il panorama delle fonti attinenti ai beni culturali è arricchito, "in alto", da un significativo numero di convenzioni internazionali e disposizioni comunitarie, concernenti soprattutto la circolazione dei beni, nonché, "in basso", dalle storiche competenze legislative regionali in tema di musei, biblioteche, beni librari e archivi di interesse locale.

Il quadro che si è tracciato vale a dar conto del ricchissimo intreccio di competenze normative che possono riguardare i beni culturali e di interesse religioso. Simili situazioni di complessità investono, del resto, svariati oggetti di disciplina, ancor più dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha notevolmente incrementato l'articolazione del riparto delle competenze legislative e regolamentari tra Stato e Regioni, sulla base di materie, inoltre, spesso "trasversali" e diluite, ovvero spezzettate o definite in modo approssimativo.

L'intreccio delle competenze legislative diviene latore, quindi, di una sensibile complessità pure nel campo della distribuzione delle competenze amministrative che possono svolgersi sui beni culturali e di interesse religioso: anch'esse, già frammentate in esito all'attuazione della l. 15 marzo 1997, n. 59 - operata dal d.lg. n. 112/1998, nonché dalle successive leggi regionali sul riparto di compiti e funzioni fra Regioni ed Enti locali - sono destinate a subire un'ulteriore articolazione secondo quanto disposto dal nuovo art. 118 della Costituzione, che ha elevato al rango costituzionale i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

In proposito, appare significativo che lo stesso art. 118, al comma 3, si premuri di stabilire che la legge statale disciplini forme di intesa e di coordinamento dei diversi livelli di governo, proprio, tra l'altro, nella materia della tutela dei beni culturali; tale previsione sembra rivelare, in effetti, la necessità di coordinare lo svolgimento di competenze amministrative fra loro funzionalmente connesse, complementari od omogenee, ma che altrimenti, per come sono distribuite, difetterebbero di una guida unitaria.

 

3. I beni culturali e di interesse religioso nella legislazione statale e regionale

Ricercando e studiando la normativa statale e regionale applicabile ai beni culturali e di interesse religioso, si ha la sensazione, effettivamente, di un'incontrollata proliferazione di funzioni e compiti amministrativi, specialmente nella legislazione delle Regioni.

Il fenomeno, per vero, non riguarda tanto le funzioni autoritative di tutela dei beni culturali, ancora saldamente in mano all'amministrazione statale (salvo che nelle Regioni a statuto speciale Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta), quanto piuttosto le funzioni e i compiti di sostegno finanziario degli interventi sui medesimi beni, relativi, naturalmente, anche a quelli di interesse religioso; e il fenomeno pare destinato ad aumentare, visto che il nuovo art. 117 della Costituzione, come si è detto, ha consegnato la materia "valorizzazione dei beni culturali" alla competenza legislativa concorrente delle Regioni.

Soltanto nell'ultimo decennio di legislazione statale, si incontra una pluralità di interventi straordinari per la tutela, il restauro, la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali, compresi quelli di interesse religioso (v., per esempio, il d.l. 6 maggio 1997, n. 117, convertito, con modificazioni, nella l. 1° luglio 1997, n. 203, la l. 21 dicembre 1999, n. 513, la l. 29 dicembre 2000, n. 400, la l. 23 febbraio 2001, n. 29), che si sono aggiunti agli strumenti ordinari di intervento e di contribuzione oggi previsti, in particolare, dagli artt. 41 e 43 del Testo Unico, nonché alle forme generali di finanziamento di più recente introduzione, come l'utilizzazione della quota derivante dall'estrazione del gioco del lotto e l'utilizzazione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione dello Stato.

Accanto agli interventi straordinari comunque generali, non sono mancati, poi, interventi legislativi statali speciali e singolari, dedicati a specifici beni e, pertanto, ascrivibili alla categoria delle cd. leggi-provvedimento: si pensi agli impegni di spesa decennali autorizzati, in favore della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, per la realizzazione di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria del Duomo di Milano (v. l'art. 6 della l. 15 dicembre 1998, n. 444); oppure, per fare un recentissimo esempio, al contributo assegnato al Comune di Perugia, per ciascuno degli anni 2002, 2003 e 2004, ai fini del completamento dei lavori di consolidamento e di restauro architettonico e artistico della chiesa di San Bevignate di Perugia (v. l'art. 11 della l. 8 novembre 2002, n. 264).

