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Accesso agli archivi e tutela della privacy
(artt. 107, 108 e 109 d.lg. 490/1999)

di Giusella Finocchiaro



Memoria storica e riservatezza degli individui sono per loro natura in contrasto. L'esigenza di conservare la memoria si concretizza nell'attività di archiviazione e conservazione dei documenti, di principio liberamente consultabili; l'esigenza di tutela della riservatezza delle persone impone, invece, dei limiti alla circolazione dei medesimi, sulla base di criteri definiti dal legislatore, che possono giungere a comprendere l'esercizio del diritto all'oblio. Diversi sono non solo i beni giuridici, ma anche i soggetti interessati: la collettività in un caso; il singolo individuo, nell'altro.

Il bilanciamento dei contrapposti interessi, anche con riferimento al carattere riservato dei documenti di politica estera o interna dello Stato, trovava espressione già nel dpr 30 settembre 1963, n. 1409, nonché nel dpr 30 dicembre 1975, n. 854 [1].

La disciplina dettata dalle norme sopra menzionate e recepita dal Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali è stata modificata dal recente decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 281 (Disposizioni in materia di trattamento dei dati personali per finalità storiche, statistiche e di ricerca scientifica), che si iscrive nell'ormai ricco corpo normativo concernente il trattamento dei dati personali, introdotto dalla l. 31 dicembre 1996, n. 675 [2].

Il d.lg. 281/1999 modifica e innova, fra le altre, le disposizioni del dpr 1409/1963 sicché la lettura degli artt. 107, 108 e 109 del t.u. richiede ora, anche in questa sede, una necessaria integrazione.

Giova qui ricordare che, secondo la definizione recata dall'art. 1 della l. 675/1996, per dato personale si intende, con amplissima definizione, "qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente o associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale". Sono, invece, esclusi dall'ambito di applicazione della legge i dati anonimi, cioè i dati che in origine, o a seguito di trattamento, non possono essere associati ad un interessato identificato o identificabile.

La definizione di trattamento dei dati è pure molto ampia: esso consiste in "qualunque operazione o complesso di operazioni, svolti con o senza l'ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati". La definizione di trattamento comprende, in sostanza, qualunque operazione effettuata, con o senza mezzi automatizzati, sui dati.

La legge italiana disciplina inoltre specificamente, nell'ambito del trattamento dei dati, la comunicazione e la diffusione dei dati, non soltanto a fini definitori, ma anche in relazione alla disciplina applicabile. Per comunicazione si intende "il dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall'interessato, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione" e, analogamente, per diffusione si intende "il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione".

Qualunque operazione effettuata sui dati personali è, dunque, soggetta alla disciplina dettata dalla l. 675/1996, a meno che non si tratti di dati anonimi.

La necessità di una deroga per il trattamento dei dati utilizzati a fini storici, di ricerca e di statistica è apparsa evidente fin dall'emanazione della legge, sicché il legislatore ha previsto un intervento di integrazione e modificazione della normativa citata già nella l. 31 dicembre 1996, n. 676 (Delega al Governo in materia di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali), coeva della l. 675/1996 [3].

La norma di delega accomuna i dati personali utilizzati a fini storici, di ricerca e di statistica, con riguardo alla disciplina delegata, e prescrive che i decreti legislativi specifichino le modalità di trattamento, tenendo conto dei principi contenuti nella raccomandazione n.R. (83) 10 del Consiglio d'Europa, che invero disciplina solo i trattamenti di dati personali a fini di ricerca scientifica e statistica.

La l. 676/1996, richiamandosi alla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati, richiede altresì che con i decreti legislativi si presti particolare attenzione alla fase della conservazione dei dati e si prevedano garanzie adeguate per i dati raccolti per scopi diversi da quelli statistici, storici o scientifici e successivamente conservati per tali diverse finalità.

Nessun riferimento ai dati trattati per finalità storiche è contenuto, invece, nella l. 675/1996, ove i dati sopra menzionati non sono accomunati ai dati trattati per finalità statistiche o di ricerca.

