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Giornata di studio su "L'istituzione del ministero per i Beni e le Attività culturali" nel quadro delle riforme amministrative

 

Il ministero per i Beni e le Attività culturali: il ruolo e la struttura centrale

di Giorgio Pastori



Sommario: 1. Il ruolo. - 2. La struttura.



1. Il ruolo

L’istituzione del nuovo ministero per i Beni e le attività culturali con il d.lg. 368/1998 si è realizzata al crocevia di due distinti processi generali di riforma, entrambi impostati dalla legge delega 59/1997 , di cui anche il d.lg. 368 è attuazione: da un lato, quello del conferimento delle funzioni e dei compiti amministrativi dallo Stato alle regioni e agli enti locali nella generalità delle materie di intervento pubblico; dall’altro, quello del riordino dei ministeri o, più in generale, del riordino del "centro" in tutte le materie e per tutte le funzioni residuate alla competenza dello Stato. L’istituzione del nuovo ministero sembra tuttavia rappresentare un episodio di riforma solo formalmente coordinato con il duplice processo di riforma in cui doveva essere iscritto e sembra invece costituire una sorta di episodio o di vicenda isolata, a se stante, sottratto nella sostanza al corso generale delle riforma, peraltro ancora in via svolgimento.

Non è difficile rendersi conto di ciò guardando da vicino l’impianto e il testo del d.lg. 368/1998.

Da un lato, si guardi innanzitutto a come il decreto si raccorda con il processo generale di conferimento delle funzioni amministrative impostato dalla l. 59/1997, e poi proseguito segnatamente con il d.lg. 112/1998, nell’individuare quello che può essere definito il profilo di ruolo, il ruolo funzionale del ministero.

Secondo gli artt. 11 e 12 della legge delega 59/1997 il riordino dei ministeri doveva e deve tener conto di tre fondamentali esigenze: l’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, l’effettività dei conferimenti fatti a regioni ed enti locali, i principi stessi dei conferimenti (riconducibili essenzialmente ai tre principi di sussidiarietà, funzionalità, responsabilità unitaria dell’amministrazione).

Il che comportava e comporta, in particolare, la riduzione e il riaccorpamento dei ministeri per grandi aree funzionali o per politiche organiche e la loro connotazione di ruolo, guardando in specie all’assetto centrale dei ministeri, essenzialmente come strutture di governo e non di amministrazione.

Ora, è vero che la l. 59/1997 , nella sua stesura finale, ha espressamente mantenuto la riserva allo Stato delle funzioni per la "tutela dei beni culturali e del patrimonio storico - artistico". Nel medesimo tempo, però, il d.lg. 112/1998, nel ribadire la riserva posta dalla legge delega, ha in qualche misura cercato di riconoscere il ruolo concorrente di regioni ed enti locali in tema di valorizzazione e gestione dei beni culturali e di promozione delle attività culturali, utilizzando a tal fine anche l’espressa previsione della seconda legge Bassanini, la l.127/1997, in tema di trasferimento della gestione di musei statali.

Parimenti, anche in materia di spettacolo e sport la ricognizione delle funzioni espressamente riservate allo Stato, operata con il d.lg. 112/1998, ha implicato un riconoscimento (e talora una riconferma) del ruolo spettante anche al riguardo a regioni ed enti locali.

Se si guarda adesso al d.lg. 368 si può notare come esso faccia sì inizialmente richiamo a quanto previsto dal d.lg. 112/1998. Nel medesimo tempo esso sembra considerare il nuovo ministero, che risulta dalla trasformazione del ministero dei Beni culturali e ambientali, come struttura che ha o continua ad avere un ruolo "totalizzante", in sé conchiuso, per l’intero complesso di materie contemplato.

A ciò non tanto rileva l’accorpamento operato in capo al nuovo ministero fra i due ambiti dei beni e delle attività culturali, che ha portato a far confluire nella nuova struttura le funzioni del Dipartimento dello spettacolo e dell’Ufficio per i rapporti con gli organismi sportivi e Ripartizione impiantistica sportiva della Presidenza del Consiglio.

La estensione in orizzontale dell’ambito di riferimento, oltre che coerente con i richiamati principi della l. 59/1997, era già stata prospettata in passato nel quadro di una riduzione per comparti organici dei ministeri e può rappresentare un efficace stimolo per la trasformazione delle politiche dei beni culturali in politiche pensate anch’esse in termini di beni - attività e non più soltanto di beni - cose (come anche si è spesso auspicato).