Ancora, vanno considerate le leggi speciali che hanno disposto interventi a favore del patrimonio storico-artistico di determinate città, come Roma, Lecce, Urbino e Venezia; o che, in occasione di determinati eventi o manifestazioni, quali il Grande Giubileo del 2000 o, di recente, il programma "Genova capitale europea della cultura 2004", hanno contemplato, tra le azioni previste, pure interventi su beni culturali.

E' del tutto evidente, infine, come gli ordinamenti regionali abbiano rappresentato e continuino vieppiù a rappresentare un fattore di moltiplicazione esponenziale della ricchezza e della complessità normativa e, al tempo stesso, amministrativa già insite nella legislazione statale.

Nella copiosa legislazione regionale applicabile ai beni culturali e di interesse religioso, si rinviene, infatti, una selva di interventi e di finanziamenti sia ordinari che straordinari, sia speciali che singolari.

Pressoché tutte le Regioni hanno via via introdotto forme di contribuzione specificamente rivolte a musei, biblioteche e/o archivi di interesse locale, accompagnate, in grande prevalenza, dall'istituzione di sistemi integrati - regionali o locali - di servizi museali, bibliotecari o archivistici, costituiti da musei, biblioteche o archivi appartenenti a soggetti tanto pubblici quanto privati.

Parecchie Regioni, poi, hanno optato, in tempi più o meno recenti, anche per l'introduzione di strumenti generali di finanziamento di interventi riguardanti l'intera gamma dei beni culturali non statali; ovviamente, tale scelta ha registrato un incremento negli ultimi anni, a seguito delle riforme "federaliste" del 1998 e del 2001.

Ciò nondimeno, continuano a proliferare negli ordinamenti regionali normative di finanziamento e di contribuzione concernenti determinate categorie di beni culturali, più o meno ampie.

Diverse leggi si curano, in generale, degli interventi sugli edifici di valore storico-artistico; altre si occupano di settori più specifici, come quello dei beni archeologici; talune creano, persino, nuove sottocategorie di beni, come la l.r. Friuli-Venezia Giulia 8 maggio 2000, n. 10, recante "Interventi per la tutela, conservazione e valorizzazione dell'architettura fortificata del Friuli-Venezia Giulia".

Anche la legislazione regionale sul finanziamento dell'edilizia di culto finisce talora, al suo interno, per considerare espressamente e in modo specifico gli edifici di valore storico-artistico.

Ancora, si rinvengono disposizioni legislative alquanto originali, aventi specificamente ad oggetto beni mobili e/o ulteriori sottocategorie di beni, tra le quali si possono menzionare: la l.r. Marche 2 settembre 1996, n. 39, recante "Contributi per interventi urgenti a tutela dei beni mobili o affreschi di interesse artistico e storico"; la l.r. Veneto 7 aprile 2000, n. 12, recante "Interventi per il restauro delle superfici esterne affrescate, dipinte e decorate"; l'art. 11 della l.r. Sicilia 10 dicembre 1985, n. 44, relativo al "Restauro di strumenti musicali"; l'art. 20 della l.r. Veneto 28 gennaio 2000, n. 5, relativo agli "Interventi per la valorizzazione del patrimonio degli organi musicali del Veneto"; le ll.rr. Abruzzo 29 novembre 1999, n. 127, e 28 aprile 2000, n. 75, recanti interventi per il restauro degli organi antichi nelle chiese d'Abruzzo e, più ampiamente, per il recupero, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio organario della Regione.

Diverse leggi, inoltre, concentrano esclusivamente la propria attenzione su determinate tipologie di attività riguardanti i beni culturali, ritenute di particolare importanza, come le attività di catalogazione (v. la l.p. Trento 14 febbraio 1980, n. 2, la l.r. Liguria 22 aprile 1980, n. 21, la l.r. Valle d'Aosta 7 maggio 1990, n. 28, la l.r. Marche 5 settembre 1992, n. 45, le ll.rr. Sicilia 27 aprile 1999, n. 8, e 8 novembre 2000, n. 22).