Nella l. 675/1996 sono peraltro rinvenibili riferimenti ai trattamenti di dati personali per finalità statistiche e di ricerca, precisamente negli artt. 12 e 21. Le norme citate introducono specifici casi di esclusione del consenso rispettivamente per il trattamento e per la comunicazione e la diffusione dei dati, per scopi di ricerca scientifica o di statistica, qualora si tratti di dati anonimi.

Analogamente, l'art. 28 della medesima legge, nella nuova formulazione introdotta dal d.lg. 281/1999, dispone che il trattamento di dati personali all'estero è comunque consentito qualora sia finalizzato unicamente a scopi di ricerca scientifica o di statistica. Si noti, peraltro, che nella disposizione da ultimo citata è stato omesso ogni riferimento all'anonimia dei dati: presumibilmente per errore, dal momento che non appare giustificata una diversa e meno rigorosa disciplina della comunicazione e della diffusione transfrontaliere dei dati.

Tutte e tre le norme sopra menzionate, regolatrici del trattamento dei dati per finalità di ricerca scientifica e di statistica, e integrate dal d.lg. 281/1999, rinviano a codici deontologici, la cui emanazione dovrà essere promossa dal Garante per la protezione dei dati personali.

Come sopra si è accennato, la l. 675/1996 non reca alcun riferimento ai dati trattati per finalità storiche. L'unico indiretto riferimento è contenuto nell'art. 43 della legge citata, che fa salve, in quanto compatibili, le disposizioni concernenti l'accesso agli archivi di Stato.

In verità, alcune disposizioni della l. 675/1996 sembravano addirittura contrastare la stessa possibilità del trattamento dei dati personali con finalità storiche. Si fa riferimento, segnatamente, all'art. 9 e all'art. 16 della legge citata.

L'art. 9 disponeva, nell'originaria formulazione, che la conservazione dei dati, in una forma che consentisse l'identificazione dell'interessato, dovesse essere limitata al tempo necessario agli scopi per i quali i dati erano stati raccolti o successivamente trattati.

L'art. 16 prevedeva che, in caso di cessazione del trattamento, i dati dovessero essere distrutti o ceduti ad altro titolare, purché destinati ad un trattamento per finalità analoghe a quelle originariamente previste o conservati per fini esclusivamente personali.

A ben vedere, è lo stesso principio di finalità nel trattamento dei dati, principio cardine della l. 675/1996, che per sua natura contrasta con il trattamento dei dati per finalità storiche. Queste ultime, infatti, non possono essere previste fin dall'origine per il trattamento del dato personale, ma si configurano necessariamente come aggiuntive e successive. Il principio di finalità che permea la l. 675/1996, prevede, invece, che i dati siano raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi (art. 9), che degli scopi del trattamento sia informato l'interessato al momento della raccolta dei dati e comunque non oltre la prima comunicazione (art. 10), che il consenso sia espresso con riguardo alle finalità di trattamento dichiarate (art. 11), che l'interessato possa, fra l'altro, richiedere la cancellazione dei dati di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali sono stati raccolti o successivamente trattati.

Financo l'art. 15, sulla sicurezza dei dati, indica fra i rischi che debbono essere evitati con idonee misure di sicurezza, la cui mancata adozione comporta anche conseguenze di natura penale, il trattamento dei dati non conforme alle finalità della raccolta.

L'art. 9 e l'art. 16, in particolare, sono stati modificati dal d.lg. 281/1999, cosicché nella formulazione attuale delle norme citate il principio di finalità non esclude che i dati personali possano essere utilizzati per scopi storici, di ricerca scientifica o di statistica. Gli scopi storici, che rivestono maggiore interesse in questa sede, sono definiti dal decreto citato, come le finalità di studio, indagine, ricerca e documentazione di figure, fatti e circostanze del passato.

La compatibilità fra gli scopi storici e la durata del trattamento è sancita dall'art. 9, comma 1-bis, il quale supera il principio di finalità disponendo che il trattamento di dati personali per scopi storici, di ricerca scientifica o di statistica è compatibile con gli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati e stabilendo altresì, con riferimento alla durata del trattamento, che esso può essere effettuato anche oltre il periodo necessario a questi ultimi scopi.