Ciò che invece induce a ritenere che si continui a pensare ad un ruolo "totalizzante" in sé conchiuso del ministero è il fatto che si attribuisca (art. 1) "nel quadro delle finalità indicate dall’art. 9 Cost. e dall’art. 128 del trattato istitutivo della Comunità europea" il compito di provvedere "alla tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali e alla promozione delle attività culturali". Come è agevole notare, al ministero viene riferito l’intero arco delle funzioni nella materia.

D’altronde, il successivo art. 2 si preoccupa di elencare, pur con riferimento alle "funzioni amministrative statali", un articolato catalogo di funzioni che coprono sempre l’intero arco degli interventi in tema di beni e attività culturali.

Vero è che già nell’art. 1 si dice anche che il ministero "favorisce la cooperazione con le Regioni e gli enti locali, con le amministrazioni pubbliche, con i privati e con le organizzazioni di volontariato", ma si tratta pur sempre di un "favorire la cooperazione" e non di un più semplice e netto "cooperare".

L’art.1 aggiunge poi ancora che il ministero "opera per la massima fruizione dei beni culturali e ambientali, per la più ampia promozione delle attività culturali garantendone il pluralismo e l’equilibrato utilizzo in relazione alle diverse aree territoriali e ai diversi settori". Si tratta - è vero - di indicazioni di massima che si muovono nel terreno incerto fra l’essere enunciati di finalità da perseguire e l’essere cataloghi di funzioni vere e proprie da esercitare, ma che lasciano anch’esse intendere come la istituzione del ministero sia stata tuttora ancorata a un’idea di ruolo a tutto campo.

Non vi è alla base l’idea di un centro di governo nell’ambito di un ordinamento pluralistico e di un sistema amministrativo a carattere fortemente decentralizzato e quindi di un ruolo di disciplina e di indirizzo sia politico che tecnico (come è il caso dell’altro decreto delegato, il d.lg. 143/1997, istitutivo di un altro ministero in attuazione della legge delega 59, il ministero delle politiche agricole ).

Vi è invece alla base l’idea di un ruolo che, se si vuole considerarlo nella versione migliore non è solo di amministrazione di tutela , ma anche di amministrazione e intervento attivo per tutta la gamma e i livelli di funzioni coinvolte, e pur sempre un ruolo di amministrazione.

Si potrebbe dire che la vitalità e il dinamismo ritrovati negli anni più recenti dal ministero - almeno per singole situazioni esemplari - vogliano riflettersi nelle disposizioni del d.lg. 368. E il d.lg. n. 368/1998 può considerarsi come manifestazione dell’intento di aggiornare e rivitalizzare il modello del ministero di amministrazione attiva, prescindendo dal contesto ordinamentale in cui si cala e si dovrebbe calare.

Si pensi in particolare a come nell’art. 10 del decreto ci si curi anche - di per sé opportunamente - che il ministero "ai fini del più efficace esercizio delle sue funzioni e in particolare per la valorizzazione dei beni culturali e ambientali possa stipulare accordi con amministrazioni pubbliche e soggetti privati e costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni e società".

In questa norma, come in altre del decreto che si potranno richiamare più avanti, vi è sintetizzata la tradizione e insieme la novità del ruolo ministeriale a cui guarda il d.lg. 368/1998. Il ministero si apre all’utilizzo di accordi e forme associative. Nel medesimo tempo, ciò costituisce un significativo indice dell’intento di fare del ministero un organismo di amministrazione, per quanto di amministrazione e intervento attivo, in specie anche "per la valorizzazione dei beni culturali e ambientali".

Ma se è cosi, ci si potrebbe chiedere perché non si è ripresa la proposta delle prime Commissioni di riforma in materia: di creare un’apposita azienda o amministrazione autonoma al posto o accanto al ministero, allorché ci si pose l’obiettivo di ammodernare la struttura ministeriale in una prospettiva di riforma ancora propria di uno Stato unitario e centralizzato.

 

2. La struttura

Si guardi ora al modo in cui il ministero è in sé organizzato secondo il decreto in esame, confrontandone le scelte con quelle generali in materia di riorganizzazione interna dei ministeri contenute nella legge 59/1997 e ancor prima nel d.lg. 29/1993 e succ.mod. che essa richiama.

Anche da questo punto di vista, l’istituzione del ministero sembra discostarsi dalle indicazioni che da queste norme si possono desumere.

