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Ricorso per questione di legittimità costituzionale
della regione Veneto

(depositato in cancelleria il 19 marzo 1998 e iscritto al numero 20 del registro ricorsi 1998;
pubblicato in Gazzetta Ufficiale, 1a serie speciale, n. 16 del 22 aprile 1998)



Enti pubblici - Ente pubblico "La Biennale di Venezia" - Trasformazione in persona giuridica privata denominata "Società di cultura La Biennale di Venezia" - Nomina del presidente - Approvazione dello statuto - Competenze attribuite al Ministro per i beni culturali e ambientali - Composizione del consiglio di amministrazione - Lamentata insufficiente rappresentatività della regione - Lesione dell'autonomia statutaria regionale.

(D.lg. 29 gennaio 1998, n. 19, artt. 4, 8 e 9).

(Cost., artt. 115 e 123; Statuto regione Veneto, artt. 1 e 2).

 

Ricorso della regione Veneto in persona del presidente pro-tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa dagli avvocati Ivone Cacciavillani, del foro di Venezia, e Luigi Manzi, del foro di Roma, con domicilio eletto allo studio del secondo in Roma, via Confalonieri 5, giusta delibera di G.R. prodotta in atti e per speciale procura qui a margine, contro il Presidente dei Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimità costituzionale, in parte qua degli artt. 4, 8 e 9 del d.lg. 29 gennaio 1998, n. 19, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 11 febbraio 1998, n. 34.

FATT0

Il d.lg. (in seguito d.lg.) 29 gennaio 1998, n. 19, ha trasformato l'ente pubblico "La Biennale di Venezia" in persona giuridica privata denominata "Società di cultura La Biennale di Venezia", a norma dell'art. 11, comma 1, lettera b), della legge 15 marzo 1997, n. 59.

In particolare, l'art. 4 del decreto legislativo prevede che lo statuto della "Società di cultura", elaborato ed adottato a maggioranza assoluta del consiglio di amministrazione, debba esser approvato "con decreto dei Ministro per i beni culturali e ambientali, di concerto con il Ministro dei tesoro, del bilancio e della programmazione economica", e che, ove lo statuto non venga adottato entro il termine di centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreto stesso, "il Ministro per i ben culturali e ambientali, entro i quindici giorni successivi, nomina un commissario il quale provvede entro trenta giorni dalla nomina".

Nell'individuazione degli organi costitutivi, l'art. 8 del medesimo decreto legislativo dispone che il Presidente della Società di cultura La Biennale di Venezia "venga nominato con decreto dei Ministro per i beni culturali e ambientali, sentite le Commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica", mentre il successivo art. 9 prevede che il componente regionale del Consiglio di amministrazione debba essere nominato dal Consiglio regionale del Veneto.

Le disposizioni legislative sopra indicate, rapportate alla specialissima natura giuridica e storica della "Biennale di Venezia", paiono invasive della sfera di competenza assegnata dalla Costituzione alla regione ricorrente, e comunque - in relazione alla specifica funzione svolta dalla "Biennale" - comportano una "menomazione" delle attribuzioni da riconoscersi alla regione medesima in forza dei principi di rango costituzionale e delle norme che di questi costituiscono il necessario complemento; donde la presente censura di illegittimità costituzionale.

PREMESSA D'IMPOSTAZIONE

L'esame del ricorso non può prescindere dall'origine storica della "Biennale", ben preesistente all'avvento della regione, espressione tipica di quell'universalità culturale tradizionalmente da secoli riconosciuta al "mito di Venezia", che ha fatto dichiarare la funzione, "impersonata" dalla secolare istituzione, di "preminente interesse nazionale" (art. 2.l). Sono tali caratteri peculiarissimi dell'Istituzione oggetto dei decreto legislativo impugnato che sostanziano e condizionano le censure dedotte; nelle quali l'esercizio della discrezionalità di merito del legislatore si scontra contro la realtà intaccata dal provvedimento legislativo impugnato, condizionandone la legittimità costituzionale.

La funzione storicamente consolidata della Biennale è essenzialmente "veneziana", come del resto - al di là delle disposizione impugnate - lo stesso decreto legislativo ampiamente riconosce. Esso (come connotazione istituzionale non scevra di significato sul piano sistematico) ne sancisce l'inequivoca "venezianità" anche logistica laddove (art. 2.1) stabilisce che "la Società di cultura ha sede a Venezia"; e (art. 7.3) che "le sedute gli organi si svolgono a Venezia".

La "venezianità" della secolare tradizione della Biennale ne fa un tratto caratteristico di quello che l'art. 2 comma primo dello Statuto regionale definisce il "popolo Veneto" - inteso come insieme delle "comunità della popolazione" a cui fa riferimento il secondo comma dell'art. 1 del medesimo statuto -, valorizzato come substrato soggettivo della regione.

