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Recensioni

Istituzioni e politiche culturali in Italia negli anni Trenta, a cura di Vincenzo Cazzato, ministero per i Beni e le Attività culturali - Ufficio studi, Roma 2001

di Angela Serra


1. Oggetto della recensione

La rivista Aedon segnala la pubblicazione del volume Istituzioni e politiche culturali in Italia negli anni Trenta, a cura di Vincenzo Cazzato, ministero per i Beni e le Attività culturali - Ufficio studi, Roma 2001.

Il volume offre le ricostruzioni critiche dell'esteso dibattito che si sviluppò durante il periodo del fascismo su gran parte di quell'insieme di "materie" che si può dire costituiscano l'ampio concetto di "cultura", dibattito che culminò nell'importante stagione di riforme legislative degli anni Trenta. La parte antologica è composta dalle preziose testimonianze dei protagonisti, dei padri delle idee che furono alla base di quella "straordinaria congiuntura" [1] che in quel periodo storico diede a materie come beni culturali, beni ambientali, diritto d'autore, diritto di stampa, urbanistica, un'ossatura che ancora oggi, in controluce attraverso le nuove normative che ne hanno recepito i principi o addirittura tramite la loro diretta vigenza, le regge.

Il volume riporta poi la documentazione del dibattito parlamentare inerente alle singole leggi ed è arricchito da commenti e riflessioni compiute a distanza di qualche decennio, che forniscono chiavi di lettura e spunti critici utili per meglio comprendere la genesi culturale e politica e contestualizzare i frutti normativi che hanno da allora modellato la disciplina di tali materie.

Il percorso che la riflessione compiuta dagli autori evidenzia parte dalla constatazione della vivacità e dell'ampiezza che negli anni Trenta assunse in Italia il dibattito sull'esigenza di fornire di una legislazione adeguata beni e diritti connessi all'arte, alla sua diffusione, alla cultura del paesaggio e del territorio e di riorganizzare parallelamente le strutture centrali e periferiche preposte alla loro amministrazione. I campi di intervento spaziarono infatti dai beni di interesse artistico o storico - con la legge 1 giugno 1939, n. 1089 - alle bellezze naturali - legge 29 giugno 1939, n. 1497 -, fino a disciplinare arte contemporanea, manifestazioni e istituzioni espositive, restauro, restauro del libro, Archivi e Discoteca di Stato, diritto di stampa, diritto d'autore, materia urbanistica e le relative organizzazioni amministrative.

Ma non solo l'oggetto del dibattito risultò così esteso, quanto anche il tipo di interventi che si progettarono in merito ad esso: si vollero disciplinare tutte quelle funzioni che oggi rispondono ai concetti giuridici di tutela, valorizzazione, gestione e promozione. Come infatti viene messo in evidenza in molti degli scritti riportati nelle parti antologiche - di cui colpiscono per profondità ed entusiasmo soprattutto quelli di Giuseppe Bottai, allora ministro dell'Educazione nazionale -, la funzione che lo Stato assegnava all'arte come strumento indispensabile di educazione della collettività era ritenuta di primaria importanza dal regime.

Sabino Cassese sottolinea nell'Introduzione come il fondamentale bagaglio di idee nate negli anni Trenta, lungi dall'esaurirsi in quel contesto storico e sociale, viva ancora oggi e abbia alimentato i provvedimenti legislativi anche recentissimi di riordino di quelle materie. Molti dei principi che ispirarono le leggi nate negli anni Trenta, infatti, ancora nel nuovo millennio sono considerati validi e irrinunciabili, culturalmente avanzati e fondamento della disciplina odierna.

Il volume offre dunque un'accurata descrizione e una meditata ricostruzione delle ragioni storiche e sociali e dei contenuti delle politiche culturali sviluppatesi in quegli anni e propone allo studioso e all'operatore interessati alle diverse materie inerenti ad arte e cultura una ricchezza di materiale di indubbia utilità.

