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Pubblico e privato per la gestione e la valorizzazione dei beni culturali
(Lecce, 30 novembre 2001)

Come esternalizzare: il ruolo degli enti locali

di Roberto Grossi [*]


Devo dire in primo luogo che mi fa molto piacere tornare a Lecce dopo 4 anni: 4 anni fa, infatti, organizzammo qui a Lecce un convegno molto importante "Gli oli del Sud", nel quale per la prima volta affrontammo il tema della tutela, valorizzazione, gestione dei beni e servizi culturali. Uscirono allora quattro pagine sul Sole-24Ore su questo tema e dopo 1 settimana nacque Federculture.

In questa sede, io vorrei portare il punto di vista di una Federazione nazionale, che rappresenta gli enti locali (ne sono associati, tra gli altri, la provincia e il comune di Lecce) e i soggetti che gestiscono di fatto i servizi culturali nelle diverse forme di gestione. Vorrei riflettere e soffermarmi su alcuni dati della realtà, perché talvolta la realtà delle cose è più avanti per alcuni aspetti rispetto alla normativa di riferimento e al dibattito, spesso ideologico, che si fa tra pubblico e privato.

Un primo punto su cui tutti siamo d'accordo è che tutela e gestione e quindi il passaggio successivo delle esternalizzazioni sono vari aspetti dello stesso problema; a ben vedere, il problema non è tanto pubblico-privato, ma come esternalizzare, dal momento che il processo delle esternalizzazioni si scontra con alcune contraddizioni del quadro normativo.

Federculture presenterà nell'ambito della rassegna Culturalia il primo rapporto italiano sulla cultura come sviluppo del territorio, nonché delle indagini fatte insieme con l'unione delle province su cosa sta accadendo in tutte le province italiane e un premio organizzato assieme a ministero, conferenza delle regioni, Anci e Upi su cultura e gestione.

Ebbene, da tutti questi tre strumenti emerge un panorama di cambiamento straordinario. Pertanto bisogna riportare il dibattito sul tema del territorio: è in tale contesto che il nostro sistema deve essere competitivo, è lì che il rapporto pubblico-privato va confrontato e che bisogna confrontarsi sulle forme di gestione.

Il territorio va visto in termini unitari: non importa se lo Stato gestisce meglio o peggio rispetto ad altro soggetto se poi non si considera l'insieme dell'offerta che presenta il territorio, che va inteso in termini necessariamente integrati. Da questo punto di vista, si può rilevare, ad esempio, che da alcune nostre indagini relative ai capoluoghi di regione, emerge che l'incremento che c'è stato negli ultimi tre anni di accesso ai musei comunali è superiore rispetto al dato dei musei statali e questo perché le regioni e gli enti locali programmano meglio, aprono nuove strutture e organizzano meglio quelle esistenti.

Se il problema è come esternalizzare, ora entro nel merito della legge finanziaria. C'è stata una parziale schizofrenia, secondo noi, rispetto al testo della finanziaria, perché l'attenzione è stata focalizzata soprattutto sull'art. 33 [1], mentre è passata quasi del tutto inosservata la norma, secondo noi invece, di fondamentale importanza che disciplina le modalità in base alle quali gli enti locali possono organizzare e qualificare meglio i servizi pubblici locali:

Il testo originariamente diceva che gli enti locali possono gestire e organizzare servizi esclusivamente attraverso la forma dell'istituzione; da un lato, tuttavia, non si capivano bene le regole di apertura verso i privati, dall'altro l'ente locale non aveva gli strumenti per organizzare nel modo migliore quello che ha nel territorio. Su questo quasi nessuno ha detto alcunché, perché manca quella visione integrata del territorio. Federculture, sostenuta da diverse amministrazioni, ha presentato un emendamento complessivo che è stato fatto proprio dal Senato e adesso il nuovo testo in discussione alla Camera è un testo che ha estrapolato i servizi pubblici non industriali (ivi compresi quelli culturali e del tempo libero) dei servizi pubblici industriali (trasporto, acqua, gas) rispetto ai quali si sta andando verso la liberalizzazione.

Ebbene, l'emendamento alla finanziaria che è stato da noi proposto e che è stato recepito dal Senato, prevede vari e ripeto vari strumenti: non è pensabile, infatti, alla luce dell'esperienza maturata negli anni, individuare nel nostro paese un unico modello di gestione, perché se veramente bisogna confrontarsi con i criteri della qualità e dell'efficienza e del welfare, occorre che le modalità siano individuate a seconda delle diverse necessità del territorio.