Nell'assetto dato alla Società di cultura dal decreto legislativo impugnato la preminenza (netta e inequivoca) dello Stato è fatta discendere dalla declaratoria che quella esercitata dalla Biennale è funzione "di preminente interesse nazionale" (art. 2.1). È da questo enunciato che discende l'incostituzionalità denunciata. Fermo quel "preminente interesse nazionale" della Biennale, la sua ben connaturata ed essenziale "venezianità" ne fa una componente indissolubilmente legata alla tradizione e quindi all'identità del "popolo veneto", che dev'essere rispecchiata anche nell'organizzazione della Società di cultura creata all'unico scopo di impersonarla e gestirla, e specificamente nell'elaborazione dello statuto e nella composizione degli organi rappresentativi di essa, primo fra tutti il C.d.A.

Il punto centrale del ricorso è il seguente: posto la funzione della Biennale (che poi sia definita "società di cultura" non dovrebbe essere riduttivo della sua altissima funzione culturale mondiale) è di "preminente interesse nazionale", e che essa è connaturata con la funzione culturale mondiale di Venezia e profondamente radicata nel "popolo veneto" nel senso definito dall'art. 1 dello Statuto, la rappresentanza preminente in seno ad essa spetta alla regione, come espressione della sua funzione istituzionale e costituzionale, e non allo Stato. L'assunto si coniuga con altro enunciato (che sotto taluno profilo è la controfaccia del primo), che non tutto quello che è "di interesse nazionale" è necessariamente rappresentato in priorità dallo Stato, potendolo essere - quando l'interesse sia radicato nel territorio - dalla regione, che della Repubblica (soggettivizzazione della Nazione) è rappresentante in parte qua istituzionale e necessaria.

MOTIVI

1. - Le norme di legge censurate debbono ritenersi - sempre in relazione allo specifico "valore" intaccato - confliggenti col fondamentale principio di autonomia della regione, principio che trova generale riconoscimento nell'art. 115 della Costituzione e concreto contenuto, per le questioni sollevate nel presente giudizio, negli artt. 1 e 2 dello Statuto della regione ricorrente, approvato con la legge 22 maggio 1971 n. 340.

Sul punto va rilevato che lo Statuto regionale, al quale spetta il compito di dettare "le norme relative all'organizzazione interna della regione" (da intendersi non tanto come ordinamento "burocratico-amministrativo" degli uffici, quanto nel senso più lato di assetto programmatico delle funzioni e dei compiti assunti dalla regione quale ente esponenziale della comunità locale) non può non essere assunto a parametro di costituzionalità (anche) delle disposizioni di legge statale, essendo esso diretto a rendere effettivo il principio di autonomia sostanziale della regione, intesa come titolarità e tutela prioritaria dei "valori" propri (del proprio "popolo" e del proprio territorio).

Tra gli art. 123 e 115 della Costituzione esiste invero una relazione "biunivoca", ne senso che, per un verso, lo statuto è espressione primaria dell'autonomia della regione, mentre, per altro verso, quella stessa autonomia trova effettività e concretezza proprio e innanzitutto nelle disposizioni statutarie, che identificano gli scopi e i contenuti fondamentali dell'attività dell'Ente.

Lo Statuto assume così ruolo "integrativo" del disposto costituzionale che attribuisce alla regione uno spazio di autonomia nell'ambito dei rapporti con lo Stato, assurgendo a criterio e parametro "sub-costituzionale" per la valutazione della legittimità delle leggi dello Stato.

In questo quadro l'attribuzione ad organi dello Stato di funzioni connotanti nel loro complesso una chiara ed univoca preminenza dello stesso sia nella costituzione degli organi "societari", sia nella gestione della Biennale (né il fatto che sia stata definita "società" può per nulla alterarne i caratteri storici e funzionali universalmente riconosciutile dal consenso mondiale), integra appieno la violazione costituzionale qui denunciata. Invero, competenza all'approvazione dello statuto della "Società di cultura" (art. 4.2) e alla nomina del presidente del Consiglio di Amministrazione (in seguito C.d.A.), unita agli altri elementi - anche eventuali - infra brevemente illustrati, dimostra l'assoluta preminenza, sia strutturale che funzionale, dello Stato che contrasta con i principi costituzionali individuati.

2. - La funzione di approvare lo statuto (solo) adottato dal C.d.A. (nel quale la regione ha posizione marginale e comunque sottordinata alla maggioranza "altrui") ad opera soltanto dello Stato (Ministero B.C.A., di concerto con quello del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione), senz'alcun intervento autonomo o individuante della regione (che concorre in posizione paritaria - ai sensi dell'art. 4.2, prima parte - con gli altri Enti, anche privati: con l'ulteriore limite eventuale di cui all'art. 9.6, sul quale si tornerà infra), in sede di adozione, connota non solo un'assoluta priorità dello Stato, ma anche una vera e altrettanto effettiva esclusione della regione da ogni apporto autonomo e comunque autonomamente rilevante, in sede sia di approntamento che di approvazione dello Statuto della Società di cultura. Risponde a canoni classificatori universalmente ritenuti, ed invero ovvi, che la competenza all'approvazione dello statuto di un ente (sia privato che pubblico) comporta la piena disponibilità di esso e della sua funzione, nonché l'assoluta sovranità sull'Ente (o meglio sull'interesse perseguito o assegnato all'ente), essendo nello statuto che vengono fissati i suoi fini specifici e le forme e le modalità della loro attuazione. In questo campo, non tanto di priorità statale si può parlare, bensì di vera e propria esclusione regionale.