2. Descrizione dell'opera

La serie di leggi che riguardarono l'azione per l'arte contemporanea e il dibattito che le precedette è illustrato da Mariastella Margozzi, che descrive la grande attenzione del regime fascista per l'arte contemporanea in quanto disciplina capace di esprimere la forza e la volontà dell'Italia fascista. Da qui nasceva la politica di sostegno economico alla produzione artistica e di intervento diretto organizzativo a livello delle principali manifestazioni espositive, orientamento che era frutto della concezione di stretta strumentalità tra arte, politica e propaganda. Il governo quindi sentiva fortemente il proprio ruolo di guida e centro organizzatore per gli artisti; è tra l'altro di poco precedente, del 1927, l'istituzione del sindacato degli artisti, parte dell'organizzazione corporativa dello Stato fascista. Molto importante risultava poi anche la committenza statale nei settori dell'architettura e dell'edilizia, rivestite dei connotati di metafora della volontà di modernizzazione della società.

Nella parte riguardante l'arte negli edifici pubblici e la descrizione del clima culturale che portò all'adozione della cosiddetta legge del due per cento (legge 11 maggio 1942, n. 839), introdotto sempre da Mariastella Margozzi, è sottolineato come l'obbligo previsto da tale normativa di destinare il due per cento dei costi di qualsiasi progetto di opera pubblica ad abbellimenti artistici e decorativi fosse chiaramente concepito come mezzo per legare gli artisti al regime. La legge, in realtà, sanzionava una consuetudine già presente ormai da un quindicennio, ma la concomitanza della sua emanazione con lo sviluppo della corrente artistica del muralismo creò la singolare sinergia per cui la pittura murale era concepita come strumento di educazione della coscienza sociale e dunque sostenuta dallo Stato fascista quale fonte del rinnovamento culturale propugnato dal regime.

Molto interessante risulta la sezione dedicata al Convegno dei soprintendenti che si tenne a Roma nel luglio 1938, la cui parte introduttiva è curata da Mario Serio. Fu in tale sede, infatti, che presero forma le idee e l'organico programma che furono alla base della straordinaria stagione legislativa subito successiva. Il Convegno, cui parteciparono non solo gli esponenti dell'amministrazione statale, ma le più importanti personalità della cultura e dell'arte del tempo, assunse dunque un rilievo non meramente politico ma anche culturale di primaria importanza.

Troppo da dire ci sarebbe poi sulla parte riguardante la genesi culturale e politica della legge 1 giugno 1939, n. 1089, illustrata dal commento di Mario Serio, nella cui parte antologica si riportano gli interessanti scritti dei protagonisti del dibattito che portò all'impostazione data alla legge e le riflessioni a distanza di importanti studiosi che sono oggi ancor più preziose a causa del recente recepimento della l. 1089/1939 nel Testo Unico, decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490. Proprio nel momento in cui la legislazione rielabora, pur condividendone struttura e contenuti di massima, i principi concepiti nella disciplina precedente, risulta utile comprenderne motivazioni e risultati, per una lettura più matura del percorso che conduce alla normativa attuale.

Nella sezione dedicata alla legge sulla protezione delle bellezze naturali (legge 29 giugno 1939, n. 1497), con saggio introduttivo di Francesco Ventura, emerge come il concetto di paesaggio sia stato elaborato quale sinonimo di "volto della patria", di parte di quel patrimonio nazionale suddiviso nelle due categorie di beni culturali e paesaggistici, in una distinzione risalente ritenuta spesso ambigua. Il commento espone dettagliatamente e dottamente il percorso culturale che portò a tale distinzione e all'enucleazione delle tipologie di beni paesaggistici, fino all'istituzione del piano paesistico, concepito come mezzo innovativo di valorizzazione del territorio e momento di contatto con le esigenze edilizie e urbanistiche, per finire con la rimeditazione operata dalla legge Galasso (legge 8 agosto 1985, n. 431). Molto interessanti le considerazioni critiche sull'idoneità della normativa posta in essere negli anni Trenta e integrata nel 1985, che vede gli stessi beni oggetto di discipline differenti - diritto urbanistico e tutela del paesaggio - e confliggenti, in quanto rispondenti a finalità opposte - uso edificatorio e godimento collettivo -, con il conseguente svuotamento di contenuto della disciplina di tutela.