Come è noto, secondo le indicazioni che sono via via emerse dal d.lg. 29 al d.lg. 80/1998 fino alla l. 59/1997, la riorganizzazione interna dei ministeri dovrebbe assicurare, da un lato, la distinzione fra compiti e responsabilità di direzione politica spettante al ministro e compiti e responsabilità di direzione dell’amministrazione spettante ai dirigenti e, dall’altro, la massima integrazione e unitarietà di funzionamento interno di ciascun ministero, in particolare attraverso "l’istituzione di dipartimenti o amministrazioni ad ordinamento autonomo o di agenzie e aziende, sulla base di criteri di omogeneità, di complementarità e di organicità" (art. 11 lett. g) della l. 59).

Con ciò la legislazione generale di riforma ha inteso superare il tradizionale modello "a piramide" di organizzazione dei ministeri per sostituirlo con un modello "a stella", che vede porsi attorno al centro di direzione politica (il ministro) delle strutture funzionalmente integrate per grandi aree di intervento dotate di propria autonomia e responsabilità per i compiti di intervento (in particolare i dipartimenti) e per quelli di disciplina e controllo tecnico residuati allo Stato (in particolare le agenzie).

Ora ci sarebbe aspettati che di fronte al ruolo "totalizzante", insieme di governo e di amministrazione, mantenuto al nuovo ministero, tanto più in considerazione del ruolo di amministrazione non solo di tutela, ma di intervento attivo ampiamente sottolineato, venisse delineata nel decreto una struttura "stellare" per uno o più dipartimenti e agenzie.

Il d.lg. 368/1998 sembra invece ancora riprodurre, pur in maniera aggiornata, muovendosi fra novità e tradizione, il vecchio modello.

Vero che esso comincia con la distinzione - enunciata all’art. 3 - fra ministro e ministero, riservando al ministro solo i compiti di direzione politico - amministrativa del ministero, di determinazione degli indirizzi, obiettivi e programmi e della verifica della rispondenza a questi dei risultati conseguiti.

Il decreto continua poi con l’individuare quali organi assistono il ministro per l’esercizio delle funzioni di indirizzo (e in particolare per la programmazione triennale degli interventi), nonché quali strutture coadiuvano il ministro per l’esercizio delle funzioni di controllo.

Senonché, nell’individuare le strutture di coadiuzione del ministro, il decreto introduce in posizione centrale la figura del segretario generale con un duplice compito: da un lato, di collaborazione diretta con il ministro e, dall’altro, di coordinamento degli uffici e delle attività del ministero.

In tal modo, si è prefigurata certamente una struttura di riferimento unitario per tutta l’attività del ministero. Nel medesimo tempo si è stabilito o ristabilito - come è appena il caso di notare - un rapporto di stretta continuità e dipendenza fra ministro e ministero, tipico del modello "a piramide", di cui il Segretario generale viene a rappresentare il tramite.

Si noti, fra l’altro, come si preveda che il Segretario generale sia incaricato ai sensi dell’art. 19, comma 3 del d.lg. 29/1993. Si stabilisce cioè che rientri fra quella ristretta cerchia di incarichi fiduciari per cui è prevista la revocabilità al costituirsi di ogni nuovo governo.

D’altro canto, si noti come al Segretario generale non sia attribuito solo il compito di assicurare il mantenimento dell’unità dell’azione amministrativa e di coordinare gli uffici e le attività del ministero, ma anche quello di curare "la gestione dei servizi generali dell’amministrazione".

Ne scaturisce una figura che, pur connotata come "funzionario politico", alle dirette dipendenze del ministro, assomma in breve anche la responsabilità del ministero, dell’amministrazione ministeriale sia "ad extra" che "ad intra" (per dirla con le parole della commissione Piga).

Tutto ciò sembra svuotare quello che il successivo art. 6 afferma in apertura. Che "il Ministero è organizzato secondo i principi di distinzione fra direzione politica e gestione amministrativa, di decentramento e autonomia delle strutture", oltre che "di efficienza e semplificazione delle procedure".

La figura e i compiti del Segretario generale smentiscono di fatto le enunciazioni di principio dell’art. 6.

Ciò, d’altra parte, risulta poi ulteriormente avvalorato dal fatto che l’art. 6 non preveda, almeno in via di principio, la costituzione di dipartimenti, bensì l’articolazione del ministero "in non più di dieci uffici dirigenziali generali" con competenza nei vari settori di intervento, nonché in materia di affari generali e personale.