3. - La nomina del Presidente ad opera dello Stato non trova giustificazione alcuna nella disciplina codicistica delle società (la scelta della formula societaria, da parte del legislatore, financo nella - pur incongrua - denominazione, non può sganciare l'organizzazione dell'entità privata di nuova creazione dal paradigma tipico delle "società" regolato dal codice civile); non solo, ma dimostra una priorità della posizione "statale", che sembra la più incompatibile con la "venezianità" della Biennale.

Stabilita la costituzione della Società di cultura, il decreto legislativo ne regola (art. 7) gli organi, affidando al C.d.A. la funzione di governo della "società" (art. 10). È sulla composizione di tale C.d.A. che il presente motivo s'appunta.

I componenti del C.d.A. sono suddivisi in tre categorie: (a) il rappresentante del Governo - Ministero dei beni culturali, in posizione ingiustificatamente (donde il ricorso) preminente; (b) i rappresentanti degli Enti "soci necessari", regione, provincia, comune; (c) i rappresentati degli altri Enti e/o privati di cui all'art. 5.2 (soci eventuali). Sempre in tema di composizione del C.d.A. rilevante è l'art. 9.6, secondo cui, "se la partecipazione dei soggetti di cui all'art. 5 è pari o superiore al 25% dei patrimonio (?) della Società", la sua composizione "può essere elevata a sette membri; in questo caso gli altri due membri sono nominati dai soggetti di cui all'art. 5.2". Ove si verifichi tale ipotesi (e incomprensibile appare il riferimento alla "quota di patrimonio", laddove, al di là dell'incredibile rozzezza, si voleva forse dire "quota sociale"), il C.d.A. verrebbe ad assumere una composizione fortemente sbilanciata in danno dei "soci necessari" (regione, provincia, comune), che potrebbero essere rappresentati in seno al C.d.A. con lo stesso numero di quelli degli altri Enti e/o privati.

Con riferimento alla censura relativa alla nomina del presidente, va rilevata la netta superiorità del medesimo in seno al C.d.A., nel quale è ben lungi dall'avere posizione di primus inter pares; tale connotazione è resa evidente dal complesso di attribuzioni assegnategli, tra cui più significative (a) quella di "amministratore unico delle Società" (art. 9.3), in caso di ritardo della nomina anche d'un solo componente del C.d.A., e (b) il potere di "decidere con proprio provvedimento nei casi di comprovata (?) urgenza, salvo ratifica del C.d.A. nei trenta giorni successivi".

Non senza - a margine - rilevare che la "partecipazione" alla Società di cultura, imposta dall'art. 5, è imposta ai tre Enti substatali (regione, provincia, comune) senza che gli stessi siano stati minimamente interpellati se fossero disposti a far parte d'una tal Società.

4. Nel quadro della "venezianità", sotto vari aspetti rilevata, appare evidente che (a) la regione deve avere una specifica funzione (che non può non andare al di là della normale intesa prevista per gli "affari" misti Stato-regione) nell'approvazione dello statuto della Biennale, mentre la titolarità della competenza alla designazione del Presidente deve spettare alla Giunta regionale, come rappresentante naturale della funzione istituzionale della Società di cultura, dotata della funzione di "preminente interesse nazionale" (e non statale) ma avente sede istituzionale a Venezia, ed essendo espressione massima, in campo culturale, della "venezianità nel mondo". Anche sulla considerazione che il "rappresentante della regione" viene - come dianzi rilevato - designato dal Consiglio regionale.

Se la designazione del presidente della Società di cultura viene demandata dal legislatore ad un organo di governo, sembra evidente - in quanto risultante sia dall'impostazione complessiva del provvedimento istitutivo della nuova Società di cultura, sia dalla natura e connotazione storica, istituzionale e funzionale della stessa - che la designazione del Presidente non può che spettare alla Giunta regionale e non al Ministro, al quale ovviamente spetterà la designazione del "rappresentante" del Governo in seno al medesimo C.d.A.

Alla luce di tali rilievi le norme indicate, impugnate ai sensi dell'art. 2 della legge cost. n. 1/1948, non potranno che esser dichiarate incostituzionali, con ogni provvedimento consequenziale come per legge.

In tal senso si conclude.

Venezia-Roma, addì 12 marzo 1998

Avv. Ivone CACCIAVALLANI - avv. Luigi MANZI

 



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