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L'intervento finanziario dello Stato
(art. 41 d.lg. 490/1999)

di Luigi Gallucci


Sommario: L'intervento finanziario dello Stato nella disciplina precedente. - 2. Il concorso dello Stato negli interventi di restauro. - 3. Il regime delle competenze. - 4. L'intervento finanziario dello Stato con riguardo alle attività di conservazione "imposte". - 5. L'intervento finanziario dello Stato a favore degli archivi storici.



1. L'intervento finanziario dello Stato nella disciplina precedente

Dopo aver stabilito, negli artt. 37 e 38, il contenuto delle misure conservative, il Testo Unico stabilisce, negli artt. 41-44, la disciplina degli interventi finanziari dello Stato a favore dei proprietari di beni culturali. Si tratta di norme che riprendono le disposizioni contenute negli artt. 15-18 l. 1089/1939 e negli artt. 2 e 3 l. 21 dicembre 1961, n. 1552, non senza procedere ad un riordino e ad una semplificazione della materia.

Principio fondamentale della legge di tutela del 1939 era l'obbligo, in capo al proprietario del bene culturale, di provvedere direttamente alle opere necessarie per assicurarne la conservazione ed impedirne il deterioramento (art. 14, comma 1). Il t.u. conferma quest'obbligo (per quanto riguarda sia le persone giuridiche, sia le persone fisiche) e, con esso, la facoltà dello Stato di eseguire direttamente le opere necessarie ad assicurare la conservazione del bene tutelato e ad impedirne il deterioramento. Facoltà che costituisce, nell'ambito della "conformazione" del diritto di proprietà a salvaguardia del patrimonio storico e artistico, l'unica alternativa a disposizione del legislatore per supplire all'incuria o, comunque, all'inattività dei proprietari, onde evitare il degrado del patrimonio. Il tutto, salvo l'obbligo dei proprietari di rimborsare allo Stato la spesa sostenuta [1].

La legge di tutela del 1939 prevedeva distinti regimi dell'intervento diretto dello Stato, a seconda che il proprietario del bene (diverso dallo Stato) fosse una persona giuridica (ente locale, ente pubblico o ente giuridicamente riconosciuto appartenente alla categoria che veniva definita, un tempo, degli "enti morali" e che, oggi, identifica una persona giuridica senza fini di lucro) o un privato. Nei confronti dei privati (persone fisiche o giuridiche non rientranti nella categoria degli "enti morali") era previsto soltanto l'intervento sostitutivo a fini conservativi, mentre comuni, province, enti pubblici ed altri "enti morali" potevano vedersi imposto un obbligo di fare cui si ricollegava, in caso di comprovata impossibilità di sostenere la spesa, l'assunzione dell'onere, in tutto o in parte, a carico dello Stato.

Gli artt. 2 e 3 l. 1552/1961 abolirono tale doppio regime e lo unificarono, stabilendo che intervento sostitutivo e imposizione dell'obbligo di fare potessero essere disposti nei confronti di qualunque proprietario, a prescindere dalla sua natura giuridica.

Il regime unico riguarda pure la possibilità per lo Stato di assumere l'onere del restauro, totalmente o parzialmente, a proprio carico. In particolare, l'art. 3, comma 1, l. 1552/1961 prevedeva la facoltà dello Stato di assumersi l'onere sul presupposto che le opere fossero state imposte al proprietario o fossero state eseguite direttamente dall'amministrazione ed alla condizione che le opere stesse fossero "di particolare interesse" o eseguite "su cose in uso o godimento pubblico. L'art. 3, comma 2, stabiliva, altresì, che, quando il restauro fosse stato realizzato ad iniziativa del proprietario della cosa protetta, il ministro, a lavori ultimati e collaudati, avesse la facoltà di disporre che lo Stato concorresse nella spesa per un ammontare non superiore alla metà (sentito, per somme superiori a determinati importi, il Consiglio nazionale per i beni culturali).