Non mancano, pure negli ordinamenti regionali, leggi speciali per determinate città, località o aree di peculiare rilievo anche storico-artistico; mentre sono davvero molti gli interventi su beni culturali attivati da disposizioni concernenti, oltre al Grande Giubileo del 2000 (v. la l.r. Marche 30 luglio 1997, n. 46, la l.r. Liguria 11 settembre 1997, n. 39, la l.r. Umbria 5 dicembre 1997, n. 39, l'art. 9 della l.r. Veneto 3 febbraio 1998, n. 3, la l.r. Campania 7 agosto 1998, n. 11, la l.r. Basilicata 17 agosto 1998, n. 24, la l.r. Molise 14 dicembre 1998, n. 16, l'art. 5 della l.r. Friuli-Venezia Giulia 15 febbraio 1999, n. 4, la l.r. Abruzzo 14 marzo 2000, n. 29), svariati eventi celebrativi, manifestazioni e ricorrenze, spesso di interesse religioso.

Nemmeno vanno trascurate, in ultimo, altre normative regionali dalle quali possono discendere finanziamenti di cui si trovino a beneficiare interventi di tutela e, soprattutto, di valorizzazione di beni culturali: in primo luogo, quelle per la conservazione, il recupero e la valorizzazione dei centri storici; in secondo luogo, quelle per la promozione delle attività culturali (piuttosto originale appare, in proposito, la l.r. Sardegna 15 ottobre 1997, n. 26, che considera anche il patrimonio storico-artistico regionale nell'ambito della "promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna") e, talvolta, altresì quelle per la promozione dell'offerta turistica. Beni di interesse religioso hanno potuto e possono usufruire di contribuzioni, addirittura, ai sensi della l.r. Lombardia 19 dicembre 1991, n. 39, recante "Promozione degli interventi di riqualificazione e di arredo degli spazi urbani".

Una menzione autonoma meritano, invece, alcune leggi regionali che, nel dedicarsi alla tutela di determinate minoranze etnico-linguistiche, hanno inteso curarsi pure del loro patrimonio storico-artistico e religioso, come la l.r. Valle d'Aosta 19 agosto 1998, n. 47, recante "Salvaguardia delle caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni walser della valle del Lys", e la l.r. Basilicata 3 novembre 1998, n. 40, recante "Norme per la promozione e tutela delle Comunità Arbereshe in Basilicata".

Ovviamente, è appena il caso di segnalare come gli ordinamenti delle Regioni siano abitati da una moltitudine di leggi-provvedimento, relative a singoli beni culturali di interesse religioso.

 

4. Gli strumenti di collaborazione e il problema del coordinamento degli interventi

Orbene, il ricco quadro normativo e amministrativo emerso sinora è tale da suscitare un indubbio compiacimento, per la grande attenzione prestata dalla legislazione nazionale e dai legislatori regionali ai beni culturali e, tra questi, ai beni di interesse religioso.

Se è vero che non sempre gli stanziamenti dei bilanci dello Stato e delle Regioni appaiono adeguati alle esigenze che gli stessi, di volta in volta, sarebbero destinati a soddisfare, è altrettanto vero che, con molta frequenza, per ciascun intervento si rende disponibile, in concreto, una pluralità di fonti e di titoli di finanziamento pubblico.

Non si dimentichi, peraltro, come la legislazione, particolarmente quella statale, agevoli lo svolgimento, da parte delle ONLUS, di attività nel settore dei beni culturali, nonché il finanziamento, da parte delle fondazioni bancarie, di interventi sui medesimi beni.

Si può esprimere un certo apprezzamento, poi, anche riguardo alla previsione, nella legislazione studiata, di efficaci modalità di collaborazione fra le pubbliche amministrazioni e i soggetti titolari dei beni sottoposti agli interventi di tutela e di valorizzazione o, comunque, interessati a detti interventi.

La normativa regionale, specialmente, offre un variegato e interessante campionario di strumenti e modelli di collaborazione, pure organizzativi, capaci di risultare utili agli enti e alle istituzioni religiose, in particolare, per ottenere che i provvedimenti e le azioni riguardanti i propri beni, volte alla cura di interessi storico-artistici, siano armonizzate o, almeno, rese compatibili con le esigenze di carattere religioso.