L'art. 16, già menzionato, che prevedeva la distruzione dei dati a seguito della cessazione del trattamento, è stato integrato con la nuova lett. c-bis la quale dispone che i dati personali il cui trattamento sia stato concluso possono essere conservati o ceduti ad altro titolare per scopi storici, di ricerca scientifica o di statistica. Il principio di finalità, che comprende i limiti temporali della conservazione dei dati, è sempre compatibile dunque, con l'ulteriore trattamento dei dati per finalità storiche.

Peraltro, nell'ambito di quest'ultimo trattamento, riassume vigore il principio di finalità, vincolando il trattamento dei dati personali che non possono essere utilizzati per scopi ulteriori e diversi quali, per esempio, l'adozione di un provvedimento amministrativo sfavorevole all'interessato. La diffusione dei dati storici, cioè la comunicazione a soggetti indeterminati e quindi, per esempio, la pubblicazione, è vincolata al rispetto delle medesime finalità, salvo che i dati siano relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dall'interessato o attraverso i suoi comportamenti in pubblico.

Il d.lg. 281/1999 ha introdotto rilevanti modificazioni alle disposizioni del dpr 1409/1963 già recepite nel Testo Unico.

Innanzitutto è stata attribuita rilevanza legislativa alla commissione consultiva per le questioni inerenti alla consultabilità degli atti d'archivio riservati, già operante presso il ministero dell'interno. La commissione ha il compito di fornire al ministro consulenza sulla comparazione degli interessi alla riservatezza individuale e all'accessibilità degli atti.

La collocazione della commissione presso il ministero dell'interno e più in generale la competenza del ministero nella materia della ricerca, ha suscitato condivisibili perplessità, apparendo in tal modo la ricerca storica potenzialmente vincolata al controllo dell'esecutivo. In particolare, il ministro dell'interno ha la possibilità di consentire la consultazione per scopi storici dei documenti di carattere riservato, per i quali non siano ancora trascorsi i termini previsti, sentiti il direttore dell'archivio di Stato competente nonché la commissione sopra menzionata. La norma precisa che l'autorizzazione è rilasciata, a parità di condizioni, ad ogni altro richiedente.

Inoltre, con la nuova disciplina legislativa, sono stati modificati la classificazione e i termini previsti per la libera consultabilità dei documenti riservati custoditi negli archivi di Stato, negli archivi pubblici e negli archivi privati utilizzati per scopi storici, con un rinvio, per questi ultimi, alle modalità da individuarsi con l'emanando codice deontologico.

Rimane fermo il principio che i documenti conservati negli archivi sopra menzionati sono, come regola generale, liberamente consultabili. Nella precedente versione dell'art. 21 del dpr 1409/1963, recepita dall'art. 107 del t.u., erano individuate le seguenti tipologie di documenti riservati: a) i documenti dichiarati di carattere riservato, relativi alla politica estera o interna dello Stato; b) i documenti relativi a situazioni puramente private di persone; c) i documenti relativi ai processi penali.

La nuova versione dell'art. 21 del dpr 1409/1963, come modificata dall'art. 8 del d.lg. 281/1999, individua, invece, le seguenti tipologie di dati: a) i documenti di carattere riservato, relativi alla politica estera o interna dello Stato; b) i documenti contenenti dati di cui agli artt. 22 e 24 della l. 675/1996, cioè rispettivamente dati sensibili [4] e dati relativi a provvedimenti giudiziari [5]; c) i documenti contenenti dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale (i quali rientrerebbero fra i dati sensibili) nonché dati relativi a rapporti riservati di tipo familiare.

Il limite temporale per la consultabilità dei dati sub a) è rimasto invariato: essi sono consultabili cinquanta anni dopo la loro data. Tuttavia, si noti che il d.lg. 281/1999, modificando espressamente solo l'art. 21 del dpr 1409/1963, ha omesso di menzionare il riferimento alla declaratoria di riservatezza, recepito invece dall'art. 107 del t.u.

La classificazione dei dati sub b) e sub c) è stata invece rivista sulla base delle categorie legislative dei dati relativi a provvedimenti giudiziari e dei dati sensibili, ed è stata altresì integrata con il riferimento ai dati relativi a rapporti riservati di tipo familiare, che non si rinviene nella l. 675/1996.