2. Il concorso dello Stato negli interventi di restauro

L'articolo in commento inverte l'ordine dei commi 1 e 2 dell'art. 3 l. 1552/1961 e, perciò, fa diventare generale una previsione che, nella precedente disciplina, identificava una fattispecie particolare rispetto a quella, generale, che subordinava l'ausilio finanziario dello Stato alla condizione che le opere di restauro fossero "di particolare interesse" o che avessero ad oggetto "cose in uso o godimento pubblico".

La circostanza che la disposizione già contenuta nel comma 2 sia ora collocata come incipit dell'articolo dedicato agli interventi finanziari pubblici ed il suo contenuto letterale fanno, dunque, ritenere che essa si applichi sia nel caso di interventi di restauro ad iniziativa del proprietario, sia nel caso di interventi imposti dall'amministrazione ma il cui onere non sia stato da essa assunto, né in tutto né in parte, in mancanza del carattere di "particolare interesse" delle opere, ovvero perché queste riguardassero beni non "in uso o godimento pubblico".

Da notare che l'amministrazione dei beni culturali, nel concedere il contributo ai sensi della disposizione in esame, non deve acquisire, diversamente da quanto accadeva in passato, il parere del Consiglio nazionale per i beni culturali ed ambientali (ora, ai sensi dell'art. 4 d.lg. 20 ottobre 1998, n. 368, Consiglio per i beni culturali ed ambientali).

Una scelta, questa, che, oltre ad apparire rispettosa della delega conferita al governo dall'art. 1, comma 1, l. 352/1987 in quanto riconducibile alla direttiva di semplificazione dei procedimenti, è, nel merito, assolutamente condivisibile, poiché esclude da un procedimento di natura squisitamente gestionale (il cui ambito discrezionale è, per lo più, condizionato dalle effettive disponibilità di bilancio) organi di consulenza che assolvono a compiti di natura tecnico-scientifica del ministro (il Consiglio per i beni culturali) e delle direzioni generali (i comitati tecnico scientifici ora disciplinati dall'art. 4, comma 3, del d.lg. 368/1998).

Da ultimo, è interessante notare che il concorso dello Stato è previsto, contrariamente a quanto stabilito dall'art. 3, comma 2, l. 1552/1961 (il quale richiamava, genericamente, le opere necessarie ad assicurare la conservazione e ad impedire il deterioramento del bene), con riferimento alle sole attività di restauro. Il fatto che l'istituto del restauro abbia trovato all'art. 34 la propria definizione, unito alla circostanza che, in altre norme, si parli di "conservazione" (artt. 21 e 37), potrebbe far ritenere che il t.u. abbia inteso escludere, dalla facoltà di concorso dello Stato nella spesa, gli interventi diversi dal restauro, come quelli di manutenzione. Le ragioni di una tale scelta sarebbero, però, largamente inspiegabili, onde si deve ritenere che il "restauro" comprenda, quanto meno, le attività riconducibili alla manutenzione straordinaria (si v. il commento all'art. 34).

La prassi applicativa e la giurisprudenza chiariranno definitivamente la questione.

3. Il regime delle competenze

Quanto alle competenze, l'espressione che apre il comma 1 ("Lo Stato ha facoltà di concorrere") e quelle analoghe contenute nei commi successivi non possono certo interpretarsi nel senso di riconoscere allo Stato una competenza diversa da quella che risulta in esito al riparto delle competenze definito dalla normativa vigente. In tal senso, il dpr regolamento 22 aprile 1994, n. 368 (adottato sulla base dell'autorizzazione conferita dall'art. 2 l. 24 dicembre 1993, n. 537) abrogò la l. 14 febbraio 1968, n. 292, che intestava al ministero dei lavori pubblici competenze, tra l'altro, in materia di manutenzione straordinaria degli immobili statali e non statali appartenenti al patrimonio storico-artistico, con conseguenti oneri finanziari a carico di quel dicastero.

