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Ambiente e paesaggio nel nuovo Titolo V della Costituzione

di Stefano Civitarese Matteucci



Come parecchie altre cose, anche il quadro delle competenze legislative in materia di paesaggio e beni ambientali appare destinato a complicarsi con l'entrata in vigore del nuovo Titolo V parte II della Carta costituzionale.

Difatti l'art. 117, comma 2, lett. s) della Cost., demanda ora alla potestà legislativa esclusiva delle Stato la "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali"; mentre il terzo comma del medesimo art. 117 menziona tra le materie di potestà legislativa ripartita la "valorizzazione dei beni culturali e ambientali".

La questione che immediatamente si pone è proprio quella relativa alla potestà legislativa in materia di tutela del paesaggio e dei beni ambientali, la cui disciplina è attualmente contenuta nel Titolo II del t.u. 29 ottobre 1999, n. 490 rubricato "Beni paesaggistici e ambientali", e di cui il nuovo art. 117 non parla. Appaiono, allora, due le possibili opzioni interpretative: a) che tale materia in quanto non nominata appartenga alla legislazione regionale residuale, quindi "esclusiva" delle regioni; b) che la stessa debba essere inclusa nella più ampia materia "tutela dell'ambiente" - secondo l'idea che finora è tutto sommato prevalsa nella giurisprudenza della Corte costituzionale - di competenza esclusiva dello Stato.

Una terza opzione, astrattamente ipotizzabile, non sembra granché plausibile, quella cioè secondo cui l'espressione "valorizzazione dei beni ambientali", contenuta nell'art. 117, comma 3, potrebbe abbracciare nel suo significato l'intera disciplina legislativa della materia Beni paesaggistici e ambientali con la conseguenza che il paesaggio diverrebbe materia di competenza legislativa ripartita. Questa eventualità è da escludere sia per la ragione molto semplice che semanticamente altro è la tutela ed altro è la valorizzazione di un bene - anche se non si scopre nulla di nuovo osservando che mediante la tutela si valorizza il bene e viceversa -; sia per il fatto che tale valorizzazione, assegnata alla legislazione concorrente regionale, riguarda non soltanto i beni ambientali, ma anche quelli culturali, per i quali tuttavia l'art. 117, comma 2, lett. s) prevede che la loro tutela è di competenza esclusiva del legislatore statale, lasciando con ciò chiaramente intendere che la tutela debba essere cosa diversa dalla valorizzazione.

Tornando, allora, alle suddette due opzioni interpretative in campo, sembra possa ragionevolmente ritenersi maggiormente plausibile quella sub b), considerando la tutela del paesaggio una delle componenti della più ampia nozione di ambiente: basti pensare che le prime "storiche" sentenze della Corte Costituzionale sull'ambiente come "materia nuova" (n. 59 del 1985 e n. 151, 152, 153 del 1986) furono pronunciate proprio con riferimento ad interventi normativi dello Stato a tutela dei beni paesaggistici (si tratta come noto della legge Galasso 431/1985).

Vale qui la pena di ricordare che il termine di comparazione in quei casi era costituito dalla contigua materia del governo del territorio, attribuita alla competenza regionale, e definita dall'art. 80 del d.p.r. 616/1977 come inclusiva di ogni aspetto relativo all'uso ed alla tutela del territorio, ivi compresa la tutela dell'ambiente. Ciò per osservare che - alla luce degli esiti di quel dibattito - deve oggi escludersi che nella materia "governo del territorio" - riproposta dall'art. 117, comma 3 Cost. tra le materie di competenza legislativa concorrente (in luogo dell'urbanistica che compariva nel previgente art. 117) - possano farsi confluire anche i profili legati alla cosiddette tutele differenziate, tra cui il paesaggio.

Argomento contrario alla riconduzione della tutela del paesaggio nella materia "tutela dell'ambiente", potrebbe peraltro rinvenirsi nel fatto che il medesimo art. 117, lett. s) affianca alla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema quella dei beni culturali, mostrando evidentemente di considerare quest'ultima una materia non riconducibile all'ambiente, in ciò distaccandosi dalla classica nozione tripartita di gianniniana memoria che vi includeva anche la legislazione sui beni culturali. Si potrebbe, cioè, opinare che se il legislatore costituzionale ha sentito l'esigenza di prevedere espressamente la potestà legislativa esclusiva statale per i beni culturali, altrettanto avrebbe dovuto fare per i beni ambientali, i quali fanno parte dello stesso testo normativo in cui sono disciplinati i primi. Né può ritenersi che nella ridetta lett. s) si accolga una nozione ampia di bene culturale - sulla scorta di quella utilizzata dalla Commissione Franceschini negli anni '60 - comprensiva dei beni storico-artistici e delle bellezze naturali, poiché, come osservato, il comma terzo dell'art. 117 Cost. mostra di avere ben chiara la differenza affidando alla legislazione ripartita Stato-regioni la valorizzazione e dei beni culturali e dei beni ambientali.

Si torna in sostanza ai due suddetti corni del dilemma: se si privilegia una lettura dei beni paesaggistici come facenti parte di una materia autonoma da quella genericamente ambientale, e coincidente in sostanza con l'ambito disciplinare di cui al tu 490/1999, allora si deve necessariamente ammettere che la sola potestà legislativa in materia di beni paesaggistici mantenuta in capo allo Stato è quella relativa alla fissazione dei principi fondamentali per la valorizzazione dei beni ambientali, con esclusione di qualsiasi competenza in punto di tutela, la quale rientrerebbe nell'appannaggio esclusivo delle regioni.