Dal termine di settanta anni originariamente previsto per la libera consultabilità dei documenti relativi a situazioni puramente private di persone, nonché per i documenti relativi ai processi penali, con riferimento rispettivamente alla data dei documenti e alla conclusione del procedimento, si è passati alla definizione di due differenti termini: quaranta anni per i documenti contenenti dati di cui agli artt. 22 e 24 della l. 675/1996 e settanta anni per i documenti contenenti dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale nonché dati relativi a rapporti riservati di tipo familiare.

Appare sicuramente apprezzabile una più precisa definizione dei dati concernenti la riservatezza dell'individuo, anche se alcune delle difficoltà interpretative proprie della l. 675/1996 e relative alla tecnica definitoria utilizzata vengono in tal modo trasferite nella disciplina che qui si commenta. Si fa riferimento, in particolare all'espressione "dati idonei a rivelare" utilizzata sia nell'art. 22 che nell'art. 24 della l. 675/1996, invece dell'espressione "dati che rivelano" utilizzata dalla direttiva 95/46/CE, estendendo così l'ambito semantico in modo eccessivo e soprattutto foriero di notevoli incertezze.

I documenti, precisa la norma commentata, restano accessibili anteriormente al decorso dei termini indicati, ai sensi della disciplina sull'accesso ai documenti amministrativi, presso l'amministrazione che deteneva il documento prima del versamento o del deposito.

Con una disposizione di non facile lettura, l'art. 21-bis, comma 2, del d.lg. 281/1999, dispone che i documenti detenuti presso l'archivio centrale dello Stato e gli archivi di Stato sono comunque conservati e accessibili, per scopi storici, anche se l'interessato, o chiunque vi abbia interesse per i dati personali concernenti persone decedute, si sia opposto al trattamento ai sensi dell'art. 13 della l. 675/1996. L'interessato direttamente, o chiunque vi abbia interesse, può altresì richiedere il blocco dei dati personali, qualora il trattamento comporti un concreto pericolo di lesione della dignità, della riservatezza e dell'identità personale, e non sia bilanciato da un rilevante interesse pubblico. Deve a maggior ragione ritenersi che l'interessato possa esercitare anche gli altri diritti previsti dell'art. 13 della l. 675/1996 e, in particolare, il diritto di conoscere i dati che lo riguardano, di averne copia e di controllare la qualità dei dati raccolti. Particolari problemi potranno sorgere con riguardo all'esercizio dei diritti di aggiornamento, rettificazione e integrazione dei dati.

Emerge, infine, dalle disposizioni del d.lg. 281/1999 passate in rassegna l'urgenza di un codice deontologico, cui in più occasioni il legislatore fa riferimento dettandone anche i criteri fondamentali che riguardano la formulazione delle regole di correttezza e non discriminazione degli utenti; le particolari cautele da adottarsi per la raccolta dei dati riservati, già sopra esaminati, e le modalità di applicazione agli archivi privati della disciplina dettata in materia di trattamento dei dati a scopi storici.



Note

[1] In argomento, cfr. da ultimo M. Borgioli - F. Klein, Democrazia in rete o "grande fratello"? L'accesso agli archivi e la salvaguardia della riservatezza nelle fonti contemporanee, Firenze 1999.

[2] Approfonditi commenti alla legge in G. Buttarelli, Banche dati e tutela della riservatezza. La privacy nella società dell'informazione, Milano 1997; E. Giannantonio, M.G. Losano, V. Zeno-Zencovich, La tutela dei dati personali. Commentario alla l. 675/1996, Padova 1997; C.M. Bianca, F.D. Busnelli, A. Bellelli, F.P. Luiso, E. Navarretta, S. Patti, P.M. Vecchi, Tutela della privacy, in Le nuove leggi civili commentate 1999.

[3] Cfr. Garante per la protezione dei dati personali, Relazione per l'anno 1998, Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'informazione e l'editoria.

[4] Ai sensi dell'art. 22 della l. 675/1996: "I dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale".

[5] Ai sensi dell'art. 24 della l. 675/1996: "I dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all'art. 686, commi 1, lett. a) e d), 2 e 3, del codice di procedura penale".



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