Con il predetto regolamento, tutte le competenze in materia di beni statali e non statali sottoposti al regime della l. 1089/1939 furono ricondotte al ministero per i beni e le attività culturali, che era tenuto, perciò, a sostenere i relativi oneri finanziari. In definitiva, lo Stato decideva di assumere a proprio carico tali oneri, iscrivendo in bilancio gli stanziamenti necessari a sostenere l'esercizio della menzionata facoltà ad opera del ministero per i beni e le attività culturali.

4. L'intervento finanziario dello Stato con riguardo alle attività di conservazione "imposte"

Il comma 2 dell'art. 41 riproduce il contenuto delle disposizioni dell'art. 3 l. 1552/1961 e dell'art. 16 l. 1089/1939, con due modifiche di non secondario rilievo. In primo luogo, viene eliminata la condizione - in precedenza prevista sol per l'ipotesi in cui il soggetto proprietario fosse un ente ex art. 14 l. 1089/1939 - che il proprietario versi nell'impossibilità di sostenere l'onere degli interventi conservativi.

La scelta omissiva appare felice per un duplice ordine di considerazioni. Da una parte, perché un doppio regime, fondato sulla natura giuridica del soggetto proprietario (fosse esso un ente pubblico, ma persona giuridica privata senza fine di lucro, ovvero una persona fisica o una persona giuridica con fine di lucro), non aveva, in passato, né avrebbe, ora, alcuna giustificazione. Dall'altra parte, perché si elimina una norma che ha trovato, in passato, assai rara applicazione e che, quando è stata applicata, si è tradotta, per lo più, in un mero adempimento burocratico, consistente nella produzione, da parte dell'ente, di una mera dichiarazione - dal contenuto tanto difficilmente riscontrabile, quanto mai riscontrato - circa l'impossibilità di sostenere la spesa.

A differenza dell'ipotesi di concorso nella spesa disciplinata nel comma 1, l'assunzione totale o parziale degli oneri da parte dello Stato per gli interventi conservativi diretti o coattivi continua ad essere subordinata alla circostanza che si tratti "di opere di particolare interesse, ovvero eseguite su beni in uso o godimento pubblico". Pleonastiche (e, quindi, condivisibilmente non inserite nella disposizione) le ulteriori specificazioni dell'art. 3, comma 1, l. 1552/1961, che specificava ulteriormente il "particolare interesse" delle opere da realizzare in relazione alla conservazione, al ripristino o all'incremento del patrimonio artistico o storico della Nazione.

Quanto alle categorie di beni culturali nei cui riguardi possono essere imposte misure conservative (e può essere, di conseguenza, attivato l'intervento finanziario) il mero rinvio all'art. 2 ("Categorie di beni culturali") non offre - come sarebbe stato auspicabile in un t.u. ispirato, tra l'altro, alla semplificazione dei procedimenti - elementi risolutivi ai fini dell'interpretazione della norma, che dev'essere letta unitamente all'art. 10 (in particolare, al comma 2), il quale reca limitazioni all'ambito di applicazione, tra l'altro, delle norme dedicate all'intervento finanziario dello Stato.

L'individuazione dei beni culturali (di proprietà di soggetti pubblici o privati) interessati alle norme che si commentano appare, in definitiva, tutt'altro che agevole. Le difficoltà si riportano sia all'ampliamento della nozione di bene culturale ex art. 2 t.u. (al cui commento si rinvia) rispetto alle categorie individuate dalla l. 1089/1939, sia ad altri profili che vengono esaminati qui di seguito.

5. L'intervento finanziario dello Stato a favore degli archivi storici

La l. 5 giugno 1986, n. 253 (ora abrogata) dettava norme per la concessione di contributi finanziari per la conservazione, inventariazione e valorizzazione degli archivi privati di notevole interesse storico, nonché per gli archivi appartenenti ad enti ecclesiastici e ad istituti o associazioni di culto.