Il numero degli uffici dirigenziali previsti è tale da escludere che si tratti di strutture dipartimentali. Queste dovrebbero avere infatti ciascuna un complesso organico di competenze (anche di organizzazione interna) tali da essere unitariamente responsabili della gestione dei programmi e dei risultati prefissati.

Ci si ritrova dunque di fronte alla riproposizione dell’articolazione per direzioni generali, addirittura con un numero di unità organizzative potenzialmente maggiore dell’attuale e con la giustapposizione, rispetto alle altre, di una direzione generale per gli affari generali e personale. Questa - si dica per inciso - sembra almeno in parte sovrapporsi o non bene coordinarsi con le competenze riconosciute al Segretario in tema di gestione dei servizi generali.

Tutto ciò conferma in primo luogo come venga mantenuta la sostanziale commistione fra direzione politica e direzione amministrativa e si sia inteso pensare a un ministero con un ruolo compiuto di amministrazione tipico del modello a direzioni generali.

Nel medesimo tempo, appare altrettanto evidente che si è finito per mantenere un’elevata frammentazione organizzativa di per sé contraddittoria con la connotazione del ministero non solo come ministero di tutela, ma di intervento attivo per la promozione, la valorizzazione e la gestione dei beni e delle attività culturali. L’articolazione prevista è infatti tale da non consentire né l’integrazione funzionale né l’organicità e l’unità di responsabilità che lo stesso ruolo del ministero e il processo di riordino generale dei ministeri innescato dalla legislazione recente vorrebbero fossero assicurate.

In tal senso il nuovo dell’organizzazione centrale del ministero sembra concretarsi soprattutto nella figura del Segretario generale, che di per sé esprime l’esigenza di unità e di integrazione funzionale in senso orizzontale, ma che per la sua connotazione fiduciaria meglio corrisponderebbe ad un ministero cui fosse affidato solo o prevalentemente un ruolo di governo (come è il caso del Segretario generale della Presidenza del Consiglio).

La struttura e le funzioni del ministero non si esauriscono invece nella Segreteria generale, ma si prolungano nelle previste direzioni generali. E in tale contesto l’innovazione costituita dal Segretario generale serve sì ad "assicurare il mantenimento dell’unità dell’azione amministrativa", come dice l’art. 5, ma contribuisce anche a riproporre in termini aggiornati il tradizionale modello dell’amministrazione centrale "a piramide" di cavouriana memoria.

Tutto ciò appare ulteriormente confermato dal fatto che il riparto delle competenze fra struttura centrale e struttura periferica attualmente esistente sembra restare inalterato. Nel d.lg. 368/1998 per ora non si assiste ad un decentramento di funzioni dal centro ad organi periferici. E anche la bozza di testo unico della legislazione sui beni culturali da emanarsi ai sensi della l. 352/1997 sembra muoversi nel senso di confermare le competenze secondo il riparto esistente. Mentre, anche se che talvolta si sostiene il contrario, il ministero ha avuto finora i caratteri di un’organizzazione considerevolmente accentrata.

D’altronde, anche la prevista istituzione del Sovrintendente regionale, come organo di coordinamento delle esistenti sovrintendenze e organi periferici del ministero operanti nella regione, ha il pregio, analogamente al Segretario generale al centro, di dar luogo a un importante momento di unità funzionale in sede regionale, senza realizzare tuttavia un maggior decentramento o un minore rapporto di continuità e di dipendenza dal centro.

L’innovazione organizzativa e l’attuazione del modello stellare restano quindi affidate ad altre previsioni di contorno del decreto, anche se non trascurabili: alla riorganizzazione e al potenziamento degli organismi e istituti tecnici centrali di cui all’art. 6, comma 4; alla prevista creazione di sovrintendenze e gestioni autonome di cui all'art. 8 con riguardo in particolare a musei, biblioteche, archivi e sovrintendenze archivistiche, così come al già ricordato ricorso ad accordi e forme associative di cui all’art. 10.

Ma non andrebbe nemmeno disatteso il fatto che il d.lg. 368/1998 è pur sempre una normativa legislativa di principio entro cui può utilmente ancora dispiegarsi il potere organizzativo regolamentare, muovendosi verso un più compatto assetto delle direzioni generali e una più netta distinzione delle rispettive sfere di autonomia e di responsabilità, nonché verso un più ampio decentramento territoriale.

 

 



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