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Tavola rotonda sul regolamento di organizzazione del ministero per i Beni e le Attività culturali (Roma, 9 marzo 2000)

 

Intervento di Paolo Leon



Non sono sicuro che si possano soddisfare tutti i desideri espressi in questa tavola rotonda. E' vero tutto ciò che è stato detto da ambedue i relatori, ma non siamo in casa Manzoni. Bisogna rendersi conto non solo di ciò che ha detto Forlenza, ma anche del fatto che la legge sul ministero è un Margutte: un gigante nano che non ha saputo risolvere i problemi fondamentali del settore, ma che pretende di farlo. La legge è dunque fortemente criticabile, ma è quella che abbiamo. Il problema, allora, è se il regolamento coglie lo spirito che ha introdotto nella legge alcune istituzioni.

Il Segretario generale è funzionale a un disegno originario, poi dimenticato: questa figura era necessaria perché nel processo di formazione della legge si pensava ad una devoluzione di poteri nei confronti delle regioni molto più forte di quella che è stata poi tradotta nella legge; si giustificava un Segretario da "spoil system", com'è nella legge, se il ministro avesse dovuto limitarsi all'indirizzo e al controllo, anziché concentrarsi nell'amministrazione diretta. Poiché però la devoluzione non c'è, se non per aspetti marginali, la natura di "spoil system" del Segretario generale non ha più un fondamento.

E' in questa difficoltà che il regolamento deve muoversi. Poiché il decentramento, nel senso della regionalizzazione, si è affievolito, avremmo dovuto favorire, nel regolamento, un più forte decentramento dei poteri del ministero. Quello che alcuni vedono come un appesantimento, e cioè la divisione in varie direzioni generali rispetto alla grande direzione generale (di Sisinni), è già una forma di decentramento. Se non si possono avere altri direttori unici (e tirannici) è evidente che bisogna distinguere i poteri per materia, diluendoli e moltiplicando gli uffici.

Certo, questa diluizione genera un problema di coerenza tra diversi settori: ed ecco il vero significato del Segretario generale, che è il coordinatore (non il capo) dell'amministrazione. Il Segretario coordina le diverse direzioni generali, e le intreccia. L'intreccio è importante perché le direzioni generali hanno notevoli problemi di sovrapposizioni ai confini. Alcune direzioni potrebbero anche sparire: che lo Spettacolo sia diviso in due è significativo; doveva essere diviso, se il FUS forse stato regionalizzato, ma poiché ciò non è avvenuto, né avverrà - perché il parlamento nel frattempo sembra aver cambiato idea - non c'è più ragione di tale divisione.

Per i beni culturali, siamo di fronte a un impianto a matrice, ma non perfetto. Possiamo disporre le direzioni generali in colonna, e i soprintendenti regionali in riga; i soprintendenti di settore sono all'interno di questa matrice, negli incroci tra direzioni (settori) e soprintendenze regionali (territori). Ma è un'organizzazione a matrice quella desiderata dal d.lg. 368/1998? Non è chiaro. La legge vuole un ministero forte, e nello spirito della legge, la tutela è la funzione più importante, mentre la valorizzazione (che è la parte nuova dei compiti territoriali) viene citata (forse per dare una qualche soddisfazione verbale agli "idola tribus"), ma in realtà resta una funzione secondaria.

Il mio linguaggio non è giuridico come quello di Forlenza: a me sembra che il regolamento si trovi di fronte ad una contraddizione tra la potenziale matrice e l'attribuzione delle autonomie amministrative. Si può forse dire che il regolamento disegna una matrice, e non la vuole: non si giustifica altrimenti il fatto che i direttori generali, e non i soprintendenti regionali, siano centri di responsabilità amministrativa.

Così, non c'è equivalenza tra questi due livelli. Avrei preferito che i livelli del direttore centrale e del sovrintendente regionale avessero lo stesso rilievo (e secondo la legge avrebbero potuto averlo). Ciò, naturalmente, implicava che i soprintendenti di settore dovevano sottostare ad una doppia dipendenza - per materia dal direttore generale, e per amministrazione e funzione dal soprintendente regionale. La gerarchia sarebbe stata più forte di quella esistente, ma il tutto sarebbe stato più snello, perché non ci sarebbe stata più ragione di avere un personale ministeriale così abbondante.

E' questo quello che rende debole la struttura: le direzioni generali, pur più numerose, mantengono lo status che avevano in precedenza, usa anche i soprintendenti di settore che mantengono lo status precedente, sovrastati solo parzialmente dal soprintendente regionale, che li può coordinare in fase di programmazione, ma non in quella della gestione.

I singoli soprintendenti, ciascuno per materia, finiscono per avere un rapporto più forte con il direttore che non con il soprintendente regionale: quando la regione, la provincia, il comune devono confrontarsi con il soprintendente regionale, si confrontano con uno spettro, non con un potere reale.

Tutto ciò inficia anche il problema tecnico-scientifico di cui parlava Chiarante perché nulla cambia relativamente alla situazione attuale, salvo che adesso, con la legge e il regolamento, abbiamo tre poteri (direttore generale, soprintendenti, soprintendente regionale) che possono tutti essere considerati tecnico-scientifici, in una confusione che fa perdere senso proprio all'organizzazione del lavoro tecnico-scientifico. Si capiscono meglio, credo, le difficoltà entro le quali si muove il ministero: quello che il regolamento costruisce è un compromesso tra diverse esigenze e situazioni. Non si è scelta realmente un'organizzazione a matrice, né si è scelta una gerarchia.

Mi preoccupa anche il fatto che non esistono ancora, e non esisteranno con questa proposta, i direttori dei musei e delle aree archeologiche, distinti dai soprintendenti. E' vero la legge non prescriveva nulla di specifico a questo proposito, ma il tema delle autonomie, che è un altro modo di creare unità gestionali, era invece trattato e rimandato al regolamento. E' vero che gli archeologi non amano né le unità gestionali né l'autonomia (tanto meno il decentramento): ma se abbiamo paura degli archeologi, non vedo perché non ci facciano paura anche gli storici dell'arte o gli architetti. Chi è più soggetto ai furti, l'archeologo o lo storico dell'arte? O è più nobile l'archeologia della storia dell'arte o dell'architettura? Non capisco queste posizioni, se non come un tentativo di proteggere specifiche professionalità, che non sono tuttavia in questione.

Il punto è, allora, quello delle autonomie. Il regolamento poteva descrivere gli uffici della struttura sia centrale sia periferica in maniera più articolata, assegnando a ciascuno l'adeguato livello di autonomia. Analogo è il caso degli istituti centrali, che il regolamento ricorda, senza dar loro una collocazione, né rinnovando sulle loro autonomie. A me sembra che, il problema dell'autonomia non è tanto rilevante per gli aspetti tecnico-scientifici quanto per gli aspetti amministrativi, e cioè per la capacità di gestire effettivamente l'intero sistema dei beni culturali.

Ripensare all'organizzazione, costruire la matrice, attribuire le autonomie, alleggerire il ministero centrale: così si costituirebbe anche quel minimo di carriera che oggi è necessario assicurare al personale dei Beni culturali, proprio in relazione ai suoi meriti tecnico-scientifici.

 



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