Le norme introdotte dal Testo Unico sembrano avere, ad una prima lettura, un ambito applicativo notevolmente più ristretto e, in pratica, limitato ai soli interventi di natura conservativa. Una tale limitazione sarebbe, però, incongrua, tenuto conto, in particolare, della rilevanza che almeno gli interventi di inventariazione assumono nel settore degli archivi. È d'obbligo, perciò, ritenere che il richiamo all'art. 40 si riferisca, per un verso, all'individuazione del bene-archivio e, per altro verso, agli interventi ivi previsti, che conseguono all'obbligo imposto ai proprietari di ordinare e inventariare i propri archivi.

Rimarrebbero, pertanto, esclusi dall'accesso al contributo soltanto gli interventi di valorizzazione, a meno da non ritenere che l'art. 97 t.u., per il quale "gli interventi di valorizzazione sono comunque soggetti alle disposizioni del Capo II, in quanto applicabili", faccia rientrare dalla "porta di servizio" l'ammissibilità di ausili finanziari per gli interventi di valorizzazione, che la norma in commento parrebbe - invece - escludere.

Il rinvio della disposizione in esame agli archivi storici disciplinati dall'art. 40 consente di ritenere l'ammissibilità dell'intervento finanziario dello Stato nei confronti degli archivi storici (quelli che conservino, cioè, documenti relativi ad affari esauriti da oltre quarant'anni) di proprietà degli enti pubblici ed anche nei confronti degli archivi privati dichiarati di notevole interesse storico.

Ne consegue, quanto agli enti pubblici, che la possibilità dell'intervento finanziario statale viene limitata (rispetto alla nozione generica di "bene culturale" utilizzata nei commi precedenti e perciò - come nel più sta il meno - alla nozione di "bene archivistico" delineata dall'art. 2, comma 4, lett. b, t.u.) ai soli archivi storici.

Quanto agli enti, istituti o associazioni di culto, il comma 4 riproduce senza modifiche il contenuto delle disposizioni di cui alla l. 253/1986, che faceva, appunto, riferimento agli archivi di interesse storico di cui tali enti fossero proprietari, possessori o detentori (la l. 253 parlava, in verità, di "appartenenza" degli archivi agli enti di culto, talché l'attuale precisazione è senz'altro utile a scongiurare possibili, discordi interpretazioni).

Un'ultima notazione, sempre a proposito di enti ecclesiastici. L'art. 38 dpr 1409/1963 - abrogato dal t.u. - disciplinava gli obblighi del privato, il cui archivio fosse stato dichiarato di notevole interesse storico. Tra questi obblighi rientravano, dettagliatamente specificati, quelli di conservare, ordinare e inventariare, anche a cura del competente sovrintendente (ora divenuto - sia detto per mera curiosità - soprintendente) e di apertura al pubblico (modalità di accesso e di consultazione da parte degli studiosi). Tali obblighi sono, ora, previsti, in generale, quanto alla conservazione, dall'art. 40 e, quanto all'accesso, dagli artt. 108 e 109.

Per gli enti ecclesiastici, istituti e associazioni di culto, la norma in commento - attraverso il richiamo all'art. 6, comma 2, t.u., che prevede la dichiarazione di notevole interesse storico degli archivi appartenenti a privati - subordina la concessione del contributo statale all'osservanza dei menzionati obblighi, il cui collegamento con la concessione del contributo è, perciò, intermediato dalla qualità di "archivio di notevole interesse storico" che l'archivio ecclesiastico deve possedere.

Forse, un rinvio diretto, per gli archivi ecclesiastici in possesso della menzionata "qualità", agli artt. 40 e 109 t.u., che sanciscono - come detto - gli obblighi cui è subordinato il contributo, avrebbe consentito di agevolare il percorso interpretativo qui sopra illustrato.



Nota

[1] Cass. 17 giugno 1988, n. 7083, in Mass. dec. pen., 1988, 470.



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