D'altra parte, la stessa disciplina generale dell'attività amministrativa si è arricchita, ormai da più di dieci anni, di strumenti di collaborazione con i destinatari dei provvedimenti e degli interventi delle pubbliche amministrazioni.

Inoltre, con l'istituzione della cd. programmazione negoziata - utilizzata anche nel settore dei beni culturali e pure per quelli di interesse religioso - il metodo della consensualità si è affermato non solo nella fase della gestione degli interventi, ma, prima ancora, nella fase della loro pianificazione.

La materia dei beni culturali, in ogni caso, segnatamente a partire dalle riforme del 1998, è divenuta uno dei terreni più fertili per la sperimentazione di nuove forme di cooperazione tra soggetti pubblici e soggetti privati, oltre che, naturalmente, tra diversi soggetti pubblici; ciò è potuto accadere, soprattutto, con riguardo alle attività di finanziamento e di valorizzazione, le quali, difettando di imperatività, si potrebbero dire ontologicamente votate all'adozione di modelli consensuali.

Basti ricordare, in proposito, quanto dispongono gli artt. 154 e 155 del d.lg. n. 112/1998, che, ai fini della pianificazione e del coordinamento delle iniziative di valorizzazione sia pubbliche sia private, hanno istituito, presso ciascuna Regione, una "commissione per i beni e le attività culturali", composta, tra gli altri, da un membro designato dalla Conferenza episcopale regionale. Ma si considerino, altresì, dopo le innovative disposizioni introdotte dalla l. 8 ottobre 1997, n. 352, in parte confluite nel Testo Unico, quelle contenute nell'art. 1 e nel più volte modificato art. 10 (rubricato "Accordi e forme associative") del d.lg. 20 ottobre 1998, n. 368, istitutivo del Ministero per i beni e le attività culturali.

Così, non sembra azzardato sostenere che, per alcuni significativi profili, o quantomeno per il metodo adottato, la più recente disciplina generale dell'attività delle amministrazioni preposte alla tutela del patrimonio storico-artistico rappresenti l'esportazione, nell'ordinamento comune a tutti i beni culturali, delle importanti soluzioni coniate, per quelli di interesse religioso della Chiesa Cattolica, dalle intese attuative dell'art. 12, n. 1, dell'Accordo del 1984: in primis, dall'intesa cui è stata data esecuzione con il d.p.r. n. 571/1996.

Tale constatazione, nel medesimo tempo, consente di ritenere che le regole di collaborazione concepite dall'intesa del 1996, seppure perfettibili, non possano dirsi superate dal nuovo assetto dell'amministrazione pubblica dei beni culturali, se non per taluni aspetti concernenti l'organizzazione del Ministero e il nuovo riparto delle competenze tra Stato, Regioni ed Enti locali.

Dette regole, quand'anche interamente fatte proprie o, nella sostanza, assorbite o doppiate dalle diverse disposizioni, legislative e regolamentari, statali e regionali, atte a disciplinare strumenti di collaborazione fra amministrazione e amministrati, rimangono pur sempre, in ragione della loro provenienza pattizia, un baluardo invalicabile per le amministrazioni preposte alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali, nei rapporti con la Chiesa Cattolica.

Un ruolo di portata minore, ma analogo, va riconosciuto pure alle scarne disposizioni sui beni culturali contenute nelle intese sottoscritte dalle confessioni diverse da quella cattolica, nonché, per tutte le confessioni religiose, allo stesso art. 19, comma 1, del Testo Unico.

Va rimarcato, ancora, tornando all'intesa del 1996, che il suo articolo di chiusura, l'art. 8, ha assegnato alle disposizioni contenute nella medesima intesa il valore di possibile "base di riferimento per le eventuali intese stipulate, nell'esercizio delle rispettive competenze, tra le regioni e gli altri enti autonomi territoriali e gli enti ecclesiastici".

Questa previsione ha alimentato una stagione davvero ricca di intese (comprese quelle per il Grande Giubileo siglate nel 1997 in Liguria, Toscana, Umbria, Abruzzo-Molise e Calabria) stipulate tra le Regioni e, in grande prevalenza, le Conferenze episcopali regionali, che ha avuto un'impennata a partire dal 1998 e che, in seguito alla riforma costituzionale del 2001, è destinata a registrare un ulteriore sviluppo, specialmente con riguardo alla valorizzazione dei beni.