Lasciando da parte il punto relativo alla esatta individuazione di una disciplina della "valorizzazione" distinta dalla tutela [1], mi sembra che la stessa radicalità del modello di riparto legislativo appena descritto faccia sorgere più di un dubbio sulla sua fondatezza. Si pensi ad esempio al fatto che lo Stato, in tal modo, avrebbe mantenuto poteri legislativi di principio in una materia come quella del governo del territorio, tradizionalmente di competenza regionale/locale, ma non in materia paesaggistica, che non si dimentichi in base all'art. 9 Cost. (evocando chiaramente una temperie romantica) costituisce pur sempre uno dei valori fondanti della Nazione.

A mio avviso decisiva è, invero, un'ulteriore considerazione di carattere strettamente logico-sistematico, discendente dalla necessità di dare prevalenza, nell'interpretazione dell'art. 117, comma 2, lett. s), ad un elemento sostanziale più che a quello formale prima messo in rilievo dell'appartenere i beni culturali ed ambientali ad un unico testo normativo.

L'elemento sostanziale è precisamente questo, che i beni paesaggistici attengono certamente alla tutela dell'ambiente in uno dei molteplici significati che l'ordinamento conosce di questa locuzione e ciò soprattutto dopo che la legge Galasso e l'evoluzione socio-culturale del Paese hanno trasformato il vecchio concetto statico e contemplativo della singolarità naturale in un più ampio concetto di bene paesaggistico, potenzialmente esteso all'intero territorio nazionale [2].

Si potrebbe, in effetti, dire che - ferme restando le discipline di protezione ambientale più specifiche e mirate (si pensi alle aree naturali protette) - la tutela del paesaggio rappresenti la "tutela ambientale di base" (il "livello essenziale" di protezione, echeggiando un'importante disposizione del nuovo Titolo V) degli aspetti morfologici del territorio nazionale. Non può dirsi insomma che il paesaggio sia qualcosa di diverso dalla tutela dell'ambiente, tanto più quando si impiega (come nel caso di specie) una nozione di ambiente che non coincide con quella di "ecosistema", anch'esso specificamente menzionato nella disposizione costituzionale in esame.

Potrebbe, invece, dirsi che la tutela dei beni storico-artistici (cioè dei beni culturali), non è materia riconducibile all'ambiente, proprio perché in questi (che peraltro sono assai spesso beni mobili) ciò che si evidenzia è proprio e soltanto l'opera dell'uomo in quanto modificatrice della natura in un senso consapevole o determinato: non che nell'ambiente c.d. naturale non si apprezzi l'opera dell'uomo - ché anzi basta pensare proprio al paesaggio che in Europa è essenzialmente l'ambiente modellato dall'uomo nel corso della storia - ma gli è che nei beni culturali l'opera dell'uomo rileva di per sé o in quanto specifica testimonianza artistica o in quanto specifica testimonianza storica o archeologica, demoetnoantroplogica, archivistica, ecc. [3]. Per questa ragione appare avere un senso il fatto che nell'art. 117, comma 2, lett. s) Cost. si parli ai fini della legislazione statale esclusiva da un lato di ambiente ed ecosistema e dall'altro di beni culturali.

In altre parole non si può pensare che le materie vadano individuate facendo riferimento ai settori normativi così come si sono stratificati nella legislazione ordinaria: ragionando in questo modo si potrebbe sostenere che è materia ambientale soltanto quella in cui l'ambiente rilevi effettivamente come nozione globale e del tutto autonoma (forse con tali caratteristiche v'è solo la valutazione d'impatto ambientale) e ne rimarrebbero fuori non solo il paesaggio, ma anche, ad esempio, la difesa del suolo, le aree naturali protette, ecc. Viceversa non par dubbio che la tutela giuridica dell'ambiente, in quanto nozione non unitaria sotto il profilo giuridico, è proprio costituita dalla combinazione di tutte queste discipline di settore, che in virtù di ciò rimangono di competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Per quanto riguarda, infine, la nuova materia della valorizzazione dei beni culturali ed ambientali - come ripetuto di competenza legislativa ripartita - direi che in questo caso, tenendo conto del contesto e della lettera della disposizione, la disposizione si riferisca esclusivamente ai beni culturali ed ambientali in senso stretto, quelli come tali conosciuti nella legislazione ordinaria, che ai sensi del tu 490/1999 sono per l'appunto i beni storico-artistici ed i beni paesaggistici: solo per queste tipologie di beni, quindi, e non per altri beni latamente "ambientali" (si pensi ai parchi nazionali), alle regioni è attribuita la potestà legislativa relativa alla disciplina volta alla valorizzazione dei beni medesimi.

 



Note

[1] Il punto di partenza per tracciare i confini della nuova materia di legislazione regionale concorrente dovrebbe essere la definizione contenuta nell'art. 148, comma 1, lett e) del d.lg. 31 marzo 1998, n. 112, secondo cui s'intende per valorizzazione "ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementarne la fruizione". Va ricordato anche l'art. 149 del tu 490/1999 (ex art. 1bis della l. 431/1985) secondo cui il piano territoriale paesistico dispone una "specifica normativa d'uso e valorizzazione ambientale", in questo caso presupponendo, però, una maggiore compenetrazione tra misure di salvaguardia, uso e valorizzazione.

[2] Secondo l'art. 148, comma 1, lett. b) del d.lg. 112/1998 sono beni ambientali "quelli individuati in base alla legge quale testimonianza significativa dell'ambiente nei suoi valori culturali e ambientali".

[3] V. la definizione fornita dall'art. 148, comma 1, lett. a) del d.lg. 112/1998.



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