Degna di nota, poi, la parte sul riordinamento delle strutture centrali e periferiche dell'amministrazione, resa particolarmente interessante in vista di una lettura comparata della realtà uscente dalle recenti riforme legislative [2] che ne stanno nuovamente disegnando i contorni, che offre quei punti di partenza e di riferimento necessari per comprendere il punto d'arrivo di un percorso iniziato negli anni Venti e oggi ad un punto di svolta.

La legge 22 maggio 1939, n. 823, riorganizzò le soprintendenze ristabilendone la tripartizione, modificata nel 1923, in antichità, monumenti e gallerie, con caratteri di marcato centralismo: la Direzione generale, infatti, accentrava in sé non solo poteri di coordinamento delle soprintendenze, quanto anche poteri tecnici e di direzione delle stesse. Tale impianto è stato mantenuto nel dopoguerra, fino all'istituzione nel 1975 del ministero per i Beni culturali e ambientali, voluto da Spadolini, ed anche oltre: solo la complessiva riconsiderazione della pubblica amministrazione operata dalla stagione legislativa degli anni Novanta ne sta mutando ora la fisionomia.

Nel 1938 nasceva poi l'Istituto centrale per la patologia del libro, nel 1939 l'Istituto centrale del restauro e nel 1934 l'attività della Discoteca di Stato, nata nel 1924 con soli scopi di propaganda patriottica - era un archivio di voci che la classe politica di allora riteneva fossero da tramandare ai posteri -, si apre alle manifestazioni culturali, scientifiche, letterarie, alla conservazione delle tradizioni e dei costumi nazionali. Le rispettive trattazioni sono introdotte dai saggi di Carlo Federici, Paola F. Munafò, Giuseppe Basile e Maria Carla Cavagnis Sotgiu.

Ancora, nel 1939, con la legge 22 dicembre 1939, n. 2006, si diede un nuovo ordinamento agli Archivi del Regno, secondo un modello che, pur rivelando subito i propri limiti - come rileva Lucilla Garofalo nell'introduzione - servì come utile base su cui poi si impiantò la riforma del 1963, ora recepita dal Testo Unico, d.lg. 490/1999.

Il commento alla legge sul diritto di stampa (legge 2 febbraio 1939, n. 374), di Flavia Cristiano, descrive gli anni di intenso impegno da parte del regime fascista a favore della cultura del libro. Da questo clima nacque una legge che riordinava le diverse disposizioni inerenti all'obbligo di deposito di tutti gli stampati pubblicati, deposito che assolveva alle due differenti funzioni di controllo/censura, con la consegna alla Procura, alla Prefettura e al ministero, e scientifico/culturale, con la destinazione degli stampati alle Biblioteche nazionali centrali.

Del 1941 è poi la legge sul diritto d'autore (legge 22 aprile 1941, n. 633), che chiudeva un percorso nato dall'intenso dibattito internazionale sviluppatosi nella seconda metà dell'Ottocento, iniziato con l'adozione della legge Rocco nel 1925, che riconosceva per la prima volta in Italia un "diritto morale d'autore". La legge del 1941 si pone con modernità a disciplinare la serie di diritti connessi a tale diritto, in particolare disciplinando il contratto di edizione, lacuna che risultava sempre più evidente col diffondersi delle nuove forme di produzione cultuale quali cinematografia, discografia, radiofonia.

La coerenza della normativa in parola è confermata dalla sua permanenza in vigore per quasi un sessantennio, fino alle modifiche introdotte nel 2000 e legate alle nuove esigenze dovute all'avvento dell'era della comunicazione digitale.

Infine vi è la parte dedicata alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, introdotta dal commento di Vezio De Lucia, che evidenzia come tale testo consacri l'urbanistica quale indispensabile forma di governo del territorio nella sua totalità, urbano ed extraurbano. Fulcro della disciplina sono i diversi tipi di piani urbanistici, in cui si fondono poteri statali e comunali, con un deciso sbilanciamento a favore dell'autorità centrale. Con modificazioni e integrazioni, la legge del 1942 è rimasta in vigore per sessant'anni, ad ulteriore conferma della validità e della felicità delle intuizioni che presero forma nel dibattito culturale e quindi nella legislazione degli anni Trenta.


Note

[1] Così la definisce S. Cassese nell'Introduzione al volume, 24.

[2] Cfr. decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.



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