A cascata, si è avuto poi un sensibile sviluppo della sottoscrizione di intese o convenzioni anche a livello locale, tra gli enti territoriali e le autorità ecclesiastiche competenti.

Si comprende come la proliferazione di intese regionali e locali sui beni culturali, tra l'altro, consenta di aggiornare, in qualche modo, la stessa intesa nazionale del 1996, con riferimento alla nuova distribuzione delle competenze amministrative maturata in esito alla riforma del 1998. Sotto altro profilo, si potrebbe ulteriormente constatare come tale fenomeno costituisca una sorta di risposta o adeguamento dell'ordinamento della Chiesa Cattolica alla frammentazione delle competenze pubbliche intervenuta in seno all'ordinamento italiano.

Esaurita, brevemente, l'esposizione dei motivi di soddisfazione per il quadro emerso dallo studio della normativa applicabile ai beni culturali e di interesse religioso, occorre, in conclusione, con altrettanta brevità, spendere alcune considerazioni sulle ragioni che inducono, invece, a esprimere una preoccupazione di fondo.

La ricchezza e la complessità del quadro tracciato, come si è visto, sono anche latrici di una dose consistente di disorganicità e sconnessioni, nella legislazione e nello svolgimento delle funzioni e dei compiti amministrativi.

E' frequente, come si è osservato, che un intervento su un bene sia finanziabile attraverso un cumulo o un'alternativa di fonti di contribuzione, oppure che differenti titoli di finanziamento vengano a sostenere una pluralità di interventi diversi su un medesimo bene o complesso di beni.

Ebbene, in tutti questi casi, sussiste il rischio reale che le differenti fonti di contribuzione e/o i diversi interventi da realizzare si trovino, tra loro, in un rapporto di totale isolamento; con buona pace, da una parte, dei principi di responsabilità e unicità dell'amministrazione, tanto declamati dalla l. n. 59/1997, e, dall'altra, dello stesso principio di cooperazione tra amministrazioni; e, ad ogni modo, con la forte probabilità che, per un deficit di coordinamento, nella migliore delle ipotesi, il denaro pubblico non venga speso in maniera efficiente ed economica o, in quella peggiore, gli interventi si rivelino concretamente poco efficaci, perché frammentati e scoordinati, slegati da una visione d'insieme.

Non di rado, ad esempio, si sente raccontare di chiese antiche occupate contemporaneamente o ripetutamente da più cantieri, gestiti da imprese diverse e aperti grazie a differenti fonti di contribuzione, per l'effettuazione di lavori, in realtà, complementari o comunque connessi.

Si scopre, allora, che il problema centrale della disciplina dei beni culturali e, in particolare, di quelli di interesse religioso, è forse rappresentato, oggi, nel nuovo ordinamento autonomista della Repubblica, da una crescente esigenza di coordinamento degli interventi, sia di tutela sia di valorizzazione, attivabili da normative spesso tra loro non comunicanti e in grado, quindi, di intersecarsi, sovrapporsi o duplicarsi in modo ingovernabile.

Si capisce meglio, dunque, il senso delle disposizioni, sopra richiamate, contenute nel nuovo art. 118, comma 3, della Costituzione e negli artt. 154 e 155 del d.lg. n. 112/1998, che pongono la questione del coordinamento fra amministrazioni, nonché fra soggetti pubblici e soggetti privati, al centro della disciplina dell'attività amministrativa in materia di beni culturali.

Scontata l'enorme difficoltà di ottenere un coordinamento degli interventi a livello legislativo, segnatamente riguardo ai rapporti tra fonti statali e fonti regionali, va preso atto, per vero, che non mancano oggi nella legislazione dello Stato e delle Regioni efficaci strumenti generali di cooperazione fra amministrazioni e di coordinamento della loro azione; e, come accennato, la materia dei beni culturali, negli ultimi anni, è divenuta un terreno di sperimentazione assai fertile di forme di collaborazione pure tra soggetti pubblici.

Lo svolgimento di un'adeguata attività di coordinamento presuppone, però, che in concreto si realizzino le condizioni essenziali affinché questa possa essere svolta: cioè, innanzitutto, che sia compiutamente e tempestivamente conosciuta, dai suoi attori, la realtà da coordinare.