Il nuovo testo prevede, infatti, che i servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale siano gestiti mediante affidamento diretto a istituzioni, aziende speciali, anche consortili, società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali, regolate dal codice civile; è consentita anche la gestione in economia e difatti ci sono comuni, piccoli e grandi che ben gestiscono in economia direttamente i servizi culturali. Il testo dice anche che quando sussistono ragioni tecniche, economiche o di utilità sociale, i servizi possono essere affidati a terzi, in base a procedure di evidenza pubblica, secondo le modalità stabilite dalle normative di settore e che i rapporti tra gli enti locali e i soggetti erogatori dei servizi sono regolati da contratti di servizio: trattasi di contratto che non costituisce una novità perché è stato individuato dalla l. 142/1990 e riproposto per tutti i servizi pubblici locali dal Testo Unico degli enti locali e già sperimentato e ampiamente applicato in altri settori, sempre di servizio pubblico; pertanto, non si vede perché non può funzionare anche per la cultura: lo si sta già facendo in alcune realtà e ciò funziona [2].

Cito ad esempio, ma gli esempi sarebbero tanti, la s.p.a. Parchi Val di Cornia, che gestisce in modo integrato il territorio (aree naturali, una zona archeologica dello Stato, al quale la società paga un affitto, otto km spiagge, il museo di Piombino, ecc.), favorendone li sviluppo. Da questo punto di vista il problema è che serva un sistema chiaro e preciso di regole: bisogna dare certezza sia a chi deve programmare sia a chi deve gestire, sia pubblici che privati. I servizi pubblici locali nel nostro paese sono nati all'inizio del secolo e hanno rappresentato le prime forme di imprese pubbliche, che, si badi bene, sono nate dagli enti locali e non dallo Stato. La legge Giolitti del 1904, poi ripresa dal T.U. del 1925 dopo referendum popolari, hanno dato vita alle prime aziende municipalizzate che hanno sostituito le società nazionali che gestivano i trasporti, acqua, gas, ecc. Si decise che determinati servizi, anche per rispondere a obiettivi sociali, dovevano essere gestiti meglio e organizzati secondo forme d'impresa: le prime imprese riguardavano anche ad esempio i mulini, per garantire alla collettività farina di qualità buona, perché quello era considerato un servizio pubblico; c'erano anche i lavatoi comunali e le aziende pubbliche che gestivano l'orologio del paese.

Ora bisogna tenere presente che devono esserci più forme organizzative e che i privati possono organizzare alcune funzioni di servizio e questo non deve spaventare; questo in alcuni casi già avviene: si pensi al comune di Venezia che ha creato "Venezia musei" che è una s.p.a. che gestisce i musei della città e ai Musei capitolini che sono stati dati in gestione attraverso gara pubblica ad una s.p.a., che occupa 400 dipendenti, composta da vari soggetti, tra cui ad esempio Costa crociere. E non c'è niente di scandaloso, perché alla base c'è un rapporto ben preciso e regolato con il comune.

Non si tratta più di gestire singoli segmenti, come avvenuto con la legge Ronchey, che non ha fatto nascere imprese culturali, trattandosi di imprese, come Electa, che è un ottima impresa, ma è un'impresa editoriale che ha trovato nei musei uno sbocco commerciale, ma non è di per sé un'impresa culturale. Quindi il passo in avanti si può e si deve fare e da parte degli enti locali, che sono più avanti rispetto alla Stato. In tal senso, emergono interessanti spunti.

Il punto non è tanto privato - non privato, impresa - non impresa: il problema è garantire un sistema di regole e lo sviluppo di un mercato, che migliori la qualità dei servizi. E' pacifico che ormai l'era del mecenatismo come quella dei giacimenti culturali è ormai superata; il problema è come organizzare queste cose e, secondo me, il parametro del territorio integrato e delle sue politiche di sviluppo è imprescindibile.

Per concludere vorrei dare un messaggio finale di ottimismo: in realtà le cose stanno cambiando, ma è assolutamente centrale che la normativa faccia chiarezza e, vista la sede del mio intervento, che il mondo universitario si avvicini di più alle logiche del mercato. Noi stessi abbiamo promosso la costituzione di molti soggetti gestori e spesso c'è stata difficoltà a reperire i manager, i direttori e il personale. Quindi il mondo universitario può fare tanto in questa direzione, perché se non si crea anche un mercato del lavoro, delle professionalità, parlare di impresa culturale e di sviluppo della qualità è un esercizio puramente teorico.


Note

[*] Relazione svolta nel corso della giornata di studio su "Pubblico e privato per la gestione e per la valorizzazione dei beni culturali", tenuta a Lecce il 30 novembre 2001. (NdR: Testo non rivisto dall'Autore).

[1] Il riferimento all'attuale numerazione della disposizione è stato operato redazionalmente.

[2] Si tratta dell'attuale art. 35 della l. 28 dicembre 2001, n. 448 [NdR].


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