Il cuore della questione si sposta, pertanto, inevitabilmente, sulle attività informative e conoscitive relative ai beni culturali, al loro stato di conservazione e agli interventi in atto, progettati, o anche solo programmati, sugli stessi beni.

Del resto, ogni processo di decentramento e moltiplicazione dei centri decisionali implica, per essere efficace, un irrobustimento dei sistemi informativi e di dialogo tra i diversi soggetti investiti delle decisioni, nonché tra questi e i soggetti interessati alle decisioni medesime; mentre è noto, purtroppo, come spesso la circolazione di informazioni rilevanti non sia istituzionalizzata neppure nei rapporti interni tra gli uffici di un'unica pubblica amministrazione.

Vengono in evidenza, quindi, in primo luogo, l'organizzazione delle attività di inventariazione e catalogazione dei beni culturali (v. l'art. 16 del Testo Unico) e, in secondo luogo, la necessità che i rapporti fra tutti i protagonisti, pubblici e privati, degli interventi sul patrimonio storico-artistico siano corredati da veri e propri obblighi di reciproca informazione, attinenti a ogni intervento programmato o, comunque, da effettuare; cosicché possano crearsi reti informative, informatizzate e, auspicabilmente, telematiche sempre aggiornate sulle vicende inerenti ai beni catalogati.

In tal modo, peraltro, i soggetti aspiranti a un finanziamento pubblico sarebbero i primi obbligati e, al contempo, interessati a comunicare all'amministrazione cui si rivolgono se, per un determinato intervento, o per un determinato bene o complesso di beni, sono state già richieste ed eventualmente ottenute altre contribuzioni. Diversamente, a ben vedere, rimarrebbe in buona parte frustrata l'utilità stessa degli apporti collaborativi alle decisioni amministrative e alla loro esecuzione, poiché non rese oggetto, a monte, di un'adeguata azione di coordinamento.

In queste direzioni potrebbero efficacemente muoversi, allora, eventuali progetti di revisione o, meglio, di integrazione dell'intesa del 1996 sui beni culturali di interesse religioso.

Che la nuova frontiera dei rapporti di cooperazione e di collaborazione istituzionale in materia di beni culturali consista, finalmente, nell'allestimento di un'organizzazione effettiva, seria e compiuta delle attività conoscitive e informative è attestato, d'altra parte, dai più recenti atti consensuali di rilievo nazionale sottoscritti in argomento dallo Stato, dalle Regioni e dalla CEI.

Si vuole fare riferimento, in particolare, all'accordo tra il Ministro per i beni e le attività culturali e le Regioni sancito con provvedimento della Conferenza Stato-Regioni del 1° febbraio 2001, sulle metodologie comuni da seguire nelle attività di catalogazione (del quale, relativamente ai beni della Chiesa Cattolica, si leggano gli artt. 6 e 8), e alla convenzione siglata l'8 aprile 2002 tra l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) del medesimo Ministero e la CEI, sulle modalità di collaborazione per l'inventario e il catalogo dei beni culturali mobili appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche (ma si vedano pure la precedente circolare ministeriale del 14 gennaio 1998, in tema di catalogazione e di rapporti degli enti ecclesiastici, in base all'intesa del 1996, con l'ICCD, l'Ufficio Centrale per i Beni Archeologici Architettonici Artistici e Storici e le Soprintendenze, nonché la stessa intesa concordataria del 2000, sugli archivi d'interesse storico e le biblioteche, particolarmente attenta ai temi dell'inventariazione e della catalogazione).

Intanto, si è diffuso anche negli ordinamenti regionali un evidente fermento orientato a investire sulle attività di inventariazione e di catalogazione, come testimoniano parecchie recenti delibere di giunta e alcune intese stipulate, in proposito, con le autorità ecclesiastiche.

 



Note

[*] Il presente scritto introdurrà la I Parte ("Disposizioni statali e regionali") del Codice dei beni culturali di interesse religioso, curato da M. Renna - V.M. Sessa - M. Vismara Missiroli e in corso di pubblicazione con la casa editrice Giuffrè, Milano.

 



copyright 2003 by Società editrice il Mulino


inizio pagina